Wikibooks itwikibooks https://it.wikibooks.org/wiki/Pagina_principale MediaWiki 1.45.0-wmf.5 first-letter Media Speciale Discussione Utente Discussioni utente Wikibooks Discussioni Wikibooks File Discussioni file MediaWiki Discussioni MediaWiki Template Discussioni template Aiuto Discussioni aiuto Categoria Discussioni categoria Progetto Discussioni progetto Ripiano Discussioni ripiano TimedText TimedText talk Modulo Discussioni modulo Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Iran 0 17430 477856 456853 2025-06-15T17:56:39Z Eumolpo 4673 ortografia 477856 wikitext text/x-wiki {{Forze armate mondiali}} ==L'Impero si rafforza== Non era passato molto tempo dall'arrivo dei primi jet e lo Sha già si apprestava a fare un ulteriore passo in avanti: la creazione, beninteso con il beneplacito degli anglo-americani, di una vera potenza regionale. [[File:IIAF_F-4D_Phantom_II-brake_chute.jpg|350px|right|thumb|Un raro ma longevo F-4D iraniano, del quale vennero comprate circa 32 unità]] I programmi che seguirono furono solo parzialmente attuati, eppure già da soli, e nonostante la oggettiva difficoltà di mantenere l'efficienza bellica dopo la Rivoluzione, bastarono a fermare l'esercito irakeno, che era potente e capace di montare una offensiva corazzata ben pianificata, anche se molto malamente appoggiata dall'Aeronautica. Ma questo, agli inizi degli anni '70 era ancora là da venire. Anzitutto, l'Iran si premurò di dotarsi di basi aeree di grandi dimensioni e capacità. Questo fu fatto per vari motivi: l'efficacia degli attacchi israeliani sui campi d'aviazione arabi era uno di questi, con la chiusura di molti campi d'aviazione e un'autentica strage di MiG, i cui candidi scheletri d'alluminio punteggiarono le piste di volo e le piazzole, al centro di una macchia nerofumo, dopo che l'Operazione Moked aveva avuto successo nel distruggere la formidabile forza combinata delle aviazioni arabe nell'arco di una mattinata. Lo Sha non intendeva ritrovarsi con le basi distrutte e gli aerei senza protezione sui parcheggi, quindi diede ordine di costruire basi grandi a sufficienza da proteggere gli aerei e garantirne l'operatività nonostante eventuali attacchi aerei nemici. Ma ancora di più, la logistica dell'IIAF era concepita come forza 'd'appoggio' per eventuali aviazioni alleate. L'Iran confinava con l'URSS e aveva fino a 25 divisioni schierate dall'altra parte del confine, anche se non era certo il Caucaso il teatro d'operazioni dove i sovietici concentravano le loro migliori forze. Per avere eventuali aiuti, la Persia di Palhevi si dotò di una logistica molto superiore a quella strettamente necessaria. Il risultato fu sufficiente ad ospitare fino a circa 3.000 aerei, diverse volte quelli in possesso della IIAF. Non solo questo, ma la dotazione di armi era ritenuta anch'essa estremamente importante per combattere per un conflitto prolungato, specie dopo le esperienze della Guerra del Kippur. Così gli iraniani si dotarono di grandi riserve di armi, e in aggiunta, di parti di ricambio. La cosa era talmente vera, che ancora diversi anni dopo l'inizio della guerra l'Iran combatteva utilizzando bombe comprate negli anni '70, le cui scorte non si erano ancora esaurite. Eppure nel 1973, dopo appena 5 giorni di guerra, Israele dichiarò che aveva quasi finito le scorte di armamenti (con la conseguente organizzazione di un enorme ponte aereo americano per portare gli aiuti necessari), e lo stesso accadde agli arabi, nonostante gli enormi stock di armamenti accumulati, che previsti per una guerra di mesi, andarono esaurendosi dopo pochi giorni. La guerra moderna, insomma, bruciava molte più risorse di quanto pianificato, almeno se si passava da una guerra a bassa intensità o 'd'attrito' ad una ad alta intensità. L'Iran si dotò anche di una rete radar assai completa, anche se le dimensioni della nazione e soprattutto le montagne rendevano praticamente impossibile controllare lo spazio aereo in maniera continuativa, almeno contro bersagli a bassa quota. Le armi ordinate furono un quantitativo enorme per ogni standard, anche maggiori di quelle richieste dagli israeliani. Per sommi capi, si possono ricordare: *Oltre 150 F-5 A,B, E,F (maggiormente di quest'ultime versioni) *223 F-4 Phantom, 32 dei quali D, 177 E, alcuni RF-4E. *80 F-14 Tomcat *202(!) AH-1T Cobra *Una dozzina di Boeing 707 (anche aerocisterne) e 747 *circa 52 C-130 *6 P-3F Orion *Oltre 200 elicotteri Bell 214ST *Migliaia di missili AIM-9B,F,J,P Sidewinder, e AIM-7E Sparrow (inclusi gli E-4 per i Tomcat) *Oltre 2000 missili AGM-65 Maverick *Oltre 900 carri Chieftain *Circa 800 carri M47, 48, 60 *Carri leggeri Scorpion *100 ZSU-23-4 *Un gran numero di semoventi M109 *Lanciarazzi BM-21 *235(!) rampe triple per missili HAWK, parte o tutti del tipo I-HAWK *3 fregate missilistiche *4 motocannoniere missilistiche Combattante II con 4 Harpoon Questo non esauriva la questione. Gli armamenti richiesti in prospettiva, da consegnarsi dai primi anni '80 erano, tra gli altri: *53 (non certo) F-15 Eagle *160 F-16A/B *54(?) sistemi tracked Rapier *Cannoni semoventi da 35mm Eagle *Aerei E-3 AWACS *225 carri Shir-1 *1225(!) carri Shir-2 *6 cacciatorpediniere missilistici Spruance SAM Una volta caduto lo Scià di Persia, con la rivoluzione del gennaio 1979, vi fu la clamorosa 'Crisi degli Ostaggi' dell'ambasciata americana di Teheran, che fu un'autentica debacle per Carter, specialmente dopo il fiasco dell' 'Operazione Eagle Claw'. Le tensioni con l'Irak, nel frattempo, non facevano che aumentare e questo stato di cose culminò con l'invasione irakena del 22 settembre 1980. La guerra, in realtà, iniziò prima: per gli irakeni, a tutt'oggi la data d'inizio era il 4 settembre, non il 22. Quel giorno vide gli irakeni lanciare un'offensiva generale, tentando di risolvere un conflitto che si minacciava di logoramento con una forza ancora superiore, ma sconvolta dalle epurazioni khomeiniste. La forza dell'esercito iraniano era al tempo stesso anche una debolezza, ovvero la sua situazione politica. Sotto la pressione di una guerra, con una forte leadership al potere, l'intero e ricco Iran era una nazione in guerra, con ogni fibra del suo tessuto sociale tesa a combattere gli irakeni. Al tempo stesso, questa leadership era oppressiva e aveva mutilato il dispositivo militare con epurazioni e fucilazioni di validi ed esperti ufficiali, considerati troppo 'occidentalizzati'. La guerra in realtà riabilitò molti di loro, che ''obtorto collo'' vennero scarcerati e inviati a combattere, cosa che fecero con grande impegno. La guerra non fu un cattivo affare nemmeno per il regime iraniano, perché compattò l'opinione pubblica attorno ad una leadership che non avrebbe potuto a lungo mantenere il potere se il popolo l'avesse trovata deludente, dopo tutti gli sforzi fatti per liberarsi dello Scià. La situazione, attorno a metà degli anni '80, era di stallo e di forte indebolimento. ====Le fregate 'Saam'==== [[File:IS_Sabalan_(F-73)_1977.jpg|380px|right|thumb|La IS Salaban, nel 1977. Si noti una certa somiglianza con le fregate inglesi dell'epoca, come le Type 21, ma queste erano unità nettamente più piccole]] Costruite dalla Vosper Thornycroft in 4 esemplari, queste navi erano delle piccole fregate di caratteristiche avanzate per i tardi anni '60, concepite per la velocità e anche come potenza di fuoco, almeno per le armi disponibili all'epoca della loro introduzione in servizio. Pensate per ottenere una velocità straordinariamente elevata (circa 4 nodi più delle già rapidissime 'Lupo'), essendo esse pur sempre delle fregate e non delle motocannoniere missilistiche, sono rimaste a tutt'oggi le più veloci tra tutte le unità di questo tipo. Inizialmente erano chiamate con nomi della tradizione iraniana, poi dopo la rivoluzione ebbero i nomi delle montagne. In totale avevano le seguenti caratteristiche: *Dislocamento: 1.100-1.540 t *Dimensioni: 94,5 x 11,07 x 3,25 m *Propulsione: 2 motori diesel Paxman Ventura da 3.800 hp l'uno e due turbine R.R. Olympus TM-3A da 46.000 hp su due assi; velocità 17 nodi in crociera (diesel) e 39 alla massima potenza (turbine), configurazione CODOG; autonomia 5.000 miglia a 15 nodi *Equipaggio: 125-146 *Armi (attuali): 4 C-802 antinave, 1 Mk 8, 1 da 20 binato, 2 mortai da 81 mm, 2 armi da 12,7 mm, un mortaio Limbo e 2 lanciasiluri da 324 mm [[File:IS_Sahand_(F-74)_1977.jpg|350px|left|thumb|la Sahand, sempre nel '77]] La loro principale attività di ammodernamento è stata sostituire i missili di bordo. Inizialmente c'erano 9 missili Seacat, probabilmente un lanciatore triplo anziché quadrinato come al solito, e 5 missili Sea Killer. Questi ultimi erano armi italiane inizialmente note come 'Nettuno', pensate dagli anni '60 sulla falsariga dei missili a guida semiattiva Sparrow. Pesanti circa 170 kg, di cui 30 di testata, avevano una gittata di circa 15 km. Di fatto erano quello che anni dopo sarebbero stati i missili Sea Skua, pensati in un certo qual modo allo stesso modo e per lo stesso compito, quello di rimpiazzare i missili filoguidati SS-12, relativamente semplici e limitati. Realizzati però solo per le navi, come tali non ebbero grande successo data la loro limitata capacità operativa -per varie ragioni, anche tecniche- e l'avvento dei vari (e ben più grandi) Exocet, OTOMAT e Harpoon non ha certo migliorato la loro situazione. In seguito si sarebbero evoluti nei più prestanti Marte aviolanciati. Però, come commessa, ebbero ben 120 missili ordinati dalla marina imperiale iraniana per queste navi, nonostante che tra tutte le unità disponibili fosse necessaria solo una dotazione di 20 armi per ogni 'pieno' di missili, confermando anche qui la tendenza ad abbondare con munizionamento e parti di ricambio per le proprie forze armate, grazie alle disponibilità finanziarie. I cannoni da 114 mm Mk 8 erano armi moderne per l'epoca, relativamente pesanti per una nave tanto piccola, tanto che le 'Lupo' italiane, tra le poche navi simili in dimensioni, erano pur sempre del 50% più pesanti a pieno cario. Queste navi erano simili progettualmente alle unità successive del Type 21, più grosse ma non tanto diverse, e alla fregata libica grossomodo coeva (poi ammodernata pesantemente, tra l'altro con missili OTOMAT e SAM Aspide con lanciatore quadrinato), con una tuga centrale al di sopra di uno scafo a ponte continuo. Le unità, ordinate pare già dal 1960(? Sarebbe stato davvero un anticipo prodigioso rispetto ai tempi nda), erano la DE-12 Saam, impostata nel 1968, poi ribattezzata IN 71 Alvand; la DE 14 Zaal, impostata nel '69 dalla Vickers (come la De 16 e a differenza della DE 12 e 18 della Vosper), poi IN 72 Albroz; la DE 16 Rostam, poi IN 73 Salaban sempre del '69; la DE 18 Faramarz, poi IN 75 Sahand, pure questa impostata nel '69. In sostanza, fino all'arrivo delle 'Lupo', per molti anni nessuna fregata leggera sarebbe stata anche soltanto lontanamente veloce quanto queste veloci unità persiane. [[File:Bild-Prayingmantis5sahand.jpg|350px|right|thumb|la Sahand, trasformata in pira funebre dalle armi degli aerei USA]] Con gli anni il loro lanciamissili Seacat è stato sostituito senza praticamente un sostituto, ovvero con cannoni da 20 mm. La batteria di Sea Killer è stata rimpiazzata da 4 C-802, missili cinesi simili agli Exocet ma con un turbogetto per garantire oltre 100 km di gittata. Le capacità offensive di queste armi le rendono più efficaci e pare che le unità rimaste siano ancora in grado di raggiungere elevate velocità massime. Tuttavia, la mancanza di sufficiente difesa aerea è un grave problema per queste piccole fregate, non avendo un sistema CIWS vero e proprio e niente missili a medio raggio Crotale-Sparrow-Aspide, come per esempio la loro cugina libica Dat Assawari. E il risultato, contro gli americani, non sarebbe stato certo lieve, quando l'Iran si decise ad accettare la sfida americana in mare aperto (Operazione 'Praying Mantis'). ---- Le navi del tipo 'Combattante II' erano motocannoniere armate, forse per l'unica volta nel caso delle unità di questa prolifica classe, non con gli Exocet, ma con i missili Harpoon. Con una lunghezza di 47 metri per 7,1 di larghezza, pescaggio di 2 metri. Avevano 4 diesel con 14.400 hp su 4 assi e 36-45 nodi a seconda del dislocamento, e 31 membri d'equipaggio. L'armamento era di 4 Harpoon (poi con 2 o 4 C802), un cannone da 76 e uno da 40 mm, protezione balistica leggera sui punti vitali. Anche queste navi erano considerate eccezionalmente moderne per l'epoca, e secondo gli iraniani erano le più moderne motocannoniere del mondo. Certo è che, la combinazione tra un valido scafo, missili americani, cannoni italiani e svedesi, sistemi elettronici sofisticati e motori potenti, le portava senza dubbio al vertice della categoria. Durante la guerra contro l'Irak, si comportarono molto bene anche se subirono una perdita dovuta ai missili delle 'Osa'; rispetto a queste ultime dimostrarono tuttavia una netta superiorità, specialmente per via dei sistemi d'arma più moderni e della presenza di cannoni di medio calibro a bordo (che potevano colpire duro anche aerei a una certa distanza, nonché navi e obiettivi terrestri). Tuttavia, in 'Praying mantis', anche esse avrebbero subito l'impatto durissimo dell'aviazione americana, non avendo sufficiente protezione contro gli aerei statunitensi e le loro armi. ==1984 circa<ref>Armi da guerra n.70</ref>== ===Esercito=== Quello che rimaneva dell'esercito regolare erano circa 50.000 uomini, parte dei quali di leva, che combattevano con le armi più sofisticate e moderne. Ma il grosso era dato da una milizia molto meno efficiente, i Psadaran, considerabili come una milizia leggera, i Bassej, ancora peggio equipaggiati e utilizzati come 'carne da cannone' e infine gli Hetzbollah, per la sicurezza interna del Paese, similmente equipaggiati come i Bassej. A questo si era giunti, dopo che l'Iran era quasi arrivato al rango di potenza mondiale: migliaia di uomini lanciabili all'attacco delle trincee irakene, alla mercé di mitragliatrici, mine, gas, aerei: praticamente una riedizione della Prima guerra mondiale. Una delle principali attività dell'esercito regolare era quella di addestrare le reclute che affluivano a gruppi di circa 100.000 per volta, onde compiere un servizio di 24 mesi, a cui in realtà pochi riuscivano a sopravvivere, specialmente se si aveva anche la pretesa di restare indenni. La forza originaria dell'Iran era a quel punto assai ridotta: originariamente con 3 divisioni corazzate con M 47, 48, 60, Chieftain, adesso vi erano molti mezzi perduti, inefficienti o danneggiati, e le operazioni a livello divisionale erano diventate pressoché impossibili. Le risorse di munizioni scarseggiavano anche per le artiglierie, lanciarazzi multipli BM-21, veicoli corazzati leggeri. La principale forza era data da 150.000 pasdaran, eterogeneamente equipaggiati, scarsamente addestrati ma talmente determinati a combattere da assicurare il proseguimento della guerra. Ai Bassej sono stati aggiunti anche gli Herzbollahi', che erano una forza nominale di 2,5 milioni, comprendente in realtà tutti gli uomini fisicamente validi e disponibili. Esistevano anche guardie di confine e Mustazafin, ovvero guardie civili, destinate essenzialmente per la sicurezza interna. Quanto restasse infine dei 65 aerei leggeri e 470 elicotteri originari, per lo più messi a terra, è arduo dire: certamente molti, forse non meno della metà, erano stati messi a terra fin da subito dopo la Rivoluzione. ===Aeronautica=== Anch'essa, gioiello della Persia dello Scià, era molto malridotta, essendo la forza più sofisticata e difficile da mantenere. Degli oltre 200 Phantom, 80 Tomcat e 150 Tiger, erano questi ultimi che restavano, grazie alla loro facilità di manutenzione, i velivoli più utilizzati in azione, con una forza di circa 50 aerei efficienti. I Phantom erano anch'essi ridotti di numero a forse 10-20 macchine efficienti, mentre i Tomcat erano 5-10 esemplari. A parte gli F-5, le macchine più usate erano i C-130 (in origine 52), parte della grande flotta di 12 Boeing 707 (alcuni anche come aerocisterne) e 747. Forniture di armi erano sporadiche, ma forse i cinesi erano riusciti a fornire già caccia F-6 e F-7, mentre da altre parti vi erano F-5 e secondo alcuni, fino a 23 cellule di F-4, anche se non è certo se questi andarono realmente in servizio o finirono solo per fornire parti di ricambio. ===Marina=== L'Iran non ha mai avuto una grande flotta militare, ma la guerra l'ha resa ancora più piccola. Alcune navi erano andate perse in azione, altre vennero sistemate in riserva, ordini per nuove navi erano stati cancellati. Alla fine, non vi erano che un pugno di navi missilistiche, qualche fregata, navi ausiliarie, soprattutto incaricate di offrire protezione alle petroliere dalle navi e aerei irakeni. La forza originaria di 3 vecchi cacciatorpediniere e 4 fregate missilistiche di nuovo modello era per lo più inattiva. La flotta di hovercraft, 8 SRN.6 e 6 BH-7 inglesi non pare fosse operativa, mentre le corvette erano operative pare, in 2 esemplari su 4. [[File:Iranian Lockheed P-3F Orion in flight over the Strait of Hormuz on 1 August 1994 (6491410).jpg|350px|left|thumb|Un rarissimo P-3F, versione 'esclusiva' della marina iraniana]] Della forza aerea navale, originariamente costituita da una discreta flotta, più che sufficiente per le esigenze iraniane, non restava molto di operativo. Dei 6 P-3F, versione appositamente preparata per l'Iran degli Orion, 2 erano inefficienti e 2 persi, mentre anche molti degli elicotteri, 10 SH-3D e 6 RH-53D. La protezione dell'isola petrolifera di Kharg era fondamentale, le basi principali erano Kharg, seguita per importanza da Bandar Lengeh, Bandar Abbas, Bushehr, Bandar-e-Eman Komeini, Bandar-e-Anzali. ==Anni '90: la situazione nel Golfo<ref>Frankel, Giorgio, A&D, Maggio 1993 p. 50-54</ref>== Pare che l'Iran avesse investito, stando a fonti iraniane antikhomeiniste, circa 19 mld di dollari nel 1991 e 15 mld nel 1992 per nuove armi, il che significava all'epoca qualcosa come il 25% del PIL stiamto del Paese, e anche oltre. Nel 1991, però, per l'IISS (International Institute for Strategic Studies, di Londra), si stimavano solo 4,3 mld di dollari di spese per la Difesa; si parlava anche di spese per altri 30 mld di dollari negli anni successivi; eppure, il 31 gennaio del '1993 il presidente Rafsanjani aveva detto che le spese erano solo l'1,5% del PIL, e quindi poco più di un mld di dollari annui, onestamente un po' bassa (a meno che non mentisse, o fosse male informato, o ancora, si riferisse solo ai programmi di acquisizione militare veri e propri); tuttavia anche il ministro della difesa Torkan ha detto al Financial Times, in un'intervista, che le spese erano sotto i 2 mld di dollari e nel 1993 non sarebbero state nemmeno di 1,8, di cui in valuta estera erano 750 mln, gli altri soldi erano spesi in rial, ovvero nel mercato interno. E così Rafsanjani aveva buon gioco nel dire che solo per i nuovi 48 Tornado IDS dell'Arabia Saudita, la sua spesa era tale da equivalere a quella di tre anni di bilanci militari dell'Iran, tanto per capire. È vero che l'Arabia non avrebbe pagato tutto e subito, ma è anche vero che aveva un sacco di altri programmi (vedi F-15S) e questo era solo uno di essi. Con un valore di 7-8 mld di dollari a seconda delle stime, era una spesa impressionante anche per gli standard della regione. Gli arabi potevano permettersi spese molto maggiori del popoloso e povero Iran. E spendevano. Non c'era solo l'Arabia: gli EAU nel febbraio 1993 avevano annunciato il contratto per 436 carri 'Leclerc', di cui 46 da recupero e supporto vari, con consegne dal 1994 al 1999. Si parlava di una cifra non ufficialmente indicata in 6 mld di dollari, anche perché c'erano fonti che valutavano i 'Leclerc' nel 1992 come costanti 30 mln di franchi (circa 6 mld di lire). Questa commessa batté Challenger e M1, e del resto per i francesi il Leclerc era la 'Rolls-Royce dei carri armati' (quasi un paradosso, chissà che ne pensavano gli inglesi..), e senz'altro, il più moderno disponibile, appena in consegna ai reparti francesi. Del resto l'esercito transalpino, che ne voleva almeno 1.300 per sostituire tutti gli AMX-30 si è dovuto accontentare di meno mezzi, ridotti a circa 800 (ma poi sarebbero calati drasticamente, alla fine sarebbero stati circa 400, come quelli degli EAU). Il tutto era comunque da rapportare alla forza dei carri degli EAU, che comprendeva 95 AMX-30 dell'esercito di Abu Dhabi, e 36 OF-40 del Dubai. Ad ogni modo, la concorrenza era stata molto dura, anche perché i britannici erano sostenuti dal Dubai; gli americani invece puntavano soprattutto ad Abu Dhabi, il più forte e ricco degli emirati, ed erano sicuri di piazzare i loro carri armati, ma gli era andata male. Si sono contentati con il Kuwait e con l'Arabia Saudita, che ha ordinato oltre 300 M1A2 molto migliorati anche rispetto agli M1 dell'esercito americano. Non solo, ma all'inizio del 1993 si trattava anche per la vendita dei Su-27, tanto che a gennaio arrivò anche il ministro della Difesa russo, tale Pavel Grachev; il salone IDEX '93 vide ospitato anche Pavel Sukhoi, mentre si facevano vedere anche quelli del MiG DB e i francesi con il Mirage 2000-5, evoluzione di quelli già in servizio negli EAU, oltre agli americani con gli F-15E e 18. Per partecipare alla festa, anche l'Italia mandò in quel periodo gli AMX all'Arabian Stallion, tanto per pubblicizzarli, se non come mezzi di per sé, come sistemi avionici (l'Elettronica è presente già da decenni negli EAU nda.). Gli Emirati hanno commissionato alla Westinghouse un sistema C3I da 300 mln di dollari, con radar a terra, stazioni di controllo, e 'linkabile' agli E-3A AWACS, sia americani che sauditi, oltre che con le batterie di 'Crotale' e 'Rapier', dei quali ultimi pare vennero ordinati i nuovi tipi Rapier 2000. Erano in lizza anche Patriot e SA-10. Può sembrare strano che i russi, dopo che i loro sistemi erano stati fatti a pezzi due anni prima da parte dell'Alleanza anti-Saddam, ma i prezzi e le capacità dei nuovi modelli, di nuova generazione, spesso non 'sputtanata' in Desert Storm, erano decisamente vantaggiosa e ad IDEX i russi sarebbero diventati di casa per tutti gli anni '90 e anche oltre, sfruttando le tecnologie accumulate nel decennio precedente per combattere la NATO. Abu Dhabi voleva anche elicotteri ASW, per esempio si diceva di otto Super Lynx inglesi, ma anche si parlava di Dauphin e SH-60, Sea Sprite o AB-212 (o 412?). Quanto al Kuwait, si sarebbe permesso di spendere oltre 10 mld di dollari entro la fine del decennio, dato il pericolo sia iraniano che del babau irakeno. 236 carri M1A2 per la General Dynamics, 300 Desert Warrior (1,2 mld di dollari), radar Hughes da 92 mln di dollari collegato al sistema civile ATC, cinque unità di fuoco Raytheon Patriot (210 missili) con un totale di 40 lanciamissili quadrupli totali e ovviamente, anche cinque radar di controllo del tiro; il prezzo della commessa è di 327 mln di dollari, con consegne dal 1995. Inizialmente si volevano sei batterie HAWK con 342 missili e i 'Patriot', ma il tutto era sospeso perché bisognava vedere lo stato delle batterie catturate a suo tempo dagli irakeni. Nda, anche se all'epoca non era noto, il Kuwait aveva anche comprato alcune batterie di Aspide prima della guerra, andate a quanto pare perse e sostituite anni dopo da nuovi sistemi. L'Oman era tradizionale alleato di Londra e come tale, durante la visita del premier John Major, ordinò nel febbraio del 1993 una piccola flotta di 18 carri Challenger 2 e altrettanti in opzione. Poco, ma del resto l'Oman aveva più bisogno di mezzi navali per controllare lo Stretto di Hormuz che di carri armati per il suo territorio decisamente montagnoso. Major all'epoca faceva il piazzista di armi e andando in Arabia Saudita, con il programma 'Al Yamamah II', si prese la soddisfazione di annunciare l'ordine per ben 48 aerei Tornado IDS, finalmente un utente non facente parte del gruppo originario, per non meno di 5 mld di sterline, e consegne già dal 1996; BAe sperava anche di piazzare altri 60 Hawk, oltre ai 30 già in servizio in Arabia; e vi erano anche altre macchine in ballo, come 88 Sikorsky-Westland Black Hawk, e ancora BAe 125, BAe 146, simulatori, basi ecc. ecc. In futuro, grazie a questo programma rinnovato (quello del Tornado) si pensava che i sauditi sarebbero stati anche interessati agli EF-2000, anzi agli EFA come all'epoca si chiamavano più spesso. Nell'estate del 1992, nel frattempo, erano stati ordinati ben 72 F-15XF, poi F-15S, con un costo mostruoso di ben 9 mld di dollari. Così, Tornado e F-15 di nuova generazione da soli erano costati qualcosa come circa 16-17 mld di dollari, la forza del petrolio e di una popolazione esigua a goderne. Ma mica bastava, c'era anche la difesa aerea, con 13 unità di fuoco 'Patriot' ordinate alla fine del 1992, per 1,3 mld di dollari, oltre a otto sistemi ordinati nel 1990 e da consegnare dalla fine del 1993. Nel 1992 vennero anche ordinati alla Oerlikon-Buhrle sistemi Skyguard per la difesa degli aeroporti, commessa dal valore di 675,5 mln di dollari; si trattava di ben 100 cannoni binati da 35/90 mm con radar 'Skyguard' e l'opzione per i missili iperveloci ADATS, sempre della Oerlikon. Ma tutto questo per cosa? l'ex- direttore Robert (Bill) Gates, l'Iran era in cerca di una capacità nucleare, ma ci sarebbero voluti ancora almeno 7-8 anni, ma in generale l'Iran non aveva la possibilità di spendere così tanto per i programmi militari; si rivolgeva a Cina, Corea del Nord e Russia, oltre che alla propria produzione; si parlava di Su-27, MiG-29, MiG-31, una dozzina di TU-22M3, due AWACS A-50, SAM e carri T-72, oltre che diversi sottomarini 'Kilo'. Si parlava di tante cose, tra cui l'accordo per installare in Iran una catena di montaggio per i MiG-29. Solo una parte di questi programmi si è poi avverata. I problemi erano diversi, ed era no riportati almeno due di essi di particolare importanza: difficoltà economiche iraniane, e incertezze sulla situazione in Russia, oltre che ovviamente i conseguenti dubbi sull'attendibilità delle forniture. Del resto, il vero cruccio per gli iraniani era mantenere almeno una parte degli aerei ereditati dai tempi 'imperiali', quando comandava lo Scià. Il ministro Torkan sparava giù dura la sua opinione sull'F-14: definendolo il miglior caccia acquistabile e senza rivali per i prossimi 20 anni (bah). C'era un grande livello di incertezza su tutta la situazione della difesa iraniana. Per esempio, Torkan diceva che gli aerei ex-irakeni non erano più in condizioni di volare, ma in realtà almeno alcuni sono stati davvero rimessi in servizio (MiG-29, Mirage F.1 e Su-24/25, oltre anche ad altri tipi); dei missili 'Scud' diceva che costavano troppo (2,5 mln di dollari l'uno, ma altre fonti parlano di meno di uno), e non erano armi capaci di vincere una guerra, però in caso di necessità l'Iran li avrebbe comprati o prodotti. I missili 'Scud' erano particolarmente temibili in termini politici. Tutta la costa araba del Golfo era ed è sotto tiro dei missili di questo tipo, dato che le distanze tipiche sono dell'ordine dei 150-200 km, con un massimo di circa 300 km per gli EAU. E in termini politici la cosa era importante: nel 1988 gli iraniani dovettero porre fine alla guerra a forza di scambiarsi missili con gli irakeni, che di fatto vinsero l'offensiva strategica a forza di missili 'Scud' a gittata prolungata, gli ultimi di circa 900 usati a far tempo dal 1994, specialmente durante la 'Guerra delle città', che iniziò il 29 febbraio 1988 e finì 52 giorni dopo, quando oltre la metà vennero usati; l'Iran usò dal canto suo circa 250 missili 'Oghrab' e circa 80 'Scud' di cui una sessantina lanciati verso Baghdad. Ma l'Irak tirò oltre 400 missili; in particolare, i lanci su Teheran di circa 160 missili, con centinaia di vittime e terrorizzando una popolazione che all'epoca era ancora convinta di stare relativamente al sicuro, ad oltre 500 km dalla linea del fronte. I lanci- circa un centinaio- degli irakeni contro Israele, Arabia e anche Baherein furono poco validi in termini militari, ma temibili in termini politici e psicologici: in particolare, qualche arma in più verso Israele, e soprattutto, l'assenza dell'antidoto giusto (più mediatico che pratico, a dire il vero), ovvero le batterie di Patriot, e questi avrebbe iniziato le azioni di contrattacco, il che avrebbe mandato in crisi gli arabi, che mai e poi mai avrebbero combattuto assieme agli israeliani contro altri arabi. Insomma, Saddam era uno che rischiava, ma non era pazzo. I missili Patriot, malgrado la stampa li elogiasse al massimo, non erano davvero così efficaci; gli ARROW, israeliani ma finanziati largamente dagli USA come parte del programma SDI di reaganiana memoria, era ancora nel 1993, in sviluppo. Se ai missili 'Scud' fossero stati dati sistemi di precisione come quelli degli SS-23 o dei Pershing, le cose sarebbero state molto diverse anche come risultati militari. Per giunta lanciati da un territorio molto più grande e quindi, più difficili da localizzare, quando già gli irakeni dimostrarono che i loro lanciatori mobili potevano operare senza troppi problemi nonostante la caccia spietata delle SOF, F-15 ed E-8 Joint Stars. Quanto al CCG, formato dagli arabi attorno agli inizi degli anni '80, la sua importanza rimase sempre più ridimensionata, perché senza gli occidentali, e gli anglo-americani in particolare, non sarebbe stato possibile. Piuttosto era impressionante vedere il numero di armi così potenti e moderne ordinate da questi staterelli. Forse anche questo era una specie di 'politica di scambio'. Diciamo che la Francia o la Gran Bretagna, con le industrie pesantemente in crisi, trovasse nei ricchi arabi dei clienti fin troppo danarosi. Questi gli comprano armi ben in eccesso rispetto alle proprie capacità, ma salvano l'industria del fornitore. Poi, se avessero bisogno di qualche aiuto, resistere a qualche invasione, il fornitore potrebbe benissimo portare con qualche volo charter il personale necessario, e a questo punto i mezzi militari del regno del Golfo sarebbero solo poco più che materiale pre-posizionato. La Libia fu forse la prima ad atteggiarsi così, comprando una quantità di armi, negli anni '70-80, enormemente maggiore alle sue capacità di utilizzarla, ma del resto, necessaria per fronteggiare i suoi vicini, specie l'Egitto. Gli Stati del Golfo, tutto sommato poco interessati alle armi, cominciarono a cadere nel circolo vizioso prima con l'Irak, data l'alleanza contro Israele, poi l'Iran data la presenza del fedele dittatore amico degli americani. L'Iran, quando si chiamava Impero di Persia, comprava armi in quantità, ma del resto non si poteva certo dire che mancava di personale addestrato, tanto che la IIAF arrivò a circa 100.000 uomini. Però è un fatto che i suoi aeroporti erano dimensionati in maniera tale da poter ospitare fino a circa 3.000 aerei. Questo aveva una sola spiegazione: in caso di contrasto dell'URSS, sarebbero intervenuti i G.I. di Zio Sam. Con aeroporti del genere si sarebbe potuta ospitare tutta l'armata aerea che invece venne messa insieme, con grande difficoltà, nelle pur grosse basi aeree saudite nel 1990. Per gli arabi la situazione era anche peggiore: con una quantità di ricchezza data dal petrolio quale non avevano mai pensato d'avere, ma così poche persone, tanto meno formate, ricorrere a personale straniero istruito era quanto necessario al mantenimento degli eserciti che negli anni '90 più sono cresciuti in potenza e tecnologia in tutto il mondo, gettando un'ombra sinistra per il futuro assetto 'pacifico' del pianeta, data l'incapacità della politica di fare il proprio lavoro. Piuttosto che la pace, i leader mondiali si sono trasformati in piazzisti per le fabbriche d'armi. Un brutto presagio e pienamente confermato dagli sviluppi del decennio successivo. ==XXI secolo== ===Le armi dell'Iran<ref>Po, Enrico:''L'Iran fa (quasi) da solo'', RID Gennaio 2003, p.40-45</ref>=== Dopo la caduta dello Scià e del regime filo-americano l'Iran si è dovuto 'arrangiare'. Ha inizialmente beneficiato del ricco arsenale accumulato, soprattutto per via degli USA, nel periodo precedente al 1979, ottenendo come si è detto missili, armi, carri e aerei di sofisticazione mai consentita prima ad alleati degli USA (soprattutto gli F-14/Phoenix). Da queste armi, tra l'altro comprate in grandi quantità e con molti pezzi di ricambio (gli Iraniani erano ben consapevoli delle lezioni delle guerre arabo-israeliane sul consumo delle munizioni) e dalle grandi infrastrutture (come sia possibile che l'Iran abbia avuto una serie di aeroporti che avevano posti per circa 3.000 aerei, quanti ne sarebbero stati necessari per l'intera Coalizione del 1991 anti-Irak? Perché l'Iran, in caso di guerra all'URSS poteva diventare uno stato-base per la NATO e gli USA, ricevendo grandi quantità di rinforzi e rifornimenti in zona). Gli Iraniani d'oggigiorno hanno cercato di fare del loro meglio con le tecnologie disponibili: le operazioni 'taglia e cuci' per cercare di creare, sperabilmente un po' migliorate, delle copie di armi straniere o dei modelli 'Frankenstein' che ne assemblino vari pezzi per ottenere qualcosa di nuovo. La responsabilità di questo settore militare ricade sul DIO, che per noi vuol dire divinità ma in Iran, anche se è uno stato confessionale, è solo una sigla che significa grossomodo 'Organizzazione delle industrie della Difesa Iraniane'. Tra i prodotti non possono mancare le armi portatili, base di ogni forza armata e in produzione dal 1934 e in particolare, dal '37 in produzione dallo stabilimento Sanaye Jangafzarsazi: il G3 tedesco, già arma standard dell'esercito ai tempi dello Scià; la mitragliatrice MG 42, ancora valida dopo 60 anni dalla sua nascita (la 'Sega di Hitler'), la HK MP-5A pistola-mitragliatrice, praticamente una specie di 'versione accorciata' del G3 e designata TONDAR, o nella versione MP-5K accorciata, TONDAR LIGHT, in entrambi i casi in calibro 9x19 mm Parabellum. Non manca il Kalashnikov, realizzato da alcuni anni nella versione AKM. La potente mitragliatrice pesante DOOSKHA è la W-85 cinese ergo la DShK 38/46 sovietica da 12,7 mm; la mitragliera da 23x152 mm sovietica 2A14 viene realizzata nella versione binata ZU-23 e in un tipo nazionale singolo; poi nel settore mortai vi sono armi da 60, 81 e 120 mm. Come armi controcarro di tipo obsoleto vi sono i cannoni SR: i due campioni mondiali del settore, l'M40 americano e l'SPG-9 sovietico, molto più leggero e non molto inferiore in potenza, sono entrambi prodotti come utili sistemi controcarri e bersagli d'impiego generale e con munizioni ben più economiche dei missili controcarri. Per impieghi più consistenti non mancano invece le copie dell'AT-3 Sagger, la RAAD, e la I-RAAD con guida SACLOS; sono presenti anche versioni con testata a carica in tandem, che rendono quest'anziano missile ancora un brutto cliente per gli eventuali bersagli. Da qualche anno il più attuale ma costoso TOW è in produzione come TOOPHAN e TOOPHAN 2, con gittata aumentata a 3.850 m per il primo, e spoletta telescopica per il secondo, che assicura a parità di testata maggiore perforazione (per quanto possa sembrare paradossale dato che l'esplosione avviene a distanze maggiori). Il SAEGHE è la copia dell' FGM-77/M47 Dragon per le distanze di 65-1000 m, e con la sonda diventa il SAEGHE 2. Il TOWSAN-1 è invece il potente (grossomodo pariclasse del TOW) missile AT-5 Sprandel. I sistemi missilistici contraerei sono il SAYAD-1, copia dell'SA-2 o meglio dell'HQ-2 cinese, la sua versione -1A ha nuovi sensori di ricerca e lo SHAHAB è un tipo simile al Crotale francese o meglio alla versione HY-7 cinese. Non è chiaro da dove vengano questi missili: forse vennero catturati agli Irakeni nella guerra, come sosteneva la stampa occidentale nel 1999, o forse sono stati venduti dalla Cina visto che gli irakeni non pare fossero clienti di questo tipo di missile. In ogni caso, la gittata massima di questi sistemi d'arma radioguidati su piattaforma a 4 rampe è di 12 km e la quota di 5,5, per un peso di 84 kg e testata di 14. La centrale di tiro è la SKYGUARD svizzera, originariamente comprata per i cannoni binati da 35 mm. Quanto riguarda l'artiglieria è ancora più complesso: i razzi leggeri da 107 mm FADGR 1 o HASEB, da 107 mm a 12 tubi o la loro versione mono o bitubo leggera; l'HADID che è il BM-21 con autocarro Mercedes 2634, impiegante anche razzi locali come il NOOR o il FADJIR. I BM-21 erano stati comprati anche dallo Scià in quanto non c'erano sistemi occidentali altrettanto efficaci ed economici, e la loro capacità di fuoco è ben conosciuta e rispettata. La versione da 30 tubi è su scafo dell'autocarro 4x4 Mercedes LA 911B. Poi si sale di livello e s'incontrano i razzi OGHAB da 230 mm e 45 km di gittata, su rampa tripla montata su autocarro Mercedes del tipo di cui sopra. 330 di questi grossi razzi vennero usati contro l'Irak. Poi ci sono i razzi da 240 mm e 43 km di gittata e 333 mm e 75 km di gittata del tipo FADRJ. La versione a 12 tubi da 240 mm ha avuto l'uso da parte di Hetbollah fin dal 1996, ed è stato usato contro Israele, su scafo Mercedes 6x6 del modello 2624. I guerriglieri anti-Israele come si sà sono ampiamente sostenuti dagli iraniani, inclusi i missili controcarri usati in quantità durante la guerra del 2006. Poi vi sono i razzi da 333 mm SHAHIN 1 da 13 km e 384 kg, e da 20 km e da 530 kg (la versione -2). Lo ZEZAL 2 da 610 mm pesa 3,5 t e raggiunge ben 200 km ed è il più grande di tutti i razzi iraniani; ma non vanno dimenticati anche i NAZEAT, la copia del FROG russo, in 6 versioni (almeno) da 356 o 450 mm e con peso di 830-1.850 kg, gittata di 80-115 km e rampa di lancio Mercedes 2624 6x6 o un tipo russo 8x8. Quanto ai semoventi d'artiglieria, il RAAD-1 è un semovente in servizio dal 1996. Si tratta di un altro prodotto del DIO, pesante 17,5 t, dimensioni 6,72 x 3,1 x 1,66 (più la torretta), e 4 d'equipaggio. Il suo armamento è un 2A18 da 122 mm, il motore un V-8 da 330 hp, che assieme alle sospensioni a barra di torsione garantisce una velocità di 65 kmh. Raad significa tuono e di fatto è un'interpretazione locale del 2S1 con scafo Boragh in acciaio spesso fino a 17 mm. Arriva a 65 kmh e ha un obice da 122/33 mm da 15 km di gittata. Il Raad-2 è più potente, pare in servizio o in produzione dal 1997, con dimensioni analoghe ma obice da 155/39 mm HM44. Se il Raad-1 è una sorta di clone del 2S1, il Raad 2 è la copia dell'M109A1 (che l'Iran ricevette in ben 450 esemplari), ma più pesante -36 t- data la presenza di un obice da 155/39 mm che è la copia dell'M185 americano, e soprattutto lo scafo in acciaio anziché nel più costoso alluminio. Spessori fino a 20 mm sono impiegati nella costruzione. Ha una gittata di 18 km con munizioni normali e 24 con quelle a razzo, ma può avere anche cannoni a gittata prolungata. La riserva è di 30 colpi. IL RAAD 2 ha uno scafo originale, ma con componenti come il treno di rotolamento a 6 ruote (uguale a quello del T-72) e diesel V-84MS da 840 hp con trasmissione SPAT 1200, di origine russa. La RAAD 2M ha invece il diesel boxer ucraino 5TDF da 700 hp del carro T-64. Pare che, usando munizioni migliorate, la sua portata aumenti da 15 a 30 km rispetto al primo Raad, e le munizioni sono più potenti e di diversi tipi, tra cui un tipo a guid laser. Il cannone sembra praticamente quello degli M109A1, l'M185. Una versione migliorata, il Raad-2M, ha il diesel ucraino 5TDF al posto del vecchio V-8 e una velocità aumentata a 70 kmh. Non mancano poi le copie del 2A18, meglio noto come D-30 che è l'arma del RAAD 1, e l'M114A1 con canna da 39 calibri, forse rimasto allo stadio di prototipo. Il Boragh della VEIG, è una specie di BMP-1 domestico, entrato in produzione anch'esso attorno al 1997: 13 t, dimensioni 6,72 x 3,1 x 1,66 m (senza torretta), 3+8 d'equipaggio, armamento base una 12,7 Mod.38, motore V-8 diesel da 330 hp, velocità 45-65+ kmh a seconda delle condizioni, raggio 550-650 km. Esso è nient'altro che il BMP cinese (noto anche come Type 86 o WZ-503), a sua volta copia del BMP sovietico, con una certa riduzione di peso e miglioramento di velocità e corazza. Il mezzo è ancora anfibio e provvisto di sistema NBC e IR di visione notturna. Tra i tipi più recenti, nel maggio 2002 si seppe della produzione di un mezzo di rifornimento, un portamortaio da 120 mm e il Boragh con torretta simile a quella del BMP-2. Quello che distingue di più il mezzo iraniano sono le 6 ruote doppie, simili a quelle dell'M-113 americano. L'arma di bordo ha 1.000 colpi (pochi, l'M113 arriva a 2.000). La versione IFV o BORAGH 2 ha invece il cannone 2A42 da 30 mm stabilizzato su due assi e mitragliatrice da 7,62 coassiale, più lanciamissili (probabilmente però si tratta del Raad e non dei tipi più moderni). Vi è anche una versione portamortaio da 120, una AT con lanciamissili Toophan. Il RAAD-1 è il Boragh con l'arma da 122 mm come quella dell'2S1 sovietico, e il Raad-2 che è arrangiato come M109, con pezo da 155/39 mm HM44 costruito dal DIO di Hadid, e sembra una copia dell'arma M185 dell'M109A1. Vi è poi un mezzo previsto per la lotta contraerea, con impianto da 23 mm. Non ce ne sono molti: 40 nel 2000, 140 nel 2005, oltre al Kazakhstan che pare ne abbia una certa quantità. Poi ci sono i carri armati iraniani, con un numero impressionante di tipi, anche se i numeri assoluti non sono parimenti elevati: 200 T-72S, 100 T-62, 100 Chieftain, alcuni M60A1, poi T-54/55/59/69. Molti sono stati catturati in guerra, per esempio i T-62, e anche alcuni T-72. I superstiti di 900 Chieftain e grossomodo altrettanti M-47, 48 e 60 costituiscono il resto della forza corazzata del periodo bellico, ma non mancano anche i carri cinesi ampiamente usati da entrambe le parti, e poi ulteriori acquisti come quello dei T-72S di terza generazione. Forse i più interessanti sono i carri ZULFIQAR, del 1994, con cannone da 125 mm HM50, prodotto dallo stabilimento Hadid, motore diesel, ruote tipo quelle dell'M60. Si tratta di un progetto grossomodo dei primi anni '90 (attorno al 1993), in produzione dal 1996 sebbene non in gran numero (100 esemplari circa del modello 1 entro il 2001, poi sono seguiti i 2 e i 3), è un mezzo da 36 t, dimensioni 7 x3,6 x 2,5 m, equipaggio 3-4 persone, armamento 125 mm e 7,62 mm, motore da 780 hp, velocità 70 kmh e autonomia 450 km. Noto anche come Zolfaqar, è stato progettato dal Brig. Gen Mir-Younes Masuomzadeh, con sei prototipi già sperimentati nel 1997. Apparentemente è simile ad un T-72, ma in realtà ha una torretta squadrata di disegno locale, e le sospensioni sono quelle dei mezzi M48/60, così come le 7 ruote per parte. La trasmissione parrebbe uno sviluppo delle tecnologie americane, è designata SPA-1200, l'armamento è il pezzo 2A46 da 125 mm, e non è chiaro se dotato di caricatore automatico. Il DIO produce le munizioni di tutti i tipi necessari, tra cui le HE da 23 kg (3 kg di carica), non è chiaro se costruisce anche i tipi controcarri. Il sistema FCS è lo Sloveno EFCS-3 come quello dei T-72Z, vi è un LWR e corazze ERA protettive. Tra i tipi derivati, vi sono anche quelli del modello 3, che pare sarà anche disponibile all'export dal 2010, andando ad arricchire il già affollato mondo degli esportatori di carri armati, mezzi oramai in auge essenzialmente in Asia, dove continuano ad esservene delle considerevoli armate. Lo Shalid Kolah Dooz Industrial Complex ammoderna invece i vecchi carri russi-cinesi con pezzi da 105 mm e corazze reattive, designati T-72Z o SAFIR 74 (se ci sono le mattonelle ERA). Il T-72Z o Safir-74, è un mezzo da 36 t, dimensioni scafo 6,45 x 3,37 x 2,40 m (torretta inclusa), con 3 o 4 membri d'equipaggio. La corazzatura è grossomodo la solita per i carri della famiglia T-54-55 (e cloni cinesi), ovvero molto consistente per il peso, anche se a scapito dell'abitabilità per le ridotte dimensioni disponibili: torretta frontale, 203 mm, lati 150 mm, 64 mm posteriore, 39 tetto; 97 mm scafo frontale superiore (a 55 o 60°), 99 mm parte frontale bassa (non è chiaro a che inclinazione), 79 mm lati superiori, solo 20 mm inferiori, 46 mm parte posteriore dello scafo, 20 mm pavimento e 30 mm tetto. Il che significa una considerevole protezione eccetto che sui fianchi inferiori, dove è malamente sufficiente per trattenere i colpi da 12,7 mm (forse una migliore redistribuzione della protezione, assai consistente superiormente, sarebbe stata migliore soluzione) e dove si fa per questo gran conto sulle ruote di grosso diametro (pesanti quasi 200 kg l'una). Questo 'tallone d'Achille' è rimasto anche su carri sovietici più moderni, anche se almeno gli M-84 jugoslavi hanno introdotto dei rinforzi in tale settore. Il mezzo è anche dotato di corazze ERA, cannone M68 da 105 mm, armi da 7,62 e 12,7 mm, motore V-46-6 da 780 hp (come quello del T-72) e 65 kmh grazie anche alla sospensione basata su barre di torsione. Questo carro del DIO è provvisto di cannone americano, motore ucraino, corazze ERA non è chiaro di quale tipo, e il sistema FCS Sloveno Fontana 3. Nell'insieme è un mezzo adeguatamente rivitalizzato, anche se ovviamente non è al livello dei migliori carri sul mercato. Il ben più piccolo Tosan è invece un carro leggero basato sullo Scorpion britannico, in servizio dal '97 e con un cannone da 90 mm. Non ce ne sono molti, solo una ventina. Peso 8 t, dimensioni estremamente contenute di 4,9 x 2,2 x 2,1 m, 3 persone d'equipaggio, corazzatura di 12,7 mm, motore diesel anziché il Jaguar a benzina originario, è attualmente in 'produzione di massa' con tutte le riserve che si possono fare su tale affermazione di tanti programmi iraniani. È un mezzo concepito per le forze di 'reazione rapida', in quanto aviotrasportabile, come del resto gli 80 Scorpion originali ancora in servizio. Oltre ad un cannone da 90 mm di tipo imprecisato, ma a pressione presumibilmente media-bassa (come quello dell'AML), ha un missile Toophan. La sua mobilità è tale, come degno discendente da una famiglia di mezzi d'esplorazione, da non richiedere mezzi portacarri grazie al suo ridotto peso e all'efficienza delle sospensioni e trasmissione. Questo lo rende autonomo rispetto ad eventuali portacarri e mezzi di supporto. Il Cobra BMT-2 è un APC progettato entro il 1996 e in produzione dal 1997, con un cannone da 23 mm russo binato oppure un 30 mm, pure russo, tipo quello del BMP-2. Venne sperimentato già nel maggio 1996 come prototipo ed è prodotto assieme allo Zulfiqar. I missili balistici sono anche presenti con i missili SHAHAB 3 da 1.300 km, programma iniziato nel '93, grazie anche ai motori nordcoreani e sistemi di telemetria di produzione cinese, ma i primi lanci di prova non hanno fatto molto successo con 2 successi su 7 lanci, nel poligono di Semnan. Le leghe d'acciaio sono pure nordcoreani e altri aiuti sono stati previsti dalla Russia. Lo SHAHAB 4 da 2.000 km. I missili tattici FATEH A-110 da 200 km forse la versione guidata dei razzi ZEZAL 2. Ma nonostante questo e la quantità di armi prodotte, nonché le relative munizioni, i prodotti più avanzati non sono presenti: nonostante anche il caccia-addestratore in prova, la necessità di armi è tale che solo la Russia è stata capace di porvi rimedio, per esempio con 30 Mi-17 per 150 milioni di dollari del 2001. Poi vi sono in trattativa altri MiG-29 oltre a quelli ex-irakeni e quelli russi (26 forniti), i Su-24 (idem, ex irakeni e sovietici), missili SA-10, SA-11, SA-15, SA-16 o IGLA-1E, radar Gamma DE e Casta 2E2, missili Granat/SS-N 21 Sampson, e molti altri tipi di armi e aerei SU-30 per rimpiazzare gli oramai invecchiati F-4 e F-14. Dall'altro lato è iniziata in piccoli numeri anche la produzione di cloni di AIM-54, anche se a basso ritmo. Come missili antinave da segnalare i '''Kowsar''', un interessante sistema leggero, tra i più piccoli missili antinave mai costruiti. È in servizio dal 2006 e le sue caratteristiche comprendono un peso di 100 kg di cui 29 di testata, lunghezza 2,507 m, diametro 18 cm, alette ripiegabili con apertura alare che passa da 45 a 58,7 cm quando distese. La gittata è di 15-20 km a circa 15 m di quota, e mach 0,8. Di fatto sembrerebbe assai simile all'AS-15TT francese, ma a quanto pare ha diversi sistemi di guida, forse TV, o IR o radar. E' lanciato solo da mezzi di terra con piattaforme mobili. Si dice che sia capace di resistere alle ECM, ma non è chiaro se si tratti di un'arma unica, oppure della produzione su licenza di due tipi diversi: il C-701 e il TL-10A cinesi. Soprattutto, questo missile avrebbe la taglia giusta per spiegare i danni limitati patiti dalla INS Hanit, che venne colpita da un misterioso missile o un drone il 14 luglio 2006, nell'imperversare della guerra contro Hezbollah. Questo fu una replica della tragica sorte dell'EILAT di 39 anni prima, ma quest'arma non era certo un grosso Styx e forse proprio la sua piccola mole ha impedito che venisse localizzata. Avesse Hezbollah tirato una salva più corposa o successive altre, forse gli Israeliani avrebbero davvero perso la nave e non solo qualche danno (pare che l'arma colpì una gru piuttosto che l'opera viva, da qui i danni limitati) e 4 marinai uccisi. Invece, un secondo missile colpì un mercantile egiziano, anche qui con danni, ma anche più pesanti, anche se senza vittime. Si pensava che si trattasse di C-802 o della copia iraniana Noor, ma queste armi, della taglia di un Exocet, non si sarebbero certo limitate a produrre danni superficiali, più consoni ad una piccola arma antinave come questa, della categoria AS-15 piuttosto che Exocet. Un tipo di missile prodotto in loco è anche il Noor, copia iraniana del C-802 cinese, ordigno da oltre 100 km di gittata e 165 kg di carica esplosiva. Ma non va dimenticato nemmeno il siluro Hoot, arma antinave a supercavitazione da quasi 200 nodi, praticamente lo SKVHAL russo introdotto in servizio con i 'Kilo' attorno al 2006. Peraltro il primo lancio è stato tirato da una nave di superficie contro un sottomarino bersaglio, il 2 e il 3 aprile 2006. Nonostante i proclami iraniani che questa sia un'arma indigena, è ben poco creduta tale ipotesi visto che la disponibilità dei Russi a fornire armi avanzate comprende anche i siluri, e che quest'arma ha le stesse capacità del tipo russo, che già è l'unica arma al mondo con tale velocità (praticamente è un missile subacqueo che si muove in un vuoto fatto da bolle d'aria da esso stesso generate). Un'altra arma di produzione locale, ma non propriamente indigena come concezione, è il Khaybar KJ2002, arma in servizio dal 2004, circa 3 anni dopo la progettazione. Pesa solo 3,8 kg e la lunghezza della canna è tra 680 e 780 mm, a seconda dei tipi. Calibro 5,56x45 mm NATO, spara 800-850 c.min. con un raggio utile di 450 m. Deriva dal precedente S 5.56 del gruppo DIO. Questo fucile è un'arma bullpup, che discende in definitiva dall'originale Norinco CQ, il quale era peraltro un fucile convenzionale, la copia dell'M16A1 americano. Invece, dopo il riarrangiamento, l'arma è diventata simile al FAMAS francese. Tra le sue caratteristihe vi è un selettore di tiro a 4 posizioni, di cui una è dedicata alla oramai diffusa pratica di tirare 3 colpi, un modo per economizzare le munizioni per un fucile che altrimenti finirebbe i suoi 30 proiettili in poco oltre 2 secondi di tiro continuato. Si dice che sia un'arma a basso rinculo e molto precisa, con contruzione modulare e peso contenuto, con la canna del tipo più lungo e con i proiettili, in circa 3,7 kg. Esistono anche bipodi e baionette opzionali, anche se in verità, data la compattezza dell'arma, non ideali per un fucile bullpup. La costruzione è in due pezzi di plastica con dentro i meccanismi metallici di sparo. Interessante il nome, che è quello di un'oasi a 95 miglia da Medina, protagonista di una battaglia storica, ma anche la più grande colonia ebraica della penisola araba. ===Gli aerei iraniani<ref> Sgarlato, Nico, Aerei gen-feb 2007</ref>=== Tra gli aerei più economici ed efficienti vi sono senz'altro gli F-5; l'Iran ne ricevette, solo considerando l'ultima generazione, 141 E e 28 F, più i 104 A e 22 B delle vecchie generazioni, per un totale di quasi 300 aerei. Per aggiornarli era stato presentato il Simorgh, della HESA o IAMI, approntato nella fabbrica di Shanin Shar. Si trattava di trasformare gli F-5A ancora disponibili, RF-5A inclusi, nel tipo da addestramento F-5B; nel 2002 erano stati aggiornati sette esemplari -prototipo incluso- e che si prevedeva di fare fronte ad un totale di 13 conversioni, che con ogni probabilità era quanto ancora fosse disponibile dei vecchi monoposto. La presentazione avvenne ufficialmente il 30 ottobre 2002. MA prima, nell'aprile del '97, era stato annunciato l'Azarakhsh, che in Farsi significa Fulmine, o folgore. Pare che si trattasse di un dimostratore di tecnologia, di cui poi non s'é sentito più parlare, con prese d'aria ingrandite e, si disse, due motori RD-33 da 8.300 kgs, come nel MiG-29, nonché il radar NO-19ME Topaz, in pratica motori e radar del MiG-29 nella cellula dell'F-5, di cui tuttavia si è ista una sola foto e per giunta, un biposto F, con radome del radar apparentemente di tipo normale. Si annunciò la produzione in grande serie già il 17 maggio 2000, ma la cosa non ha convinto molto. Ma non è finita qui, perché l'8 luglio 2004 volò il Sa'egheh-80 (fulmine), che prese poi parte ad esercitazioni reali assieme ad altri aerei. Questo caccia era una sorta di F-5E adattato con una doppia deriva, per incrementarne l'agilità, il che lo rendeva simile ad un F-17, presentato a suo tempo anche alla Persia, ma senza successo. Avrebbe motori J85-GE-21 potenziati con nuovi postbruciatori, mentre le prese d'aria sembrano leggermente più grandi. La sua apparizione sarebbe un po' una conferma che l'Azarakhsh non è andato lontano, visto che le sue caratteristiche erano ben diverse e teoricamente superiori. ===IRIAF, 2003<ref>Fassari, Giuseppe: ''L'aeronautica iraniana'', Aerei maggio-giugno 2006</ref>=== La difficoltà dell'Iran a procurarsi sufficienti materiali moderni lo ha fatto decadere di molto rispetto ai tempi in cui, con l'Aviazione Imperiale, vantava una delle forze aeree più potenti del mondo. Ma difficoltà politiche ed economiche enormi dopo il 1979 l'hanno ridotto ad una forza di seconda grandezza anche per gli standard locali, sia pure con elementi d'eccellenza. La sua prima linea, come anche quella dei carri armati, è decisamente variegata, ma numericamente non molto consistente. Non è chiaro se degli oltre 100 aerei irakeni scappati in Iran nel '91 i Su-22 siano mai stati messi in servizio (di sicuro apparvero in un film d'azione come bersagli per i Phantom, in una pellicola che ricordava l'attacco alla base H-2 irakena nel 1981). Di sicuro sono stati apprezzati la ventina di Su-24, che sono stati uniti ad altri 14 comprati direttamente in URSS. Se i Su-22 sono entrati in servizio, lo hanno fatto con le Guardie Rivoluzionarie, non con l'IRIAF. Quanto ai 24 Mirage F1, essi sono stati messi in servizio con almeno uno squadrone ed usati per azioni soprattutto tese ad attaccare i trafficanti di droga, molto potenti e numerosi in zona, tanto che Tom Cooper riporta l'abbattimento di uno dei jet iraniani. Detto di due assidui nemici di vecchia data degli Iraniani, vanno anche ricordati i 7 Su-25, sempre ex-irakeni, assieme ad un piccolo numero di aerei comprati direttamente. I MiG-29 arrivati erano pochi e sono stati uniti agli almeno 26, più moderni, giunti dalla Russia con standard operativi migliori. Gli Iraniani ne volevano in tutto 126, ma lo scarso raggio d'azione li ha consigliati di non continuare gli acquisti, sebbene abbiano migliorato il materiale già esistente con serbatoi e sonda IFR. Circa 30 F-7M e 12 F-6 cinesi completano il quadro. Questi ultimi, decrepiti velivoli sono stati presi in carico durante la guerra, i primi invece per via della constatazione della pericolosità dei MiG-21, molto piccoli da avvistare in aria e teoricamente utili. Ma la qualità dei materiali forniti dai Cinesi ha lasciato a desiderare. È stato anche il caso dei missili HQ-2, anche se i Silkworm antinave hanno ricevuto apprezzamento e parecchi ordini. Poi non mancano una quarantina di F-4, 45 F-5, 29 F-14 (su 58 cellule superstiti), vari elicotteri AB-205, 206, 212, CH-47, Sea King, C-130H, F-27, P-3. L'industria locale ha realizzato anche il JT2-2 Tazarve, del complesso industriale di Owj, e in sostanza, si tratta di un F-5 con doppia deriva, a mò di YF-17. È più un addestratore avanzato che un caccia leggero, ma si può considerare entrambe le cose, mentre vi sono programmi per convertire i decrepiti F-5A in biposto B, per un totale di 13 esemplari. Restano in servizio anche parte dei circa 30 Hughes 500MD triangolati con l'Argentina, e dei 46 Pilatus PC-7 da addestramento armato (da cui il famoso 'scandalo Pilatus') svizzeri. Il personale, che al 1979 era composto da ben 5.000 piloti ben addestrati e 100.000 elementi in totale, che gestivano una serie di basi aeree sufficienti per circa 3.000 velivoli, è poi calato notevolmente. Le 14 basi principali, Ahvaz, Bandar Abbas, Bushehr, Chan Bahar, Dezful, Doshan Tapeh, Hamadan, Isfahan, Mashad, Mehrabad, Ghaleh Morghi, Shraz, Tabriz e Zahedan, sono adesso servite, comprese le infrastrutture minori, da un totale di 14.000 elementi circa, una forza oramai ridotta rispetto a quello che sarebbe il minimo indispensabile per servire la difesa aerea di un Paese di oltre un milione di km2. ==F.A. iraniane, 2007<ref>Po, Eugenio, speciale sulle F.A. Iraniane, RiD set 07</ref>== [[File:Military expenditures-Iran.png|387px|right]] L'Iran ha una storia millenaria, una grande superficie (1.648.000 km2) in larga parte montuosa, una popolazione di circa 70 mln di abitanti e una religione islamica sciita, una minoranza rispetto ai sunniti del mondo arabo; la sua forza militare è ripartita in due settori: quello convenzionale, e i Pasdaran, che sono dipendenti ufficialmente dal Ministero della Difesa e della Logistica, in realtà sono al comando dei vertici religiosi, dopo tutto si parla di Repubblica Islamica; in tutto oltre 530.000 uomini, di cui quelle regolari, l'Artesh, sono circa 420.000, ripartiti tra Esercito (350.000), Aeronautica (52.000, ai tempi dello Sha erano oltre 100.000) e Marina (18.000); i Pasdaran, o Guardie Rivoluzionarie, hanno circa 125.000 effettivi sulle branche terrestre, aviazione e marina, oltre che le Qods Force, ovvero le forze speciali; inoltre vi sono i Basij o Baseej, circa 90.000, uomini, mentre vi sono 300.000 riservisti e ben 7-8 mln di persone mobilitabili in caso di necessità; la coscrizione è obbligatoria a 18 anni, ma si può anche partire come volontari a 16 anni ,e durante la guerra con l'Irak la situazione era talmente grave che vennero persino arruolati bambini di 9 anni (!); il servizio militare dura 18 mesi; i Pasdaran, nemmeno a dirlo, sono tutti volontari e anche per questo, decisamente più fanatici. Il comando è dato dal Ministero della Difesa, al 2007 Moustafa Mohamed Najjar, ma pare che questo ministero sia soprattutto considerato per compiti logistici, mentre chi comanda davvero sarebbe il Consiglio Supremo della Sicurezza Nazionale e il Consiglio Supremo di Difesao Faqih, che si occupa anche del programma nucleare, uno dei due più importanti (l'altro è quello missilistico) che ha l'Iran. Quanto alla condotta delle operazioni, l'Articolo 177 della Costituzione rivoluzionaria dice dhe il CSSN deve determinare la politica di sicurezza e difesa, coordinando anche le relative attività politiche, culturali, religiose, e gestire le risorse per far fronte a minacce interne e esterne. In guerra, basandosi sull'art.110, è il Consiglio Supremo di Difesa che comanda, alle dipendenze dell'Ayatollah Kamenei, che è il successore di Komeini, e questo può dichiarare la guerra, la mobilitazione, designare i leader dei Pasdaran e delle F.A., ma normalmente delega tutto questo al Presidente della Repubblica, Ahmadinejad, pur avendo l'ultima parola per ogni decisione. Il CSD (Consiglio Supremo di Difesa) ha anche il Primo ministro, il Ministro della Difesa, il Capo di Stato Maggiore della Difesa e il Comandante in capo dei Pasdaran. Ma tutti i componenti laici del CSD sono anche sorvegliati da consiglieri di Kamenei, così da controllare anche le F.A. normali, guidate nominalmente almeno dal magg. gen. Ataullah Salesi; il capo di CSM è il Mag Gen Hussein Firuz Abadi, anche la Polizia e la Gendarmeria sono comandate dallo Stato Maggiore Generale. IL problema maggiore, finita l'era occidentale, è quello di comprare armi sofisticate, il che non è facile, ma viene svolto con una serie di fornitori interni ed esterni. Tra questi la Cina, in genere via Corea del Nord, molto interessata alle forniture di petrolio di cui l'Iran è ricco; Israele e Libia furono partner a suo tempo, degli Iraniani contro l'Iraq; la Russia è il fornitore con la migliore tecnologia, ma dopo le critiche per avere fornito 29 TOR-M1 (SA-15) con un contratto del 2005 da 700 mln di dollari, adesso pare si serva di nazioni terze come la Siria per fornire le armi a Teheran, anche se questo sarebbe in violazione della Risoluzione ONU N.147 perché l'Iran è sotto embargo di armamenti; nel 2006 si volevano vendere 50 sistemi Pantsyr S1E a Damasco, ma dieci di essi, gli ultimi (da consegnarsi nel 2008 e dotati del nuovo radar in banda I ROMAN) saranno in realtà inviati a Teheran, il che aiuterà Damasco ad avere soldi per comprarsi gli altri 40, mentre chiaramente questi sistemi, troppo pochi, serviranno soprattutto come campione tecnologico per fare cose analoghe in Iran. In tutto si vorrebbero almeno 50 di questi sistemi per l'aeronautica iraniana, oltre ad almeno due batterie di S-300 dei tipi più recenti; i vecchi missili S-125M1 ammodernati, e gli S-200 sono altre forniture fatte dalla Russia all'Iran, e fanno parte delle difese delle zone più importanti del Paese. ===Le forze convenzionali=== L''''Esercito''' ha 120.000 professionisti e 230.000 di leva, più oltre 300.000 riservisti richiamati fino a 60 anni; il comando è del Brig. Gen. Mohammed Hussein Dadrass, vi sono quattro Corpi d'Armata, per i settori Nord, Sud, Est e Ovest dell'immenso stato persiano. Vi sono 11 divisioni regolari, di cui 4 corazzate, 2 meccanizzate e 5 di fanteria, nonché un gruppo aeromobile, parecchie unità indipendenti, una brigata logistica e una del Genio. Quanto al Gruppo aeromobile, fatto solo da professionisti, è incaricato della difesa della capitale e ha la 55ima Divisione parà (o aerotrasportata) e la 23ima Divisione delle Forze speciali, un reparto d'elité formato nel 1993-94 con circa 5.000 effettivi in quattro brigate; al confronto, la divisione parà di brigate ne ha solo due. Le altre divisioni ne hanno tre; quelle corazzate hanno due brigate corazzate l'una, e una meccanizzata, più due btg d'artiglieria di cui uno trainato e uno semovente, un btg da ricognizione, uno genio, uno logistico, uno trasporti, un gruppo elicotteri e uno da difesa aerea. Le Divisioni meccanizzate sono uguali ma hanno una sola brigata corazzata e ben tre meccanizzate, mentre non hanno il battaglione d'artiglieria semovente. L'artiglieria ha anche cinque gruppi di fuoco indipendenti, ciascuno a livello di reggimento. Le unità corazzate e meccanizzate a livello di brigata sono su tre battaglioni, ciascuno con 55 carri armati, oppure mezzi per trasporto truppe, ma la situazione tipica è sotto-standard, e solo la 92a Corazzata e le due meccanizzate, ovvero la 28a e la 84a, sono su questi livelli (al 2007) previsti in sede organica. Come mezzi, passata l'era degli acquisti massicci di mezzi occidentali, come gli Shir-Chieftain, oramai ci si fornisce di mezzi analoghi a quelli dei vecchi nemici irakeni, per esempio oltre 300 T-72S dei tipi quindi più recenti sono stati comprati, di cui 124 forniti dalla Russia, 104 dalla Polonia (!) e circa 100 dall'Ucraina. Inoltre l'Iran, evidentemente abbastanza soddisfatto dalle prestazioni del popolare ma obsolescente MBT, ha cominciato anche a produrlo o montarlo su licenza. Inoltre vi sono molti Type 59 e Type 69-II cinesi e vari T-54 e 55 russi, nonché il programma nazionale ZULFIQUAR, che però, al pari dell'ARJUN indiano, non è esattamente un programma di successo indiscusso; altri modelli sono il Type 72Z, un Type 59-69 o T-55 aggiornato con cannone da 105L51, nuova FCS, motore e corazza reattiva (nel qual caso diventano i SAFIR 74). In tutto gli Iraniani non hanno una grandissima massa di mezzi, tutto sommato, ma è ancora paragonabile a quella dei tempi dello Sha: ci sono oltre 450 T-72, 750 T-54 e successivi, 200 Chieftain Mk-3 e 5; 150 M-60 e parecchi altri M-47, M-48 e T-62. Ma ovviamente, molti di questi mezzi, oramai obsoleti, ha problemi di efficienza, e solo poco oltre il migliaio di carri armati sarebbe effettivamente ancora efficiente. Meno di quanto non avessero gli irakeni nel 2003. Non va molto meglio per gli APC e IFV; tra questi ultimi vi sono circa 400 BMP-2, noti come COBRA, e i similari BORAGH prodotti su licenza, una specie di BMP-1 locale; in tutto vi sono oltre 2.000 mezzi tra cui 250 BTR-60, 350 BMP-1, 250 M113, 150 EE-9 e vari BRDM-2, Scorpion e BTR-50. La potente artiglieria ha un totale di circa 3.000 pezzi, di cui 450 sono obici semoventi, 1.950 armi trainate e ben 600 MLR. Tra i semoventi vi sono M-107, M-109, M-110, 2S1, i RAAAD-1 su scafo Boragh con il 122/33 mm, e il RAAD 2, su scafo M109 con un 155/39 mm; poi non mancano un paio di obici d 155 da 45 e 47 calibri, di realizzazione locale. Gli MLR comprendono l'obiquo BM-21, uno dei pochi mezzi orientali comprati fin dai tempi dello Scià, la versione locale ARASH, lanciarazzi da 107 mm HASEB, da 240 mm FAJR-3 e da 333 mm FAJR-5. Per la fanteria vi è una gamma completa di armi leggere, per lo più basate su produzioni locali, oppure importati (Kalashnikov cinesi o russi), armi locali G-3, MG-3 e MP-5 di progettazione tedesca, M-16 (qui noto come S-5.56), il KH-2002 di concezione locale (tipo 'bullpup'), poi vi sono i vari missili MILAN, TOW, DRAGON, varie armi russe come l'AT-3 e l'AT-5, le varie copie locali come il Toophan 2 e Saeghe 2 per TOW e Dragon, e RAAD, I-RAAD e TOWSAN-1 per i due tipi russi. Poi c'è l'aviazione dell'esercito, ancora molto importante, che ha ancora una cinquantina dei 202 AH-1J, oltre a circa 96 macchine tra Bell 214, CH-47, AB-205 e 206, Mi-8-17-171, nonché 17 aerei leggeri tra Cessna 185, Turbocommander, F-24 e Falcon 20. Per la precisione, il totale dei mezzi dell'Esercito è costituito da 1.700 carri, 2.000 APC e IFV, 3.000 artiglierie, dei tipi di cui sopra; i mezzi volanti sono circa 10 AB-205 e 40 AB.206 ('piazzati' a suo tempo per mediazione di un noto 'principe' italiano, amico dei reali di Persia), 20 CH-47C (anch'essi di produzione Agusta), 56 Bell 214 (uno dei pochi Bell non prodotti dall'Agusta), 45 AH-1J (idem); più 10 Cessna 185, 4 Rockwell 690, un Dassault Falcon 20E e due Fokker F-27 dei tipi 400 e 600. L'organizzazione dell'Esercito iraniano: *'''Zona nord''', comando a Zeyaiteh: 28a Divisione corazzata, 64a e 40a fanteria, 25a brigata commando, 11o gruppo d'artiglieria *'''Zona Sud''', Dezful: 92a Divisione corazzata, 81a corazzata, 45a Brigata commano *'''Zona Est''', Birjand: 88a Divisione corazzata, 30a e 77a di fanteria *'''Zona Ovest''', Kermanchah: 18a Divisione corazzata, 84a divisione meccanizzata, 58a divisione fanteria, 35a brigata commando, 22o, 23o, 44o, 55o Gruppo artiglieria, 441a Brigata genio *'''Indipendenti''': Gruppo aeromobile, comando a Teheran, con la 23a Divisione commando e la 55a Parà. ---- La '''Marina''' è al comando del contrammiraglio Sajjad Kouchaki Qavami, 18.000 effettivi di cui 2.600 marines e altrettanti aviatori, suddivisi in cinque zone marittime, di cui tre sul Golfo Persico, Bandar Abbas, Busher, e Khark; una per il Mar Caspio (Bandar Anzali), e una nell'Oceano Indiano (Chah Bahar), Bandar Abbas è la principale base della Marina, ve ne sono parecchie altre secondarie tra cui Bandar Anzali, Bandar Khomeini, Bandar Langeh, Busheher, le Isole di Farsi e di Kharg. ---- L''''Aviazione''' (IRIAF), venne fondata come tale nel febbraio 1979 sulla base della vecchia IIAF, con una struttura simile, ma fortemente epurata nei suoi livelli più alti, sospettati di simpatie per lo Sha e per gli USA; nonostante l'attacco irakeno il 22 settembre 1980 contro ben sei basi iraniane e quattro importanti installazioni fosse stato una totale sorpresa, l'IRIAF rispose duramente fin dal giorno dopo e gli irakeni subirono gravi perdite in aria, a terra e nelle infrastrutture per la produzione del petrolio. Prima di Khomeini la IIAF era suddivisa in 15 squadroni da combattimento, uno di ricognitori e molti di supporto; vennero consegnati durante gli anni '70 qualcosa come 79 Tomcat (uno andò perso durante le consegne o qualcosa del genere), 270 degli oltre 900 AIM-54A ordinati assieme a questi aerei, oltre 200 Phantom, per lo più del tipo E, e 16 RF-4E, più 141 F-5E, 29 RF-5F, 21 F-5B, e altri ancora tra F-5A e RF-5A; più 202 AH-1J bimotori, 67 CH-67C, 2 S-61VIP e diverse centinaia di Bell 214, AB-205 e 206, oltre che AB-212, specie per la Marina. E altri ancora erano in fornitura, tra cui ben sette E-3A Sentry e 160 F-16, si dice anche che fossero interessati a comprare 53 F-15. Nel 1986 la situazione era peraltro peggiorata, e la IRIAF venne riorganizzata in otto squadroni da combattimento e uno da ricognizione, nonché due reparti misti per compiti logistici e cinque squadroni da trasporto leggero, 76 elicotteri e cinque batterie di missili SAM. Attualmente la IRIAF è forte di 52.000 uomini al comando del Brig Gen Kamir Qavami; 5.000 sono piloti; le basi aeree sono 14: Ahvaz, Bandar Abbas, Bushehr, Chan Bahar, Dezful, Doshan Tepeh (Teheran), Chaleh Morghi (idem), Shiraz, Tabriz e Zahedan; vi sono anche le basi di Mehrabad, Dosshan, Tapeh e Isrforhan per reparti d'addestramento, a Shiraz vi è uno da trasporto; vi sono anche aeroporti di fortuna in caso di guerra, o civili utilizzabili per gli aerei. A tutt'oggi l'organizzazione è quella del 1986, con otto squadroni di difesa aerea e attacco, uno da ricognizione, due da rifornimento, cinque da trasporto leggero. In tutto vi sono oltre 500 aerei, di cui meno di 250 sono macchine di prima linea operative, molto meno dei tempi dello Sha e soprattutto, poche e invecchiate rispetto alle esigenze o ai vicini (Arabia Saudita e le basi USA). Ecco l'elenco dei mezzi, inclusi quelli che si 'dice' siano in servizio, ma non senza controversie: '''Bombardieri''': 24 Su-24 e 7 Tu-22M(c, per controverso) '''Caccia''': 15 MiG-23 e 27(c), 11 Mirage F.1, 45 F-5E, 20 F-6, 20 F-7, 20 F-8(c), 20-29 F-14, 40 F-4D e E, 35 MiG-29, 20 Su-20 e 22(c) '''Ricognitori''': 3 RF-4E '''Rifornimento in volo''': 1 B 747 e 5 B 707 '''Pattugliamento''': 3 C-130H-MP, 2-3 P-3F '''Trasporti''' (81 in tutto): 3 Dassault Falcon 50 e un Falcon 20, un Lockheed Jetstream II, 11 Fokker F-27-400M e 4 F-27-600, 14 Y-7 (An-24), 8 Y-12(An-12), 11 An-74, 9 Il-76, 5 B-747-100F e 5 B707, 10 C-130E e H '''Addestratori''' (60): 4 JJ-7, 4 MiG-29UB, 15 EMB-312, 5 T-33A, 12 PC-6 e 20 PC-7 '''Collegamento''' (60): 23 Mushshak, 20 F33C Bonanza, 4 Rockwell 690A, 6 Socata TB-200 e 6 TB-20 '''Elicotteri''' (100): 3 AB-206, 5 AB-212, 2 AS-61A4, 5 CH-47C, 25 Bell 214C, 2 Mi-17, 46 Mi-171Sh, 4 Mi-8MTW Molti aerei vennero conquistati all'Irak, fuggiti in 110 circa nel febbraio 1991, mentre altri sono stati comprati dalla Russia in un programma che ha visto spese di 2 mld di dollari; vi sarebbero ordini per gli FC-1 o JF-17 ex-Super-7; l'A-50 acquisito come preda bellica non si sa se sia ancora in servizio, farebbe indubbiamente comodo la sua portata di acquisizione di 600 km vs un bombardiere e 200 contro missili cruise, con la possibilità di seguire 300 bersagli aerei. I piloti iraniani fanno circa 400 ore di addestramento basico e poi diventano LCR, per poi avere bisogno di altre 300 ore per diventare pienamente 'combat ready', e volare 160-180 ore l'anno, un valore fin troppo ottimistico per una nazione ora sotto embargo. Le capacità di rifornimento in volo sono buone, anche per rifornire gli aerei orientali come i MiG-29 e i Su-24MK, questi ultimi capaci teoricamente di arrivare in Israele, grazie anche ad accordi di cooperazione con la Siria stabiliti nel 2005, magari per recapitare i futuri armamenti nucleari. La difesa aerea conta 15.000 effettivi, ma la natura montuosa dell'enorme Paese rende difficile la scoperta per tempo degli incursori, e così si era deciso per gli E-3A, ma non è stato possibile realizzare questo disegno; la difesa aerea, in tutto, ha circa 250 sistemi SAM di cui 50 SA-2 (tipi cinesi HQ-2, molto meno efficienti degli originali, almeno ai tempi della guerra), SAYAD-1 (copia iraniana, che sfrutta gli ampi volumi disponibili per migliorarne le capacità), 10 SA-5 Gammon(S-200 russi), vari SA-3, 50 SA-6/HQ-2J o Shahab Thaqeb, e 29 TOR M-1, in negoziazione due batterie di S-300, 325 lanciatori di SA-16, vari FIM-92 Stinger, SA-7 Grail, tipi locali MISAQ, circa un centinaio di pezzi da 23 e 57 mm, con sistemi radar di tiro YJ-14 e AR-3D; i radar del 1970 sono oramai obsoleti, e non sono centralizzati come nei moderni sistemi di difesa aerea integrata, un limite non di poco conto se vi fosse l'attacco di un nemico esterno ben armato ed equipaggiato, capace di azioni strategiche e quindi, in profondità: già gli irakeni riuscirono ad attaccare obiettivi come la stessa capitale iraniana, e da allora il sistema di difesa aerea iraniano ha migliorato soprattutto i sistemi tattici più che la catena strategica. Scoprire bersagli in volo a bassa quota su di un territorio così grande e con estese catene montuose è difficile, e servirebbero quanto meno degli aerei AWACS, possibilmente efficienti e moderni dato che agli irakeni la loro piccola flotta non servì granché contro gli iraniani (verso la fine del conflitto) e poi contro gli Alleati. Ma gli unici presenti in zona sono i 'Sentry' americani e sauditi, che non fanno parte della soluzione, ma, dal punto di vista iraniano, del problema. ===Industria=== Quanto all'industria nazionale, essa può supportare gli aerei in servizio e fare persino delle modifiche di un certo valore, ma si avvale anche del contrabbando delle parti che si riesce a reperire; la cosa che inquieta al riguardo è anche che gli F-14 sono stati messi fuori servizio anche per evitare, si è detto, che l'Iran abbia accesso a tali parti, il che è onestamente difficile da capire, visto che l'unico utente è l'USN e i Tomcat all'estero ci andavano solo con le portaerei; in ogni caso, la quindicina circa di casi scoperti dalle autorità USA di contrabbando verso l'Iran è un fatto, e anche di più, che è stato deciso talvolta persino ai massimi livelli, vedi Irangate (fornitura di armi all'Iran e con i soldi di ricavato, finanziamento dei 'contras', i guerriglieri antigovernativi del Nicaragua); poi vi sono i progetti indigeni anche utili e interessanti, come gli SHAFAG, AZARAKH-SH, OWJ (noto anche come Saeghe) e TAZARVE, messi a punto probabilmente con l'aiuto russo, specie di Sukhoi e MiG; il primo di questi è ufficialmente un progetto del Politecnico di Teheran, del capoprogettista ing Malek Ashtar, ma è più probabile che sia un progetto russo; è una specie di aereo d'attacco e addestramento da 5 t di tipo avanzato, simile al fallito progetto MAKO e all'M-346 o allo Yak-130, ma considerando che è supersonico (mach 1,3) e monoreattore, è anche simile al T-50; sta di fatto che il motore sarebbe ancora un vecchio J79 americano, ma da sostituire nel futuro con un RD-33 russo; l'aereo è lungo circa 15 m, apertura alare di 12,5 m, finanziato come programma dal 2003 da parte dei Pasdaran, ma il primo volo, che doveva avere luogo nell'agosto del 2004, è stato rimandato per anni, e fino al 2007 era stato esposto al pubblico solo un modello a grandezza naturale: di esso sarebbero previste configurazioni biposto da attacco leggero o da addestramento, e monoposto da attacco leggero. L'Azarakhsh è una specie di F-5 con un nuovo motore e maggiore superficie alare, circa il 15% in più, peso di 8 t a vuoto, carico di 4 t, velocità di mach 1,6, dovrebbero essere stati costruiti 10 esemplari l'anno dal 2001, ma nel 2007 ne erano stati consegnati meno di 40, esso ha radar, avionica e presumibilmente motore russi, tra cui il radar Fazotron N019ME multimodale aria-aria e aria-superficie; inoltre vi è il Saeghe, che è simile, ma con due RD-33 e doppia deriva modello F-17 o F-18; il Tazarve è invece un aereo sviluppato dai primi anni '90 e che volò già nel 1995, per essere comprato in 25 esemplari entro il 2010; niente di eccezionale, essendo un aereo ad ala diritta con un G.E. J85-GE-17 da 12,7 kN, con avionica e dotazioni simili a quelle del più grosso Phantom II, ma senza radar. Poi c'è in ballo l'aereo IrAn-140 Faraz, in pratica un aereo ucraino realizzato dall'Iran su licenza fin dal 2000, e l'ultimo tipo con rampa posteriore, buono per l'avioassalto con 36 parà; infine c'erano anche due aerei da addestramento, il DORNEH e il PARASTU in sviluppo; poi, a parte il difficile campo della realizzazione di aerei da combattimento, non va dimenticata la presenza degli UAV, come quelli della Qods Aviation, con il Mohajer 2, 50 km di raggio, 90 minuti di autonomia, velocità di 200 kmh; l'ABARIL II della Iran Aircraft Manufactoring, è più potente, tanto che ha un raggio di 100 km, autonomia fino a 2 ore e 250 kmh di velocità, ma forse il 'top' è il drone antiradar TOUFAN che è simile concettualmente all'HARPY israeliano, e che è destinata ad attaccare in maniera 'kamikaze' eventuali radar nemici che trovasse, un po' una falena attirata dalle loro onde radar. ===I 'Guardiani della Rivoluzione'=== Quanto ai Pasdaran, o Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, note anche in altri modi, per esempio IRGC (la sigla in inglese) sono al comando del magg. gen Yahya Rahin Safavi, in tutto 125.000 effettivi, con compiti sia militari, che politici (far continuare la 'rivoluzione'), oltre cha aiutando i movimenti amici, come Hezbollah in Libano, ma anche le milizie terroristiche irakene o le forze paramilitari vere e proprie, come l'Armada del Madi di Moktada Al Sadr, la Badr (20.000 effettivi), e la Brigata dei Loup, circa 2.000 persone, forse direttamente aiutate da elementi iraniani anche all'interno dei confini di Baghdad. I Pasdaran sono, nella componente di terra, circa 100.000, tra cui però vi sono anche reclute del servizio di leva, forse volontarie; in tutto hanno ben 4 divisioni corazzate, una meccanizzata e ben 22 di fanteria, ma in realtà, come si può ben immaginare, questa definizione è in realtà corrispondente alle brigate rinforzate dell'esercito regolare, non si sa se per volontà di pianificare così queste unità, o perché queste sono drammaticamente al di sotto delle tabelle organiche previste. Ma non si sa nemmeno precisamente quante siano queste unità, perché secondo altre fonti, in realtà ce ne sarebbero due divisioni corazzate, 5 meccanizzate, 10 fanteria, una di SF, 15-20 brigate indipendenti; ma il punto è che i Pasdaran possono 'gonfiarsi' in caso di guerra, mobilitando un gran numero di giovani e meno giovani della numerosa popolazione iraniana, tanto che nel 1988 riuscirono a mobilitare ben 21 divisioni di fanteria e 50 brigate indipendenti a ranghi completi, sebbene l'addestramento e l'equipaggiamento erano solo in parte compensabili dal fanatismo; ma attualmente anche quest'aspetto è considerato importante, più o meno come nell'esercito regolare, che però, per quanto meglio equipaggiato, è considerato meno affidabile. A tutti gli effetti, equipaggiamento in meno da una parte, fanatismo religioso in più dall'altra, i Pasdaran sono l'equivalente della Guardia Repubblicana dell'Irak, anche se non sono così temibili in combattimenti in campo aperto. Il fatto è che i Pasdaran hanno un altro asso nella manica, il controllo dei sistemi missilistici balistici e l'arsenale strategico, insomma sono loro che hanno le chiavi dei sistemi d'arma più pericolosi. I gruppi missilistici, in particolare, hanno consistenza di battaglioni, i quali possono essere sia indipendenti, che inseriti in divisioni o in brigate delle forze di terra. L'aviazione dell'IRGC è guidata dal Brig Gen Hossein Salemi, 5.000 effettivi, si chiama in termini internazionali IRGCAF, con appena 13 aerei, i quali peraltro è interessante notare che siano i Su-25, parte dei quali, il nucleo originale, sono sette scappati all'Irak a suo tempo (Su-25K e UBK. Gli altri sei aerei sono tre Su-25K e altrettanti UBK, acquistati direttamente, ma non è chiaro da chi; tre aerei sarebbero in particolare Su-25T controcarri; altri 40 aerei sono gli EMB-314 Tucano da addestramento, ma soprattutto da attacco leggero, e poi vari aerei da trasporto tra cui ben 15 Il-76, 12 An-74TK e 20 elicotteri d'assalto Mi-17. In prospettiva vi sarebbero anche i Su-25TM, ben più avanzati per l'attacco sia contro obiettivi di terra che navali. A quanto pare, fanatismo a parte, i piloti iraniani dell'IRGCAF sono meglio pagati di quelli dell'IRIAF, ma volano meno di loro e hanno un addestramento meno completo. Poi vi sono le forze navali, che sono come detto, circa 20.000, di cui 5.000 fucilieri di Marina, specializzati soprattutto in azioni di commando; sono alle dipendenze del Contrammiraglio Ali Morteza Saffari; tra le loro specialità c'è anche quella dell'attacco antinave con missili costieri, con 5 lanciatori (o più probabilmente batterie) HY-2 Silkworm, e tra 15 e 25 batterie di C-802 o 802 cinesi, e potrebbe esservi anche una batteria di SS-N-22 russi, in un'inedita versione costiera; quanto alle basi vi sono soprattutto in isole come Al Farsyah, Sirri, Rostam, Lark, e zone vicine ai terminali petroliferi. Le forze dei Pasdaran a terra sarebbero le seguenti: '''Zona Sud''': 40a Divisione Corazzata, 5a meccanizzata, le divisioni di fanteria 1, 2, 3, 7, 14, 27, 3, 43, 105, 155ima '''Zona Nord-Ovest''': 6a, 9a, 10a, 11a Divisione di fanteria '''Zona Est''': 17a e 57a divisione fanteria Reparti indipendenti: 1a Divisione corazzata di Teheran, 2a divisione corazzata di Dezful; 30a divisione corazzata, le divisioni di fanteria 8, 24, 28, 32, 33, 41a, 1a divisione del Genio, 5a brigata di fanteria, 5 gruppi di operazioni speciali, 12 battaglioni di difesa aerea. == Note == <references/> {{Avanzamento|75%|15 febbraio 2008}} [[Categoria:Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo|Iran]] 94qmpaby2f8j7t0mwzhi03227h58b7z Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/USA-7 0 18611 477866 462696 2025-06-16T08:33:32Z Avemundi 6028 refuso 477866 wikitext text/x-wiki {{Forze armate mondiali}} Per brevità si saltano le macchine che, nate operativamente durante la guerra, sono state utilizzate anche dopo: una menzione particolare ai TBF Avenger, che nati come bombardieri-siluranti vennero poi impiegati come pattugliatori ASW e addirittura come i primi aerei AEW, con un grosso radar, sotto la fusoliera. Altri aerei di vasto impiego sono stati ancora per molti anni i caccia F4U Corsair, ampiamente utilizzati in Corea e anche all'estero, gli idro Catalina e qualche altro tipo minore. Altre macchine come gli Helldiver e gli Hellcat sparirono invece molto rapidamente dopo il 1945 e pertanto non hanno avuto una vera carriera postbellica, sebbene alcune decine di Helldiver venissero esportati anche in Italia, dove finirono per costituire il nucleo di un'aviazione navale troppo in anticipo sui tempi. I Grumman F6F, spesso utilizzati contro i Kamikaze (con meno successo dei più veloci Corsair) ebbero un finale di carriera suicida: vennero estesamente impiegati come bombardieri kamikaze radioguidati in Corea, oppure come aerobersagli per i primi missili SAM e AAM della Marina. Detto questo, passiamo in rassegna gli aerei apparsi effettivamente nel periodo postbellico: ==Caccia== ===L'età dell'elica=== Per quello che riguardava i caccia Grumman, l'F6F era già stato in buona parte rimpiazzato dall'F4U, più veloce ma meno controllabile, già verso la fine della guerra. Ma la fine degli F6F, utilizzati come drone-bersaglio per i primi SAM e poi in Corea come 'missili' caricati con 3 bombe da 453 kg, non era che l'inizio per una intera genia di nuovi aerei imbarcati, non soltanto caccia. Di fatto solo la McDonnell e la Douglas (sole e poi insieme) riuscirono a scalzare parzialmente le 'ferrerie Grumman' dal dominio dell'aviazione imbarcata, mentre a terra la Lockheed ebbe un compito più agevole nell'imporre la sua linea di apparecchi da pattugliamento marittimo. [[Immagine:Bearcat F8F-1.jpg|320px|left|thumb|]] Il Grumman F8F Bearcat era un caccia imbarcato realizzato durante la seconda guerra mondiale ma impiegato dopo. Piccolo ma potente, definito "un barilotto di dinamite", era una macchina compatta, progettata per la superiorità aerea ed intercettazione, usata solo nel dopoguerra ancorché le consegne iniziassero prima; di 8.000 macchine ordinate, ne vennero prodotte comunque 1.263. Le versioni sono state: 765 F8F-1, 100 F8F-1B con 4 cannoni da 20 mm, 36 F8F-1N da caccia notturna muniti di radar. Poi seguirono gli F8F-2 con deriva più alta: 293 F8F-2, 12 F8F-2N e 60 F8F-2P che grazie alla loro velocità trovarono utilizzo come ricognitori. Caratteristica era l'ala con estremità staccabili in caso di necessità. L'aereo sarebbe rimasto in servizio fino al 1952 nei reparti di prima linea, ma non andò in Corea a combattere. '''F8F-1''': *Primo volo: agosto 1944 *Entrata in servizio: maggio 1945 *Costruttore: Grumman *Esemplari costruiti: 62 *Dimensioni: lunghezza 8,61 m apertura alare 10,92 m, altezza 4,32 m, superficie alare 22,67 m² *Propulsione: 1 PW R-2899-24W da 2128 hp *Prestazioni: velocità massima 680 km/h, autonomia 1.800 km, tangenza 11.800 m *Armamento: 4x12,7 mm Un esemplare modificato raggiunse gli 805 km/h a 5.790 metri, uno dei migliori risultati mai ottenuti da un caccia a pistoni, mentre un altro, nel 1946, conquistò il record nazionale di salita, con 3.050 metri raggiunti in appena 94 secondi dal rilascio dei freni, cosa che nessun F-86 riuscì mai ad emulare. Nei suoi anni, poteva persino capitare di vedere intere formazioni di quest'aereo picchiare a velocità superiori ai 960 km/h, una cosa impensabile per un tozzo aereo con motore radiale. Fu impiegato anche dalla Francia durante l'atroce guerra in Indocina. [[Immagine:F7F-3P Tigercat.jpg|280px|left|thumb|]] Il Grumman F7F Tigercat era un caccia-bombardiere imbarcato statunitense,anch'esso apparso alla fine della guerra ma impiegato negli anni successivi. Era una macchina dell'ultima generazione a pistoni, un velivolo eccezionale perché aveva una configurazione bimotore ma estrema compattezza, per essere usato come caccia imbarcato. Sebbene le consegne iniziassero già nel 1944, l'F-7F ebbe uso specialmente in Corea. Dotato di due motori da circa 2.000 hp, 4 cannoni da 20 mm e anche 4 da 12,7 mm, lunga autonomia, era un caccia che per certi versi somigliava al P-38, anche se con fusoliera convenzionale. La versione da caccia notturna era invece radarizzata e biposto, nonostante la ridotta larghezza della sua fusoliera. In Corea operò come cacciabombardiere, ma soprattutto si segnalò come guida per i caccia telecomandati F6F riempiti di bombe, utilizzati con successo contro ponti e altri obiettivi strategici. '''F7F-2N''': *Primo volo: 1944 *Costruttore: Grumman *Esemplari costruiti: *Dimensioni: lunghezza 14,13 m, apertura alare 16 m, superficie alare 42,26 m² *Propulsione: 2 PW R-800-22W da 2.100 hp *Prestazioni: velocità massima 678 km/h/6285 m, salita 3600 m/min., autonomia 2.010 km, tangenza 12.150 m *Armamento: 4 da 20 mm Una macchina particolare era poi il '''Ryan Fireball''', caccia con propulsione mista. Aerei, cioè, che univano il motore a pistoni con un turbogetto, in maniera che il primo rimediasse al consumo elevato, scarsa affidabilità e modesta potenza del secondo, sistemato in coda e usato come 'aiuto' nei momenti più importanti, ma in volo si poteva selezionare ogni combinazione motrice desiderata. Pensato già nel 1942, come prototipo XFR-1 volò nel 1944 e poi ordinato in 700 esemplari, caratterizzati tra l'altro da un tettuccio a visibilità totale. Dopo la guerra vennero ridotti a 66, consegnati a partire dal gennaio 1945 e utilizzati per fare esperienza nel campo dei jet. Rimasero in servizio per poco tempo e vennero presto dimenticati. '''FR-1''': *Primo volo: giugno 1944 *Costruttore: Ryan *Esemplari costruiti: 66 *Dimensioni: lunghezza 9,86 m, apertura alare 12,19 m, superficie alare 25,55 m² *Propulsione: 1 Wright R-1820-7W Cyclone 9 da 1367 hp e 1 G.E. I16 (J31) da 725 kgs. *Prestazioni: velocità massima 475 km/h/5.000 m o 650 km/h/5.400 m, autonomia 2.600 km, tangenza 13.150 m *Armamento: 4 x12,7 mm Un altro apparecchio ad elica ampiamente utilizzato fu l'inossidabile '''F4U Corsair''', specialmente con la versione F4U-5 che non era altro che un U-4 con 4 cannoni da 20 mm e altre piccole differenze, tra cui un motore da 2.330 hp R-2800-32W. Tra il 1947 e il '48 vennero prodotti 223 U-5, 315 U-5N da caccia notturna, 30 U-5P ricognitori. Derivato dall'XF4U-6, l'AU-1 venne utilizzato come aereo d'attacco a bassa quota armato e corazzato di tutto punto e dotato di motore R-2800-83W. 110 per l'USMC, a cui seguirono gli F4U-7 con il R-2800-18W, 90 esemplari per l'Aeronavale francese. '''AU-1''': *Equipaggio: 1 *Entrata in servizio: *Costruttore: Vought *Esemplari costruiti: 110 *Dimensioni: lunghezza 10.39 m, apertura alare 12.50 m,superficie alare 29.17 m² *Peso: 8.800 kg *Propulsione: R-2800-83W, 2330 hp *Prestazioni: velocità massima 385 km/h a 2.900 m, autonomia 780 km, tangenza 5.950 m *Armamento: 4 da 20 mm e 1814 kg ===I primi jets=== ====I felini della Grumman e le origini dei jet navali USA<ref>Ciampaglia, Giuseppe, ''Il Phanter'', RID Lu 2009</ref>==== [[Immagine:Grumman F9F Panther BuAer drawing.jpg|300px|left|thumb|]] La serie dei jet Grumman iniziò con il classico F9F Panther, aereo da caccia statunitense famoso soperatutto perché impiegato durante la guerra di Corea. Rappresentò il passaggio della Grumman dai caccia ad elica a quelli a reazione, oltre ad essere il miglior aviogetto navale disponibile a tutto il 1950. Il Panther non è ricordato come un grande aereo da caccia, ma è stato pur sempre l'iniziatore di una rimonta dell'USN sul campo dei caccia a reazione, da una situazione nella quale era finita per varie ragioni. Per esempio, la potenza dei caccia a reazione era ridotta e nonostante la loro velocità, potevano decollare solo con l'aiuto delle catapulte, un problema non da poco dato che in pratica apparvero con le nuove Midway (prima idrauliche, poi idro-pneumatiche e infine a vapore). La sete dei motori era poi tale da diminuire l'autonomia in maniera inaccettabile per i pattugliamenti sul mare. La velocità d'appontaggio era troppo alta. Insomma, per l'impiego navale l'USN era giustamente preoccupata dalle caratteristiche meno gradevoli di questi caccia. I primi motori erano i Whittle W.1X, consegnati agli USA nell'ottobre del '41, con tanto di disegni per i più evoluti W.2, da produrre negli USA. I W.1 erano scarsi in portanza, 527 kgs, ma ebbe produzione dalla G.E. come Type 1A e così trovò applicazione sul P-59. Poi arrivarono i motori W.2B prodotti come I-16, 18 e 20, fino all'I-40 da 1.800 kgs, che divenne disponibile dalla metà del '43 e servirà per il P-80, strano ma vero esso era originariamente un centrifugo, ma venne anche realizzato in versione assiale. Queste furono le origini della motoristica a reazione americana. Nel frattempo la Westinghouse realizzò i WE-19A, che in seguito divennero noti come J-30 da 720 kgs. Essi ebbero inizialmente applicazione come motori ausiliari per potenziare aerei ad elica, di cui un modello da caccia venne richiesto dall'USN già nel dicembre 1942, addirittura prima della richiesta analoga dell'USAAF, poi soddisfatta dal P-80. Non fu facilissimo: mentre il P-59 volava già dalla fine del '42, per il P-80, che volò l'8 gennaio 1944, venne utilizzato il D.H. Goblin smontato dal secondo prototipo del D.H. Vampire, data l'indisponibilità di altri motori. Seguirono a ruota 2 XP-80A con dimensioni maggiori e il J-40 della Allison (ovvero l'I-40), nonché 13 YP.80, 4 dei quali divennero i primi caccia a reazione americani utilizzati in compiti operativi, inviati in Italia e in UK (due per teatro operativo) per contrastare gli Ar.234. Per l'USN arrivò la proposta vincente, tra le 9 avanzate, della Ryan con il suo Fireball, caccia che volò il 25 giugno 1944. I tre prototipi vennero tutti persi per i problemi di resistenza strutturale dati dalle rivettature a testa annegata. Essi ebbero seguito con circa 55 FR-1 di serie, mentre altri 600 vennero annullati dato che l'elica, una volta spento il motore da 1.350 hp, doveva essere fermata in bandiera e causava molti problemi di resistenza alla massima velocità consentita dal solo motore I-16 da 726 kgs, ma con entrambi i motori accesi si potevano arrivare a 686 km/h a 5.500 m, peraltro meno degli ultimi F4U Corsair. Meno noto è un altro caccia, il Curtiss XF-15C Stingraee, che con un motore da 2.100 hp R-2800 e un J36 da 1.200 kgs arrivava a 755 km/h a 7.600 m. Ma esso non ebbe seguito per il problema di abbinare in concreto l'elica e il turbogetto su di un aereo ad alte prestazioni. Alla fine del '42 però era stato anche chiesto un bireattore da caccia, da cui derivò l'FH-1 Phantom, decollato però solo nel '46 dalla Roosevelt, seguito solo da 60 aerei di serie e utile soprattutto per aprire la strada al successivo FH-2 Banshee, molto più potente grazie ai J34 da 1.474 kgs (755 esemplari costruiti e in servizio dal '50). Già durante la guerra vi furono anche altri motori migliorati come il J34 da 1.600 kgs, gli Allison J33 e 35. Questo consentì di chiedere anche un caccia monomotore, precisamente il 6 settembre 1944. All'epoca si pensava all'Operazione Coronet, ovvero l'assalto al Giappone, che era ancora da venire (1947?). Così vennero fuori il Vought F6U Pirate con i J34 e il Fury con il J35, circa 3 prototipi e 30 esemplari per ciascuno a causa della scarsa velocità che raggiunsero. Il caccia notturno nacque solo grazie alla successiva RPF del settembre 1945, oramai a guerra finita e si concretizzò nel '48 con lo Skyknight con due J34 (3 prototipi e 267 di serie). Dati i risultati del J34, la Westinghouse divenne la principale fornitrice dell'USN e così fu anche verso la fine degli anni '40, quando pure i motori britannici erano più potenti, pur essendo a compressore centrifugo, arrivando con il Nene a circa 2,3 t.spinta. Dati i problemi di economia postbellici, la Gran Bretagna svendette i propri gioielli a tutto il mondo, inclusi gli USA con la Taylor Turbine Co. he lo battezzò J42-TT-2, per poi realizzare di non poterlo produrre nelle quantità volute. Alla fine il motore venne acquisito dalla PW, e subito applicato al Panther. La Grumman era già stata implicata nella produzione di numerosi e robusti caccia navali, e offrì una versione a reazione del motore F4F. Inizialmente era noto come un progetto quadrimotore con i W.24C subalari J30 da 1.120 kgs), noto come G-75 o F9F-1, derivato dall'F7F. Ma esso perse verso l'F3D Skyknight. In seguito divenne un monoreattore come progetto G-79, inizialmente bireattore con due J-34, poi monoreattore con le copie americane del Nene. Era ancora ad ala diritta, ma avrebbe dovuto sostituire Pirate e Fury. Già nel '46 si decise che al posto dei due XF9F-1 venisserono finanziati 3 F9F monoreattori e una cellula con prove statiche. Anche questi erano noti come F9F-1, ed ebbero il nome Phanter. Due dei tre prototipi del nuovo aereo ebbero i Nene originali, per via della lentezza della Taylor a costruirli. Così, sebbene l'USAF non ebbe i Nene, li ebbe l'USN, così come li ebbero i francesi e i Russi. Il terzo prototipo, sempre in attesa dell'inizio della produzione del Nene dalla PW, venne dotato logicamente dell'Allison J-33, comparabile con il J-42 come pesi e ingombri. Questo divenne l'XF9F-3, mentre i 'Nene-Panther' diverranno alla fine XF9F-2. Il primo volò il 21 novembre 1947 a Bethpage, pilotato da tale Meyer, che in seguito a queste e altre esperienze diverrà vice-presidente della Grumman. Funzionò bene e così il BuNo 122475 divenne il primo di tanti altri caccia di questo tipo, mentre la versione a freccia era stata richiesta più o meno assieme al tipo monoreattore. L'ultimo prototipo, con il J-33 o, pare il più avanzato J-34, quello del Banshee, da 2.087 kgs volò il 16 agosto 1948. Fu questo che ebbe subito ordini, causa ritardi del Nene, per un totale di 71 F9F-3, sebbene solo 54 ne vennero consegnati. Entrarono in servizio l'anno dopo con il VF-51 e andarono a sostituire niente di meno che gli FJ-1 Fury, gli antenati dei Sabre. Ma già lo stesso anno entrarono in servizio i PW J-42 da 2.608 kgs quando usavano l'iniezione d'acqua, oppure 2.230 kgs a secco. Presto ebbero modo anche di rimpiazzare i J33 dei Panther già costruiti, se non altro perché, oltre ad essere più potenti, avevano anche un'affidabilità maggiore. Sempre tozzo come gli altri Grumman, era tuttavia n velivolo decisamente veloce e avanzato per una macchina ad alta diritta, anche se in realtà, a parte le prese d'aria triangolari alla base delle ali, era simile all'F-84. Nella parte anteriore c'erano le 4 armi M3 da 20 mm e telemetro radar, più 760 colpi complessivi. Dietro c'era la cabina pressurizzata -anche se l'aereo non aveva certo una quota operativa eccezionale, dietro c'era una paratia e due serbatoi principali di carburante e infine il monomotore. LE ali erano ripiegabili quasi alla base, c'erano slat, alettoni e flap, e serbatoi da 120 galloni l'uno alle estremità alari (che solo in un secondo tempo divennero sganciabili in volo). Il raccordo tra deriva e fusoliera aveva un serbatoio da 25 galloni per la miscela al 60% di acqua e 40 di glicole etilenico per potenziare il motore in certe condizioni -salita-. L'aereo ebbe presto una colorazione blu scura omogenea, anche se i prototipi erano in color naturale. Presto ebbero modo di dimostrare la loro robustezza, già con episodi di appontaggio tutt'altro che ortodossi, nel corso dei quali uno di essi tentò più volte di appontare nonostante danni gravissimi subiti nel primo, fallito tentativo di appontaggio. Già superato quando scoppiò la guerra di Corea dal MiG-15 e dall'F-86, venne usato come caccia d'attacco, dove la sua robustezza pagava. Aveva 4 punti d'aggancio per 2.000 lb di armi di armi, o serbatoi da 120 gal (544 l) per il più interno, mentre gli altri tre avevano modo di portare, per ciascuna ala, 3 razzi da 127 mm. In seguito vi furono anche i ricognitori F9F-2 modificati durante la guerra, sostituendo le armi da 20 con apparati di ricognizione. Tuttavia già nel '49 si sapeva che l'aereo sarebbe stato alquanto sottopotenziato nel compito di cacciabombardiere. Così si vollero motori più potenti, che inizialmente erano i J-33-A-16 da ben 3.153 kgs con iniezione d'acqua, oppure 2.835 a secco. Questo diverrà poi l'F9F-4, primo volo il 5 luglio 1950, giusto in tempo per la guerra appena scoppiata. Dati i problemi che inopinatamente presentava il J33, davvero spinto al limite, solo 99 ne verranno prodotti. Presto apparve il PW J-48-P-6, che era un R.R. Tay su licenza, capace stavolta di 3.2835-3.175 kgs. Esso venne messo nel 100° F9F-2 che divenne l'XF9F-5, volando il 21 dicembre 1949. In pratica, anche all'epoca i motori britannici erano superiori a quelli americani. La produzione partì dalla fine del '50 e continuò fino all'inizio del '53, con un totale di 649, successori agli F-2. Ebbero larghissimo impiego sia con l'USN che con l'USMC. Gli F9F-4 delle ultime produzioni divennero altri F9F-5 con questi stessi motori. La lunghezza era aumentata di 19,5 pollici il che rendeva possibile aumentare, con due nuovi serbatoi interni, la quantità di carburante da 4.232 a 4.557 litri, quantità davvero ragguardevoli per l'epoca, specie se comparate a quelle di macchine come il Sea Hawk. Tutto questo serviva a mantenere l'autonomia pressoché ai livelli normali, perché il nuovo motore consumava di più- Ora era possibile, con le ali irrobustite, anche aumentare il quantitativo di carico esterno a 1.572 kg con due bombe da 454 kg o due serbatoi da 150 gal -680 litri- e sei bombe da 113 kg o razzi da 127 mm. Non mancarono anche 36 F9F-5P da ricognizione. In tutto l'F-2 ebbe 497 esemplari dal maggio 1949. L'F9F-5 venne costruito in 655 aerei e fusoliera allungata, coda più alta e motore potenziato di cui sopra si è detto. Quanto al loro esordio, i Grumman iniziarono la loro carriera bellica con i VF-51 e i VF-52 della USS Valley Forge, una delle grandi portaerei 'Essex', le uniche in pratica in grado di operare con i nuovi jet. Il 3 luglio 1950 i suoi F9F coprirono gli F4U e gli AD-1 in attacco sugli aeroporti nord-coreani, e abbatterono due Yak-9 (o Yak-3?) nemici. Il 9 novembre toccò ad uno dei primi MiG-15, abbattuto da R.Amen, durante un'altra incursione, stavolta del VF-111. Ma il MiG era troppo superiore in quota, e il Panther venne così rilevato presto dal Sabre come caccia da superiorità aerea. Questi F9F-2 e gli F9F-2B (bombardieri) dei Marines operarono intensamente, iniziando ad attaccare (operando da basi a terra) dal dicembre del '50. Gli F9F-2B continueranno le loro operazioni fino al tardo '52, quando vennero sostituiti totalmente dagli F9F-5 (ottobre 1952, i primi due reparti sull'USS Oriskany). L'efficacia del Grumman fu notevole, anche se non furono loro a distruggere i ponti di Toko-Ri, come nel famoso film con Wiliam Holden. Spesso furono autori di imprese notevoli. Uno quasi si schiantò al suolo con ai comandi N.Armstrong, quello che poi andrà sulla Luna. Il pilota venne colpito su Wonsan, cadde fino ad una decina di metri di quota e riuscì a riprenderlo appena in tempo, ma nel risalire andò contro un palo telegrafico. Tuttavia, malgrado l'impatto, riuscì a rifare quota e in seguito Armstrong, che all'epoca volava con il VF-51, risalì fino a 4.000 m prima di lanciarsi su territorio amico. Vi fu addirittura qualche caso di aerei rientrati con cannonate da 37 o 40 a bordo, e uno ancora si schiantò al suolo esplodendo, ma per sua fortuna, il pilota si trovò sulla sezione anteriore, proiettata via dall'impatto, e sopravvisse all'esplosione del suo aereo contro il terreno!. In tutto i Panther riuscirono ad abbattere ben 15 MiG senza subire perdite (almeno a che si sappia) da questi, ma ciò non diceva affatto che fossero superiori, anche se il loro armamento era superiore per il combattimento aereo, anche rispetto a quello che avevano i caccia USAF. La produzione fu di 1.375 esemplari di tutte le versioni, e 715 di essi (su 826, gli altri erano i Banshee) jet che impiegò l'USN durante il conflitto, per eseguire un totale di 78.000 missioni. Tra le differerenze: *Dimensioni :XF9F-2, 11,48 x 10,74 x 3,44 m x 23,33 m2 :F9F-2, 11,35 x 11,58 x 3,45 m x 23,22 m2 :F9F-5, 11,84 x 11,58 x 3,73 m x 23,22 m2 *Pesi :3.244-4.917 kg :4.220-7.462 kg :4.603-9.637 kg *Potenza :J42, 2.268 kgs :J42-P6, 2.268 kgs :J48-P6, 3.175 kgs *Prestazioni :956 km/h, 1770 km :946 km/h, 2.177 km :972 km/h, 2.093 km Durante la guerra di Corea venne largamente impiegato in ruoli di attacco al suolo, mentre il compito della superiorità aerea passò di mano agli F-86 Sabre, in quanto l'ala diritta del Panther era inadeguata per competere con i veloci MiG-15. La sua robustezza strutturale gli consentì spesso di sopravvivere a danni pesanti, e addirittura si sa di un caso in cui uno, colpito dalla flak, esplose al suolo ma il pilota ne uscì incolume ( forse fu l' ispiratore di una famosa scena di 'Hot Shot!')! Un esempio, anche se storicamente scarsamente attendibile di questa attività (e della robustezza all'atterraggio) del Panther lo si può vedere nel film 'I ponti di Toko-Ri', che a suo tempo fu oscar per gli effetti speciali. Anche per il Panther il finale di carriera riservò l'estremo sacrificio, con un certo numero convertiti in aerobersagli. D'altro canto la velocità del progresso aeronautico era tale, nel settore dei caccia, che quello che si poteva definire 'abbastanza buono' agli inizi degli anni '50 era già superato a metà del decennio. Comunque, incontrando i MiG ne abbatté 4 senza perdite proprie. 64 andarono persi invece (assieme a ben 314 F4U e 124 AH-1) nelle sole missioni contro i rifornimenti nordisti. Lo sviluppo del Panther fu l'F9F-6, ma si trattava di una macchina talmente diversa come prestazioni che le fu assegnato un nuovo nome, ovvero '''Cougar'''. [[Immagine:R3Y Tradewind refuelling.jpg|320px|left|thumb|]] Era essenzialmente la fusoliera del Panther con una nuova freccia alare di 35°, un motore più potente ed una nuova fusoliera. Il Cougar non ebbe un grande successo, troppo conservativo rispetto al predecessore e giunto troppo tardi per la guerra di Corea. All'epoca era normale adattare i jet della prima generazione all'ala a freccia, come era accaduto ad alcuni tipi dell'USAF, e per alcuni anni questo e il Fury divennero la spina dorsale della difesa aerea dell'US Navy. All'XF9F-6 con motore J48P-8 da 3290 kgs subentrarono i 706 apparecchi di serie F9F-6, dal novembre 1952. Come il prototipo, avevano anch'essi grandi alette antiscorrimento sulle ali a freccia, diruttori, slats. Di queste macchine 60 erano ricognitori F9F-6P, mentre i tipi successivi compresero 168 F9F-7 con motori Allison J33 potenziati, 712 F-8 con ala riprogettata e ingrandita, abitacolo con tettuccio ridisegnato e fusoliera allungata di 20 cm, tra questi i sottotipi -8B con missili aria-terra e 110-9P da ricognizione. Infine, gli addestratori compresero ben 399 F9F-8T. Il Cougar fece la sua carriera negli anni '50, poi cedette il passo a macchine più moderne. Erano i bui tempi della Guerra di Corea, i MiG-15 dimostravano di essere superiori a tutti i caccia con ali diritte esistenti; l'USAF li poteva contrastare con gli F-86, ma l'USN per il momento non aveva nulla da offrire. Ma solo per poco<ref>Take Off 2101-7</ref>. La storia dei robusti Grumman a reazione iniziò anni prima di quando il Panther esordì sulla Corea come primo jet dell'USN nel luglio 1950, con il VF-51. La Grumman Aircraft Eng stava già pensando all'ala a freccia nel dicembre del 1945, quando stava lavorando al Panther. Ma non era facile costruire un caccia con ali a freccia come si può pensare, soprattutto per un aereo della marina, data la necessità di mantenere una valida controllabilità anche a bassa velocità. Nel settembre 1946 la Grumman ebbe un contratto per il suo F9F Panther; ma, nonostante gli studi per l'ala a freccia, la Marina ebbe cura di scegliere anche un altro fornitore, la McDonnell, che ebbe commesse per l'F3H Demon, nonché la Douglas, con l'F4D. La Grumman rischiava di restare indietro e così propose nel 1950, a marzo (quindi 3 mesi prima della guerra di Corea), un Panther a reazione. L'USN accettò nel marzo dell'anno successivo con una commessa di tre XF9F-6. Presto il nuovo aereo, una cellula di F9F-5 modificata con una tozza ala a freccia di 35 gradi, con corda elevata e il solito raccordo allungato vicino alla fusoliera posteriore, per il bordo d'uscita. I piani di coda erano a freccia. La superficie dell'ala del Panther era superiore di oltre il 40% rispetto al Panther, e questo malgrado la riduzione dell'apertura alare; tutto il bordo d'uscita aveva ipersostentatori, c'erano paretine antiscorriemento, apparse peraltro solo dopo i primi aerei. Ovviamente eliminati i serbatoi alle estremità, improponibili per un'ala a freccia. Il motore era il J-48-P-8, il R.R. Tay prodotto dalla P.W. Il Tay era il successore del Nene e assicurava ben 3.292 kgs. Quasi tutti i Cougar ebbero solo questo motore per tutti 1.985 esemplari prodotti, e andati all'USN e all'USMC. I primi aerei di produzione vennero completati nel febbraio 1952 e già prima della fine dell'anno erano operativi con il VF-32. Perché non siano stati impiegati in Corea, dopo un così breve ma felice sviluppo, non è chiaro. Con i loro quattro cannoni M3 assistiti da un telemetro radar (prima assente sui Panther, parimenti armati) e prestazioni eccellenti, specie a bassa quota, sarebbero stati dei degni rivali dei MiG. Per il resto avevano anche carichi esterni come due bombe da 454 kg e sei razzi HVAR da 127 mm. Dei 706 F9F-6, 60 vennero realizzati come ricognitori. Non avevano armi ma fotocamere K-17 da 152 mm; ovviamente questi ricognitori (le macchine erano nel muso, al posto dei cannoni) divennero F9F-6P. L'F9F-6D era un direttore di aerobersagli, un F9F-6K2 era invece sia un direttore che, se necessario, un aerobersaglio a sua volta. Il primo aprile 1954 tre F9F-6 stabilirono un record di trasvolo sugli USA, S.Diego-Floyd Bennet (N.Y.), appena 3 ore e 45 minuti. Fu un volo senza scalo, grazie al rifornimento in volo che divenne standard, con la sua sonda, dall'F9F-8, che durante la produzione ebbe anche un radar AN/ARA-25 direzionale (una sorta di TACAN?) sotto il muso. Il Cougar F9F-8 volò per la prima volta il 18 dicembre 1953, grazie alla corda alare ingrandita e alle paretine antiscorrimento aveva migliori capacità di appontaggio lento ed era più lunga di 203 mm, aumentando il carburante interno. La velocità era di 1.046 km/h al livello del mare (vi sono anche fonti che parlano di 1.149 km/h); disponibili anche serbatoi da 1.134 l e la possibilità di portare i nuovissimi AIM-9, dei quali c'erano 4 rotaie di lancio. In alternativa, su questi piloni esterni ai serbatoi c'era la possibilità di portare bombe da 227 kg o razzi; un sottotipo era ancora più letale perché possedeva il sistema LABS ( sistema di bombardamento a bassa quota, che era associato ad attacchi in cabrata con l'uso di bombe atomiche, trasportate sotto l'ala destra). Non mancò la versione F9F-9P (14 tipi di macchine fotografiche disponibili), 110 prodotti nell'agosto 1955-luglio 1957. Infine c'era l'addestratore FT-9F-8T con un secondo posto, che richiese ben 86 cm di allungamento della fusoliera. L'istruttore era dietro e aveva un posto sopraelevato rispetto all'allievo, per non dovere installare un periscopio di visione. Fu un grosso successo, replicato con 400 esemplari fino alla fine del '59 e poi, dal '62, divennero noti come TF-9J ed equipaggiati di sedili inglesi Martin-Baker A5A. Questi Cougar sopravvissero a lungo rispetto ai monoposto, tanto che vennero ufficialmente radiati nel '74, ma non tutti vennero messi a terra. Il Cougar era un apparecchio dall'aria piuttosto strana. Aveva una fusoliera tozza, un'ala con una pianta molto singolare e diversa da quella degli altri caccia con ala a freccia, mentre le superfici di coda al confronto sembravano minuscole. I piloti si addestravano con i Cougar per un paio di settimane, per esempio a Kingsville, dove era usato il calcolatore REST (Range, Endurance, Speed and Time), un regolo-calcolatore molto utile per calcolare l'autonomia dell'aereo alle varie condizioni. Vestiti di tutto punto, con tanto della complicata tuta anti-g, i piloti riuscivano a volare una decina d'ore su questi aerei in quelle due settimane, mentre oltre confine il sabato sera passavano a Nuova Laredo, viziosa cittadina messicana dove i 'gringos' andavano a divertirsi. C'era anche chi si divertiva meno. Capitava che qualche aereo cadesse per incidenti di volo, in genere per via di guasti al motore. Successe, per esempio, che pilota e istruttore si lanciassero subito dopo il decollo. Il secondo fece in tempo solo a dire 'ho-ho' e a ordinare il lancio. Che riuscì perfettamente, ma i due aviatori finirono su di un campo di cactus, cosa che nemmeno il Martin Baker poteva evitare. Per ragioni di prudenza, chi decollava dalle portaerei, all'epoca, tendeva a lasciare il tettuccio aperto, per saltare via meglio in caso di problemi. Il Cougar da addestramento, tra l'altro, conservava tutti i suoi 4 AIM-9 (A, poi B) e i due serbatoi, anche se non aveva più due dei cannoni. L'eccellente agilità e la velocità a bassa quota diedero qualche soddisfazione a questo tozzo cacciatore, che inizialmente era nel colore blu-scuro tipico dell'USN, poi per lo più in bianco o grigio chiaro. I Cougar rimasero anche nella mente e nel cuore degli appassionati di aviazione, grazie alla loro militanza nei Blue Angels. Sebbene superati ben presto, i Cougar risultarono importanti per l'USN, almeno fin verso la fine degli anni '50. Non avendo però preso parte né alla guerra di Corea né, oramai invecchiati, a quella del Vietnam, i Cougar non ebbero un grosso impatto sulla storia aeronautica e finirono confusi nella congerie di altri tipi da caccia apparsi nell'USN, all'affannosa rincorsa dell'USAF nel settore dei caccia supersonici. F9F, F10F, F11, F4D, F3H, F-8, fino ad arrivare ad una clamorosa vittoria con l'F-4, adottato poi anche da una sconcertata USAF, i cui 'serie 100' sembravano assicurarle una superiorità duratura. Nel frattempo venne progettato anche l''''F10F Jaguar''', del 1952, che non è mai entrato in servizio operativo nonostante la sigla assegnatagli, ma nondimeno è stato importante poiché rappresenta il primo caccia navale con ala a geometria variabile. Questo lontano antenato dell'F-14 Tomcat aveva un'ala con freccia variabile tra i 13 e i 42 gradi, ma la difficoltà di riequilibrare il baricentro in base alla variazione della freccia rendeva praticamente impossibile usare in ruoli operativi tale ritrovato tecnico, e il prototipo del Jaguar restò effettivamente un esemplare unico. [[Immagine:F11f grumman tiger.jpg|300px|left|thumb|]] Chi ricorda oggi che, se le alcune scelte fossero state diverse, adesso i libri di storia aeronautica sarebbero pieni di foto di un caccia dal grosso muso e dalla fusoliera slanciata, mentre di un altro vecchio caccia dalla coda a T vi sarebbero solo qualche foto e ricordo sbiaditi, noti giusto agli appassionati di storia aeronautica? Eppure, questa 'storia alternativa' arrivò ad un passo dal realizzarsi. Il protagonista perdente è un altro caccia della Grumman. E procedendo con ordine prima è bene parlare delle sue origini. Il Grumman F11F Tiger, ridenominato F-11 dopo il 1962, era uno dei tanti caccia navali statunitensi degli anni '50, ma la cui fusoliera era disegnata con la regola delle aree per diminuire la resistenza in regime transonico. Il Tiger venne progettato dalla Grumman e ci si potrebbe chiedere il perché, visto che appena poco prima venne progettato il Cougar. Ma mentre il Cougar era una macchina di 'adattamento' del fin troppo robusto Panther, il Tiger, progettato dal 1952, era un caccia molto più raffinato, con la regola delle aree, e con un motore J65. L'ala era più sottile, i piani di coda bassi. Tutto sommato, non era tanto diverso da quello che divenne poi il Mirage F.1. Ordinato nel 1953, volò nel luglio 1954 come YF9F-9, e presto ribattezzato Tiger, venne ordinato in una versione con postbruciatore. Le consegne di 199 macchine vennero iniziate nel 1957, e gli ultimi 157 avevano muso lungo, per la predisposizione per un radar che solo raramente venne installato. Nonostante fosse il primo caccia (moderatamente) supersonico in servizio su portaerei, venne rapidamente superato dagli eventi, anche se viene ricordato per le sue belle esibizioni nella pattuglia acrobatica dei Blue Angels, in cui militò per diversi anni. Ma il suo problema era la concorrenza con il F-8 Crusader, che entrò in servizio proprio in quegli anni. Il Crusader era meno maneggevole e a livello del mare, per quanto possa sembrare strano, anche più lento. Ma saliva molto meglio e in quota era 480 km/h più veloce. Il Tiger rimase quindi in servizio solo per 4 anni nelle unità di prima linea. La sua carriera, nella versione base finì lì. Ma la Grumman intese produrre la versione F11F-1F che era dotata di un motore J79. Gli studi iniziarono nel 1955 e l'aereo volò nel 1956. La nuova macchina era riprogettata quel tanto che bastava per il nuovo motore, per esempio con prese d'aria più grandi visto che la spinta raggiungeva ora i 6.800 kgs. La macchina raggiunse subito mach 1.44, ma non era che l'inizio. Successivamente arrivò a mach 2.04 e segnò un record di quota a 78.000+ piedi, che era quello misurato in maniera ufficiale: in realtà era riuscito ad arrivare anche a 80.000 piedi, ovvero oltre 24.000 metri. Non meno di 7 nazioni tra cui Germania, Canada e Giappone (forse il più interessato) provarono il 'Super Tiger' tra il 1956 e il 1959, ma ognuna, 'stranamente', alla fine scelsero l'F-104. Va notato che i canadesi avrebbero preferito il Phantom, ma costava troppo. I piloti canadesi allora avrebbero scelto l'F-11F-1F, ma i politici intervennero decidendo per l'F-104, forse in base a una migliore resa economica dell'accordo con la Lochkeed e in definitiva,cedendo alle sue pressioni. Chissà se il Super Tiger era superiore anche all'F-104: di sicuro ''non'' avrebbe presentato i problemi di controllabilità in certe condizioni di volo che esigettero la vita di centinaia di piloti, per cui in termini di sicurezza non fu certo un guadagno. La Marina americana, invece, concluse che l'aereo pesava troppo per l'impiego imbarcato e non lo adottò: d'altro canto, anche qui scalzare il Crusader sarebbe stato difficile, visto che questo era già in produzione ed un ottimo apparecchio di suo. Così finì mestamente la carriera del Tiger, che avrebbe meritato nel suo epigono di contrastare almeno con alcuni successi il dominio di quella macchina eccezionale ma discussa e discutibile che era il '104. '''Dati basici aerei''' Grumman F7(1), F8(2), F9 Phanter(3), F9F Cougar(4), F10(5), F11(6): *Primo volo: (1)dicembre 1943, (2)21 agosto 1944, (3)24 novembre 1947,(4) 20 settembre 1951, (5)19 maggio 1952, (6) 30 luglio 1954 *Entrata in servizio: (1)aprile 1944, *Esemplari costruiti: (1)363, (2)1.266,(3)3.414, (6)201 *Dimensioni: :(1)lunghezza 13,83, m, apertura alare 15,70, m, altezza 5,05, m, superficie alare 42,27 m2 :(2)lunghezza 8,43 m, apertura alare 10,82 m, altezza 4,23 m, superficie alare 22,67 m² :(3)lunghezza 11,35 m, apertura alare 11,58 m, altezza 3,45 m, superficie alare 23,22 m :(4)lunghezza 12,9 m, apertura alare 10,5 m, altezza 3,7 m, superficie alare 31,3 m² :(5)lunghezza 17,01 m, apertura alare 15,42-11,17m, altezza 4,95 m, superficie alare 43,38-41,8 m2 :(6) lunghezza 14,31 m, apertura alare 9,64 m, altezza 4,03 m, superficie alare 23,23 m² *Peso: (1) 7.380-11.665 kg,(2)3.207-5.873 kg, (3) 4.533-8.845 kg (4)5.382-11.232 kg, (5)9.265-16.080 kg, (6) 6.090-10.052 kg *Propulsione: (1) 2 P&W R-2800-34W Double Wasp, 2.129 hp, (2) 1 R-2800-22W Double Wasp, 2.129 CV, (3)un turbogetto Pratt & Whitney J42-P-8, 2.856 kg/s, (4) un turbogetto Pratt & Whitney J48-P-8A da 32kN, (5) 1 turbogetto Westinghouse XJ40-W-8, 30,2 kN, (6)1 turbogetto Wright J65-W-18 da 3.379 kg/s *Prestazioni: :(1) velocità max. 700 km/h, autonomia 2.570 km, tangenza 12.400 m :(2) vm.689 km/h, autonomia 2.279 km, tangenza 10.575 m :(3) vm. 932 km/h, autonomia 2.177 km, tangenza 13.000 m :(4) vm. 1.041 km/h, autonomia 2.111 km, tangenza 12.800 m :(5) vm. 1.136 km/h, autonomia 2.672 km :(6) vm. 1207 km/h, autonomia 2.044 km, tangenza 12.770 m *Armamento: :(1) 4x12,7 mm,4x20 mm, 908 kg :(2) 4x12,7 mm, fino a 908 kg di bombe e razzi :(3) 4x20 mm, 908 kg di bombe o razzi :(4) 4 M2x20 mm, 2 da 454 kg o 4 AIM-9 Sidewinder o 6 razzi da 127 mm :(5) :(6)4 da 20 mm, 4 AIM-9 Sidewinder Il McDonnell FH-1 Phantom viene ricordato soprattutto per essere stato il primo jet da caccia navale. Nonostante disponesse di due motori (il prototipo, quando eseguì il primo volo nel '46, ne possedeva solo 1 perché era l'unico disponibile) Westinghouse 19XB-2B da 530 kgs, la sua potenza era decisamente inaccettabile. Entrò in servizio nel 1948 con motori potenziati e un ordine per 100 esemplari, ridotti poi a 60; fu il primo della genia dei caccia McDonnell, e date le sue carenze, fu subito seguito dal progetto migliorato F2F Banshee, usato in Corea. Era abbastanza veloce, ma nell'insieme molto lontano da una operatività pienamente soddisfacente (autonomia, salita, potenza di fuoco ecc). Comunque fu il primo jet ad eseguire operazioni su portaerei, aiutato dalla sua ampia ala diritta. *Primo volo : 26 gennaio 1945 *Entrata in servizio: maggio 1948 *Costruttore: McDonnell *Esemplari costruiti: 62 *Dimensioni: lunghezza 11,35 m apertura alare 12,42 m, altezza 4,32 m, superficie alare 25,64 m² *Peso: 3.030 kg-5.460 kg *Propulsione: due turbogetti Westinghouse J30-WE-20, 726 kg/s *Prestazioni: velocità massima 771 km/h, autonomia 1.300 km, tangenza 12.500 m *Armamento: 4 x 12,7 mm [[Immagine:McDonnell F2H Navy.jpg|360px|left|thumb|]] Il McDonnell F2H Banshee era un aereo da caccia imbarcato statunitense impiegato dalla seconda metà degli anni '40 fino al 1962, anno in cui gli ultimi *Esemplari vennero ritirati da parte della marina canadese. L'F2H è stato uno dei velivoli più impiegati nella guerra di Corea, un derivato del precedente F1H Phantom, ma con un motore in grado di erogare molta più spinta che certo gli serviva, visto che pesava circa il doppio. Nonostante i suoi due motori, non era molto migliore del Panther quanto a velocità, e la sua ala diritta non consentiva certo prestazioni comparabili con quelle dei MiG e degli F-86. Volò con i J34 da 1.361 kgs e arrivarono consegne per 56 aerei F2H-1, a partire dal marzo 1949 e quindi in diretta concorrenza con i Panther. Arrivarono anche 14 F2H-2N da caccia notturna, 58 -2P da ricognizione, altri 364 F2H-2 avevano fusoliera più lunga e carburante aggiuntivo, nonché motori potenziati e 250 F2H-3 con radar da intercettazione con motori potenziati. Infine i 150 F2H-4 avevano motori J34 da 1.600 kgs. Anche se Durante la guerra in Corea, venne impiegato anche come cacciabombardiere e caccia notturno. In effetti, seppure più lento e decisamente più pesante del Panther, il Banshee fu il primo caccia monoposto con capacità ognitempo tra i jet dell'US Navy, e questa era la principale innovazione. *Primo volo: 11 gennaio 1947 *Entrata in servizio: agosto 1948 *Costruttore: McDonnell *Esemplari costruiti: 893 *Dimensioni: lunghezza 14,68 m apertura alare 12,73 m, altezza 4,42 m, superficie alare 27,31 m² *Peso: 5.980 kg-11.435 kg *Propulsione: due turbogetti Westinghouse J34-WE-34, 1.474 kg/s *Prestazioni: velocità massima 933 km/h, autonomia 1.880 km, tangenza 14.200 m *Armamento: 4 da 20 mm, bombe fino a 454 kg [[Immagine:F3-demon.jpg|320px|left|thumb|]] Il McDonnell F3H Demon, dal 1962 denominato F-3, era un aereo da caccia imbarcato di costruzione statunitense impiegato tra il 1954 e il 1964. Era un velivolo che inizialmente non disponeva di abbastanza potenza per il motore (6 tonnellate) contro il peso massimo al decollo (15 tonnellate); fu comunque importante guadagnare esperienza nelle tecnologie avanzate, come ad esempio i primi missili AIM-7 Sparrow delle primissime versioni, radar di controllo del tiro relativamente avanzati, e in generale una tecnica costruttiva moderna per la cellula. Lo sviluppo iniziò nel 1949 come macchina del tutto paragonabile ai migliori caccia terrestri. La sua progettazione era moderna, ma si affidava all'infame turbogetto J40 e questo significò pagarla cara in termini di successo. Il prototipo volò con un XJ40-WE-24 da 3.265 kgs, poi avrebbe dovuto arrivare il sottomodello -40 più potente, ma ci si dovette accontentare del tipo -22 da 3.265 kgs per i primi 56 F3H-1. Dotato poi dell' Allison J71 venne prodotto in 239 esemplari F3H-2 e poi 80 -2M con 4 missili Sparrow III e 144 -3H-2N con 4 AIM-9B, tutti dotati di radar APG-51. L'aereo volava piuttosto bene, ma il decollo dalle portaerei era piuttosto sconcertante per i suoi piloti, con una potenza ridotta persino con i J71. Bisognava trovare un sistema propulsivo doppio, e questo sarebbe stato fatto con un modello di ben maggior successo, figlio dell'esperienza del Demon e del Vodoo (l'F-101 dell'USAF): l'F-4 Phantom II. *Primo volo : 7 agosto 1951 *Entrata in servizio: gennaio 1954 *Costruttore: McDonnell *Esemplari costruiti: 519 *Dimensioni: lunghezza 17,96 m apertura alare 10,77 m, altezza 4,44 m, superficie alare 48,22 m² *Peso: 10.040 kg -15.377 kg *Propulsione: due turbogetti Allison J71-A-2E, 6.350 kg/s *Prestazioni: velocità massima 1.041 km/h, autonomia 2.200 km, tangenza 13.000 m *Armamento: 4 da 20 mm, bombe fino a 2.720 kg [[Immagine:FJ-4B-Fury.jpg|320px|left|thumb|]] Il North American '''FJ Fury''' era la versione imbarcata dell'F-86 Sabre terrestre, chiudendo un circolo in quanto anche il F-86 era derivato da un originario progetto navale, l'FJ-1. Rimase simile al modello terrestre fino all'introduzione del modello FJ-4, totalmente rinnovato e simile all'F-100 coevo. Volò già, nella forma XFJ-1, nel novembre 1946, con tre prototipi seguiti da 30 FJ-1. Tutte queste macchine avevano l'ala diritta e in sostanza erano il tentativo della North American, dopo il fallito assalto col P-51 contro il Corsair, di introdurre un caccia di propria concezione con l'US Navy. Questi aerei avevano discrete prestazioni con 880 km/h a 2.750 m. Fu un successo limitato da alcuni problemi di raggio utile e altro (nondimeno, batterono in una competizione gli F-80C), ma aprì la strada all'F-86 con ala a freccia. E col ritorno di questo alla Marina, il cerchio si chiuse. Infatti vennero ordinati 3 prototipi e 200 esemplari dell'FJ-2, armato con 4 cannoni da 20 mm. Avevano motore J47 da 2700 kgs ma pur potendo operare da portaerei, non erano destinati alla Marina, ma ai Marines. Questo perché il Cougar divenne nel frattempo disponibile: meno veloce in volo rettilineo, ma per le operazioni su portaerei era molto migliore. Inoltre l'ala 6-3 non era gradita perché, pur migliorando le prestazioni ad alta velocità, causava un degrado serio quando si trattava di atterrare (fatto decisivo per una macchina imbarcata). Seguirono 583 FJ-3 con motori Wright J65-W-2 da 3.470 kgs (i Bristol Sapphire), e pur avendo problemi di affidabilità dei motori avevano una potenza esuberante e potevano combattere con successo con gli altri caccia americani dell'epoca. Entrarono in servizio nel 1954 e stavolta anche come macchine navali, grazie a sistemi migliorati per il controllo a bassa velocità. Infine arrivarono i 374 FJ-4 con motori potenziati e fusoliera che anticipava quella dell'F-100. Avevano il 50% in più di carburante, lo stesso motore, e dopo i primi esemplari, nel sottotipo -4B la possibilità di portare fino a 4 AIM-9 o addirittura 5 AGM-12 Bullpup, nonché di eseguire attacchi nucleari. Presero servizio nel 1957 e ci rimasero, a parte i reparti di riserva, fino al 1962. Nemmeno loro combatterono mai una guerra reale. *Primo volo 11 settembre 1946 *Entrata in servizio ottobre 1947 *Costruttore North American *Esemplari costruiti 1.115 *Dimensioni: lunghezza 11.1 m, apertura alare 11.9 m, altezza 4,2 m, superficie alare 31,46 m² *Peso: 5.992-10.750 kg *Propulsione: un turbogetto Wright J65-W-16A da 34 kN *Prestazioni: velocità massima 1.090 km/h a 10.670 m, autonomia 3.250 km con due serbatoi da 760 litri e due AIM-9, tangenza 14.300 m *Armamento: 4 da 20 mm, bombe fino a 1.360 kg di carico bellico, fino a 4 AIM-9 Sidewinder Rimase in servizio di prima linea fino al 1962, poi in linea con reparti secondari per diversi anni ancora, ma non partecipò alla guerra del Vietnam. Il '''Vought F6U Pirate''' era un apparecchio da caccia pesante. Esso aveva un progetto tradizionale, con un motore J34 da 1.360 kgs posteriore e piccole prese d'aria nelle radici alari. Tre vennero ordinati nel 1944 e volarono nel 1946. Non esattamente un grande aereo, i 30 F6U-1 vennero consegnati nel 1949 con molti miglioramenti, a cominciare dal motore e dalla fusoliera più grande. Erano facili da riconoscere per la sagoma tozza, i piani di coda sulla trave che sosteneva la coda, in verità molto corta. I serbatoi alle estremità alari erano di grandi dimensioni, fatto piuttosto insolito per l'epoca. Un'altra versione fu un unico F6U-1P da ricognizione. L'unico elemento d'interesse tecnico del progetto era il postbruciatore Soar per il motore, anche se non aveva tutto sommato prestazioni particolarmente scarse. L'aereo scomparve presto dagli annali. *Equipaggio: 1 *Primo volo: ottobre 1946 *Costruttore: Douglas *Esemplari costruiti: 34 *Dimensioni: lunghezza 11,46 m, apertura alare 10,01 m, superficie alare 18,86 m² *Propulsione: 1 Westinghouse J34-WE-30 da 1.915 kgs *Peso: massimo 5.850 kg *Prestazioni: velocità massima 960 km/h, autonomia 1.850 km, tangenza 14.100 m *Armamento: 4 x 20 mm [[Immagine:F7U cutlass 1954.jpg|320px|left|thumb|]] Il '''Vought F7U Cutlass''' era un aereo straordinario ed avveniristico in termini sia tecnici che estetici. Tuttavia esso è poco noto, e la spiegazione verrà data qui sotto<ref>Ciampaglia, Giuseppe: ''F-8 Crusader'', Dic 09 p.82-89</ref>. La U era significativa della Vought, parte della United Aircrafts, così come il costruttore di motori PW, ma solo fino al '53, perché poi diverrà del tutto indipendente. Nel '61 divenne la LTV con l'unione con la Ling e Temco, nel '76 ritornò indipendente e nel '94 parte del gruppo Northrop-Grumman. La ditta produttrice era l'erede della Lewis & Vought Co. del 1917, fondata da Chauncey Milton Vought, che tra l'altro ebbe il brevetto di pilotaggio USA n.156. Si registrò però come 'Chance' (possibilità), ma la sua vita è poco conosciuta: purtroppo, nel 1930, a soli quarant'anni, morì di setticemia e non vide i grandi successi della sua ditta, che tra l'altro, per l'US Navy, costruì qualcosa come 245 SB-2U Vindicator, 1.628 ricognitori Kingfisher, e 12.571 F4U Corsair, così validi da essere posti fuori produzione solo nel '52. Ma già con la RPF del 1944 aveva pensato ai 'jet' con l'F-6U Pirate (primo volo: 10 novembre 1947), solo 65 ordinati e appena 30 prodotti (da qui la sostanziale irrilevanza operativa dell'aereo), e poi l'F-7U Cutlass (sciabola), ottimo aereo tecnicamente, realizzato per la RPF del '45, ma troppo complicato da gestire e con diversi problemi. In tutto ne vennero prodotti 3 protitipi XF7U, poi 14 di preserie F7U-1, e altri 180 F-7U-3, fino al '55; però la loro intrinseca pericolosità ne decretò la fine già nel '56. Il Cutlass era senza coda, ma con due piani verticali all'estremità di un'ala inclinata a 38 gradi, troppo propensa a cadere in stallo sotto i 20 gradi di AoA nelle manovre a bassa velocità: per operare dalle portaerei c'era bisogno di qualcosa di migliore, decisamente. Per giunta, il decollo e l'atterraggio erano per questo imposti con un'angolazione molto cabrata grazie al ruotino anteriore decisamente lungo: la visuale, malgrado il corto muso, era insufficiente. Talvolta, l'assenza di visibilità era tale, che si verificavano pericolosi incidenti. Per esempio, l'appontaggio era tanto duro, che alle volte il carrello si staccava dai perni e colpiva il pilota, che era seduto sopra! Essere battezzato 'Ensign eliminator' (eliminatore di guardiamarina) non era certo un motivo d'orgoglio per la 'sciabola'. Se avesse operato da terra, molte delle problematiche sarebbero state risolte, ma non era il caso sui ponti di volo delle pur grandi portaerei americane; nonostante esso avesse due motori come il Banshee, ben il 25% dei Cutlass venne perso in incidenti durante appena 3 anni di servizio, e successivamente venne ritirato. *Equipaggio: 1 *Primo volo: 29 settembre 1948 *Costruttore: Vought *Esemplari costruiti: 197 (ma esistono stime maggiori). *Dimensioni: lunghezza 13,49 m, apertura alare 12,12 m, altezza 5,37 m, superficie alare 49,70 m² *Peso: 8.260-15.875 kg *Propulsione: due turbogetti Westinghouse J46-WE-8A da 2630 kg/s *Prestazioni: velocità massima 1120 km/h, autonomia 1310 km, tangenza 14100 m *Armamento: 4 da 20 mm Le versioni prodotte furono i 3 XF7U del 1948, i primi 14 F7U-1, 88 F7U-2 vennero cancellati per difficoltà al motore, ma poi, dopo estese riprogettazioni questi apparecchi vennero ripresi in considerazion con ordini per 193 F7U-3 e 98 F7U-3M di cui 48 con compatibilità per i missili Sparrow I e 12 -3P ricognitori. Privo di piani orizzontali di coda, con ala a freccia a corda larga e i motori sistemati in un arrangiamento compatto tra i due piani di coda verticali, il Cutlass era veloce ma carente di affidabilità e con un'esigenza di manutenzione troppo elevata, come anche il peso al decollo, di ben 14.365 kg, troppo anche per i due potenti motori J46 da 2,6 tonnellate di spinta. Il Cougar e l'FJ Fury ebbero molto più successo nell'ambito della prima generazione di caccia navali a freccia e l'F7U venne radiato senza rimpianti. Un altro aero d'interesse era il '''Douglas F3D Skyknight''', che era un intercettore notturno, nonché una macchina che diede il là, con la sua struttura, anche al successivo A-3 da bombardamento-ricognizione. Nacque da una specifica del 1946 e si distingueva per i due motori J34-WE-22 da 1.361 kgs sistemati sotto le ali, in posizione ventrale, mentre la fusoliera era abbastanza larga per permettere piloti affiancati. *Equipaggio: 2 *Primo volo: marzo 1948 *Entrata in servizio: *Costruttore: Douglas *Esemplari costruiti: *Dimensioni: lunghezza 13.87 m, apertura alare 15.24 m, superficie alare 37.16 m² *Peso: 11.960 kg *Propulsione: due turbogetti Westinghouse J34-WE-36 da 1.525 kg/s *Prestazioni: velocità massima 795 km/h a 10.700 m, autonomia 2.220 km, tangenza 11.20 m *Armamento: 4 da 20 mm Il primo modello fu l'F3D-1 con 28 aerei costruiti, in servizio dal febbraio 1951. Altri 237 erano F3D-2 per il solo US Marine Corps, inizialmente dotati di potenti J46 da 2t di spinta, poi cambiati perché andarono fuori produzione. Vi era anche una versione con ala a freccia, l'F3D-3, ma non entrò mai in produzione e ancora nel 1962 vi erano apparecchi di questo tipo, ridisegnati F-10, ovvero l'ultimo dei 'teen fighters'. Come curiosità, bisogna dire che il caccia, per quanto sottopotenziato, riuscì ad abbattere più aerei di qualunque altro apparecchio navale in Corea. Questo fu dovuto non certo a prestazioni eccelse, ma perché venne utilizzato come caccia notturno per la scorta ai bombardieri B-29, dopo che gli F-94 ebbero fallito sostanzialmente nell'intento. Siccome l'F3D aveva un radar con copertura angolare e portata molto maggiori, questo ebbe invece successo pur con prestazioni assolutamente mediocri. Per primo abbatté un raro Yak-15, poi seguirono altre vittorie, abbastanza per fornire una discreta protezione ai bombardieri dai pochi intercettori notturni comunisti. In seguito gli F3D vennero utilizzati anche come macchine ECM, verso la fine della loro carriera e in questo senso somigliano più all'A-3 che ad un caccia vero e proprio. ===L'era supersonica=== ====Crusader==== [[Immagine:Vought RF-8A Crusader of VFP-63 in flight, circa in 1962 (6430102).jpg|360px|left|thumb|Un RF-8A in atterraggio, qui mostra la sua specialità, l'ala a geometria variabile]]L''''F-8 Crusader''', prodotto dalla LTV (Ling-Temco-Vought) e ottimo caccia dei tardi anni '50, è stato il primo vero supersonico dell'US Navy, e dunque, una pietra miliare della sua storia. Dopo l'esperienza della Corea, dove i caccia della Marina erano decisamente superati, c'era bisogno di un 'colpo di reni' per rimettersi in carreggiata nell'era del massimo sviluppo aeronautico, e così fu. Il Bu.Aer (Naval Bureau of Aeronautics) emise un'apposita RPF (Request for proposal) nel settembre 1952, la quale specificava le prestazioni necessarie: con almeno mach 1,2 a 30.000 ft (9.145 m), essa richiedeva un aereo capace di sostituire l'avanzato ma non propriamente riuscito F7U Cutlass, e ben otto concorrenti -all'epoca la 'rosa' di costruttori capaci di operare ai livelli richiesti era ancora molto ampia- si fecero sotto con ben 21 o 22 progetti, tra cui il N.A. NA-211 Super Fury, ovvero l'F-100 navalizzato, e il McDonnel F3H-G (il diretto avo del Phantom II), un Douglas Skyray potenziato, un G.98 Tiger e così via. Il 26 aprile 1953 venne scelto il Tiger, inizialmente noto come XF9F-8/9, dopotutto era pur sempre un esponente della 'dinastia' Grumman, poi giustamente ribattezzato F11F in quanto profondamente diverso anche rispetto al Cougar. Quest'aereo fu ordinato fuori concorso, ma fu lo stesso un successo nonché il primo aereo da mach 1 dell'USN. Ma i veri finalisti furono l'F-100 e il progetto V-383, poi XF8U-1 Crusader, che venne dichiarato vincente nel maggio del '53 e il 29 giugno ordinato in due prototipi. Il vantaggio sull'F-100 era d'essere un progetto del tutto nuovo, con il motore PW JT3C Turbo Wasp ovvero il J57; e non meno utile, un'ala a incidenza variabile tramite un martinetto idraulico. Il primo dei due uscì di fabbrica nel febbraio del '55 e volò il 25 marzo. Il pilota era J. Konrad e il primo volo durò ben 52 minuti. Già in quel debutto l'F8U arrivò a mach 1, azionando il postbruciatore che sprigionava 6.575 kgs (il motore era il J57-P-11). Il secondo prototipo volò il 30 settembre successivo, e già nel '56 ebbero luogo le prove con l'USS Forrestal in mare. Il 28 dicembre vennero ordinati 42 F8U-1 di serie, ma anche 145 in opzione e il prototipo F8U-1P da ricognizione. Come si vede, si era ancora legati a denominazioni e classificazioni eredi della II GM, superate solo nel '62. Durante uno dei test di volo, uno degli YF8U-1 ebbe un problema in manovra, cadendo in vite orizzontale, ma il collaudatore riuscì a salvare la macchina. Per la prima volta, tra l'altro, questa aveva dei trasmettitori di dati telemetrici a terra, anziché una macchina che periodicamente fotografava il pannello strumenti. La ditta riuscì a modificare presto l'aereo per garantirne l'integrità strutturale in caso di manovre difficili, e a sviluppare manovre per aiutare i piloti a liberarsi di situazioni difficili che si potevano presentare in volo. L'aereo divenne presto molto soddisfacente, tanto che il 21 agosto 1956 un F8U-1 arrivò a 1.634 km/h su di una tratta di 15 km, 'fregando' l'F-100C, il che valse il Thomson Trophy' del '56. Gli F8U-1 potevano arrivare anche a 1.770 km/h, che all'epoca era di poco inferiore al Fairey Delta inglese, un aereo sperimentale da 1.822 km/h; ma l'USN volle mantenere segreta quella velocità, che poneva l'F-8 più come un equivalente dell'F-104 che dell'F-100. Il 16 giugno del '57, poi, due F8U decollarono dalla USS B.H.Richard, del Pacifico, si rifornirono in volo da un AJ-2 Savage a mezza strada, e arrivarono sulla USS Saratoga, nell'Atlantico, dopo avere percorso tutto il continente americano in appena 3 ore e 28 minuti. Già il 21 marzo 1957 il Crusader iniziò l'attività con i VF-32 e VF(AW)-3. All'inizio del '58 gli F8U-1 erano già pienamente operativi: pochi anni bastarono per risolvere i tanti problemi di 'dentizione' che un programma simile poteva incontrare. Dal 18 settembre del '62 venne ridenominato F-8. Per ottenere le prestazioni richieste e anche la capacità di operare in relativa sicurezza, venne posto allo studio (da parte del team di John Clark) un'ala con freccia di 42 gradi, ma con struttura a cassone su cinque longheroni, che si alzava con un pistone idraulico-pneumatico di sette gradi, così l'ala, con un diedro negativo di cinque gradi, era alzata senza dover fare lo stesso con la fusoliera; in decollo si otteneva così maggiore portanza, e in volo l'aereo semplicemente abbassava il pistone, alzando la fusoliera (in aria, infatti, era l'ala che restava 'fissa'), e così l'aereo tornava 'normale'. Il piccolo muso aiutava poi la visuale verso l'avanti e il basso; d'altro canto l'ala alta non facilitava la visuale posteriore, ma in realtà non dava fastidio perché sotto non c'erano piloni e soprattutto, la posizione dell'ala era molto lontana nella lunga fusoliera, dall'abitacolo, particolarmente in avanti. Per giunta, la presa d'aria era sotto il muso, quindi il pilota quasi non si accorgeva che vi fosse. I sistemi di sostentazione erano molto sofisticati, per ottenere la necessaria portanza pur con un'ala piccola: flaperoni e alettoni erano aiutati dagli slat, e tutti insieme si potevano inclinare di 25 gradi, e i flap potevano scendere di altri sette gradi verso il basso; le semiali esterne erano inoltre provviste di una corda più lunga, grazie all'impiego dei 'denti di cane' (come sul Phantom, insomma). L'estremità delle stesse era ripiegabile verso l'alto idraulicamente. Infine gli stabilizzatori orizzontali erano dei 'taileroni', interamente mobili; la fusoliera introduceva la 'regola delle aree', così importante negli anni '50 per migliorare la finezza durante l'accelerazione transonica; nel muso v'era il radar telemetrico APG-30. Il sedile era di disegno Vought, e il motore, il J-57, era lo stesso dell'F-100 e del B-52, e data la fusoliera molto stretta, per dissipare il calore della potente unità motrice la parte posteriore dell'aereo era realizzata in titanio, più resistente alle sollecitazioni, anche meccaniche, del J-57. [[File:NASA F-8A Crusader Supercritical Wing Aircraft - GPN-2000-002001.jpg|350px|right|thumb|Il più elegante di tutti gli F-8, l'NF-8A qui ritratto con una nuova ala supercritica]] L'F-8, quando ancora si chiamava F8U-1, entrò in servizio nel reparto sperimentale VX-3, che cominciò a riceverne nel dicembre del '56, praticamente coevo del programma F-104 dell'USAF. La USS Forrestal, altrettanto nuova, servì per i test in mare, terminati già nell'aprile del '56. Poi seguì il VF-32 della NAS Cecil Field, dal marzo del '57, e poi VF-154. 211. 142. 143 e VF(AW)-3. Toccò ai Marines del VFM-122 l'onore di avere il loro primo, vero caccia supersonico, dal dicembre del '57. Insomma, quest'aereo si diffuse rapidamente in servizio operativo nel '57, tanto che poco dopo arrivarono anche i VMF-312, 333 e 334. Presto seguirono i dispiegamenti operativi con l'USS Hancock nel Pacifico (VF-154) e della Saratoga (VF-32) in Atlantico. Tanto fu rapida tale transizione, che già nel luglio 1958 si ebbe il primo impiego concreto, quello del supporto allo sbarco in Libano del luglio del '58. All'epoca nel mondo c'era solo uno sparuto numero di caccia da mach 2 F-104A e B, che presto avrebbero fatto a loro volta la comparsa su Taiwan per assicurazione contro la minaccia cinese. Per ora, il VF-32 fu l'unico reparto di jet supersonici dispiegato in azione. C'erano già gli F-100 e MiG-19, ma nessuno dei due si avvicinava a mach 2 come il Crusader. Presto seguirono i tipi migliorati, come l'F8U-1P con il VFP-61 della USS Midway, che aveva ricevuto i primi aerei già nel settembre del '57. Questo era un ricognitore tattico che volò spesso sopra Cuba durante la Crisi dei missili, con il VFP-62 della Navy e il VMCJ-2 dell'USMC di Cecil Field, in genere con due voli giornalieri. Le versioni del Crusader, macchina snella più simile all'F-104 che all'F-100, furono diverse. Il primo XF8U-1 (138899) ebbe il J57P-1 da 4.944-6.577 kgs, Il secondo dei prototipi XF8U-1 aveva il motore J57-P-4 da 7.250 kgs (con 5.906 litri o 1.300 galloni di carburante, nei serbatoi della fusoliera centrale e nelle ali), con un'autonomia che, nonostante l'assenza di serbatoi subalari, arrivava a oltre tre ore (a tutto vantaggio anche della velocità effettiva dell'F-8), per il resto c'era un pacco di 32 razzi FFAR da 70 mm, che richiedevano l'impiego dell'aerofreno e l'elevazione della fusoliera di 3 gradi sull'asse di beccheggio prima d'essere usati (sia contro bombardieri, ma anche contro obiettivi di superficie); quattro cannoni Colt-Browning Mk.12 e una turbinetta Marquandt erano presenti nel muso e parte centrale della fusoliera, mentre due rotaie di lancio per gli allora nuovissimi AIM-9 Sidewinder modello B erano sui fianchi. Il primo dei due prototipi volò il 25 marzo 1955 e fu soddisfacente per l'USN. Successivamente, l'F8U-1, poi F-8A, ebbe il -P-12 da 7.350 kgs, sostituito successivamente (dopo i primi 50)dal -P-4A da 4.950- 7.348 kgs. Il fatto che avessero buona autonomia venne ulteriormente esaltato dalla sonda per l'IFR, sul lato sinistro della fusoliera. In tutto ne vennero realizzati 318, prodotti dal 20 settembre 1955 (data dell'uscita di fabbrica del primo) al ritmo di otto al mese nella fabbrica di Dallas; molti dei quali poi diventati direttori di teleguidati DF-8A (già prima del '62, infatti erano noti anche come F8U-1D) e teleguidati F-8U-1KD (poi QF-8A). Uno diverrà anche l'NF-8A della NASA, per ricerche ad alta velocità. L'F8U-1P era il ricognitore, poi diventato '''RF-8A'''; aveva cinque camere nel muso tra CAX-12 laterali e K-17, ma nessun armamento; motore come gli ultimi F-8A; ottenuto dal 32imo esemplare di serie, che ebbe rimosso radar e armi in cambio di un muso più squadrato, con tre fotocamere laterali CAX-12, due K-17 verticali, e una cinepresa da 16 mm; primo volo 17 dicembre 1956, velocità max 1,63 mach, costruiti 143 più il prototipo. Caratterizzato da una certa ingobbatura, ebbe qualche problema di stabilità laterale e così alcuni ebbero due pinne ventrali, estese poi a tutti gli altri F-8. Essendo veloce, l'F8U-1P pilotato da J.Glenn, il primo astronauta americano, volò tra L.A. e N.Y. in appena 3 ore e 23 minuti, media 1.167 km/h, e questo scattando anche molte riprese aeree durante il volo. La resistenza aerodinamica dell'F-8 era chiaramente molto bassa, e senza carichi esterni, salire e accelerare era facile, specie per macchine disarmate. L'XF8U-1T era il biposto d'addestramento, il 74imo F8U-1 modificato (143710), volò solo il 6 febbraio 1962, ma il programma venne cancellato. Era privo di lanciarazzi ma con un abitacolo dietro quello di pilotaggio, mentre due dei quattro cannoni erano rimossi. L'istruttore, seduto dietro, aveva un abitacolo più alto di 38 cm (15 pollici), e per questo, l'aereo era noto come 'Twosader'. Non ebbe storia, malgrado il bisogno di una simile macchina per l'addestramento, allorché venne cancellato dai tagli per il FY '64. Interessava in particolare la marina francese, che richiese solo sei esemplari e non li ebbe mai. La Vought ebbe anche modo di offrirlo alla Gran Bretagna, con motore R.R. Spey, ma purtroppo per lei, la Royal Navy scelse il pur più costoso F-4K. L'F-8U-1E o '''F-8B''' era la seconda grande serie del tipo cacciabombardiere. Mentre la prima era pressoché priva di capacità ognitempo, il che le dava il principale limite d'impiego, questa aveva con il radar AN/APS-67; E sta per 'Electronic Equipment', e si riferiva al radar di scoperta aerea e di controllo del tiro; volò il 3 settembre 1958 e ne vennero costruiti 130, con prestazioni analoghe a quelle dell'F8U-1. L'F8U-2 ('''F-8C''') Crusader II (nome non accettato dai militari), era estesamente riprogettata con il radar Magnavox AN/APQ-83 ( -76, dipende dalle fonti), motore J57P-16 da 4,853/7,665 t di spinta, volò per la prima volta nel dicembre del '57, seguito da un secondo prototipo, anch'esso un F8U-1 modificato, che volò nel gennaio 1958, l'agosto successivo arrivarono gli aerei di serie. Estremità alari ridotte di 15 cm, prese d'aria ausiliarie verso coda, per raffreddare il postbruciatore di questo motore più potente, sedile Martin-Baker Mk.5 inglese e agganci a Y per missili AIM-9 doppi su ciascun lato (l'ala era invece del tutto 'libera', a tutto vantaggio dell'efficienza e dell'agilità di manovra). In tutto ne vennero realizzati 187, ma pare che almeno parte mantennero il precedente radar. La velocità dell'F-8C era superiore a quella degli altri tipi, con un massimo di mach 2, mach 1,7 come velocità continua. La produzione continuò fino al settembre del 1960. L'F8U-2N ('''F-8D''') ebbe finalmente l'abolizione dei razzi iperveloci retrattili FFAR da 70 mm, mentre l'avionica era finalmente ognitempo; lo sviluppo iniziò attorno al '57, e l'APQ-83 garantiva una portata utile di 37 km, unita ad una migliore automatizzazione; inoltre c'era l'IRST nel muso del tipo AAS-15, davanti al parabrezza. Dei razzi non ci fu grande rimpianto, perché alle volte non venivano lanciati e quando il contenitore ritornava in fusoliera, beh, poteva benissimo urtarli e farli esplodere. I Sidewinder, già adattati all'F-8C, vennero aumentati a quattro; per la prima volta c'erano anche gli AIM-9C a guida radar da 8 km con illuminatore radar Magnavox, questi Crusader furono gli unici con quest'armamento, e inoltre avevano un serbatoio aggiuntivo al posto dei razzi FFAR, per cui aumentava l'ammontare a 1.349 galloni (6.130 litri); i motori J57-P-20 da 4.853/8.165 kgs e come tale, poteva pareggiare la spinta con gli F-104S; come tale, era il più veloce degli F-8, con mach 1,86 mach o 1.976 km/h, anche se normalmente non si passava mach 1,7 dati i problemi di stabilità che l'aereo dimostrava. Il primo volo ebbe luogo il 16 febbraio 1960 e ne vennero costruiti 152 fino al gennaio 1962, di cui uno portato poi come NF-8D per la NASA. L'F8U-2NE ('''F-8E'''), la prima 'ognitempo' vera e propria (pensate a quanti passaggi si dovette assistere prima di questa definizione..), e capacità d'attacco al suolo: radar Magnavox AN/APQ-94 e un FLIR AN/AAS-15 con missili AGM-12 Bullpup e carichi complessivi di 2.270 kg, motore J57-P-20A. Primo volo 30 giugno 1961, e ne vennero realizzati 286. [[File:F-8E VMFAW-235 DaNang Apr1966.jpg|350px|right|thumb|L'elegante F-8 mostra la sua caratteristica ala a profilo variabile]] Il vero F-8 'maturo' fu, un po' come per il Phantom, la 5a versione principale, inizialmente nota come F8U-2NE, miglioramento dell' F8U-2N con un radar APQ-94 dal radome ingrandito che conferiva capacità ognitempo, prima a quanto pare limitate o assenti in quanto sacrificate alle prestazioni. Con il nuovo radar, c'era una portata garantita fino a circa 110 km contro grossi bombardieri, davvero molto per un'unità così compatta, anche se il radome era più grande per ospitarne l'antenna. C'era anche un IRST sopra l'antenna, che serviva in realtà solo per l'acquisizione bersagli per i missili Sidewinder, un attrezzo di ridotta portata un po' come quello sugli F-104S (3-5 km), abolito con l'adozione dei Sidewinder L dal ben maggiore livello di sensibilità con il loro sensore di bordo. C'erano anche i sistemi di guida radio per gli AGM-12 Bullpup, missile tattico prodotto in gran numero, ma con varie limitazioni dovute al sistema di guida radiocomandato che lo fecero negli anni successivi sostituire senza rimpianti dal Maverick, stavolta di tipo 'lancia e dimentica' ovvero autoguidato. L'F-8 non lo ebbe mai e raramente usò il Bullpup, piuttosto con la sua capacità di attacco al suolo la versione E poteva vantare la rara capacità per l'epoca di portare 2 bombe Mk 84 sotto le ali, per la prima volta nel caso degli F-8. In alternativa a quest'arma, considerata dai piloti un po' come una 'mini-atomica', c'era la possibilità di portare per esempio 4 armi da 454 kg Mk 83 (oppure 8 Mk-82 da 227 kg o ben 12 Mk-81 da 113) e 8 razzi da 127 mm Zuni attaccati alla fusoliera su speciali tubi di lancio laterali. Il problema di trovare spazio per carichi esterni era decisamente sentito, un po' come nel Lighting inglese e in tal senso il Crusader, per avere una capacità aria-superficie di tutto rispetto doveva sacrificare gli AAM e i serbatoi esterni, anche così raggiungendo non più di circa 2.300 kg di carico utile, un terzo di un Phantom che poteva portare 6 bombe, 8 AAM e 2-3 serbatoi (anche se non aveva i cannoni, peraltro proni ad incepparsi nelle manovre con un certo numero di g). Il primo F-8U-2NE era il BuNo 143710, volato il 30 giugno 1961, quindi era grossomodo un coevo non solo dei primi F-4B, ma anche degli F-104G. La versione di serie venne consegnata dal settembre del '62, giusto in tempo per essere ridenominato, dal 18 del mese, F-8E, chiudendo finalmente la fase in cui le denominazioni degli aerei USAF e USN stavano diventando sempre più inutilmente complicate. Fu il Tri-Service designation System che rese possibile semplificare la selva di sigle e numeri in cui era contenuto il mondo aeronautico americano. Nel frattempo, l'F-8E cominciò le prove sulla USS Forrestal dal '63 e ne vennero costruiti in tutto 286, fino all'estate del '64. Quindi la sua produzione fu paradossalmente, tutta antecedente all'impegno in Vietnam, che iniziò lì a poco e lo vide tra i protagonisti, con un totale di 11 vittorie aeree. Anche le missioni d'attacco erano frequenti, e tornò utile l'ECM interno ALQ-100 che l'USN introdusse probabilmente proprio con quest'aereo. L''''F-8E(FN)''' era per la Marina francese, disperatamente alla ricerca di un caccia che potesse equipaggiare le sue nuove portaerei, e che la produzione europea non consentiva di realizzare al momento. Aveva il radar AN/APQ-104, missili R.530 come armi principali, ma anche gli AIM-9 e R.550 Magic (che successivamente diverranno, con due-quattro esemplari, lo standard del caccia). L'ordine, ottenuto dalla Marina francese nel '62, riguardava gli aerei destinati alle 'Clemenceau', appena più piccole delle 'Essex' americane. Nondimeno, l'ala venne modificata per ridurre la velocità d'atterraggio di circa 30 km/h, su di un aereo essenzialmente della versione E. Il tipo F-8E (FN, da French Navy), ebbe così un'incidenza dell'ala mobile ridotta a soli 5 gradi, ma con nuovi slat di sostentazione, per inclinarsi fino a 35 gradi per la prima sezione, altri nove per la seconda, per un totale di ben 44 gradi, nel contempo alettoni e flap aumentarono l'inclinazione fino a ben 45 gradi, e come se non bastasse, venne inserito un sistema BLC (controllo strato limite), con uso di aria spillata dagli stadi ad alta pressione del motore per soffiarla sui flap tramite appositi ugelli nell'estradosso alare, per stabilizzare lo strato limite. Infine i piani di coda vennero allargati (quelli orizzontali), e alla fine, la velocità d'appontaggio calò di altri 28 km/h, forse anche rispetto alle richieste francesi. Venne realizzato con il sesto F-8D che volò con il nuovo standard il 27 febbraio 1964, ma andò presto perduto nei collaudi; un secondo aereo, spesso erroneamente ritenuto il prototipo, seguì il 26-6-64, era il primo dei 42 di serie, e usato per mettere a punto la nuova versione; le consegne ebbero luogo in fretta, tra l'ottobre e il gennaio del '65. 42 aerei prodotti, 19 ancora in carico 30 anni dopo dei quali 17, ricostruiti per l'ennesima volta con strutture irrobustite e nuovo RWR; essi sarebbero rimasti in servizio con un gruppo di 12 velivoli attivi; questo sarebbe durato fino al Rafaele-M, disgraziatamente in notevole ritardo sulle consegne. Gli aerei vennero destinati alla Clemenceau (normalmente la forza di queste macchine era di dieci esemplari a bordo, assieme a 14 Super Etendard, tre Etendard IVP e alcuni elicotteri), mentre la 'Foch' era trasformata in portaelicotteri. Queste modifiche sono state anche preziose per gli aerei americani; a parte lo sviluppo ulteriore dell'A-7 Corsair II, l'F-8 era stato prodotto in 1.262 esemplari, e di questi, 464 vennero modificati a nuovi standard. In effetti, le 'Essex' erano troppo piccole per i Phantom, ma non così per gli F-8, specie se modificati al nuovo standard aerodinamico. Esclusi gli F8U-1, pressoché consunti dall'attività di volo frenetica, molti altri ebbero quindi questi importanti 'updates'. L''''RF-8G''' era la derivazione di 65 RF-8A aggiornati nel 1965-66, con altri 20 nel 1968-70 con il J57-P-22 da 5.640 kgs (incredibilmente poco, una cosa piuttosto 'strana', e anche la spinta a secco arrivava a soli 3.660 kgs, forse per migliorare i consumi o allungare la vita utile), avionica e attrezzature di ricognizione nuove KA-45, 46, 53 e 58, cacolatore ASN-41, radar AN/APN-153B; primo volo 31 agosto 1965, servizio già al 4 ottobre successivo. L''''F-8H''' era un altro velivolo aggiornato, 89 D e 87 'C' con modifiche strutturali simili agli F-8E e J; motore analogo a quello dei successivi 'J', punti d'aggancio subalari come quelli del modello 'E' e relativo sistema di guida missili Bullpup, visibile grazie all'ingobbatura sopra le ali. Il primo volò il 17 luglio del '67 e come gli altri ebbe impiego solo con la Riserva, con i VF-201 e 202 (Dallas) e 301-302 (Miramar), oltre che nel '73, per uno squadrone composito, il VC-12, che già l'anno dopo li cambiò con gli A-4L. Questi aerei aggiornati non videro quindi azioni belliche di sorta. Nel '77 25 aerei vennero destinati alla Philippine Air Force, per la precisione 34 di cui 9 per uso come parti di ricambio. Interessante notare che i Filippini impiegarono anche l'unico TF-8A realizzato, e perso il 28 luglio 1978 vicino a Dallas, per avaria del motore (fortunatamente i due a bordo si salvarono). Negli anni '90 non erano tuttavia più operativi. Nel 1991 il vulcano Pinatubo fece tali danni, da mettere fuori uso numerosi degli oramai obsoleti F-8, e questi non vennero più riparati, così come gli altri non vennero mantenuti in servizio. L''''F-8J''' fu senz'altro il maggior programma di upgrading dell'F-8, aereo valido che poteva ancora dire la sua anche nell'era del Phantom II. 138 'E' vennero aggiornati con coda e sistema di controllo dello strato limite (idonei per operare da piccole navi) dell'FN (French Navy) francese; radar Magnavox con modalità Doppler (per dare una qualche capacità di scoperta a bassa quota) del tipo AN/APQ-124 e motore J57-P-20A da 8.100 kgs e due serbatoi subalari da 300 galloni l'uno; primo volo 31-1-68; 100 di questi aerei ebbero poi il J57-P-420 da 8.830 kgs a pieno carico. L'F-8J venne usato nel '71-72 ma non abbatté MiG, ma solo usato per attacchi al suolo o ricognizione. Come MiG-Killer oramai regnava il Phantom. L''''F-8K''' ebbe invece origine dall'aggiornamento di 87 'C' allo standard H. L'F-8L era l'aggiornamento di 61 'B' ad uno standard simile, con la versione guida-drone DF-8L. Infine sei F-8A vennero aggiornati al tipo H o L, con la denominazione di F-8M, ma non ebbero seguito: troppo vecchi presumibilmente. Nel totale non mancavano anche i tipi DF-8A, F e L, per la guida dei missili Vough Regulus I e II, e i QF-4B Phantom, usati come aerobersagli (una bella rivincita per il più vecchio crusader, non c'è che dire..). Ovviamente toccò anche a loro, nei tipi F-8U-1KD, poi QF-8A, come aerobersagli (evidentemente, la doppia denominazione ci dice che il lavoro di modifica iniziò già prima del '63). Non va dimenticato l'F-8U-1, che ebbe senz'altro la sorte meno drammatica, essendo modificato con l'ala supercritica ideata da R. Whitcombe, quello della regola delle aree; questo velivolo, il 141353, venne sperimentato dalla NASA. Non mancò il tipo 'super'- l''''XF8U-3 Crusader III''', o Super Crusader, che gareggiò degnamente con il Phantom II. esso aveva una presa d'aria dall'aggressiva forma a 'cucchiaio', rivolta con il bordo superiore all'indietro; la formula propulsiva era mista jet-razzo, con il J57-P4-5A da 7.940 kgs a secco e ben 10.600 a pieno A/B (un antenato del PW F100 quanto a potenza..), più il Rocketdyne AR-1 da 2.700 kgs. Volò la prima volta il 2 giugno 1958. In tutto, razzo e jet gli permettevano ben 2,3 mach ad alta quota, sebbene avesse bisogno di due lunghe pinne di stabilizzazione posteriore per farcela. Come il CL-1200 (l'F-104 evoluto) non riuscì a primeggiare contro il Phantom, benché potesse trasportare alla stessa stregua, ben sei Sparrow. Di 18 aerei originariamente ordinati, solo cinque vennero confermati e quattro costruiti. Di questi ultimi, solo tre vennero portati in volo, iniziando dal 2 giugno 1958. Si trattò dunque di uno sviluppo piuttosto recente rispetto ai tanti programmi relativi al Crusader: il modello D volò dopo, il C era coevo e ancora priva di efficaci capacità ognitempo; anzi, il Crusader III era addirittura precedente, nei collaudi, all'F-8B. All'epoca il progresso aeronautico era davvero sorprendente: il Crusader prototipico volava da appena tre anni, e il grosso dello sviluppo era ancora da farsi. In tutto, la variegata famiglia dei Crusader ebbe un totale di 1.261 esemplari eccetto i Super Crusader, e 446 di questi vennero aggiornati variamente. Non sempre con successo, specie il tipo F-8J, per via di peggioramenti nei pesi, agilità e controllabilità, il che condusse a parecchi problemi di messa a punto in alcune di queste. Ma nell'insieme, fu possibile aumentare parecchio la vita utile di questi caccia, come utile compendio dei più grossi F-4. Già nel '58 questi aerei vennero impiegati per coprire la spedizione in Libano, con la Sesta flotta (USS Saratoga e USS Hankock), il 15 luglio sbarcarono ben 15.000 marines, e il VF-32 della Saratoga li coprì, essendo diventati rapidamente anche macchine d'attacco, almeno embrionale. Poi toccò all'F8U-1P, poi RF-8A. Designato V-392 dalla ditta, infine nel '62, RF-8A. La mimetica del Crusader ebbe per lungo tempo fede nel bianco lucido per le superfici interiori e per il resto in Gray FS 36440; dal dicembre del '77, invece, gli RF-8G introdussero una tinteggiatura uniforme in Grey FS.36440 per tutte le superfici. Quelli francesi, inizialmente uguali a quelli americani, hanno poi avuto uno sviluppo proprio con l'adozione del grigio uniforme e poi del blu FS 36118. Le macchine filippine hanno invece usato una mimetica più moderna e 'terrestre', perlopiù in FS36320 (un altro colore grigio) eccetto che le superfici inferiori in grigio chiaro FS36440. '''F-8E'''<ref>Monografia Aerei Nov 1994</ref> *Motore: un J57-P-20A da 4.850/8.165 kgs, 5.300 litri e rifornimento in volo *Dimensioni: 16,61 x 6,86/10,72 x 4,8 m x 32,5 m2, carreggiata carrello 2,94 m *Pesi: 9.040-12.500-15.420 kg (vuoto-norm-max); carico 385 kg/m2, potenza:peso 0,65:1 *Prestazioni: 1.824 km/h a 12.200 m o mach 1,7, 1.232 km/h slm (1,0 mach), crociera economica 900 km/h/12.200 m, salita iniziale 106,6 m/s, a 17.375 m in 6,5 min, tangenza tipica 12,200 m, max 17,765 m, raggio 650 km, autonomia max 2.250 km *armi: 4 Colt-Browning Mk.12 da 20 mm con 144 cp per arma, 4 AIM-9B o razzi Zuni, 2.270 kg di armi varie tra cui due bombe Mk.84 o due missili Martin AGM-12A o B, o 2-4 Mk.83 da 447 kg o 12 bombe Mk81 da 113 kg ai piloni alari. '''Versioni'''<ref>Ciampaglia, Giuseppe: RiD dic 2009</ref>: ;Apertura alare : F.8A e B, 10,87 m, tutti gli altri 10,72 m Lunghezza :per tutti 16,54 m, tranne E e FN, con 16,61 m Superficie alare :34,84 mq fino all'F-8B, 32,15 mq per tutti gli altri Altezza :per tutti, 4,8 m Pesi: XF-8, 7.326-12.474 kg, F-8A 7.034-12.454 kg, F-8B, idem, F-8C 7.473-12.667 kg, F-8D 7.957-13.154 kg, F-8E 8.709-15.821 kg, FN 9.038-15.420 kg ;V. max e raggio : fino all'F-8B 1.630 km/h/640 km, F-8C 1.778 km/h/590 km, F-8D 1.976/730, F-8E 1.824/650 km, FN, idem ;Tangenza : XF-8 e F-8A, 12.900 m, F-8B 12.680 m, F-8C 12.715 m, F-8D, 13.075 m, F-8E e FN 12.200 m ;Motore : XF-8, J57P-11 da 4.942/6.577 kgs, F-8A J57P-4A da 4.534/7.348 kgs; F-8B, J57P-4A da 4.534/7.530 kgs; F-8C, J57P-16 da 4.853-7.666 kgs; F-8D, J57P-20 da 4.853-8.165 kgs; F-8E e FN, J57P-20A da 4.853-8.165 kgs L'impiego bellico dell'F-8 iniziò con un'anteprima: il lavoro del VFP-62 della USN, durante la Crisi dei Missili, nell'ottobre del 1962, i quali volarono assieme anche a quattro esemplari del VMCJ-2 dei Marines, per sorvetgliare le installazioni cubane trovare in prima battuta dagli U-2. Furono i ricognitori RF-8A del VFP-62 (Kitty Hawk) ad inaugurare i voli sul Laos, come i due aerei del 21 maggio 1964, uno dei quali danneggiato seriamente. Il 6 giugno un Crusader della B.H.Richard venne abbattuto dalla flak. Il pilota Klusmann venne catturato, ma evase 3 mesi dopo. Tornò a volare con i Crusader, e venne abbattuto un'altra volta. Sopravvisse e si ritirò dal servizio con il grado di Capitano di Vascello. Un'esistenza avventurosa nelle file dell'USN, non c'è che dire. L'elegante F-8 era una macchina molto valida nel combattimento aereo: secondo i suoi piloti, i 'doppiamente brutti' (F-4) erano surclassati in combattimento manovrato sopra i 6.000 metri di quota. Naturalmente, il Phantom aveva anche altre doti, che il Crusader non poteva eguagliare. Il 7 giugno un RF-8A della USS Constellation volò con la scorta di 4 F-8D della Kitty Hawk (VF-111), e data la pesante contraerea, questi spararono con cannoni e razzi contro le postazioni a.a. Questi furono gli antefatti: i Crusader ebbero il primo aereo abbattuto e spararono i primi colpi del conflitto, almeno da parte dell'USN. La cosa era interessante: già all'epoca, mesi prima del famoso 'incidente', c'erano non meno di 3 portaerei americane in zona, ed eseguivano missioni operative. Anche se erano dirette sul Laos, è chiaro che non si trattava di una presenza amica, a maggior ragione se si considera che un'altra missione, sempre il 7 giugno, vide un altro veloce RF-8A scortato da 3 'D', forse perché uno aveva avuto problemi tecnici. Ma peggio andò ad uno dei tre 'guardiaspalle', il cui aereo venne abbattuto. Si salvò quando, il giorno dopo, venne recuperato da un provvidenziale elicottero. Questi furono alcuni, certo non tutti, i pregressi della guerra vera e propria, ma in realtà, nell'ansia di dare aiuto militare ai Sudvietnamiti, gli Americani erano presenti nel Vietnam del Sud ben prima dell'agosto del '64, come 'consiglieri militari'. Ma il coinvolgimento americano iniziò 'ufficialmente' solo con il famoso incidente del Golfo del Tonchino, in cui vennero impiegati anche 4 F-8 della USS Ticonderoga (CVA-14), provenienti dai VF-51 e 53, armati con razzi Zuni da 127 mm. I due del VF-53 colpirono una nave e l'affondarono, ma non fu facile: nonostante la loro sagoma smilza, nonostante la velocità, nonostante le motosiluranti fossero ben poco armate (se erano P4 avranno avuto diciamo un impianto binato da 14,5 mm, ma più probabilmente erano le P6 con due impianti binati da 25), nell'abbassarsi per un attacco sulle tre navi, uno dei Crusader venne colpito così pesantemente che dovette fare un atterraggio d'emergenza a Da Nang. Così le motosiluranti, due delle quali si erano limitate a lanciare un siluro da 5 km, si ritirarono: una affondata, una forse danneggiata dal tiro del caccia, una indenne. Ma quest'azione del 2 agosto era successiva di mesi rispetto ai voli di ricognizione dei caccia navali. Uno dei piloti, Stockdale, un anno dopo venne abbattuto su di un A-4 durante un attacco nel N.Vietnam e passò 7 anni in prigionia, tanto che per la sua resistenza 'eroica' ebbe poi la Medal of Honor e quindi, una carriera politica di un certo livello. Quanto all'attacco del 4, di notte e con cattive condimeteo, non è chiaro se davvero avvenne e anzi, nessuno avvistò alcuna nave otticamente in zona, anche se c'erano almeno due aerei americani in azione durante l'azione sopra quelle acque. Da lì vennero lanciate le ritorsioni con gli aerei A-1, A-4 e F-8 contro le basi Nordiste. I Crusader continuarono il loro servizio con le piccole navi e le 'Midway', specie come ricognitori del VMCJ-1 dei Marines. I Crusader da caccia spesso avevano razzi Zuni, e collaboravano alla soppressione delle batterie nemiche, spesso seguendo i missili Srhike degli A-4. L'idea era quella di distruggere i radar e poi distruggere le batterie, ma spesso non funzionava: avvistato il missile, i Nordisti spesso spegnevano i radar e in genere si salvavano, per poi attaccare i cacciabombardieri. I Crusader erano capaci di consegnare anche le bombe Mk 84, erano per un certo periodo gli unici a poterlo fare. La guerra non fu poi molto pesante per questi aerei: le perdite per causa nemica furono 42 F-8 e 20 RF-8 dell'USN e 12 RF-8 dell'USMC. Tutti i ricognitori vennero distrutti dalla flak e dai SAM (questi ultimi responsabili della perdita di 10 Crusader della sola USN), mentre tra i caccia almeno 3 vennero abbattuti dai MiG (erano tutti del modello F-8E). Nondimeno, i Crusader erano stati i dominatori degli scontri con i MiG, ottenendo non meno di 18 vittorie. Anche se nell'aprile del '65 il loro primo incontro vide un Crusader danneggiato, e si dovette aspettare il 17 luglio per vedere una vittoria americana, da parte di due F-4B del VF-21, ai danni di altrettanti MiG-17. Il 21 giugno 1966 fu finalmente il Crusader ad ottenere una prima vittoria su di un MiG-17, durante una battaglia che vide il MiG colpito da un Sidewinder e poi finito con i 20 mm, con i quali venne danneggiato un secondo esemplare finito come 'probabile'. Un secondo MiG venne abbattuto da un caccia del VF-211, che lo colpì con i pezzi da 20 mm, e poi lo finì con un razzo Zuni da 127 mm (e quindi non fu solo l'A-4 che ottenne questo risultato). Questo fu un esordio isolato, dovendo quindi aspettare quasi un anno in più. Il 9 ottobre del '66 il Crusader ebbe modo di dimostrare di competere anche con i bisonici MiG-21, quando entrò in azione un esperto pilota, il Com. Richard Bellinger. Lui era stato, a dire il vero, anche il dimostratore del contrario: in precedenza, un MiG aveva abbattuto il suo Crusader, ma lui, esperto già dei tempi coreani, voleva ripagare il disturbo: usando tutti e due i missili Sidewinder (probabilmente già del tipo D, molto migliorato rispetto ai 'B'), e rischiando di schiantarsi al suolo durante l'inseguimento, annientò un MiG-21 in un feroce combattimento. Vendetta compiuta, ma di lì a poco anche Bellinger, durante l'incendio della USS Oriskany, rimase soffocato nella sua cabina. Ma fu soprattutto il maggio del '67 che vi furono successi, come ben 4 MiG abbattuti il 19 maggio. Non furono i cannoni la ragione di tale successo, se non in 2-3 casi, ma i missili Sidewinder, che i MiG-17 non avevano. Anche il Luglio del '67 altri 4 MiG vennero dichiarati abbattuti dai VF-24 e 211, mentre il 26 giugno vi fu una vittoria per l'F-8H, la prima di questa nuova versione, distruggendo con cannoni e missili un secondo MiG-21. La 19a vittoria ebbe luogo con un tale Lt Anthony Nargi del VF-111, contro un altro MiG-21, il 19 settembre del '68. Le perdite accertate dei Crusader per mano dei MiG risultano (sempre che i dati siano attendibili) ai danni di F-8E il 22 giugno del '66, il 14 luglio, e il 5 settembre. Verso la fine della guerra anche l'RF-8 era stato sostituito dal moderllo RF-8G, ma i Crusader continuarono ad operare fino al '72 per lo più negli attacchi al suolo. In tutto, assieme alla Navy operarono anche 5 VMF dei Marines, il VMF(AW)-212, 232, 235, VMCJ-1 da Da Nang e Chu Lai. Oltre ai 12 aerei distrutti in azione, altri due vennero distrutti al suolo con gli attacchi della guerriglia. Nell'ultimo anno della guerra, solo 4 squadroni di Crusader erano ancora attivi: VF-24, 191, 194, 211, della Hancock e Oriskany, tutti con gli F-8J, che erano l'aggiornamento degli F-8E, più una sezione del VFP-63 con gli RF-8G. La Hancock rischiò addirittura il coinvolgimento, con i suoi A-4 e F-8, in supporto degli Israeliani durante la guerra del '73, stazionando nel Mar Rosso. I Crusader fecero la loro ultima crociera con i VF-191 e 194 della USS Oriskany e dopo di allora solo il VFP-63 continuò ad operare con i Crusader, fino al marzo del 1982 ve n'erano a bordo della USS Coral Sea. I Crusader erano parte degli squadroni della Riserva del '65, tanto che con l'incidente della USS Pueblo (catturata dai Nordcoreani) tre squadroni, i VF-703, 661, 931, vennero mobilitati sia pure con i superati F-8A e B, tanto che la 'resurrezione' richiese quasi un anno di tempo per portarli all'operatività. La US Naval Reserve non poteva essere così inefficiente e allora nel 1970 venne riorganizzata in due CVWR, stormi della riserva, il 20 e il 30, il primo per l'Atlantico e il secondo per il Pacifico, con 8 squadroni l'uno di cui 2 da caccia, 3 attacco, 1 AEW, uno aerocisterne, uno ricognitori. Gli ultimi Crusader equipaggiavano due reparti caccia e uno ricognitore per ciascuno stormo: VF-201, 202, 301 e 302 con gli F-8H e J, e i VFP-206 e 306 con gli RF-8G. Con l'arrivo del '75 dei primi F-4B le cose cambiarono e rimasero solo gli RF-8G. Toccò aspettare ancora, fino al 29 marzo 1987 quando finalmente il VFP-206 ritirò l'ultimo RF-8G che venne mandato in un museo, mentre il reparto venne sciolto il giorno dopo. Questa è la lista dei reparti che hanno visto impiego con il Crusader: VF(AW)-3, VF-11, VF-13, VF-24, VF-32, VF-33, VF-51, VF-53, VF-62, VF-84, VF-91, VF-103, VF-111, VF-124, VF-132, VF-141, VF-142, VF-143, VF-154, VF-162, VF-174, VF-191, VF-194, VF-211, VF-214, VF-661, VF0703, VF-931, VF-201, VF-202, VF-301, VF-302, VFP-62, VFP-63, VFP-206, VFP-306, VFS-76, VSF-86, VC-13, VCP-61, VMF-112, VMF-122, VMF(AW)-212, VMF-215, VMF(AW)-232, VMF(AW)-235, VMF-251, VMF-312, VMF-321, VMF-323, VMF-333, VMF-334, VMF-451, VMCJ-1, VMCJ-2, VMCJ-3, VMF-351, VMF-511, VMJ-4, VU/VC-1, VU/VC-2, VU/VC-4, VU/VC-5, VU/VC-7, VU/VC-8, VU/VC-10, VC-3, VX-3, VX-4 H&MS-13<ref>Dati dal sito di J.Baugher</ref>. Dall'F-8 venne derivato un altro ottimo aereo, sebbene più lento e pesante: l'A-7 Corsair II, uno striker imbarcato e poi anche terrestre. Ma questa è tutt'altra storia. ---- Come intermezzo da ricordare anche la storia del progetto '''Sea Dart''', della Convair, ordinato nel 1948, quando le operazioni di aerei ad alte prestazioni su portaerei, specialmente se si trattava della prevedibile generazione transonica-supersonica, venivano viste come problematiche: ma in questo caso si ricorse ad una cura peggiore del male. Si trattava di un caccia idrovolante, invero desueto nel dopoguerra, a maggior ragione se si riferisce ad una macchina progettata con motori a reazione e ritenuta capace (differentemente da un coevo apparecchio inglese) di velocità ampiamente supersoniche. L'aereo era noto come XF2Y-1 ma oltre ai problemi in decollo con mare agitato, non era disegnato con la regola delle aree e quindi la sua fase di accelerazione supersonica era particolarmente difficile da superare con la ridotta spinta disponibile. L'armamento era previsto in 4 cannoni da 20 mm e razzi da 70 mm aria-aria. Il Sea dart ebbe problemi di sviluppo gravi, soprattutto nel trovare una valida soluzione per operare con sicurezza in condizioni di mare mosso. Inoltre, persino il terrestre F-102 Delta Dagger era all'epoca in guai molto gravi. Potenziato da due Westinghouse XJ46-WE-02 da 6.100 lbs di spinta l'uno, con prese d'aria laterali sopra la fusoliera il Seadart avrebbe dovuto essere supersonico, ma solo in un test la macchina andò oltre mach 1 grazie ad una leggera picchiata. Il primo volo avvenne il 14 dicembre 1952, circa 4 anni dopo il via della gara per questo nuovo tipo di macchina bellica. Pochi gli aerei prodotti, e uno di questi, il 4 novembre 1954 si disintegrò sulla baia di San Diego, finendo immortalato sulla copertina di Life. La versione migliorata, con motore J75 e fusoliera disegnata con la regola delle aree, era designata F2Y-2 ma il programma venne cancellato attorno al 1954 anche se i test durarono, a titolo sperimentale fino al 1956. I 4 prototipi superstiti sono tutti in musei d'aviazione americani, e stranamente, nonostante questo aereo non sia mai stato messo in servizio, nel 1962 gli venne assegnata la sigla F-7, quasi a premiare gli sforzi fatti per questo programma. '''caratteristiche''': *Motori: 2 J46 da 2700 kgs l'uno *Prestazioni: 1118 km/h a 2440 m, 1328 mph A 11.000, tangenza circa 16000 m (tutte prestazioni stimate, l'aereo non era supersonico in realtà) *Dimensioni: apertura alare 10.26 m, lunghezza 16 m, altezza 4,93 m *Peso: 5750-9.534 kg, carburante interno 4.000 litri, raggio 840 km *Armamento: nessuno Un altro caccia Douglas era lo '''Skyray''', una macchina del tutto diversa rispetto allo Skyknight. Dotato di una fusoliera per certi aspetti convenzionale, ma con una velatura a delta di tipo particolare, simile a quella che un giorno avrebbe avuto l' F-16XL e figlia degli studi del tedesco Lippisch (come anche i tipi a delta della Convair). Questo aereo aveva eccellenti prestazioni, anche se il pilotaggio rimaneva difficile. Anzitutto il motore era un J35-A-17 da 2.270 kgs, perché il previsto J40 della Westinghouse non venne approntato per tempo e il fallimento di nuovo motore fu tanto grave da far uscire il costruttore dal mercato dei turbogetti. In seguito venne rimpiazzato dal J57, il nuovo eccellente motore per le macchine navali americane dell'epoca. Dopo estese riprogettazioni della macchina si ottenne una molto superiore controllabilità. L'ultimo dei 419 Skyray (razza del cielo) venne consegnato il 22 dicembre 1958. Tra i 5 records che questo aereo, pur appena supersonico, batté, vi fu quello di 3.000 in 44.39 secondi, 9.000 metri in 66.13 secondi, e i 12.000 m in 111.23 secondi, prestazione degna di un F-104. *Equipaggio: 1 *Primo volo: Gennaio 1951 come XF4D-1 *Entrata in servizio: 1956 *Costruttore: Douglas *Esemplari costruiti: 420 F4D-1 *Dimensioni: lunghezza 13.92 m, apertura alare 10.21 m, superficie alare 51.75 m² *Peso: 11.800 kg *Propulsione: 1 PW J57P-8 o P-8B da 4625/7260 kgs, carburante 640 galloni *Prestazioni: velocità massima 1.165 km/h, minima 134 mph, tangenza 15.500 m, autonomia 1.960 km *Armamento: 4 da 20 mm e 1814 kg di armi tra cui 4 AIM-9 Forse il 'Ford' non fu mai un grande caccia da dog-fight, e mai amatissimo per la sua controllabilità, ma di sicuro fu uno di quelli che riuscì a superare la velocità del suono. La sua grande ala gli consentiva un carico alare ridotto, ad un valore tipico di un caccia della II GM. Il radar era un APQ-50A interfacciato con un sistema d'arma Aero 13F. Gli ultimi esemplari di questa macchina da intercettazione ad alta quota ebbero 7 punti d'aggancio per altrettanti pod con 7 razzi da 70 mm o 4 pod con 19, o persino 2 bombe da 907 kg. Come intercettore, ai 4 cannoni si aggiungevano 2 AIM-9 e due pod con 12 razzi da 70 mm. Alla fine entrò in servizio con 11 squadroni della Navy e 5 dei marines, ma venne radiato già nel 1963. Nel frattempo partecipò alla crisi di Taiwan nel 1958, assieme ad una vasta panoplia di caccia dell'era 'pre-Phantom'. La versione evoluta Skylancer era dotata di un motore analogo, ma dotata di un raffinamento notevole dell'aerodinamica, fusoliera allungata di 20 cm, fusoliera disegnata con la regola delle aree, era capace di ottenere circa 1.600 km/h ancora con quello che era grossomodo lo stesso motore, mentre la capacità di carburante interna era stata raddoppiata a 1.333 galloni. Questo aereo rendeva totalmente giustizia alla velatura idonea per macchine ampiamente supersoniche, ma l'US Navy aveva deciso già di comprare un aereo del tutto diverso, l'F-8, e non cambiò idea. Gli Skylancer servirono con la NASA, come macchine da ricerca, fino al 1970. [[Immagine:F-4J Phantom II of VF-96 in flight over USS Constellation (CVA-64), in the early 1970s.jpg|320px|left|thumb|Un F-4J del VF-96 imbarcato sulla Costellation nel 1972. Qui ha il gancio d'arresto estratto (Freud direbbe forse 'eretto')]] Il Phantom è l'esatto opposto dell'F-5: bimotore, ma pesantissimo, complesso, capace, costoso. Esso è diventato leggendario tra gli anni '60 e '70 e a tutt'oggi, degli oltre 5.000 realizzati, diverse centinaia continuano a volare con quasi tutti gli utenti che li hanno avuti in carico. Ancora a metà anni '80 la sola USAF ne aveva in carico 1600. La storia e la tecnica di questo aereo sono ampiamente documentate e si rimanda al loro studio in altra sede, oltre che per le singole nazioni che l'hanno avuto in carico. Il disegno, originariamente delle McDonnell e con grande esperienza tratta dai precedenti F3H e F-101, fu opera delle squadre di David S.Lewis e Barkey. Aveva ala con diedro positivo di 12 gradi (uno dei rimedi per superare i limiti dell'F-101, scarsamente controllabile), freccia sul bordo d'entrata di 45 gradi, spessore medio 5,1%, incidenza 1 grado. Il nuovo aereo era per molti aspetti direttamente estrapolato dall'F-101 ma con importanti rifiniture aerodinamiche specie per la coda -diventata convenzionale ma a diedro negativo per le superfici 'orizzontali', e l'ala a freccia con larga corda, quasi a delta, ma con estremità rialzate. Comuni invece sono i motori J79, -cambiati solo con gli inglesi F-4K e M-, un doppio abitacolo, capacità di usare un potente radar (eccetto che per i ricognitori), missili aria-aria a medio raggio (eccetto ricognitori e F-4F). L'aereo è capace di portare un carico di 7.258 kg e di volare ampiamente sopra mach 2 anche se è meno aerodinamico dell'F-104 (essendo più agile). Nacque come macchina imbarcata d'attacco, poi riconvertita al ruolo di caccia nella prospettiva di sostituire l'F-8, e armata solo di missili aria-aria. Entrò in servizio attorno al 1961 e nonostante le difficoltà iniziali di messa a punto presto si impose anche all'USAF, che rinunciò a procedere oltre con il pur popolare F-106, peraltro afflitto da un sistema d'arma complesso e scarsamente capace (ma al dunque, solo gli F-15 e l'età avanzata avranno ragione degli ultimi F-106, i Phantom non riuscirono mai a rimpiazzarli totalmente). Le versioni furono l'A di preserie, una cinquantina (in servizio dal 1961) ed usata durante la crisi dei Missili di Cuba; il B fu il primo vero modello di serie per l'US Navy, con il radar APG-72(25 marzo 1961) e sensore IRST AAA-4 con un totale di 637, a cui seguirono 46 RF-4B (dal giugno 1965) con fusoliera allungata di ben 1,44 m, un sensore IR, macchine fotografiche della serie KS e altro ancora. L'F-4B fu la macchina fondamentale da cui si diramarono tutte le altre, seguito dal molto simile F-4C per l'USAF (500), quasi 500 RF-4C, e il 'D' prodotto in oltre 800 macchine e armato con missili Falcon e con migliori capacità aria-suolo, tanto che fu il primo ad utilizzare, nel 1972, bombe LGB. Il modello E, costruito in oltre 900 macchine per la sola USAF e ampiamente esportato, anche di seconda mano, aveva un cannone nel muso grazie ad un radar miniaturizzato allo stato semi-solido APQ-120. Arrivò nel frattempo, per l'US Navy e i Marines, il J (primo volo 4 giugno 1965), radar APG-59 incluso nel sistema d'arma AWG-10, ECM APR-32 e altre migliorie elettroniche, nell'insieme era simile al B ma con sistemi d'arma migliorati e con i motori potenziati dell'E, anche se privo del cannone di quest'ultimo. Con ciò finirono i modelli nuovi, anche se vanno considerati anche il K e M per RN e RAF, il F per la Luftwaffe e l'F-4EJ per l'aviazione giapponese. Le versioni aggiornate sono state parimenti importanti come l'N (aggiornamento del B, primo volo 4 giugno 1972), l'S (derivato dal J dal 1977, con slats di manovra), il G (versione wild weasel dell'E, per l'USAF) e il 'G' dell'US Navy che era un B con sistema d'appontaggio automatico, ma senza successo tanto che entro il 1963 vennero riconvertiti allo standard B. [[Immagine:F-4B VF-111 CVA-43.jpg|320px|left|thumb|Un Phantom 'B' dei VF-111 'Sundowners', altro storico squadrone della Marina]] *Primo volo: 27 maggio 1958 *Entrata in servizio: 1960 *Costruttore: McDonnell Douglas *Esemplari costruiti: 5.100 circa *Dimensioni: lunghezza 19,2 m, apertura alare 11,7 m, altezza 5 m *Peso: 13.770- 28.090 kg *Propulsione(E): 2 x turbogetto J79-GE-17A da 8119 kgs statica, abbinati a 7200 l. di carburante interno e fino a circa 5000 esterno *Prestazioni: velocità massima 2,2 mach a 11.000 m (ca 2.300 km/h), salita oltre 200 ms *Autonomia: massima oltre 2500 con carburante interno, oltre 3500 con carburante esterno, rifornimento in volo, raggio d'azione massimo senza rifornimento circa 1370 km *Tangenza 18.300 m *Armamento: 1x 20 mm M61 Vulcan, fino a 7.258 kg di carico inclusi 4 AIM-9 e 4 AIM-7 Il servizio di guerra è stato molto pesante: gli aerei americani di tutti i tipi hanno subito oltre 700 perdite in Vietnam, anche se hanno rivendicato quasi 200 vittorie aeree (43 per l'US Navy e Marines) ed eseguito innumerevoli missioni d'attacco e ricognizione. Israele perse almeno 37 Phantom in combattimento, ma solo considerando le 3 settimane scarse della guerra del Kippur. Anche qui però gli aerei fornirono una notevole prestazione bellica, specie come cacciabombardieri d'attacco. Numerosi altri utenti hanno avuto i Phantom, anche se più raramente li hanno utilizzati in azioni belliche reali. Numerosi sono stati anche i programmi d'aggiornamento come l'ICE tedesco con AMRAAM e APG-65, ma non è questa la sede per parlarne diffusamente. In generale, l'F-4 è una macchina potente da 27 t al decollo, ed è stata prodotta quando il suo costo non era affatto proibitivo, tra 1,2 milioni del 1963 e 5-6 del 1978, quando terminò la produzione negli USA (proseguì in Giappone per qualche altro anno). Agli inizi degli anni '90 gli ultimi Phantom sparirono dall'US Navy Air Force Reserve e dall'USMC. Molti Phantom vennero riconvertiti come bersagli radioguidati, mentre 15 andarono in Gran Bretagna. Attualmente sostituire il Phantom con altre macchine, come i Tornado o gli F-15, o peggio che mai gli F-22, è economicamente molto, molto arduo. Per questo nessuna macchina di pari categoria, e nemmeno l'F-16 molto più leggero (e assieme all'F-18, il vero sostituto dell'F-4) è ancora riuscito, dopo 25 anni di produzione, ad eguagliarne i numeri, forse anche perché manca nel frattempo un elemento trainante come la guerra in Vietnam, dove le perdite americane e i caccia nemici erano situazioni reali e gravi, non come oggi, quando gli USA agiscono con una supremazia aerea su ogni potenziale nemico. ===Tempi moderni=== [[Immagine:Grumman F-14A Tomcat of VF-84 in flight, circa in 1978.jpg|350px|left|thumb|F-14 del più pittoresco dei reparti di volo, il VF-84 'Jolly Rogers']] Il Grumman [[w:F-14|F-14]] Tomcat è un altro aereo leggendario, non tanto per il film Top Gun, casomai è il film che è andato ad interessarsi di un aereo già formidabile, accrescendone, onestamente, la fama (era il vero protagonista del film, dopotutto, a parte per i fan di T.Cruise). Anche questo aereo è ben noto e sarebbe necessario un libro per descriverlo, quindi rimandiamo all'abbondante bibliografia per l'approfondimento. *Equipaggio: 2, pilota e RIO *Primo volo: 21 dicembre 1970 *Entrata in servizio: settembre 1974 *Costruttore: Grumman *Esemplari costruiti: 588 per l'US Navy e 80 per l'IIAF *Dimensioni: lunghezza 19,10 m, apertura alare 10,15 - 19,55 m, altezza 4,88 m, superficie alare 52,49 m2 *Peso: 17.650-33.725 kg *Propulsione: 2 PW TF-30 (A) da 9650 kgs, General Electric F-110-GE-400 (F-14D), 12.150 kgs, capacità carburante oltre 9000 l, e altri 2040 esterni, rifornimento in volo. *Prestazioni: velocità massima 2.500 km/h, mach 2.4, salita a 152 ms (A), oltre 200 (D), raggio s'azione oltre 1200 km, autonomia 3300 km *Tangenza: 19.500 m *Armamento: 1 M61A1 Vulcan e oltre 6 t di carico tra cui (dopo le modifiche come cacciabombardiere): bombe Mk-82, Mk-83, Mk-84, Mk-20, GBU-10, GBU-10 Mk-82, GBU-16 Mk-83, GBU-24 Mk-84 missili AIM-54 Phoenix, AIM-7 Sparrow, AIM-9 Sidewinder, LANTIRN, ECM, serbatoi supplementari, moduli TARPS Caratteristiche essenziali dell'aereo sono l'ala a freccia variabile in maniera totalmente libera con un totale di 58 gradi e altrettante posizioni assumibili, sia automaticamente che con overriding manuale, i motori TF-30 che furono i primi ad essere adottati da un caccia militare tra tutti i vari turbofan (con gioie e dolori, a dire il vero) che non furono mai totalmente affidabili e sempre sottopotenziati. Eppure il Tomcat si è dimostrato aereo affidabile e dalle prestazioni superbe. Concepito come apparecchio da combattimento totale, capace di difendere la flotta ma anche di surclassare i MiG nei duelli aerei, il suo sistema d'arma sofisticatissimo capace di affrontare bersagli fino ad oltre 160 km (e peggio, che mai, funzionante piuttosto bene) e pesante, per il solo radar AWG-9, circa 500 kg. Per il resto il Tomcat ha un sistema RWR sofisticato, un apparato ECM interno, lanciatori di chaff-flare, un TCS con camera TV o sensore IR, nessuno dei due (inizialmente) o entrambi(!), data-link (non meno importanti per operare nella difesa delle portaerei dai bombardieri supersonici sovietici). Un aereo fantastico, ovviamente costoso e molto pesante per l'ala GV. Gli F-14 americani hanno ottenuto 5 vittorie in tutto, nessuna contro aerei ad ala fissa. I primi due furono infatti 2 Su-22 libici nell'81, altri due MiG-23 caddero nell'89 e poi un elicottero irakeno, l'unica misera preda nel '91. Gli scontri con i libici furono in effetti i primi con aerei GV coinvolti da entrambi i lati, ma la superiorità dei mezzi americani era manifesta. Anzi, ad essere precisi non erano nemmeno questi i primi: gli iraniani avevano cominciato ad abbattere i primi di oltre 140 aerei irakeni già nel settembre 1980, fatto negato ed eclissato in tutti i modi con una operazione di censura e copertura con pochi precedenti. Peccato che ancora nel 1985 volassero non meno di 25 F-14 dei 79 ricevuti, e che ancora l'anno dopo uno dei 270 missili AIM-54 Phoenix consegnati e 'sabotati' venne trovato sull'F-14 Tomcat che atterrò in Irak, pilotato da un equipaggio disertore.. L'F-14C avrebbe dovuto avere avionica digitale e motori più potenti, ma non ebbe luogo. Alcune delle sue modifiche, però vennero implementate poi, come l'ottimizzazione con gli AIM-54C digitalizzati, disponibili negli anni '80, e gli F-14A+ ebbero i motori F-110 degli F-15, mentre gli F-14D hanno un radar APG-71 ibridizzato con l'unità meno potente ma più moderna dell'F-15, praticamente un incrocio tra l'AWG-9 e l'APG-70. Naturalmente, il fatto che l'F-14 abbia un operatore dedicato aiuta non poco ad ottimizzare le prestazioni del formidabile sistema d'arma disponibile, quando l'F-15 è solamente una macchina monoposto. Da notare che i missili Phoenix, pensati per fermare i Backfire o altri aerei del genere prima che lanciassero i missili antinave sono in realtà adatti anche ad ingaggiare i caccia nemici. La modifica più recente degli F-14 è stata quella di ottimizzarli come bombardieri, alla stregua degli F-15E. La forza di queste macchine, entrate in servizio nel 1973 e partite per una prima crociera nel 1974 (coprendo l'evacuazione di Saigon) era inizialmente di 2 squadroni da 24 aerei l'uno, ma dal 1981 oltre 40 vennero modificati per operare come ricognitori, rinunciando a metà dei loro missili, e disponibili, sostituendo l'RF-8 o il Vigilante, in 3-4 esemplari per gruppo. Alla fine degli anni '80 le squadriglie erano dotate ciascuna di una forza di 10 aerei, inclusi i TARPS. Questo significava ridurre a circa 16 i caccia complessivamente disponibili, ma era ancora accettabile ora che al posto degli A-7 erano arrivati 24 F-18, altrove considerati signori caccia. La forza dei Tomcat diminuì a uno squadrone di 14 aerei attorno alla metà anni '90 e per la fine del decennio vi era stata un'ulteriore riduzione a 10-12 velivoli. Da qualche anno non ve ne sono più: i Tomcat sono stati messi a terra, sostituiti dai criticatissimi F-18E. Il fatto che i Tomcat se debitamente aggiornati, per esempio allo standard Tomcat 21, avrebbero avuto un'avionica almeno pari e una cellula superiore (figurarsi, l'F-18E non è supersonico fino a 3000 m, quando a quella altezza F-104, F-4 e F-14 arrivano tra mach 1,5 e 1,6..e persino l'F-18 originale è supersonico anche al livello del mare, anche se meno veloce in quota. In ogni caso la complessità del Tomcat e della sua struttura non erano certo del tutto accettabili per una facile produzione e manutenzione. Da ricordare che a suo tempo il NAFT, l'equivalente dell'ATF aveva come obiettivo un caccia pesante per rimpiazzare il Tomcat: si ventilò anche la navalizzazione dell'F-23, come del resto avvenne al perdente YF-17, ma stavolta non c'è stato modo di replicare: forse se la Guerra fredda fosse continuata, ma con la sua fine la necessità di ottenere un caccia pesante da supremazia aerea non è risultata tanto sentita, se anche i Tomcat hanno cominciato (dopo la fine degli A-6) a fare i 'camion portabombe' e l'USAF non riesce a finanziare completamente il programma F-22, drasticamente ridotto dai 750 esemplari iniziali, anche se è cresciuto come capacità belliche nel corso degli anni. Molto significativamente, nel senso di come va il mondo e la storia, l'ultima missione di quello che nacque come caccia da superiorità aerea e intercettazione è stata eseguita per sganciare )l'ennesima bomba) in Irak contro postazioni di guerriglieri. Anche nel Decameron di Luttazzi compariva un F-14 che tirava due bombe su di una postazione a terra (nello spot sulle missioni di pace secondo il PD). Un compito che vale la pena di cui parlare è il TARPS.Questo sistema è stato concepito per essere usato dal Tomcat, che ha una funzione di caccia-ricognitore dai primi anni '80<ref>Cupido, Joe: ''TARPS!'', Aerei Agosto 1993 p.16-18</ref>. All'epoca la riduzione degli F-14 era un dato di fatto: da due squadroni con 24 aerei da caccia totali degli anni '70, si passò negli anni '80 a 24 aerei con una forza sempre rimasta di 24 aerei, ma solo una ventina da caccia: 3-4 erano TARPS. Verso la fine degli anni '80 c'erano solo 2 squadroni con 20 aerei in tutto, e quindi solo 16 erano caccia puri. Nei primi anni '90 uno degli squadroni venne omesso in cambio di una sola unità rinforzata con 14 aerei in tutto. Ma oramai agli F-14 stavano spuntando le bombe, e così in tutto degli F-14 restavano 4 ricognitori, 6 caccia intercettori e 4 cacciabombardieri: ciò nonostante la riduzione delle portaerei a 12. La necessità dei caccia ricognitori era dovuta alla radiazione dei vecchi RF-8 Crusader. Altri tipi supersonici non ve n'erano, a meno che non si volessero usare gli RF-4B, ma si preferì impiegare invece gli F-14, nuovi e potenti. Questi ebbero il pod sotto la fusoliera, a destra, con i cablaggi interni e i sistemi di raffreddamento. Solo 49 dei circa 500 F-14 li ebbero, ma quando sono arrivati gli F-14D tutti gli apparecchi sono stati approntati per usare il pod. Questo ometteva l'uso dei missili aria-aria ventrali e quindi i 3-4 F-14 che erano mandati a fare le missioni da ricognizione in genere non erano usati per le missioni da caccia, anche se la modifica era pur sempre possibile. L'armamento missilistico, anche se dimezzato, restava di 4 missili AIM-9 e AIM-7, in genere 2 per ciascun tipo. Ma più di recente non sono mancati anche F-14 con uno o due Phoenix al posto degli Sparrow. Sempre presente anche il cannone. Certo che persino con il TARPS le capacità residue del Tomcat restavano superiori, se fosse stato usato come caccia, a quelle dell'Hornet: più autonomia, radar di maggiore potenza e una velocità ancora superiore, di almeno 1,8 mach. La versione da ricognizione dell'F-18 avrebbe dovuto rappresentare la soluzione 'finale' ma non è stata realizzata. Quanto al TARPS, esso aveva 4 fotocamere: la CAI-KS 87B anteriore per riprese oblique; due Fairchild KA-99 per riprese a media-bassa quota laterali (orizzonte-orizzonte), e così la KS-153 verticale per medie-alte quote. Completa il tutto il sensore Honeywell AN/AAD-5 all'infrarosso. Insomma, un layout simile a quello dell'Orpheus olandese. In attesa dell'F-18 con il sofisticato pod ATARS era il meglio che aveva l'US Navy nel compito della ricognizione aerea. Veloce e stabile, con un eccellente raggio d'azione, il Tomcat era un ricognitore armato ideale, ma per evitare di deconcentrarsi sulla missione in genere era scortato da altri F-14. Per la ricognizione marittima restavano invece fondamentali gli S-3, e per quella elettronica gli E-2 e gli EA-6B. Insomma, quando nelle ultime crociere gli F-14D erano ridotti ad appena 10 per nave, la loro capacità multiruolo si estendeva a tutto lo scibile: caccia, CAS, bombardamento etc. La loro carriera era ben diversa dai tempi della caccia ai bombardieri russi o anche agli intercettori libici. [[Immagine:FA-18-NAVY-Blue-Diamond.jpg|320px|left|thumb|]] L'[[w:F-18|F-18]] è una macchina di grande successo ma anche controversa. La sua fortuna è stata la polivalenza. Quando naque la sua formula bimotore, più costosa, non si riuscì a dimostrache che fosse superiore all'F-16 monomotore, anche se all'epoca il suo motore non era particolarmente affidabile. Ma proprio la sua capacità bimotore venne in aiuto quando si trattò di essere adottato dall'US Navy e da tutte le forze che necessitano di una macchina bimotore, in genere per il volo sul mare. In ogni caso, ingrassato a sufficienza per fare il caccia bombardiere, l'F-18 entrò in servizio coi Marines, che ne ebbero i primi 3 squadroni. In effetti avrebbero gradito ricevere gli F-14, ma questo gli venne negato, in compenso ebbero la priorità con gli F-18, mentre queste macchine cominciarono a diffondersi nell'US Navy solo dalla metà degli anni '80, rimpiazzando gli F-4 nelle portaerei come le 'Midway' che non erano in grado di ospitare gli F-14. La loro carriera operativa li ha confermati come macchine affidabili ed efficienti, ma anche come le più lente della nuova generazione di caccia; alcuni sottotipi arrivano solo a mach 1,7 (Ma ormai nei combattimenti moderni la velocità non conta più come un tempo) . Sono più lenti degli F4-F14 e con raggio d'azione ridotto come caccia, e come aerei d'attacco non sono stabili quanto un Tornado né ne hanno l'autonomia, pur essendo non tanto diversi in dimensioni, infatti possono montare fino a 3 serbatoi ausiliari . Sono però un formidabile 'compromesso', molto agili e con una forte accelerazione. Nel film I.D. non ebbero tuttavia molto successo contro le navette aliene, almeno fino a quando queste ebbero un 'guasto' al loro schermo di protezione. Dal 1987 vi sono i caccia F-18 C e D, migliorati, che hanno seguito circa 400 A/B. Poi sono stati prodotti i 'Night attack' con ulteriore arricchimento al già formidabile sistema avionico basato già sul radar APG-65 multimodale e su una suite di navigazione e attacco, nonché RWR ed ECM ALQ-126B. Gli F-18D hanno finito per fare la funzione di 'fast FAC' e in generale gli F-8, una volta sostituiti entro il 1991 gli A-7 si sono distinti in aria per la loro maneggevolezza nei combattimenti aerei simulati, e in guerra bombardando senza sosta i nemici degli Stati uniti negli ultimi 20 anni. Moltissime le nazioni che li hanno scelti, a cui si rimanda. [[Immagine:F18E-01.jpg|320px|right|thumb|L'F-18E]] *Primo volo: 18 novembre 1978 (F-18E: 29 novembre 1995) *Entrata in servizio: 7 gennaio 1983 (1999) *Costruttore: Boeing (originariamente McDonnell Douglas su progetto Northrop) *Esemplari costruiti: oltre 1300 al 1993 *Dimensioni: lunghezza 17,07 m (18,4 m), apertura alare 11,43 m (13,6 m), altezza 4,66 m (4,9 m), superficie alare 37,16 m² (46,45 m² ) *Peso: 10.810-25.400 kg (13.864-29.840) *Capacità combustibile: 5.700 l *Propulsione: 2 turbofan General Electric F404-GE-402 8.030 kg/s (F100-229 ) *Prestazioni: velocità massima Mach 1.8 (2), salita a 307 ms., autonomia circa 3000 km *Tangenza: oltre 15.240 m (idem) *Armamento: 1 M61 Vulcan 20 mm, bombe CBU-87, CBU-89, CBU-97, Paveway, JDAM, serie Mk 80, bombe nucleari, missili AGM-45 Shrike, AGM-65 Maverick, AGM-88 HARM, SLAM-ER, JSOW, AGM-84 Harpoon, AIM-9 Sidewinder, AIM-120 AMRAAM, AIM-7 Sparrow su 9 punti d'aggancio per 7.700 kg McDonnell Douglas F/A-18 Super Hornet è un caccia-bombardiere imbarcato che secondo i piani della US Navy deve sostituire aerei come A-6, A-7, F-4, EA-6B e F-14. Il progetto originale è della McDonnell Douglas, ma in pratica è stato sviluppato dalla Boeing dopo l'acquisizione del 1997. L'aereo è una riprogettazione del'F/A-18C per risolvere i problemi di raggio d'azione e altri problemi che affliggono l'Hornet, come quella di non essere in grado di appontare a pieno carico. L'F/A-18 Super Hornet ha effettuato il suo primo volo il 29 novembre 1995 ed è entrato in servizio nell'US Navy nel 1999. Il Super Hornet è stato ordinato in 470 esemplari nelle varie versioni. *F/A-18E: versione di serie monoposto *F/A-18F: versione di serie biposto disponibile in due configurazioni: con doppi comandi per l'istruzione o pilota e navigatore *F/A-18G: versione biposto per la guerra elettronica deve sostituire gli EA-6B Prowler. Una curiosità: questa versione non viene chiamata Super Hornet ma Growler ("Colui che ruggisce"). L' F-18E è una macchina piuttosto costosa, più lenta dell'F-18 a bassa quota, con un raggio d'azione maggiore, ora che è grande quasi quanto un F-15. Ha rimpiazzato gli F-14 e le prime versioni degli F-18. Nell'insieme è una macchina formidabile, ma con la sua avionica l'F-14 di nuova generazione, già previsto come 'Tomcat 21' avrebbe offerto molto di più. Il radar, evolutosi attraverso gli F-18 al modello APG-73 dei primi anni '90, nel Super Hornet è giunto al tipo APG-79 con fantascienfiche capacità operative, inclusa quella di offrire una portata maggiorata del doppio rispetto a quella già rispettabile del tipo iniziale, e possibilità multimodali, tipo ingaggiare bersagli aerei e di superficie multipli e in simultanea. Il costo di 58 milioni di dollari l'uno li fa quasi sembrare dei giocattoli rispetto all'F-22. Numerosi gli utenti degli F-18, a cui si rimanda nazione per nazione, e alcuni cominciano a farsi avanti anche per l'F-18E, anche perché l'alternativa da parte americana è l'ancora indisponibile JSF e l'intoccabile' F-22. Gli europei ringraziano sentitamente, con la loro nuova generazione di caccia non sono forse mai stati tanto competitivi con gli USA come attualmente. == Note == <references/> [[Categoria:Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo|USA]] 2i4cdogxnb1gxx8rglldol38agzh93h Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/L'esperienza migratoria in America 0 33599 477867 441854 2025-06-16T08:34:34Z Avemundi 6028 refuso 477867 wikitext text/x-wiki {{Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo}} [[File:Happynewyearcard.jpg|thumb|left|Cartolina di ''Rosh Hashana'' (Capodanno ebraico) dei primi 1900, raffigurante ebrei russi che, bagagli in mano, guardano i parenti americani che li invitano con fervore negli Stati Uniti. Più di due milioni di ebrei fuggirono dai pogrom dell'Impero Russo verso la sicurezza dell'America, dal 1881 al 1924.]] Demograficamente, non vi è stato nulla nella storia ebraica più rimarchevole dell'immigrazione in America. In cento anni (1825-1925), la comunità ebraica americana si trasformò da insignificante ad una delle più prospere del mondo. Mentre in quel lasso di tempo la popolazione americana in generale decuplicò, la popolazione ebraica aumentò trecento volte tanto, raggiungendo i quattro milioni e mezzo.<ref name="Gartner">L.P. Gartner, "Immigration and the Formation of American Jewry, 1840-1925", in H. Ben-Sasson & S. Ettinger (curatori), ''Jewish Society Through the Ages'', Londra:Valentine, Mitchell, 1971; vedi anche ''id.'', collab. Haim Hillel, ''Jewish Society through the Ages, 1914-1977'', New York: Schocken Books, 1983.</ref> Il contingente ebraico, specialmente quello di New York, era notevole per la sua dimensione, la sua libertà, la sua relativa ricchezza e il suo tasso di crescita. La scala e immediatezza degli eventi recenti portò due mondi in contrapposizione e focalizzò l'attenzione sia sulle differenze di questi due mondi, sia sulla natura dell'identità ebraica. Gli scrittori ebraici del tempo potevano scrivere della situazione ebraica o di un individuo senza connessioni storiche al di fuori dell'America. Ma l'ambiente, spirituale e anche sociale, spesso comportava implicazioni oltre ciò che veniva affermato in superficie. La politica ufficiale l'ideologia nazionale e la visione esterna non esprimeva necessariamente strati più profondi di istinto etnico. Esisteva un contrasto percepito tra ciò che l'individuo proclamava come dottrina e tra ciò che sinceramente sentiva. Gran parte di tale narrativa ebraica si articola su queste percezioni e situazioni ambigue. Gli immigrati ebrei volevano stare in America (l'avevano scelto volontariamente). L'America li voleva, per il loro pontenziale espansionistico. Qual era, tuttavia, il significato dell'ebraicità americana o dell'americanismo ebraico? Le parti del sotteso contratto ne avevano capito i termini? E come li avrebbero interpretati? I romanzi qui discussi non sono solo frutto di invenzione, ma anche i veicoli per esprimere le preoccupazioni più profonde dei relativi scrittori.<ref name="Gartner"/> Il periodo preso in esame coincide, non inaspettatamente, con l'emrgere dell'America come grande potenza mondiale. Gli aspetti della nuova cultura ne incarnano la sua forza generativa. New York più di ogni altra città del mondo, servì quale modello di sviluppo o, negativamente, come avvertimento del Futuro. Modernizzazione significava americanizzazione: gli artisti, scrittori e architetti della Repubblica di Weimar guardarono all'America con anticipazione e timore mentre la civiltà dell'Europa cominciava a sgretolarsi in violenza, totalitarismo e atavismo. Nel 1931 tuttavia venne completato il grattacielo ''Empire State Building'', apice del successo capitalista e dell'ottimismo. Retrospettivamente, sappiamo che il mondo ebraico era condannato al disastro in Europa, distrutto fisicamente dal nazismo, martoriato dal comunismo. Nel 1925 la grande ondata di immigrazione in America si era conclusa, e da allora fu ristretta ad un esiguo minimo — tuttavia gli ebrei potevano ora cristallizzare alcune delle loro tendenze in forma di comunità, con un proprio carattere. La letteratura prodotta fino al 1934 manifesta i contorni di questa esperienza singolare ma dinamica. La carriera di Levinsky nel romanzo di '''Abraham Cahan''' copre gli anni 1885-1915, "la grande età della Lower East Side",<ref name="Howe">Irving Howe & Kenneth Libo, ''The Immigrant Jews of New York'', Londra: Routledge & Kegan Paul 1976, ''s.v.'' — ediz. americana ''World of our fathers'', Book Club, 1993.</ref> il quartiere della più grande concentrazione di immigrati ebrei a New York. Il primo grande romanzo dell'immigrato ebreo (nel caso di Cahan sia yiddish che inglese, spostandosi dal primo al secondo) è permeato da questo mondo e dai suoi processi sociali. [[File:Abraham Cahan NYWTS.jpg|thumb|150px|left|Abraham Cahan nel 1936]] Il tema di questa fase della narrativa ebraica americana è quindi, nella parole di un critico, "il processo di assimilazione e della risultante crisi di identità".<ref name="Guttmann">Allen Guttmann, ''Jewish Writer in America: Assimilation and the Crisis of Identity'', Oxford University Press, 1972, pp. 21-34, 47-66, 117-133 e segg., ''passim''.</ref> Un ebreo americano, consapevole di trovarsi in entrambi i mondi o inconsapevole di trovarsi nell'ambiguità, doveva porsi la domanda che '''Meyer Levin''' (1905-1981) riflettendo in seguito si pose: "Ero americano o ebreo? Si poteva essere entrambi?"<ref>Meyer Levin, ''In Search'', Horizon Press, 1950.</ref> Infatti Levin stesso, nella sua lunga carriera, ha proposto molte delle frasi nella dialettica dell'epoca, muovendosi da un realismo alla John Dos Passos, al proletarianismo (del tipo esemplificato da Michael Gold), al chassidismo (pietismo ebraico) e al sionismo. Lo scrittore ebreo non solo descriveva il mondo ebraico, l'America, cose in generale, ma spesso proponeva anche una soluzione o quantomeno una direzione. Questa preoccupazione per il passato che modellava il presente, un'autodefinizione nell'ambito di un mondo altrimenti alieno non è una caratteristica esclusiva degli ebrei. Se l'America fosse stata unicamente neutrale e assorbitrice di tutte le sue componenti nel famoso crogiolo delle genti, non ci sarebbe problema alcuno. Ma nel caso ebraico, la componente non si è felicemente associata nell'annullarsi, né il crogiolo è stato così benignamente disinteressato. L'etnia continua a saltar fuori.<ref name="Guttmann"/> [[File:Portrait of Abraham Cahan.jpg|thumb|150px|Abraham Cahan ai primi del '900]] Sono questi interessi centrali nella vita americana e la narrativa che ne scaturisce costituisce una grande letteratura? Certamente la narrativa ebraica del periodo non catturò l'immaginazione pubblica come successe per Faulkner, Hemingway, Fitzgerald, o anche Jack London o Sinclair Lewis. Persino le maggiori opere del "genere", come ''Call It Sleep'' (''Chiamalo sonno'')<ref>Henry Roth, ''Call ir Sleep'', Penguin Classics, 2006, trad. it. ''Chiamalo sonno'', Lerici, Milano, 1964; Garzanti, Milano 1986.</ref> furono presto dimenticate. Ciò potrebbe essere una valutazione sia della qualità di tali opere, sia della marginalità del loro interesse. Questa letteratura ebraica, afferma il critico Leslie Fiedler, "in retrospettiva appare non solo carente di un'eccellenza finale, ma rimane in un certo modo irrilevante per il percorso di sviluppo della narrativa negli Stati Uniti."<ref name="Fiedler">Leslie A. Fiedler, ''The Jew in the American Novel'', New York: Herzl Press, 1966, p. 42.</ref> Se il tema della marginalità è qui così dominante, allora l'opera per definizione deve essere marginale. Il romanzo ebraico americano mostra l'ebreo all'esterno che cerca di entrare (in vari modi), o forse che viene a patti con la sua condizione di ''outsider''. E forse le preoccupazioni di un gruppo di minoranza è necessariamente di limitato interesse per la maggioranza. Fiedler sostiene che il filo ossessivo del romanzo ebraico americano degli anni 1920 è "il tema del matrimonio misto, con la sua ambigua fusione di speranza di assimilazione e pericolo di miscegenazione".<ref name="Fiedler"/> Se è così, allora non c'è da stupirsi se la corrente principale della narrativa americana l'ha ignorato e che sia stato relegato ad un ruolo minore in un più vasto panorama dove le "stelle brillano altrove".<ref name="Guttmann"/> Tuttavia, gusti casuali e transitori a volte determinano la moda del momento, ed è certamente successo che opere di enorme interesse e qualità siano state trascurate. Il romanzo ebraico americano può esser stato considerato di interesse marginale come fenomeno marginale, in verità anche dall'ebreo stesso con le sue aspirazioni verso il cuore dell'America. Ma non è forse tale "cuore" di per se stesso illusorio? Chi può definire la "vera" America? E dove la si trova? Nello splendore e disperazione di Fitzgerald? In un Hemingway ideologicamente espatriato? La letteratura riesce forse a dare una definizione dell'ebreo nel contesto americano, ma non deve necessariamente allontanarsi dalla necessità di autodefinizione degli altri scrittori: l'esperienza "esterna" può essere essa stessa caratteristica — e se è scrittura periferica, allora è periferica soltanto in termini trasversali. Perché la sua natura periferica deriva da un'altra esperienza supplementare. Cahan, Lewisohn, Hecht, Fuchs e Roth — scrittori le cui opere vengono qui appresso esaminate — hanno espanso in vari modi la gamma di coscienza esotica in America, e tale coscienza si riallaccia, sebbene con riluttanza, ad una coscienza che va oltre.<ref name="Guttmann"/><ref name="Fiedler"/> Uno dei primi romanzi ebraici di rilievo, ''The Rise of David Levinsky'' (1917) venne scritto dal già citato giornalista Abraham Cahan (1860-1951), che scriveva in inglese e yiddish ed era fondatore ed editore di un importante giornale yiddish, il quotidiano ''Forward'' che esiste tuttora. Tale romanzo ha forse sofferto come opera letteraria a causa del suo ovvio valore come documento sociale. Proietta i temi e le preoccupazioni principali dell'immigrato ebreo in America, ma ne riporta anche il suo cammino verso l'assimilazione, crescente americanizzazione, distanziamento da lingua e popolo originari, come anche la sua modernizzazione progressiva nei ''mores'' sociali e religiosi. Cahan stesso era emigrato in America nel 1882 dalla Lituania, e non solo era un giornalista laburista e attivista socialista, ma anche uno che difendeva il bolscevismo, affermando nel 1922: {{quote|Non c'è differenza tra partito socialista e partito comunista e non c'è ragione perché siano separati — almeno al di fuori della Russia.|''The Education of Abraham Cahan'', 1969<ref name="Education">''The Education of Abraham Cahan'' - Translation of ''Bleter Fun Mein Leben'', Volumes I and II by Leon Stein, Abraham Conan, and Lynn Davison. Philadelphia: Jewish Publication Society of America, 1969.</ref>}} Difendeva inoltre la necessità di una dittatura assolutista, sebbene per la fine di quell'anno avesse cominciato a cambiare idea.<ref name="Howe"/> È quindi di particolare interesse che ''The Rise of David Levinsky'' sia scritto non dal punto di vista di un produttore di indumenti o sindacalista, ma da uno che ha fatto carriera partendo dal basso, un capitalista di enorme successo nella nuova e crescente industria degli indumenti a New York (allora principalmente dominata da ebrei russi). [[File:Food will win the war WWI yiddish poster 1917.jpg|thumb|left|Poster in yiddish che mostra l'immigrazione degli ebrei in America nel primo ventennio del 1900]] La storia viene raccontata dallo stesso David Levinsky, ripercorrendo la sua rimerchevole vita trent'anni dopo la sua immigrazione. "A volte, quando in maniera superficiale, casuale, penso al mio passato in una maniera superficiale, casuale, la metamorfosi che ho attraversato mi colpisce quasi fosse una sorta di miracolo."<ref name="Levinsky">Abraham Cahan, [http://books.google.co.uk/books/about/The_Rise_of_David_Levinsky.html?id=7_0QAAAAYAAJ ''The Rise of David Levinsky''], Dover Publications, 2003, ''ss.vv., ad hoc'' — vedi anche testo on line a [http://www.gutenberg.org/ebooks/2803 Progetto Gutenberg: "''The Rise of David Levinsky'' by Abraham Cahan"], brani trad. it. di [[Utente:Monozigote|Monozigote]].</ref> I primi ricordi di sé sono di quando aveva tre anni e si trovava ad Antomir quando suo padre morì. La sua miseranda povertà viene sollevata dall'ingegnosità e riesce ad aver successo alla sua Yeshivah (accademia talmudica). Sebbene perspicace e devoto, David dimostra una consapevolezza erotica precoce (all'età di 14 anni) e alcuni anni dopo inizia a mettere in questione i presupposti basilari del suo ambiente. A 18 anni viene assalito nel giorno della Pasqua e quando sua madre cerca di intervenire, viene uccisa. L'accaduto è un fatto comune di quei tempi: disperata povertà e privazione legale, nonché sottomissione a violenza arbitraria delle masse. Ora orfano, David dipende dalla carità altrui e si nutre alla mensa dei poveri del rabbino Sender. Spinto sia dalle proprie circostanze sia da un'autoanalisi interiore, egli dubita della divina provvidenza e si sente alienato da Antomir. Gli eventi del 1881 lo portano ad una trasformazione di sentimenti. "Circa un milione di persone all'improvviso si sono rese conto che il loro paese natio non era la loro casa (sensazione cher la grande rivoluzione russa aveva improvvisamente cambiato)". Il nuovo fattore concreto dieventa la possibilità di emigrazione verso l'America, e riceve l'assistenza necessaria da una benefattrice più assimilata.<ref name="Levinsky"/> In molta della letteratura immigrata, il fatto dell'immigrazione trascende il semplice episodio e assume una dimensione più grande nel suo essere creato dal nuovo. L'individuo rinasce. "L'arrivo dell immigrato presso la sua nuova casa è per lui come una nuova nascita. Ci si immagini un neonato con un intelletto sviluppato del tutto. Si dimenticherebbe mai della sua venuta al mondo? Né mai l'immigrato si dimentica della sua venuta in una nazione che è per lui un nuovo mondo nel senso più profondo del termine e che nel quale si aspetta di passare il resto della vita."<ref name="Levinsky"/> Nel 1885, non c'erano restrizioni di immigrazione, quindi i nuovi arrivati potevano entrare senza soldi, senza contatti, senza mestiere e senza inglese. Gran parte del resoconto del nuovo arrivato David descrive questa transizione da "terrone" ad americano, e le fasi del processo sono sia un racconto di ambientamento sia di assimilazione inconspicua. È una società da coltivare, perché negli USA anche la povertà indica maggiore prosperità che nella Zona di residenza. Di conseguenza, tutto è qui differente — anche l'ebreo ortodosso è relativamente assimilato. Eccone alcune caratteristiche: tutti sono conosciuti col loro nome laico, nessuno dorme nella sinagoga, gli ebrei non pregano così regolarmente, tutti fanno un lavoro di sorta, (era un'economia crescente), i maschi di solito non portano i boccoli (i ''payot''), le donne non sono segregate, tutti adottano uno stile occidentale nel vestirsi. Queste cose potrebbero sembrare superficiali, ma Levinsky fa la scoperta personale che "se l'ortodossia si piega, si spezza": {{quote|Proprio i vestiti che indossavo e il cibo che mangiavo ebbero un effetto fatale sulle mie abitudini religiose. Si potrebbe scrivere un libro intero sull'influenza di un colletto inamidato e una cravatta su un uomo tirato su come me.|''The Rise of David Levinsky''<ref name="Levinsky"/>}} Dalla trasformazione esteriore alla realizzazione interiore il tragitto è lungo per Levinsky. È essenzialmente un ingenuo all'epoca che descrive, e non si sofferma in un'analisi approfondita dei suoi stessi processi interni. Egli è ora un americano, un secolarista e un donnaiolo. Parla inglese fluentemente. Nota che gli ebrei dalla Russia nell'adattarsi localmente sono diventati atei, mentre quelli dalla Germania tendono piuttosto a modificare la loro religione. Alla faccia della sociologia dell'immigrato e della sua posizione metafisica!<ref name="Levinsky"/> Il resto del romanzo si concentra sul resoconto dei successi finanziari di Levinsky e, incidentalmente, su una descrizione dell'industria degli indumenti e la sua trasformazione in quell'epoca, con molti dettagli circostanziali di come Levinsky si affermi nel settore, ottenendo credito bancario, vendendo camice in base ad un campionario, e stabilisca poi una produzione di massa. Ma è forse questo il difetto del romanzo che, sebbene avvincente, in parte si legge come una storia sociale e viene scritto nel linguaggio scarno di tale disciplina.<ref name="Education"/> La ''persona'' narrante del romanzo è politicamente all'opposto di quella dell'autore. Levinsky adotta la posizione ideologica del darwinista spenceriano, sostenendo la sopravvivenza del più forte. Il suo successo conferma il suo valore: che si sia adattato dimostra che deve essere selezionato, scelto. Tuttavia col passare del tempo comincia a sentirsi insoddisfatto e solo. All'età di quaranta anni, decide non solo che debba farsi una famiglia ma anela anche alle proprie tradizioni ataviche. Contempla un matrimonio in ambiente ortodosso: "Sebbene libero da vestigia religiose nel senso ordinario della parola, mi sentivo percorso da una certa estasi religiosa basata su un senso del dovere pubblico." C'è qualcosa di fervido nel suo americanismo e nella sua lealtà dimostrata verso i suoi correligionari ebrei: "Era come se stessero dicendo 'non siano perseguitati sotto questa bandiera. Alla fine abbiamo trovato una casa.'" Il previsto matrimonio non avviene, ma la questione di "per chi vivi?" continua ad ossessionarlo. Esamina la sua vita e le sue imprese in maniera insoddisfatta: "Il passato più cupo mi è più caro del presente più brillante'" Passa dalla nostalgia ad un senso di fallimento ultimo e di dislòocazione, e infine conclude: "Non potrò mai scordare i miei giorni di miseria. Non posso fuggire da me stesso, com'ero prima. Passato e presente non combaciano bene. David, quel povero ragazzo che affonda in un volume del Talmud in sinagoga, sembra aver più in comune con la mia identità interiore di David Levinsky, il rinomato imprenditore e produttore di vestiti."<ref name="Levinsky"/> [[File:Cheder in Meron, 1912.jpg|thumb|Lo studio del Talmud (1912)]] Si possono percorrere le fasi dell'apostasia di Levinsky — la sua noia col Talmud, la dichiarata eresia dell'amico Naphtali, la morte di sua madre (e quindi la perdita di ''ancora e timone''), la sua permanenza presso una famiglia russificata ed in particolare il suo primo amore per la loro figlia Matilda, l'emigrazione e il bisogno di adattarsi. Ci sono ulteriori fasi di questo processo, in America — il vestirsi in maniera moderna, levarsi la barba, gli affari, il successo ed il darwinismo ideologico, l'erotismo. Tuttavia alla fine il romanzo di Cahan non è di un blocco unico, spostandosi improvvisamente (al sopraggiungere della mezza età) verso una direzione diversa ed esprimendo insoddisfazione per i propri molti successi e precedenti aspirazioni. Certo, la gente cambia nel corso del proprio sviluppo. Ma qui non si era preparato il terreno in precedenza per il successivo senso di fallimento, solitudine e nostalgia finale: chiaramente, il personaggio è dissociato, spezzato. Tuttavia non si riesce a capire, per esempio, perché Levinsky non proceda col proprio matrimonio. La storia si muove in troppe direzioni: pare che il narratore non comprenda totalmente la propria natura. Il problema è che autore e narratore sono eccessivamente amalgamati. Cahan non esce dalla pelle del narratore per trasmettere, implicitamente o esplicitamente, un'interpretazione di Levinsky attraverso una lente più larga con cui poterne comprendere il carattere e lo sviluppo nel contesto. Il romanzo è affascinante e ricco di dettagli, con grandi approfondimenti e vivide sensazioni, ma alla fine non soddisfa nel suo insieme.<ref name="Education"/> Tra i romanzieri più intellettuali qui discussi figura '''Ludwig Lewisohn''' (1882-1955), le cui opere sono maggiormente radicate nella tradizione europea e più teoriche, nonché più programmatiche nell'intento. Nel suo ''The Island Within'' (1928, ''Il popolo senza terra''),<ref name="Island">Ludwig Lewisohn, ''The Island Within'', Harper & Brother, 1928; trad. it. ''Il popolo senza terra'', Corbaccio, 1934.</ref> l'autore non solo presenta una parte di cronaca famigliare che riguarda i Levy, ma anche una panoramica dell'ebreo in America stagliato contro uno sfondo di storia ebraica. Lewisohn si rifiuta di considerare l'ebreo americano separatamente, che sia dall'America o altrove: egli forma parte della storia ebraica in generale, per quanto gli ebrei stessi si siano illusi del contrario. Lewisohn insiste, in uno dei molti prologhi che precedono ogni sezione del suo romanzo, che quest'ultimo deve ricatturare una qualità epica: {{quote|Per farlo non c'è bisogno di parole altisonanti o azioni violente. Solo un senso costante di generazioni in flusso, dei processi di cambiamento storico, del vero carattere della magnifica e tragica avventura dell'uomo tra terra e cielo.|''The Island Within''<ref name="Island"/>}} In questo senso, ''The Island Within'' è un ''roman-à-thèse'', profondo nella sua intensità. La storia si apre a Vilna nel 1840, con Mendel e sua moglie Braine. Per gli ebrei dell'Europa orientale, questa è la prima fase di quel periodo di storia ebraica noto come ''Haskalah'', Illuminismo, e Mendel — con grande angoscia della religiosa moglie — vien preso da questa febbre modernizzante. Mendel rimane nel gruppo, ma suo figlio Efraim diventa ancor più secolare, mondano, e se ne va in Prussia col nome laicizzato di Efraim Levy nel 1850. Tramite il suo utilizzo di prologhi (alla ''Tom Jones'')<ref>Si veda il romanzo classico del XVIII secolo, di Henry Fielding, ''Tom Jones'', pubblicato in Italia ''int. al.'' da Mondadori, trad. it. M. Ricci Miglietta, 2013.</ref> l'autore fornisce al lettore sia la storia che la propria riflessione sugli eventi. Nella storia recente in particolare, ma attraverso tutte le generazioni, gli ebrei hanno dovuto emigrare. Per Lewisohn, ciò è un fenomeno negativo: "Gli ebrei non sono il solo popolo migratorio dei tempi moderni, ma essi forniscono gli esempi classici della migrazione, perché in nessun luogo e da nessuna parte hanno ancora trovato il ristoro di una tolleranza o di una patria."<ref name="Island"/> Se il principale tema manifesto nel romanzo è l'ebreo in America, la questione più ampia è se l'ebreo sia mai a suo agio in una qualche parte del globo. Efraim è contento di stare in Prussia, ma questa nazione per lui è ancora un esilio (''goles''). Suo figlio Tobias asserisce di sentirsi veramente "a casa", ma deve dimostrare di essere un tedesco, e quindi partecipa alla guerra franco-prussiana del 1870, viene decorato con la croce di ferro per eroismo, si sposa un'abbient cristiana prendendo anche il suo cognome, e poi si fa battezzare. In conclusione, è un affermato avvocato ben accasato, che gode di gran successo economico e sociale. Che ironia: "tutta la Berlino letteraria ed artistica affollava i loro salotti. E quasi tutti erano ebrei." È ora convenientemente assimilato? No, perché è angosciato da altri ricordi. Ma spera che i suoi figli ne possano essere liberi.<ref name="Island"/> [[File:Manhattan Skyline I South Street and Jones Lane Manhattan by Berenice Abbott March 26 1936.jpg|thumb|left|Stralcio di New York nel 1936: Manhattan, con Wall Street sulla destra]] Tuttavia il romanzo si concentra principalmente su un altro ramo della famiglia Levy, seguendone le fortune. Il fratello minore di Tobias, Jacob, sfugge al servizio militare e va in America, dicendo: "Qui veniamo trattati come cani; io voglio andare in una nazione libera." Diventa quindi totalmente americanizzato, paradossalmente dimostrandosi molto più tedesco di quanto non lo sia mai stato a Insterburg. Secondo tutte le ragionevoli aspettative, ciò dovrebbe rappresentare il capitolo definitivo e finale di questa storia delle generazioni. Pur tuttavia, nonostante tutti i travestimenti e le obliquità, i figli riconoscono sempre e immancabilmente di essere ebrei: Arthur, la cui storia occupa gran parte del romanzo, all'inizio protesta che non esiste problema ebraico. Nuovamente, la guerra serve come banco di prova della lealtà nazionale e Arthur si dichiara pronto ad arruolarsi nel caso di un coinvolgimento americano nella Grande Guerra. Ma ciò non avviene e Arthur si laurea in medicina nel 1918, si specializza in psichiatria e successivamente in psicoanalisi, poi sposa Elizabeth Knight, una giornalista femminista. Dopo essersi così impegnato i un'affiliazione americana neutrale, scopre la propria alterità nel suo atteggiamento verso la famiglia, in particolare verso suo figlio, e verso il suo passato e l'America. Questa stava diventando più segmentata e gli ebrei più separati e delimitati — tutti i suoi pazienti erano ebrei: "Scopriva che le loro afflizioni fisiche, le loro inibizioni ed i loro disagi erano tutte fughe da una realtà oscura."<ref name="Island"/> La ragione, sostiene Arthur, è che non sono veramente a casa. L'ebreo non ha un focolare ''gentile'', né un centro dove ritirarsi. Attraverso gli occhi di sua moglie riesce a distinguere con maggior chiarezza l'alienazione dell'ebreo e "seppe improvvisamente perché gli ebrei fosseroé a volte fisicamente rozzi. Su un terreno diverso, fuori dal mondo, fuori bersaglio, fuori di testa." La questione di base non è dove l'ebreo si ponga socialmente, ma dove si ponga emotivamente. Elizabeth è disposta ad accettare la circoncisione di loro figlio, ma è diverso per Arthur che vede la cosa come un impegno verso il popolo ebraico. L'ostracismo sociale di cui Arthur è testimone ''vis-à-vis'' se stesso e gli altri (verso sua sorella Hazel, per esempio, che era stata ideologicamente un'assimilata) lo spinge a diventare introverso e gli fa considerare, sebbene malvolentieri, il divorzio: "Siamo reciprocamente affezionati e ci capiamo intellettualmente, ma alla base emotiva di vita non c'è opposizione — c'è una divergenza", dice a suo cognato.<ref name="Island"/> Il problema che Lewisohn presenta nella storia di Arthur è quello di un ideale intrappolato in autoillusione. Arthur, come altri ebrei, aveva cercato di vivere da protestante americano senza esserlo: "E così viviamo in un vuoto, in un vuoto spirituale. La relativa dannazione è che non sappiamo esattamente chi siamo." L'illusione è che uno possa essere umano in isolamento. Inoltre Arthur ora afferma che uno non possa essere semplicemente umano, ma deve essere un particolare tipo di umano. Chiede alla moglie se egli sia americano e, sebbene si corregga immediatamente, la prima risposta di Elizabeth è negativa. L'ebreo èche vuole essere americano deve aspirare anche di essere un ''gentile''. Gli ebrei hanno una "fissazione coi gentili". È il problema "dell'isolamento sociale degli ebrei che non volevano essere ebrei". La soluzione di Arthur è di ritornare ad accettare l'ebraicità cvhe gli è altrimenti imposta come fardello. In una conclusione alquanto artificiosa, gli viene consegnato un documento di famiglia che attesta il martirio di un suo antenato durante la crociata di Goffredo di Buglione. Persino allora la ricerca di sicurezza da parte dell'ebreo, il suo fallimento nel trovarla, la sua condizione perigliosa ed il suo martirio dimostrano ad Arthur che ciò che l'ebreo cerca veramente è "una casa in un mondo senza casa". E se l'ebreo non ha una casa fisica, almeno ha un'àncora in un'idea: "Poiché se la storia ha una direzione etica, il suo simbolo non è il membro del clan o il guerriero, ma colui che passivamente difende un'idea e così santifica un Nome ineffabile." Il mondo può quindi esser fatto di nuovo casa e diventare una "dimora naturale".<ref name="Island"/> [[File:Terijokipakten.jpg|thumb|Vyacheslav Molotov firma un accordo tra USSR e la Repubblica Democratica Finlandese. Zhdanov è il primo a sinistra e Stalin il terzo (1939)]] Esistevano altre nozioni proposte per risolvere la mancanza di una "patria" per l'uomo (ma più particolarmente per l'ebreo). L'intendimento che l'unità appartenesse ad una massa più vasta negherebbe questo individualismo sofferto, e la letteratura avrebbe potuto prender posto come ancella della nuova società. Tale era la natura del comunismo totalitario e dell'interpretazione assolutista della letteratura che affiorò in Unione Sovietica, adottata anche da una consorteria di illuministi all'estero. Questa prospettiva ottenne la sua espressione ultima al Congresso dello Scrittore Sovietico del 1934, quando il Realismo Socialista venne articolato come ideale. Lo scrittore ha un ruolo di supporto nella struttura societica. È, nelle parole di Stalin, "ingegnere dell'animo umano",<ref name="Scott">H.G. Scott (cur.), ''Problems of Soviet Literature'', Londra: Greenwood Press, nuova ed. 1980.</ref> Andrej Ždanov, Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, formulò il compito dello scrittore come "quello di conoscere la vita in modo da riuscire ad illustrarla in opere d'arte, e non di dipingerla in un modo smorto e scolastico, non semplicemente come "realtà obiettiva", ma come realtà nel suo sviluppo rivoluzionario."<ref name="Scott"/> Agli scrittori presenti al Comitato, dettò poi le sue istruzioni: "Create opere che raggiungano grandi altezze, di forte contenuto ideologico e artistico. Aiutate attivamente a rimodellare la mentalità del popolo nello spirito del socialismo."<ref name="Zhdanov">Maxim Gorky, Karl Radek, Nikolai Bukharin, Andrey Zhdanov, ''Soviet Writers' Congress, 1934: The Debate on Socialist Realism and Modernism'', Lawrence & Wishart, 1977.</ref> Tali dottrine (formulate nel 1934 ma applicate molto prima) avevano aderenti anche negli USA. Incredibilmente, dati gli atteggiamenti negativi verso gli ebrei e l'ebraismo che si manifestarono completamente in seguito, ma che erano già latenti, molti comunisti americani e persino stalinisti erano di origine ebraica. '''Michael Gold''' (1896-1967) iniziò la sua carriera dichiarandosi scrittore proletario. Come scrive in ''120 Million'' (1929), si era sentito solo e ora veniva fortificato dalla massa (il numero del titolo si riferisce alla popolazione americana d'allora): "La massa è forza, la massa è chiarezza e coraggio."<ref name="Million">Michael Gold, ''120 Million'', Modern Books, 1929.</ref> Passa dall'isolamento tradizionale dello scrittore all'espressione del gruppo: "Da poeta dell'ego a poeta delle masse è il percorso usuale dello scrittore proletario." Ed ora si identifica con l'Unione Sovietica, che è la fonte della sua forza: "La poesia", asserisce Gold, "viene usata nella Russia sovietica come mezzo per saldare le masse nella solidarietà." Come i poeti là, Gold dice che la poesia dovrebbe essere utile e scrivere "inni dei lavoratori". Invoca la rivoluzione in America, invoca Lenin e "la nascita sanguinosa che [Lenin] porterà": [[File:Gold-michael.jpg|thumb|150px|left|Michael "Mike" Gold]] {{quote|Vedo un sole a martello di giorno,<br/>Una luna a falce di notte,<br/>Che brillano su una nuova America,<br/>Un'America di lavoratori e contadini.|''120 Million''<ref name="Million"/>}} Come richiesto dall'Imperativo zhdanoviano, Gold disprezza l'obiettività e investe di pathos le sue osservazioni. Nella sua descrizione dei minatori, scrive: {{quote|Si trascinano di mattina lungo le strade fangose e verso la miniera sotterranea, ritornando la sera con i loro secchielli di cibo vuoti, le facce nere quasi truci maschere, i corpi madidi di sudore e piegati dalla fatica.|''120 Million''}} Non esiste un Dio della giustizia, poiché non c'è giustizia, solo dolore e futilità. In un mondo senza pietà, i datori di lavoro sono corrotti e la polizia violenta. Il leader proletario deve soffrire poiché "un nuovo mondo stava per nascere dalle sue agonie."<ref name="Million"/> È qui che si presenta l'altra faccia dell'immigrazione speranzosa. Qui tutto è andato a scafascio e non c'è speranza di futuro: {{quote|Era entrato nelle fabbriche quale immigrato speranzoso, con guance rosee e giovanili che si era portato dalla Russia, ed una meravigliosa fede nel miracolo della Terra Promessa che da lì emanava. Lo sfruttamento tuttavia l'aveva presto privato di quel giovanile fiorire; poi avevano mangiato lentamente, come bestie in una tana che rodono per giorni e giorni una carcassa, i suoi polmoni, le sue interiora, cuore, organi vitali, uno ad uno.|''120 Million''}} Questa immagine è la precisa antitesi di Levinsky. Gold contrappone la fame in America alla fame in Unione Sovietica, e sostiene che quest'ultima arriverà alla fine, mentre la prima persisterà e sarà moltiplicata in tante altre fami. In America non c'è un piano di redenzione (miglioramento) ed il mondo capitalista è una prigione ricolma di violenza gratuita.<ref name="Scott"/><ref name="Million"/> [[File:Construction old and new from Washington Street 37 in Manhattan in1936.jpg|thumb|Scorcio di Manhattan (New York), anni '30]] Nonostante tutte le semplificazioni assurde, i concetti erronei e i falsi pronostici, nella sua retorica c'è una certa forza. Un quadro più specifico viene fornito dal suo resoconto in prima persona, intitolato ''Jews Without Money'' (1930, ''Ebrei senza soldi'')<ref name="Jews">Michael Gold, ''Jews Without Money'', Carroll & Graf Publishers, 2004, ''passim''.</ref> Questo libro include ricordi di una gioventù passata nel quartiere di East Side, appena un isolato dal Bowery.<ref>La ''Bowery Street'', più comunemente detta “the Bowery”, è una celebre via della “circoscrizione” (''borough'') di Manhattan, a New York. Approssimativamente delimita i quartieri di Chinatown e Little Italy su un lato, mentre dall’altro il Lower East Side. ''The Bowery'' fu uno dei primi insediamenti della città; sorse ai margini del porto ed era il quartiere dei marinai e degli immigrati appena arrivati negli Stati Uniti; man mano che questi facevano fortuna, si trasferivano sempre più a nord, lasciando spazio a nuovi arrivi. Nella seconda metà dell'Ottocento, con "the Bowery" veniva indicata una vasta zona compresa tra Broadway e i docks dell'East Side; era considerata il regno delle gang, della povertà, della prostituzione, del gioco d'azzardo, delle fumerie di oppio, della corruzione della polizia e dei politici.<sup>[[w:Bowery|''Da Wikipedia'']]</sup></ref> Da bambino aveva già familiarità con tutti i mali possibili che potessero derivare dall'estrema povertà. Racconta la sofferenza e l'ipocrisia della ricchezza accoppiata con la moralità borghese. A New York incontra atisemiti ovunque. Per Gold l'America rappresenta l'esatto opposto del segno del pellegrino. La sua grande città è un vero inferno in terra: {{quote|New York è il sogno del demonio, la città più urbanizzata del mondo. È tutta geometrica, angoli e pietre. È mitica, una città seppellita da un vulcano. Non si trova erba in questa città pietrificata, nessun albero vivente, nessun fiore, nessun uccello se non il miserabile piccolo passero incolore, niente terreno, argilla, suolo.|''Jews Without Money''<ref name="Jews"/>}} È vero che l'America è diventata ricca, ma solo "perché ha divorato la tragedia di milioni di immigrati."<ref name="Jews"/> Sebbene la prospettiva di Gold sia molto differente dal ''Levinsky'' di Cahan, si notano però osservazioni simili sul carattere dell'assimilazione. Il segno più immediato lo si sovviene nel cambiamento di stile nel vestirsi.: "Il nostro Sam non indossava più un cappello di pelliccia, un lungo soprabito ebraico e stivali pesanti. No. Indossava un bel completo da gentiluomo, un colletto bianco da dottore, scarpe alla moda ed un elegante cappello di pelle chiamato ''derby''."<ref name="Jews"/> Ne emerge un quadro vivido di vita quotidiana, di povertà e violenza, di eccitazione, di movimento, di rottura della monotonia (una visita al parco del Bronx, "alquanto eccitante per quelli di città"). E c'è anche una nota personale nella descrizione di sua madre, sulla quale basa le sue predilezioni correnti: "Mamma! Mamma! Sono ancora legato a te dal cordone della nascita. Non ti posso dimenticare. Devo rimanere fedele ai poveri perché non posso esserti sleale."<ref name="Jews"/> Il libro di Gold è deliberatamente episodico, saltando da una scena all'altra per costruire il quadro generale. La religione vien vista negativamente, il rituale considerato arido ed irritante, anzi nevrotico: "La religione era un fervido affare nel quartiere di East Side. Ogni razza perseguitata diventa una razza di fanatici."<ref name="Jews"/> Tuttavia l'unico concetto con il quale l'autore simpatizza è l'idea messianica — e ciò perché il Messia porterà un cambiamento rivoluzionario e non lascerà il mondo nel suo attuale stato irredento. Il Messia viene trasportato nella storia corrente in senso marxista, e secolarizzato. Il Messia è la rivoluzione: "O Rivoluzione dei lavoratori, mi hai portato a casa un solitario ragazzo suicidario. Tu sei il vero Messia." Tale Messia poteva redimere l'umanità dall'umiliazione di cercar lavoro tra venditori ambulanti, dalle guerre di bande dove il più spietato e vendicativo vinceva sempre, dalla perpetua povertà e degradazione umana. Infine il mondo sarebbe stato trasformato (secondo Gold) nel paradiso dei lavoratori che l'Unione Sovietica stava diventando, con il dittatore del popolo al timone dello Stato. Inutile dire che in tale nuovo mondo non ci sarebbe stata divisione tra ebrei e gentili, o in verità tra le razze poiché tale divisione, come la guerra e i conflitti in generale, è creata dalla crudeltà insita nel capitalismo. Ciò che Gold ci mostra come ebraismo è una fase transitoria che progredisce verso la rivoluzione, che obliterà il separatismo etnico e religioso come oscurantista ed alienante.<ref name="Scott"/> [[File:Hecht Earlyportrait.JPG|thumb|150px|left|Ben Hecht nel 1919]] Lo stile di '''Ben Hecht''' (1894-1964)<ref>Ben Hecht è stato uno scrittore, sceneggiatore regista, produttore, drammaturgo e giornalista. Chiamato "lo Shakespeare di Hollywood", è stato ufficialmente accreditato per le sue storie o sceneggiature in più di 70 film: ha vinto l'Oscar al miglior soggetto nel 1929 per ''Le notti di Chicago'' e nel 1936 per ''The Scoundrel''. Non si presentò alla cerimonia degli Oscar del '29 quando vinse la prima statuetta; mandò invece un telegramma dicendo di essere onorato e felice che fosse stato istituito "un premio per cercare di mettere in luce i film di qualità. In questo modo Hollywood sembrava meno una 'latrina'". Il ''Dictionary of Literary Biography - American Screenwriters'' lo indica come "uno degli sceneggiatori più importanti e di successo nella storia del cinema". Lavorò come sceneggiatore, scrittore (''1001 afternoons in Chicago''), giornalista, in un talk show irriverente (di cui era autore) e come regista (con scarsi risultati). Ha sempre detestato (forse talvolta per posa) l'industria hollywoodiana, accusando il suo lavoro di sceneggiatore come la causa del suo mancato "grande romanzo". Ha lavorato insieme ad altri scrittori come Francis Scott Fitzgerald alla sceneggiatura di ''Via col vento''.<sup>''[[w:Ben_Hecht|Cfr. Wikipedia]]''</sup></ref> è completamente opposto a quello di Gold. I suoi scritti, concentrati su temi di attualità, giornalismo e cinema, non coinvolgono ebrei o ebraismo.<ref name="Kovan">Florice Whyte Kovan (cur.), ''Rediscovering Ben Hecht '', Snickersnee Press, 1999.</ref> Tuttavia in un unico romanzo, ''A Jew in Love'' (1931)<ref name="Love">Ben Hecht, [http://books.google.co.uk/books/about/A_Jew_in_love.html?id=hN8hAAAAMAAJ&redir_esc=y ''A Jew in Love'', Covici, Friede, 1931]; nuova ed. Fortune Press, 1970.</ref> in cui medita sulla natura dell'ebreo, la sua scrittura è antiretorica, colta, sottile e barocca. Il romanzo narra di Jo Boshere e, in particolare come indica il titolo, delle sue avventure erotiche; ma tali pratiche amorose non sono separate dalla sua natura e dai suoi complessi ebraici. Al contrario, li esprimono, sia nella sua fuga dall'ebraismo che nella sua nostalgia per esso. Hecht inizia la sua storia con una lunga descrizione introduttiva dell'eroe, prima che inizi una qualsiasi azione — e l'eroe Boshere è inequivocabilmente e invincibilmente ebreo: "Boshere non faceva smorfie, e tuttavia aveva una faccia sgradevolmente semitica, una faccia stampata con le curve geroglifiche dell'alfabeto ebraico." Con tale destino nell'aspetto, doveva per forza imparare ad accettarlo.<ref name="Love"/> Boshere, all'inizio del libro, è già un uomo maturo e di successo; quindi il romanzo, a differenza di ''Levinsky'', non è un resoconto di una carriera. Il tema piuttosto è la natura dell'uomo in questione e il suo esternarsi nella maniera erotica: cosa significhi essere un ebreo in amore.<ref>Giaime Alonge, ''Scrivere per Hollywood. Ben Hecht e la sceneggiatura nel cinema americano classico'', Marsilio, 2012.</ref> [[File:Caricature of Ben Hecht by Gene Markey.jpg|thumb|Caricatura di Ben Hecht (1923)]] Jo Boshere (nato Abe Nussbaum: il suo cambio di nome indica il bisogno di assimilarsi e farsi accettare) è già sposato quando entra in scena. Ma il suo matrimonio è di un tipo molto particolare. Subito dopo il matrimonio Boshere decide che debbano sempre stare divisi, mandando la moglie a fare lunghi viaggi. Che cosa lo ha portato ad unirsi a lei? Forse era attratto dal suo interesse per lui: "la sua affinità a Boshere era la sua quasi folle preoccupazione per lui." Boshere è totalmente egoista, insensibile ai bisogni degli altri. Infatti, la sua ambizione principale è di incorporare questi altri nel suo ego rampante: "Sebbene iniziasse ognuna delle sue seduzioni con pretese di passione e intensità, il suo ardore in tale direzione non era altro che una maschera del suo scopo reale, che era quello di una seduzione più profonda e interiore, una fame vampiresca di sangue della sua vittima."<ref name="Love"/> Non riesce a sopportare individui separati, autonomi — solo satelliti intorno a lui. Ma la sua ebraicità rimane il suo problema. All'inizio cerca di trascenderla. Ma poi Tillie Marmon, oggetto del suo costante desiderio, gli rende chiaro che è proprio la sua ebraicità che la attrae nella sua estraneità: "La sua ebraicità era diventata per lei una maschera esotica, misteriosa ed orientale... Il processo di cambiare da ebreo a orientale, da una vignetta antisemita ad un'illustrazione affascinante del tipo ''Mille e Una Notte'', produsse su Boshere un vero incantesimo — e ne fu grato."<ref name="Love"/> Questa percezione esterna di se stesso lo aiuta a riesaminare la propria valutazione del suo carattere ebraico. Ma vuole usare la sua natura e le sue caratteristiche ebraiche per metterle in mostra, per starci al disopra in controllo, come sofisticato cosmopolita che può "attivare" le sue origini a piacimento, sdegnandosi di nasconderle. Tuttavia, come indicato dalle sue relazioni con la famiglia, in particolare con sua sorella Esther, non vuole essere sopraffatto da questa ebraicità: diventa specialmente nervoso con le associazioni sioniste di Esther — forse perché il sionismo implica un assenso totale all'ebraicità. Esther gli dice: "Ti vergogni di esserti associato con la causa ebraica perché si riflette su di te: ricorda alla gente che tu sei un ebreo." Per lui, comunque, il sionismo è autoinganno, la pretesa che "ora gli ebrei sono rispettabili".<ref name="Love"/><ref name="Kovan"/> [[File:Ben Hecht.jpg|thumb|150px|left|Ben Hecht nel 1949]] Da una lettura superficiale del romanzo, sembrerebbe che la sua preoccupazione esternata nel titolo non sia con la parola "ebreo", ma piuttosto con la parola "amore". Qual è dunque la natura dell'"amore" di Jo? È proprio amore, o non c'è forse dell'ironia nel titolo? Amore, quando significa qualcosa, richiede un profondo interesse per l'altro/a, oggetto di tale amore. L'amante dovrebbe perdersi in un dare altruistico; ma Jo sembra incapace di dare, ed è eternamente assillato non da una preoccupazione per la compagna (al contrario, salta da una all'altra e le tradisce tutte senza alcun scrupolo), ma dalla propria insicurezza. Lo "amano" veramente, è ciò che vuol sapere. Sono costantemente concentrate su di lui, sul suo essere? In verità, quando sospetta di essersi innamorato sinceramente, percepisce tale sentimento come un'umiliazione. Di certo la persona che ama è meno in controllo dell'oggetto amato, e ciò che Jo cerca soprattutto è il controllo. Controllo è potere: "L'amore di per sé non ha valore per il suo egoismo. Amare un'altra infatti era rivalità bizzarra e insopportabile. Se ne adombrava e si sentiva sminuito. Il suo maggior interesse, quando veniva colto dal desiderio di un'altra, era quello di far nascere in questa altra un amore immediato e travolgente."<ref name="Love"/> Ma proprio come il suo amore è inautentico, così lo è anche la sua ebraicità. Hecht non lascia quasi mai che l'azione descriva se stessa: la trama non emerge a farsi interpretare dal lettore. Al contrario, al lettore vengono dati i pensieri di Jo e la prospettiva onnisciente del narratore con la sua struttura pensante. Ma poiché il personaggio principale non ha raggiunto la maturità e l'autocomprensione, egli non potrà mai crescere oltre il dato del narcisismo. Ciò potrebbe apparire divertente oppure terribile ad un estraneo, quindi il tono di questa attraente narrazione si sposta tra farsa e tragedia. Se l'"amore" è il tema principale, allora è un falso amore che emana da un falso ebreo. Jo non ha affrontato la sua natura essenziale in nessun rispetto — è riuscito a realizzarsi in società, ma non in se stesso, nella sua propria vera essenza. Certamente non come ebreo.<ref>Doug Fetherling, ''The Five Lives of Ben Hecht'', Lester & Orpen, 1977, ''s.v.'' "''A Jew in Love''".</ref> [[File:Brooklyn Museum - Sunset From Williamsburg Bridge - Joseph Pennell.jpg|thumb|''Tramonto dal Ponte di Williamsburg'', incisione di Joseph Pennel, 1915]] Uno dei fattori interessanti di questo genere di letteratura è il modo in cui viene riscoperta dopo anni di oblio dalla loro pubblicazione. '''Daniel Fuchs''' (1909-1993), nella prefazione del 1961 ai suoi tre primi romanzi,<ref name="Fuchs">Fuchs scrisse inizialmente tre romanzi pubblicati dalla Vanguard Press: ''Summer in Williamsburg'' (1934), ''Homage to Blenholt'' (1936) e ''Low Company'' (1937). I primi due descrivevano la vita di ebrei a Williamsburg (New York); l'ultimo si concentrava su vari personaggi di estrazione etnica a Brighton Beach. Vennero pubblicati in un unico volume nel 1961 col titolo [http://lccn.loc.gov/61013511 ''Three Novels (Tre Romanzi)'']. Tra le altre edizioni in singolo volume si include [http://lccn.loc.gov/2006023170 ''The Brooklyn Novels (I romanzi di Brooklyn)''], con un'introduzione del romanziere Jonathan Lethem, pubblicata nel 2006 da Black Sparrow Books. Citazioni nel testo con stralci dei rispettivi romanzi, si riferiscono all'edizione del 1961.</ref> scrive che vennero immediatamente dimenticati. Ora invece sono riconosciuti come importanti e di grande valore.<ref name="Guttmann1">Allen Guttmann, ''Jewish Writer in America: Assimilation and the Crisis of Identity'', ''cit.'', 1972, pp. 142-155 e ''s.v.'' "Fuchs".</ref> Tuttavia lo scrittore non capiva cosa stava facendo — "''Summer in Williamsburg'' (1934) fu scritto in uno stato di vero terrore", afferma Fuchs. Panorama di vita in questo quartiere di New York, divertente e tragico, il romanzo venne scritto come un diario: "Ero determinato a scrivere bene. Volevo esaminare ogni cosa con una veduta assolutamente chiara, senza vincoli e inalterata." Lo compose, come afferma egli stesso, "con candore o innocenza", e raggiunge il lettore come una miscela di naturalismo e fantasia, elevato al livello di grande narrativa creativa. Come Gold, Fuchs ambienta la sua opera nel cuore del proletariato ebraico. Ma la rappresentazione è comica ed empatica.<ref name="Guttmann1"/> Poiché questo romanzo si muove soventemente da personaggio a personaggio e da scena a scena, è difficile parlare di un unico eroe o di un'unica trama. Un'azione centrale la si può trovare in una guerra tra due bande di quartiere, ognuna delle quali vuole organizzare una società di autobus interurbani e far fallire l'altra. La banda che il lettore viene a conoscere meglio, capitanata da Papravel, vince alla fine. E l'eroe? Forse è Williamsburg stessa, con tutti i suoi protagonisti.<ref name="Guttmann1"/> Ci sono scene di violenza e sconcerto. Il giovane Philip Hayman è più che altro la lente, l'osservatore distaccato, di suo padre: "È vecchio e Mamma è stanca e Harry se ne sta andando, già un estraneo, mentre io, naturalm ente, mi sposto lungo percorsi lunari come un attore incontaminato dalla vita, distaccato e superiore."<ref name="Fuchs"/> Esiste una ricchezza di personaggi, una vera commedia umana. Philip, incapace di impegnarsi sia in amore che nella vita, si vede come un eroe da film. Un eroe da film logicamente ha solo una realtà limitata, controllabile e brillante, da cui il personaggio si può staccare e infine restarne indenne. E quindi per lui Williamsburg è un set cinematografico.<ref name="Sam">[http://www.nytimes.com/2005/07/10/books/review/10TANENHA.html?pagewanted=all&_r=0 Sam Tanenhaus, "'The Golden West': Access Hollywood"], su ''The New York Times'', 10/07/2005. <small>URL consultato 21/08/2014.</small></ref> La guerra tra bande vien messa in parallelo con i litigi tra gruppi di bambini. Ma nel caso non si prendesse la storia abbastanza sul serio, intervengono vari decessi. Tutti sanno, per esempio, che il Signor Miller sta morendo, ma nessuno sa di che cosa. Riecheggia il punto fatto dal racconto di Tolstoj ''La morte di Ivan Il'ič'', che la morte èè qualcosa che ci si aspetta accada ad altri. "Un uomo nasce, cresce e cresce, e muore. Dobbiamo aspettarcelo, dicono tutti, ma noi che lo diciamo non ce lo aspettiamo. Ci aspettiamo la morte degli altri, ma per noi stessi essa è sempre remota e impossibile."<ref name="Fuchs"/> Philip rimane ai margini della società; suo fratello Harry gli chiede di unirsi alla banda di Papravel, Tessi gli chiede d'amarla, suo padre di ritornare nel cuore della famiglia. Tutti lo vogliono, ed egli empatizza con tutti. Tuttavia rimane a fluttuare nel suo inventato sogno filmatico. Gli altri personaggi si impegnano: Cohen si impegna nella politica, Harry nel crimine, suo padre nelle opere pie. Ma poi, in un modo o nell'altro, si disimpegnano — Cohen non è un comunista sincero, Harry lascia Papravel proprio quando ha vinto contro il suo rivale Morand, e anche il padre, sopportando il suo squallore, ha dei dubbi sulla sua vita di altruismo. L'autore ha difficoltà a focaizzarsi adeguatamente. Dio viene introdotto in maniera quasi faceta alla fine: "E ora Egli guarda dall'alto e per un attimo il Suo sguardo si posa nuovamente su Williamsburg e, tra sé e sé, Si chiede, chissà come vanno le cose laggiù... Dio guarda e si chiede. Tutto è come è sempre stato e come sempre sarà."<ref name="Fuchs"/> Questa è la conclusione inconclusiva. Dio è indeciso come i personaggi che si alternano sul set e la trama è circolare piuttosto che lineare. Nel suo altro romanzo, ''Homage to Blenholt'' (1936), dove l'ambientazione è la stessa ma i personaggi differenti, il lettore viene intrattenuto e rattristato dalla scena transiente che si muove in girotondo piuttosto che in successione e avanzamento: non se ne comprende bene il fine né si arriva ad un epilogo. C'è solo molta osservazione.<ref name="Sam"/> [[File:Prettyboy.JPG|thumb|Bambino ebreo con ''payot'' (boccoli)]] L'opera più avvincente di questo genere letterario è senza dubbio ''Call it Sleep'' (1934, ''Chiamalo sonno''), il romanzo più importante di '''Henry Roth''' (1906-1995).<ref name="Roth">Henry Roth, ''Chiamalo sonno'', trad. di Mario Materassi, Lerici, Milano, 1964; Garzanti, Milano 1986 — citazioni e stralci dall'edizione originale inglese. ''Chiamalo sonno'' fu il primo libro di Henry Roth, originariamente pubblicato nel 1934. Diede una certa popolarità all'autore solo dopo la ripubblicazione e rivalutazione critica negli anni sessanta, in cui è stato applaudito da alcuni come un capolavoro trascurato dell'era della Grande depressione e come un romanzo classico di immigrazione. Chiamalo sonno fu dedicato dall'autore alla sua amante e musa del periodo, Eda Lou Walton. Dopo la pubblicazione del libro, Roth iniziò ed abbandonò un secondo romanzo e scrisse parecchie storie brevi. All'inizio degli anni quaranta abbandonò la scrittura e si mosse da New York al Maine e al Nuovo Messico. Successivamente lavorò anche come pompiere, operaio ed insegnante, prima di andare in pensione e stabilirsi in un campo caravan ad Albuquerque. Roth in un primo momento non accolse con favore il successo dovuto alla riscoperta di ''Chiamalo sonno'', preferendo mantenere la sua privacy. Tuttavia, presto cominciò a scrivere ancora, inizialmente storie brevi. All'età di 73 anni cominciò un'opera narrativa in sei volumi, intitolata ''Alla mercé di una brutale corrente'', due dei quali ebbero pubblicazione definitiva e completa poco prima della sua morte. Altri due volumi furono pubblicati postumi, mentre gli ultimi due manoscritti rimangono non pubblicati in Italia.<sup>[[w:Henry_Roth|''Cfr. Wikipedia'']]</sup></ref> È un libro insolito non solo per la sua potenza ma per il suo singolo punto narrativo centrale. Tutto vien visto, a parte il prologo che mette in contesto la figura principale, attraverso gli occhi di un bambino di sei-sette anni, David Schearl. Il vantaggio di tale prospettiva si ritrova nella percezione naturale delle sottigliezze delle relazioni, enfatizzate dalla sensibilità del bambino. Tuttavia, nonostante il resoconto sia filtrato tramite il bambino, il lettore per implicazione vien fatto consapevole di cose che solo un adulto può comprendere.<ref name="Lyons">Bonnie Lyons, ''Henry Roth, the man and his work'', New York: Cooper Square Publishers, 1976, ''passim''.</ref> David si dibatte tra significati al fine di dare un senso al proprio ambiente, ad un mondo strano ed ostile, ad un'America brutale, ad un padre prepotente, a bambini arroganti e presuntuosi, a cose di per se stesse intimidatorie. Sebbene la storia sia narrata in terza persona e David sia presentato come uno dei personaggi, tutti gli altri vengono visti in relazione a lui e di solito descritti nei termini di tale relazione — per esempio il padre di David, la madre di David, e così via.<ref name="Roth"/><ref name="Mario">''Rothiana: Henry Roth nella critica italiana'', a cura di Mario Materassi, con un inedito, Giuntina, Firenze 1985.</ref> David è arrivato in America da piccolo (esattamente a che età è una delle questioni aperte che mettono in dubbio la sua paternità) e la storia viene poi ripresa diversi anni dopo. Poiché il neonato David non poteva certo avere un'accurata percezione del mondo esterno, l'impatto dell'immigrazione viene registrato dal di fuori. È portato da sua madre a riunirsi col padre (Albert) che si era già stabilito a New York. La madre esclama ironicamente: "Ah, questa è la 'Terra d'oro'!", dopo che al lettore viene descritto il passaggio dal "puzzo e afa della stiva al puzzo e afa dei casamenti newyorchesi". I rapporti David/madre/padre/locale sono immediatamente fissati. Il padre è totalmente ostile verso gli altri due membri della famiglia, specie per il fatto che sono appena arrivati. Del bambino dice: "È la causa di tutti i guai comunque".<ref name="Roth"/> L'ambiente di conseguenza è ostile a David, come per esempio lo è un rubinetto: "In piedi davanti al lavello della cucina e guardando i rubinetti scintillanti che luccicavano in distanza, ciascuno con un gocciolone d'acqua che pendeva, si gonfiava lentamente e cadeva, David si rese conto di nuovo che questo mondo era stato crerato senza pensare a lui."<ref name="Roth"/> Sebbene la visione sia presentata dalla prospettiva del bambino, il campo d'osservazione è reso verosimile: esiste un'unità di linguaggio. Il linguaggio implicito quando i genitori parlano tra di loro è lo yiddish, trasmesso in un inglese normativo e ricco. Ma quando gli immigrati parlano espressamente inglese (con estranei, o i bambini tra di loro), lo parlano in dialetto. Nessuno di loro si sente veramente a casa lì.<ref name="Rosen">[http://www.newyorker.com/archive/2005/08/01/050801crbo_books "Writer, Interrupted: The Resurrection of Henry Roth"] di Jonathan Rosen, su ''The New Yorker''</ref> Il rapporto triangolato padre/madre/figlio riscontra il suo parallelo nel romanzo ''Sons and Lovers'' (1914, ''Figli e amanti'') di D. H. Lawrence,<ref>D.H. Lawrence, in it. ''Figli e amanti'', trad. Elena Grillo, Roma: Newton Compton, 1993.</ref> nell'ostilità del padre e la protettività della madre per il figlio. Il padre, ottuso e violento, si sente un estraneo e la madre sembra curarsi soltanto del figlio, sebbene si sottometta ai doveri di moglie. Il figlio è costretto a trovar rifugio dal terrore costante del mondo presso madre; il padre è un inetto fuori posto nel contesto urbano: "Quando esci di casa e cammini sulla terra nuda nei campi, sei lo stesso uomo che eri quando ti trovavi dentro casa; ma quando metti piede sull'asfalto, sei un altro. Senti che ti si cambia la faccia."<ref name="Roth"/> Ed è la faccia cambiata del padre che si vede a casa sua. Ognuno paventa la sua violenza e imprevedibilità. Tuttavia non è solo il padre che spaventa David. Gli altri bambini del quartiere sembrano sapere cose che sono fuori portata per David. La storpia Annie cerca di introdurre David al "male", cioè al sesso. Ogni cosa lo terrorizza: "Ma ella [la madre] non sapeva, come invece egli sapeva, che tutto il mondo poteva frantumarsi in migliaia di minuscoli pezzi, tutti ronzanti, stridenti, e nessuno li udiva e nessuno li vedeva, eccetto lui." Ora il mondo di David è frammentato. Il pericolo è ovunque — l'ospite Luter che viene spesso a casa loro e che David percepisce essere un suo rivale nelle attenzioni della madre; i poliziotti che non sembrano poterlo aiutare e ritrovare la strada di casa quando si perde; le strade stesse che, al di là della propria, sono sconosciute (non sa nemmeno il nome giusto della propria strada). "Tutto ciò che gli appare davanti lo spaventa."<ref name="Roth"/> Il lettore si può basare solo sulle rappresentazioni mentali di David: tutti gli altri vengono registrati da e attraverso David, cosicché li si può osservare esclusivamente dall'esterno — come fa lui — attraverso le loro azioni ed i loro discorsi. La famiglia si sposta da Brownsville alla bassa East Side in modo che il padre possa essere più vicino al suo posto di lavoro come lattaio (dopo un incidente, era stato reso inabile a lavorare presso una tipografia). Questo quartiere è "un mondo nuovo e violento". Ma c'è anche un nuovo mediatore sotto forma della zia Bertha, la sorella di sua madre appena immigrata: estroversa, audace, sebbene non presentabile e con scarsa conoscenza dell'inglese, riesce a introdurre David in un ambiente al di là della famiglia. Bertha possiede informazioni segrete su sua madre e le sue relazioni con un certo "organista" del vecchio continente. Grazie a mal compresi frammenti di ricordi e confidenze, David capisce che sua madre aveva conosciuto tale organista molto intimamente, ma questi era già fidanzato e quindi per lei non disponibile (come anche non ebreo). L'aveva visto per l'ultima volta in un campo di grano (di significato speciale, dato che una delle poche cose che sua madre aveva comprato per l'appartamento di New York era un quadro di un campo di grano). Sei mesi dopo aveva incontrato Albert e l'aveva velocemente sposato. Anche qui sembra esserci un mistero, poiché il mondo pare proprio permeato da misteri — ed i misteri che riguardano sua madre sono particolarmente preoccupanti per David. Un altro mistero è Dio, sul quale David inizia ad imparare al ''cheder'' (scuola ebraica). Leggono la visione di Isaia, che raffigura il Signore seduto sul Suo trono,<ref>''Isaia'' 6:1-3: "Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l'uno all'altro: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria»." (CEI)</ref> e David è fermamente deciso ad individuare questo formidabile fenomeno. Attraverso accenni enigmatici, impara ad associare Dio ad una luce molto potente, "più forte di quanto il giorno non lo sia della notte". Così David vede Dio nel riflesso della luce sull'acqua e, ancor più vividamente, gettando una spada di zinco sui binari del tram (che sono elettrificati nella barra centrale), quando "la luce, liberata, la luce terrificante eruttò dalle labbra di ferro." Il suo insegnante contesta tale visione di Dio, ma David rimane poco convinto da questa denigrazione.<ref name="Roth"/> [[File:Why London Underground is nicknamed The Tube.jpg|thumb|Ferrovia con binari elettrificati: la corrente passa nella terza rotaia, quella mediana — da notare che è scoperta e non protetta. Nel romanzo di Roth, il bambino David rimane quasi fulminato, quando gli si incastra un piede.]] Nuovi territori invadono il territorio di David. C'è Leo Dukovka, di origini polacche, molto indipendente, eccitante e scalmanato. Ci sono le sue cugine Esther e Polly, che emanano una sessualità per David disgustosa. A causa di una complecata serie di eventi, la storia della precedente relazione della madre viene scoperta dal padre, che quindi trova confermati tutti i suoi sospetti: "In tutti questi anni il mio stesso sangue me lo diceva! Me lo sussurrava ogni volta che lo guardavo, me ne dava sentore, mi diceva che non era mio." E quando va a picchiarlo, un rosario (datogli dal cattolico Leo) cade di tasca al bambino. Ciò conferma tutto: è "un segno, una testimonianza".<ref name="Roth"/> A questo punto David scappa via e va di nuovo ai binari del treno. Per avere la sua visione confermata ancora una volta? Nell'ottenere una luce accecante, "radiosa, incandescente e roboante", questa volta gli si incastra un piede e viene bruciato, quasi fulminato: scosso da una corrente di 550volt, riesce però a salvarsi ed è quasi una risurrezione. Come spiega con sincerità alla madre, David non sa perché sia andato sui binari. Ora, per superare il terrore della vita, il bambino può solo dormire. Il sonno può creare una scintilla nel buio. Quindi, che sia sonno o meno (come suggeritogli dalla domanda della madre), "tanto vale che lo chiami sonno".<ref name="Roth"/> Alla fine del romanzo avviene una catarsi.<ref name="Grath">[http://www.nytimes.com/2010/05/24/books/24type.html "Breathing Life Into Henry Roth"] di Charles McGrath, ''The New York Times'', 23/05/2010.</ref> Il terrore è stato confrontato alla sua fonte. David si è trovato proprio alla presenza di questo Dio, ne ha incontrato tutti i Suoi pericoli e ne è uscito vivo. La sicurezza che scaturisce dalla realtà materna ha permeato David contro la potenza di Dio e tutte le altre forze oscure e ostili. Questo è un punto fermo nel mondo del bambino. Per esempio, percorrendo una strada sconosciuta, a volte scorgeva la madre inaspettatamente: {{quote|Vederla accidentalmente, in questo modo fortuito, gli dava un brivido intenso di piacere. Era come se la mutante complessità della strada fosse fiorita nella semplice certezza della sua presenza, come se fossero passati giorni e non ore da quando l'aveva vista perché giorni e non ore erano passati da quando l'aveva vista per strada.|''Call it Sleep''<ref name="Roth"/>}} Il misterioso sollievo del sonno alla fine del libro viene associato al conforto di sua madre contro la fonte terrificante della potenza dei binari. Quella potenza è il nemico. Forse dopo aver ottenuto questa pace, il bambino avrà ottenuto la maturità necessaria per fronteggiare la vita. ''Call it Sleep'' è il resoconto di un mondo infantile di terrore superato attraverso una crisi. È veramente un'opera speciale ma, per sua natura, irripetibile.<ref>Steven G. Kellman, ''Redemption: The Life of Henry Roth'', W.W. Norton, 2005.</ref> ==Note== <references/> {{Avanzamento|100%|23 agosto 2014}} [[Categoria:Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo|L'esperienza migratoria in America]] i13le04cedsy9mn6h6h21zihrvkl7et Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Umbria/Provincia di Perugia/Città di Castello/Città di Castello - Chiesa di San Francesco 0 40310 477855 457057 2025-06-15T14:46:09Z Eumolpo 4673 ortografia 477855 wikitext text/x-wiki {{Disposizioni foniche di organi a canne}} [[File:Città di Castello, chiesa di San Francesco - Organo a canne.jpg|center|350px]] * '''Costruttore:''' Francesco Polinori * '''Anno:''' 1763 * '''Restauri/modifiche:''' Pinchi (1985, restauro) * '''Registri:''' 17 * '''Canne:''' 633 * '''Trasmissione:''' meccanica * '''Consolle:''' a finestra, al centro della parete anteriore della cassa * '''Tastiere:''' 1 di 45 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Do<small>5</small>'') * '''Pedaliera:''' dritta di 15 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Fa#<small>2</small>''), costantemente unita al manuale + pedale del ''Tamburo'' * '''Divisore tastiera:''' ''Do<small>3</small>''-''Do<small>#3</small>'' * '''Collocazione:''' in corpo unico, al centro della cantoria dell'abside * '''Accessori:''' ''Uccelli'' (4 canne), ''Tamburo'' {| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;" | style="vertical-align:top" | {| border="0" | colspan=2 | '''Manuale''' ---- |- | Principale || 8' Bassi |- | Principale || 8' Soprani |- | Ottava || 4' |- | Decima quinta || 2' |- | Decima nona || 1.1/3' |- | Vigesima seconda || 1' |- | Vigesima sesta || 2/3' |- | Vigesima nona || 1/2' |- | Trigesima terza || 1/3' |- | Trigesima sesta || 1/4' (solo la prima ottava) |- | Voce umana || 8' (Sop.) |- | Flauto dolce || 8' (Sop.) |- | Flauto traverso || 8' (Sop. due file) |- | Flautini || 4' (Sop.) |- | Flauto in duodecima || 2.2/3' |- | Cornetto || 1.3/5' (Sop.) |- | Tromboncini || 8' Bassi |- | Tromboncini || 8' Soprani |- |} | style="vertical-align:top" | {| border="0" | colspan=2 | '''Pedale''' ---- |- | Contrabbassi || 16'<ref>aziona anche il registro ''Ottava di contrabbassi 8<nowiki>'</nowiki>''.</ref> |- | Ottava di contrabbassi || 8' |- |} |} == Note == <references/> == Altri progetti == {{ip|commons=Category:San Francesco (Città di Castello) - Pipe organ|commons_preposizione=sull'|commons_etichetta=organo a canne|w=Chiesa di San Francesco (Città di Castello)|w_preposizione=sulla|w_etichetta=chiesa di San Francesco a Città di Castello}} {{Avanzamento|100%|19 luglio 2023}} [[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]] he5rk2b09mzb27qn6bhpcrvam0e2lez Chimica organica per il liceo/Introduzione 0 57299 477859 477501 2025-06-15T19:41:32Z 82.58.215.38 477859 wikitext text/x-wiki FATTO: 1.0, <s>1.1, 1.2, 1.3, metà 1.4, 1.5</s>, 1.6, 1.7, 1.8, 1.10, 1.12 NO IMMAGINI: 2.7, 2.9, 2.10 (solo didascalie delle immagini), 2.11 (manca l’ultimo paragrafo) = Struttura e legami = Questo capitolo fornisce una revisione del materiale trattato in un corso standard di chimica generale per matricole attraverso la discussione dei seguenti argomenti: * le differenze tra chimica organica e inorganica. * forme e significato degli orbitali atomici. * le configurazioni degli elettroni * legame ionico e covalente. * teoria degli orbitali molecolari * ibridazione. * struttura e geometria dei composti metano, etano, etilene e acetilene. == Introduzione alla chimica organica == Tutti gli esseri viventi sulla Terra sono formati principalmente da '''composti del carbonio'''. La prevalenza di composti del carbonio negli esseri viventi ha portato all'epiteto di vita "a base di carbonio". La verità è che non conosciamo nessun altro tipo di vita. I primi chimici consideravano le sostanze isolate dagli ''organismi'' (piante e animali) come un tipo diverso di materia che non poteva essere sintetizzata artificialmente, e queste sostanze erano quindi note come ''composti organici''. [[File:Chimica organica 1.0.1.jpg|centro|miniatura|Figura 1.0.1: Tutti i composti organici contengono carbonio e la maggior parte di essi è formata da esseri viventi, anche se si formano anche attraverso processi geologici e artificiali. (credito a sinistra: modifica del lavoro di Jon Sullivan; credito a sinistra al centro: modifica del lavoro di Deb Tremper; credito a destra al centro: modifica del lavoro di “annszyp”/Wikimedia Commons; credito a destra: modifica del lavoro di George Shuklin)]] '''Jöns Jacob Berzelius''', medico di professione, '''coniò per primo il termine "chimica organica"''' nel 1806 per indicare lo studio dei composti derivati ​​da fonti biologiche. Fino all'inizio del XIX secolo, naturalisti e scienziati osservarono differenze cruciali tra i composti derivati ​​da organismi viventi e quelli non derivati ​​da organismi viventi. [[File:Chimica organica 1.0.2.png|centro|senza_cornice]] Nel 1828, Friedrich Wöhler (considerato un pioniere della chimica organica) completò con successo una sintesi organica riscaldando il cianato di ammonio e sintetizzando il composto biologico urea (un componente dell'urina di molti animali) in quella che oggi viene chiamata "sintesi di Wöhler". Fino a questa scoperta, i chimici credevano ampiamente che le sostanze organiche potessero formarsi solo sotto l'influenza della "forza vitale" presente nell'organismo di animali e piante. La sintesi di Wöhler dimostrò drammaticamente la falsità di tale teoria. [[File:Chimica_organica_1.0.11.svg|centro|senza_cornice|chimica organica 1.0.11]] La sintesi dell'urea fu una scoperta cruciale per i biochimici perché dimostrò che un composto noto per essere prodotto in natura solo da organismi biologici poteva essere prodotto in laboratorio in condizioni controllate a partire da materia inanimata. Questa sintesi "in vitro" di materia organica smentiva la teoria comune (vitalismo) sulla ''vis vitalis'' , una "forza vitale" trascendente necessaria per la produzione di composti organici. La capacità di manipolare i composti organici include la fermentazione per creare il vino e la produzione di sapone, entrambe attività che hanno fatto parte della società per così tanto tempo che la loro scoperta è andata perduta nell'antichità. Prove dimostrano che i Babilonesi, già nel 2800 a.C., producevano sapone mescolando grasso animale con cenere di legno. Solo nel XIX secolo, Eugène Chevreul scoprì la natura chimica della produzione del sapone. In una reazione ora chiamata saponificazione, i grassi vengono riscaldati in presenza di una base forte (KOH o NaOH) per produrre sali di acidi grassi e glicerolo. I sali di acidi grassi sono il sapone che migliora la capacità dell'acqua di sciogliere i grassi. [[File:Chimica_organica_1.0.12.svg|centro|senza_cornice|chimica organica 1.0.12]] Sebbene originariamente definita come la chimica delle molecole biologiche, la '''chimica organica''' è stata successivamente ridefinita per riferirsi specificamente ai composti del carbonio, anche quelli di origine non biologica. Alcune molecole di carbonio non sono considerate organiche, con l'anidride carbonica come composto inorganico del carbonio più noto e più comune, ma tali molecole rappresentano l'eccezione e non la regola. La chimica organica si concentra sui composti del carbonio e sul movimento degli elettroni nelle catene e negli anelli del carbonio, nonché su come gli elettroni vengono condivisi con altri atomi di carbonio ed eteroatomi e si occupa principalmente delle proprietà dei legami covalenti e degli elementi non metallici, sebbene gli ioni e i metalli svolgano ruoli critici in alcune reazioni. Perché il carbonio è così speciale? La risposta a questa domanda riguarda la speciale capacità del carbonio di legarsi a se stesso, che verrà discussa in questo capitolo. Il carbonio è unico nella sua capacità di formare un'ampia varietà di composti, da quelli semplici a quelli complessi. Esistono letteralmente milioni di composti organici noti alla scienza, dal metano, che contiene un atomo di carbonio, al DNA, che contiene milioni di atomi di carbonio. Ancora più importante, la chimica organica ci dà la capacità di creare e modificare la struttura dei composti organici, che è l'argomento principale di questo libro. Le applicazioni della chimica organica sono innumerevoli e includono ogni sorta di plastica, coloranti, aromi, profumi, detergenti, esplosivi, carburanti e molti, molti altri prodotti. Leggi l'elenco degli ingredienti di quasi tutti i tipi di alimenti che mangi – o persino del tuo flacone di shampoo – e troverai il frutto del lavoro di chimici organici. [[File:Chimica organica 1.0.5.png|centro|senza_cornice]] Il valore che i composti organici rivestono per noi fa sì che la chimica organica sia una disciplina importante all'interno del campo generale della chimica. In questo capitolo, discuteremo perché l'elemento carbonio dà origine a un vasto numero e varietà di composti, come questi composti vengono classificati e il ruolo dei composti organici in contesti biologici e industriali rappresentativi. La chimica organica è probabilmente il campo più attivo e importante della chimica al momento, grazie alla sua estrema applicabilità sia alla biochimica (soprattutto nell'industria farmaceutica) che alla petrolchimica (soprattutto nell'industria energetica). La chimica organica ha una storia relativamente recente, ma avrà un futuro di enorme importanza, influenzando la vita di tutti in tutto il mondo per molti, molti anni a venire. == Struttura atomica: I nuclei == Gli atomi sono composti da protoni, neutroni ed elettroni. I protoni e i neutroni si trovano nel nucleo dell'atomo, mentre gli elettroni si trovano nella nube di elettroni intorno al nucleo. La carica elettrica relativa di un protone è +1, quella di un neutrone è nulla e la carica relativa di un elettrone è -1. Il numero di protoni nel nucleo di un atomo è chiamato numero atomico, Z. Il numero di massa, A, è la somma del numero di protoni e del numero di neutroni in un nucleo. === Termini chiave === * numero atomico * peso atomico * elettrone * numero di massa * neutrone * protone === L'atomo nucleare === La precisa natura fisica degli atomi emerse finalmente da una serie di eleganti esperimenti condotti tra il 1895 e il 1915. Il più importante di questi risultati fu il famoso esperimento di Ernest Rutherford del 1911 sulla diffusione dei raggi alfa, che stabilì che: * La quasi totalità della ''massa'' di un atomo è contenuta in un nucleo minuscolo (e quindi estremamente denso) che porta una carica elettrica positiva il cui valore identifica ogni elemento ed è noto come ''numero atomico'' dell'elemento. * Quasi tutto il ''volume'' di un atomo è costituito da spazio vuoto in cui risiedono gli ''elettroni'', i portatori fondamentali di carica elettrica negativa. La massa estremamente piccola dell'elettrone (1/1840<sup>th</sup> della massa del nucleo dell'idrogeno) fa sì che si comporti come una particella quantistica, il che significa che la sua posizione in qualsiasi momento non può essere specificata; il meglio che possiamo fare è descrivere il suo comportamento in termini di probabilità che si manifesti in qualsiasi punto dello spazio. È comune (ma un po' fuorviante) descrivere il volume di spazio in cui gli elettroni di un atomo hanno una probabilità significativa di trovarsi come la ''nube di elettroni''. Quest'ultima non ha un confine esterno definito, quindi nemmeno l'atomo. Il raggio di un atomo deve essere definito in modo arbitrario, come il confine in cui l'elettrone può essere trovato con il 95% di probabilità. I raggi atomici sono in genere 30-300 pm. [[File:Il_nucleo_atomico.png|centro|miniatura|il nucleo atomico]] Il nucleo stesso è composto da due tipi di particelle. I ''protoni'' sono i portatori di carica elettrica positiva nel nucleo; la carica dei protoni è esattamente uguale a quella degli elettroni, ma di segno opposto. Ciò significa che in qualsiasi atomo [elettricamente neutro], il numero di protoni nel nucleo (spesso indicato come ''carica nucleare'') è bilanciato dallo stesso numero di elettroni fuori dal nucleo. L'altra particella nucleare è il ''neutrone''. Come dice il nome, questa particella non ha carica elettrica. La sua massa è quasi uguale a quella del protone. La maggior parte dei nuclei contiene un numero approssimativamente uguale di neutroni e protoni, quindi possiamo dire che queste due particelle insieme rappresentano quasi tutta la massa dell'atomo. ''Poiché gli elettroni di un atomo sono in contatto con il mondo esterno, è possibile che uno o più elettroni vengano persi o che ne vengano aggiunti di nuovi. L'atomo elettricamente carico che ne risulta è chiamato ione.'' === Numero atomico (Z) === Quale singolo parametro caratterizza in modo univoco l'atomo di un dato elemento? Non è la massa relativa dell'atomo, come vedremo nella sezione sugli isotopi. Si tratta piuttosto del numero di protoni nel nucleo, che chiamiamo ''numero atomico'' e indichiamo con il simbolo Z. Ogni protone porta una carica elettrica di +1, quindi il numero atomico specifica anche la carica elettrica del nucleo. Nell'atomo neutro, i ''protoni Z'' all'interno del nucleo sono bilanciati dagli ''elettroni'' ''Z'' all'esterno. [[File:Henry_Moseley.jpg|miniatura|I numeri atomici furono elaborati per la prima volta nel 1913 da Henry Moseley, un giovane membro del gruppo di ricerca di Rutherford a Manchester.|centro]] Moseley cercò una proprietà misurabile di ogni elemento che aumentasse linearmente con il numero atomico. La trovò in una classe di raggi X emessi da un elemento quando viene bombardato da elettroni. Le frequenze di questi raggi X sono uniche per ogni elemento e aumentano uniformemente negli elementi successivi. Moseley scoprì che le radici quadrate di queste frequenze danno una linea retta se tracciate rispetto a Z; questo gli permise di ordinare gli elementi in ordine crescente di numero atomico. Si può pensare al numero atomico come a una sorta di numero di serie di un elemento, che inizia con 1 per l'idrogeno e aumenta di uno per ogni elemento successivo. Il nome chimico dell'elemento e il suo simbolo sono legati in modo univoco al numero atomico; così il simbolo “Sr” sta per lo stronzio, i cui atomi hanno tutti Z = 38. === Numero di massa (A) === Il ''numero di massa'' è uguale alla somma del numero di protoni e del numero di neutroni presenti nel nucleo. A volte viene rappresentato con il simbolo A, quindi ''A = Z + N'' in cui Z è il numero atomico e N è il ''numero'' ''neutronico''. === Elementi === Ad oggi sono stati scoperti circa 115 elementi diversi; per definizione, ognuno di essi è chimicamente unico. Per capire perché sono unici, è necessario comprendere la struttura dell'atomo (la particella fondamentale e individuale di un elemento) e le caratteristiche dei suoi componenti. Gli atomi sono costituiti da elettroni, protoni e neutroni. Sebbene questa sia una semplificazione eccessiva che ignora le altre particelle subatomiche che sono state scoperte, è sufficiente per la discussione dei principi chimici. Alcune proprietà di queste particelle subatomiche sono riassunte nella Tabella 1.1.1, che illustra tre punti importanti: # Gli elettroni e i protoni hanno cariche elettriche identiche in grandezza ma di segno opposto. All'elettrone e al protone sono assegnate cariche relative di -1 e +1, rispettivamente. # I neutroni hanno all'incirca la stessa massa dei protoni, ma non hanno carica. Sono elettricamente neutri. # La massa di un protone o di un neutrone è circa 1836 volte superiore a quella di un elettrone. I protoni e i neutroni costituiscono la maggior parte della massa degli atomi. La scoperta dell'elettrone e del protone è stata fondamentale per lo sviluppo del modello moderno dell'atomo e costituisce un eccellente caso di applicazione del metodo scientifico. In effetti, l'elucidazione della struttura dell'atomo è uno dei più grandi gialli della storia della scienza. {| class="wikitable" |+Tabella 1.1.1: Proprietà delle particelle subatomiche !'''Particella''' !'''Massa (g)''' !'''Massa atomica (amu)''' !'''Carica elettrica (coulombs)''' !'''Carica relativa''' |- |electron |9.109×10<sup>−28</sup> |0.0005486 |−1.602 × 10<sup>−19</sup> |−1 |- |proton |1.673×10<sup>−24</sup> |1.007276 | +1.602 × 10<sup>−19</sup> | +1 |- |neutron |1.675×10<sup>−24</sup> |1.008665 |0 |0 |} Nella maggior parte dei casi, i simboli degli elementi derivano direttamente dal nome di ciascun elemento, come C per il carbonio, U per l'uranio, Ca per il calcio e Po per il polonio. Gli elementi sono stati anche chiamati per le loro proprietà [come il radio (Ra) per la sua radioattività], per il paese natale dello scienziato o degli scienziati che li hanno scoperti [il polonio (Po) per la Polonia], per eminenti scienziati [il curio (Cm) per i Curie], per dei e dee [il selenio (Se) per la dea greca della luna, Selene] e per altre ragioni poetiche o storiche. Alcuni dei simboli utilizzati per gli elementi noti fin dall'antichità derivano da nomi storici non più in uso; rimangono solo i simboli a indicarne l'origine. Ne sono un esempio Fe per ferro, dal latino ''ferrum''; Na per sodio, dal latino ''natrium''; W per tungsteno, dal tedesco ''wolfram''. Gli esempi sono riportati nella Tabella 1.1.2. {| class="wikitable" |+Tabella 1.1.2: Simboli degli elementi basati su nomi non più in uso !'''Elemento''' !'''Simbolo''' !'''Derivazione''' !'''Significato''' |- |antimonio |Sb |stibium |dal latino "marchio” |- |rame |Cu |cuprum |da Cyprium, nome latino dell'isola di Cipro, la principale fonte di minerali di rame nell'Impero Romano |- |oro |Au |aurum |dal latino "oro" |- |ferro |Fe |ferrum |dal latino "ferro" |- |piombo |Pb |plumbum |dal latino "pesante" |- |mercurio |Hg |hydrargyrum |dal latino "argento liquido" |- |potassio |K |kalium |dall'arabo al-qili "alcali" |- |argento |Ag |argentum |dal latino "argento" |- |sodio |Na |natrium |dal latino "sodio" |- |stagno |Sn |stannum |dal latino "stagno" |- |tungsteno |W |wolfram |dal tedesco “pietra del lupo” perché interferiva con la fusione dello stagno e si pensava che lo divorasse |} Ricordiamo che i nuclei della maggior parte degli atomi contengono neutroni e protoni. A differenza dei protoni, il numero di neutroni non è assolutamente fisso per la maggior parte degli elementi. Gli atomi che hanno lo stesso numero di protoni, e quindi lo stesso numero atomico, ma un numero diverso di neutroni sono chiamati isotopi. Tutti gli isotopi di un elemento hanno lo stesso numero di protoni e di elettroni, il che significa che presentano la stessa chimica. Gli isotopi di un elemento differiscono solo per la loro massa atomica, che è data dal numero di massa (A), la somma dei numeri di protoni e neutroni. === Isotopi del carbonio === L'elemento carbonio (C) ha un numero atomico di 6, il che significa che tutti gli atomi di carbonio neutri contengono 6 protoni e 6 elettroni. In un tipico campione di materiale contenente carbonio, il 98,89% degli atomi di carbonio contiene anche 6 neutroni, per cui ognuno di essi ha un numero di massa pari a 12. Un isotopo di un qualsiasi elemento può essere rappresentato in modo univoco come A/Z X, dove X è il simbolo atomico dell'elemento. L'isotopo del carbonio che ha 6 neutroni è quindi 12/6 C. Il pedice che indica il numero atomico è in realtà superfluo perché il simbolo atomico specifica già in modo univoco Z. Di conseguenza, 12/6 C è più spesso scritto come <sup>12</sup>C, che si legge come “carbonio-12”. Ciononostante, il valore di Z è comunemente incluso nella notazione delle reazioni nucleari, perché queste reazioni comportano variazioni di Z. [[File:Formalismo_utilizzato.jpg|centro|miniatura|Formalismo utilizzato per identificare un nuclide specifico (qualsiasi tipo particolare di nucleo)]] Oltre a <sup>12</sup>C, un tipico campione di carbonio contiene l'1,11% di 13/6 C (<sup>13</sup>C), con 7 neutroni e 6 protoni, e una traccia di 14/6 C (<sup>14</sup>C), con 8 neutroni e 6 protoni. Il nucleo del <sup>14</sup>C non è tuttavia stabile, ma subisce un lento decadimento radioattivo che è alla base della tecnica di datazione al carbonio-14 utilizzata in archeologia. Molti elementi diversi dal carbonio hanno più di un isotopo stabile; lo stagno, ad esempio, ha 10 isotopi. Le proprietà di alcuni isotopi comuni sono riportate nella Tabella 1.1.3. {| class="wikitable" |+Tabella 1.1.3: Proprietà degli isotopi selezionati !'''Elemento''' !'''Simbolo''' ! '''Massa atomica (amu)''' !'''Numero di massa isotopica''' !'''Masse isotopiche (amu)''' !'''Abbondanze percentuali (%)''' |- | rowspan="2" |idrogeno | rowspan="2" |H | rowspan="2" |1.0079 |1 |1.007825 |99.9855 |- |2 |2.014102 |0.0115 |- | rowspan="2" |boro | rowspan="2" |B | rowspan="2" |10.81 |10 |10.012937 |19.91 |- |11 |11.009305 |80.09 |- | rowspan="2" |carbonio | rowspan="2" |C | rowspan="2" |12.011 |12 |12 (definito) |99.89 |- |13 |13.003355 |1.11 |- | rowspan="3" |ossigeno | rowspan="3" |O | rowspan="3" |15.9994 |16 |15.994915 |99.757 |- |17 |16.999132 |0.0378 |- |18 |17.999161 |0.205 |- | rowspan="4" |ferro | rowspan="4" |Fe | rowspan="4" |55.845 |54 |53.939611 |5.82 |- |56 |55.934938 |91.66 |- |57 |56.935394 |2.19 |- |58 |57.933276 |0.33 |- | rowspan="3" |uranio | rowspan="3" |U | rowspan="3" |238.03 |234 |234.040952 |0.0054 |- |235 |235.043930 |0.7204 |- |238 |238.050788 |99.274 |} === Esempio === Un elemento con tre isotopi stabili ha 82 protoni. Gli isotopi separati contengono 124, 125 e 126 neutroni. Identifica l'elemento e scrivi i simboli degli isotopi. '''Dato:''' numero di protoni e neutroni '''Richiesto:''' elemento e simbolo atomico '''Strategia:''' # Fai riferimento alla tavola periodica e utilizza il numero di protoni per identificare l'elemento. # Calcola il numero di massa di ciascun isotopo sommando i numeri di protoni e neutroni. # Indica il simbolo di ciascun isotopo con il numero di massa come apice e il numero di protoni come pedice, entrambi scritti a sinistra del simbolo dell'elemento. '''Soluzione:''' # L'elemento con 82 protoni (numero atomico 82) è il piombo: Pb. # Per il primo isotopo, A = 82 protoni + 124 neutroni = 206. Analogamente, A = 82 + 125 = 207 e A = 82 + 126 = 208 per il secondo e il terzo isotopo, rispettivamente. I simboli per questi isotopi sono 206/82 Pb, 207/82 Pb e 208/82 Pb che di solito vengono abbreviati in <sup>206</sup>Pb, <sup>207</sup>Pb e <sup>208</sup>Pb. === Esercizio === Identifica l'elemento con 35 protoni e scrivi i simboli dei suoi isotopi con 44 e 46 neutroni. '''Soluzione:''' 79/35 Br e 81/35 Br o, più comunemente, <sup>79</sup>Br e <sup>81</sup>Br. === Sintesi === L'atomo è costituito da particelle discrete che ne regolano il comportamento chimico e fisico. Ogni atomo di un elemento contiene lo stesso numero di protoni, che è il '''numero atomico''' (Z). Gli atomi neutri hanno lo stesso numero di elettroni e protoni. Gli atomi di un elemento che contengono un numero diverso di neutroni sono chiamati '''isotopi'''. Ogni isotopo di un dato elemento ha lo stesso numero atomico ma un diverso '''numero di massa''' (A), che è la somma dei numeri di protoni e neutroni. Le masse relative degli atomi sono riportate utilizzando l''''unità di massa atomica''' ('''amu'''), definita come un dodicesimo della massa di un atomo di carbonio-12, con 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni. == Struttura atomica: Orbitali == Un orbitale è il perfezionamento meccanico quantistico dell'orbita di Bohr. In contrasto con il suo concetto di orbita circolare semplice con un raggio fisso, gli orbitali sono regioni di spazio matematicamente derivate con diverse probabilità di avere un elettrone. Un modo per rappresentare le distribuzioni di probabilità degli elettroni è \(Ψ^2\). Poiché \(Ψ^2\) indica la probabilità di trovare un elettrone in un determinato volume di spazio (ad esempio un picometro cubo), un grafico di \(Ψ^2\) rispetto alla distanza dal nucleo (\(r\)) è un grafico della densità di probabilità. Ad esempio, l'orbitale 1s è sfericamente simmetrico, quindi la probabilità di trovare un elettrone 1s in un determinato punto dipende solo dalla sua distanza dal nucleo. La densità di probabilità è massima a \(r = 0\) (in corrispondenza del nucleo) e diminuisce costantemente con l'aumentare della distanza. A valori molto grandi di r, la densità di probabilità dell'elettrone è molto piccola ma non nulla. Possiamo calcolare la probabilità radiale (la probabilità di trovare un elettrone 1s a una distanza r dal nucleo) sommando le probabilità che un elettrone si trovi in tutti i punti di una serie di x gusci sferici di raggio r1, r2, r3,..., rx - 1, rx. In effetti, stiamo dividendo l'atomo in gusci concentrici molto sottili, come gli strati di una cipolla (parte (a) della Figura \(\PageIndex{1}\)), e calcolando la probabilità di trovare un elettrone su ogni guscio sferico. Ricordiamo che la densità di probabilità degli elettroni è massima a r = 0 (parte (b) nella Figura \PageIndex{1}\)), quindi la densità di punti è massima per i gusci sferici più piccoli nella parte (a) della Figura \PageIndex{1}\). Al contrario, l'area superficiale di ogni guscio sferico è pari a 4πr2, che aumenta molto rapidamente all'aumentare di r (parte (c) della Figura \PageIndex{1}\)). Poiché la superficie dei gusci sferici aumenta più rapidamente con l'aumentare di r rispetto alla diminuzione della densità di probabilità degli elettroni, il grafico della probabilità radiale presenta un massimo a una particolare distanza (parte (d) della Figura \PageIndex{1}\). Soprattutto, quando r è molto piccolo, la superficie di un guscio sferico è così piccola che la probabilità totale di trovare un elettrone vicino al nucleo è molto bassa; in corrispondenza del nucleo, la probabilità dell'elettrone svanisce (parte (d) nella Figura \PageIndex{1}\)). [[File:Orbitali_atomici.jpg|alt=Orbitali atomici|centro|miniatura|Figura 1.2.1: Raggio più probabile per l'elettrone allo stato fondamentale dell'atomo di idrogeno. (a) Immaginate di dividere il volume totale dell'atomo in gusci concentrici molto sottili, come mostrato nel disegno a cipolla. (b) Un grafico della densità di probabilità degli elettroni Ψ2 rispetto a r mostra che la densità di probabilità degli elettroni è massima a r = 0 e diminuisce dolcemente all'aumentare di r. La densità dei punti è quindi massima nei gusci più interni della cipolla. (c) La superficie di ogni guscio, data da 4πr2 , aumenta rapidamente con l'aumentare di r. (d) Se contiamo il numero di punti in ogni guscio sferico, otteniamo la probabilità totale di trovare l'elettrone a un dato valore di r. Poiché la superficie di ogni guscio aumenta più rapidamente con l'aumentare di r di quanto diminuisca la densità di probabilità dell'elettrone, il grafico della probabilità dell'elettrone rispetto a r (la probabilità radiale) mostra un picco. Questo picco corrisponde al raggio più probabile per l'elettrone, 52,9 pm, che è esattamente il raggio previsto dal modello di Bohr dell'atomo di idrogeno.]] Per l'atomo di idrogeno, il picco nel grafico delle probabilità radiali si verifica a r = 0,529 Å (52,9 pm), che è esattamente il raggio calcolato da Bohr per l'orbita n = 1. Quindi il raggio più probabile ottenuto dalla meccanica quantistica è identico a quello calcolato dalla meccanica classica. Pertanto, il raggio più probabile ottenuto dalla meccanica quantistica è identico a quello calcolato dalla meccanica classica. Nel modello di Bohr, tuttavia, si presumeva che l'elettrone si trovasse a questa distanza il 100% del tempo, mentre nel modello di Schrödinger della meccanica quantistica si trova a questa distanza solo per una parte del tempo. La differenza tra i due modelli è attribuibile al comportamento ondulatorio dell'elettrone e al principio di indeterminazione di Heisenberg. [[File:Orbitali_atomici_2.jpg|alt=Orbitali atomici 2|centro|miniatura|Figura 1.2.2: Densità di probabilità per gli orbitali 1s, 2s e 3s dell'atomo di idrogeno. (a) È mostrata la densità di probabilità degli elettroni in qualsiasi piano che contenga il nucleo. Si noti la presenza di regioni circolari, o nodi, in cui la densità di probabilità è nulla. (b) Le superfici di contorno racchiudono il 90% della probabilità degli elettroni, il che illustra le diverse dimensioni degli orbitali 1s, 2s e 3s. I disegni in sezione forniscono viste parziali dei nodi sferici interni. Il colore arancione corrisponde alle regioni dello spazio in cui la fase della funzione d'onda è positiva, mentre il colore blu corrisponde alle regioni dello spazio in cui la fase della funzione d'onda è negativa. (c) In questi grafici della probabilità degli elettroni in funzione della distanza dal nucleo (r) in tutte le direzioni (probabilità radiale), il raggio più probabile aumenta all'aumentare di n, ma gli orbitali 2s e 3s hanno regioni di probabilità significativa degli elettroni a piccoli valori di r.La figura 1.2.2 confronta le densità di probabilità elettronica degli orbitali 1s, 2s e 3s dell'idrogeno. Si noti che tutti e tre sono a simmetria sferica. Per gli orbitali 2s e 3s, tuttavia (e anche per tutti gli altri orbitali s), la densità di probabilità degli elettroni non diminuisce in modo uniforme con l'aumento di r. Al contrario, si osserva una serie di minimi e massimi nei grafici di probabilità radiali (parte (c) nella Figura 1.2.2 ). I minimi corrispondono a nodi sferici (regioni di probabilità elettronica nulla), che si alternano a regioni sferiche di nonzero]] === Orbitali s === All'aumentare di n, gli orbitali s subiscono tre variazioni (Figura 1.2.2). * Diventano più grandi, estendendosi più lontano dal nucleo. * Contengono più nodi. Questo è simile a un'onda stazionaria che ha regioni di ampiezza significativa separate da nodi, punti con ampiezza zero. * Per un dato atomo, anche gli orbitali s diventano più energetici all'aumentare di n, a causa della loro maggiore distanza dal nucleo. Gli orbitali sono generalmente disegnati come superfici tridimensionali che racchiudono il 90% della densità di elettroni, come è stato mostrato per gli orbitali 1s, 2s e 3s dell'idrogeno nella parte (b) della Figura 1.2.2. e 3s perché i nodi sferici si trovano all'interno della superficie del 90%. Fortunatamente, la posizione dei nodi sferici non è importante per il legame chimico. === Orbitali p === Solo gli orbitali s sono a simmetria sferica. All'aumentare del valore di l, aumenta il numero di orbitali in un determinato sottoguscio e le forme degli orbitali diventano più complesse. Poiché il sottoguscio 2p ha l = 1, con tre valori di ml (-1, 0 e +1), ci sono tre orbitali 2p. [[File:P_orbitals.jpg|alt=P orbitals|centro|miniatura|Figura 1.2.2: I colori corrispondono alle regioni dello spazio in cui la fase della funzione d'onda è positiva (arancione) e negativa (blu)]] La distribuzione di probabilità degli elettroni per uno degli orbitali 2p dell'idrogeno è mostrata nella Figura 1.2.3 Se l'orbitale 2p è un orbitale 2p, con una densità di elettroni pari a zero nel piano xy (cioè il piano xy è un piano nodale), si tratta di un orbitale 2pz. Come mostrato nella Figura 1.2.4 gli orbitali p hanno forme identiche, ma si trovano rispettivamente lungo l'asse x (2px) e l'asse y (2py). Si noti che ogni orbitale p ha un solo piano nodale. In ogni caso, la fase della funzione d'onda per ciascuno degli orbitali 2p è positiva per il lobo che punta lungo l'asse positivo e negativa per il lobo che punta lungo l'asse negativo. È importante sottolineare che questi segni corrispondono alla fase dell'onda che descrive il moto dell'elettrone, non alle cariche positive o negative. [[File:Chemorg_1.2.4.jpg|centro|miniatura|Figura 1.2.4: I tre orbitali 2p equivalenti dell'atomo di idrogeno]] Le superfici mostrate racchiudono il 90% della probabilità totale di elettroni per gli orbitali 2px, 2py e 2pz. Ogni orbitale è orientato lungo l'asse indicato dal pedice e un piano nodale perpendicolare a tale asse biseca ogni orbitale 2p. La fase della funzione d'onda è positiva (arancione) nella regione dello spazio dove x, y o z sono positivi e negativa (blu) dove x, y o z sono negativi. Come nel caso degli orbitali s, la dimensione e la complessità degli orbitali p per qualsiasi atomo aumentano all'aumentare del numero quantico principale n. Le forme delle superfici di probabilità al 90% degli orbitali 3p, 4p e degli orbitali p a più alta energia sono tuttavia essenzialmente le stesse di quelle mostrate nella Figura \(\PageIndex{4}\). La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione della disposizione degli elettroni distribuiti tra gli orbitali e i sottogusci. Comunemente, la configurazione elettronica viene utilizzata per descrivere gli orbitali di un atomo allo stato fondamentale, ma può anche essere usata per rappresentare un atomo che si è ionizzato in un catione o in un anione, compensando la perdita o l'aumento di elettroni negli orbitali successivi. Molte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi possono essere correlate alle loro configurazioni elettroniche uniche. Gli elettroni di valenza, ovvero gli elettroni del guscio più esterno, sono il fattore determinante per la chimica unica dell'elemento. == Struttura atomica: Configurazioni degli elettroni == Il testo si propone di insegnare a scrivere le configurazioni degli elettroni allo stato fondamentale per gli elementi fino al numero atomico 36, concentrandosi sulla disposizione degli elettroni negli orbitali atomici. Vengono spiegati concetti chiave come le configurazioni degli elettroni, la regola di Hund, il principio di esclusione di Pauli e il principio di Aufbau. La tavola periodica è fondamentale per determinare queste configurazioni e vengono evidenziate le regole per l'assegnazione degli orbitali degli elettroni. === Termini chiave === * configurazione elettronica allo stato fondamentale * Regola di Hund * Principio di esclusione di Pauli * principio di aufbau La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione della disposizione degli elettroni distribuiti tra gli orbitali e i sottogusci. Comunemente, la configurazione elettronica viene utilizzata per descrivere gli orbitali di un atomo allo stato fondamentale, ma può anche essere usata per rappresentare un atomo che si è ionizzato in un catione o in un anione, compensando la perdita o l'aumento di elettroni negli orbitali successivi. Molte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi possono essere correlate alle loro configurazioni elettroniche uniche. Gli elettroni di valenza, ovvero gli elettroni del guscio più esterno, sono il fattore determinante per la chimica unica dell'elemento. [[File:Formula_8.jpg|centro|miniatura|la tavola periodica]] === Configurazioni di elettroni === La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione della disposizione degli elettroni distribuiti tra gli orbitali e i sottogusci. Comunemente, la configurazione elettronica viene utilizzata per descrivere gli orbitali di un atomo allo stato fondamentale, ma può anche essere usata per rappresentare un atomo che si è ionizzato in un catione o in un anione, compensando la perdita o l'aumento di elettroni negli orbitali successivi. Molte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi possono essere correlate alle loro configurazioni elettroniche uniche. Gli elettroni di valenza, ovvero gli elettroni del guscio più esterno, sono il fattore determinante per la chimica unica dell'elemento. Prima di assegnare gli elettroni di un atomo agli orbitali, è necessario conoscere i concetti di base delle configurazioni degli elettroni. Ogni elemento della tavola periodica è costituito da atomi, che sono composti da protoni, neutroni ed elettroni. Gli elettroni hanno una carica negativa e si trovano intorno al nucleo dell'atomo in orbitali elettronici, definiti come il volume di spazio in cui l'elettrone può trovarsi con una probabilità del 95%. I quattro tipi di orbitali (s, p, d e f) hanno forme diverse e un orbitale può contenere al massimo due elettroni. Gli orbitali p, d e f hanno diversi sottolivelli e quindi possono contenere più elettroni. Come detto, la configurazione elettronica di ogni elemento è unica per la sua posizione nella tavola periodica. Il livello energetico è determinato dal periodo e il numero di elettroni è dato dal numero atomico dell'elemento. Gli orbitali dei diversi livelli energetici sono simili tra loro, ma occupano aree diverse dello spazio. L'orbitale 1s e l'orbitale 2s hanno entrambi le caratteristiche di un orbitale s (nodi radiali, probabilità di volume sferico, possono contenere solo due elettroni, ecc.) ma, poiché si trovano in livelli energetici diversi, occupano spazi diversi intorno al nucleo. Ogni orbitale può essere rappresentato da blocchi specifici sulla tavola periodica. Il blocco s è la regione dei metalli alcalini compreso l'elio (gruppi 1 e 2), il blocco d sono i metalli di transizione (gruppi da 3 a 12), il blocco p sono gli elementi dei gruppi principali da 13 a 18 e il blocco f sono le serie dei lantanoidi e degli attinidi. L'uso della tavola periodica per determinare le configurazioni elettroniche degli atomi è fondamentale, ma bisogna anche tenere presente che ci sono alcune regole da seguire quando si assegnano gli elettroni ai diversi orbitali. La tavola periodica è uno strumento incredibilmente utile per scrivere le configurazioni elettroniche. Per ulteriori informazioni sul collegamento tra le configurazioni degli elettroni e la tavola periodica, visitate il modulo Collegare gli elettroni alla tavola periodica. === Regole per l'assegnazione degli orbitali degli elettroni === ==== Il principio di esclusione di Pauli ==== Il principio di esclusione di Pauli stabilisce che due elettroni non possono avere gli stessi quattro numeri quantici. I primi tre (n, l e m<sub>l</sub>) possono essere uguali, ma il quarto numero quantico deve essere diverso. Un singolo orbitale può contenere al massimo due elettroni, che '''devono''' avere spin opposti; altrimenti avrebbero gli stessi quattro numeri quantici, il che è proibito. Un elettrone ha spin up (m<sub>s</sub> = +1/2) e l'altro ha spin down (m<sub>s</sub> = -1/2). Questo ci dice che ogni sottoguscio ha il doppio degli elettroni per orbitale. Il sottoguscio s ha 1 orbitale che può contenere fino a 2 elettroni, il sottoguscio p ha 3 orbitali che possono contenere fino a 6 elettroni, il sottoguscio d ha 5 orbitali che possono contenere fino a 10 elettroni e il sottoguscio f ha 7 orbitali con 14 elettroni. ====== Esempio: Idrogeno e elio ====== I primi tre numeri quantici di un elettrone sono n=1, l=0, m<sub>l</sub>=0. A questi possono corrispondere solo due elettroni, che sarebbero o m<sub>s</sub> = -1/2 o m<sub>s</sub> = +1/2. Come già sappiamo dallo studio dei numeri quantici e degli orbitali degli elettroni, possiamo concludere che questi quattro numeri quantici si riferiscono al sottoguscio 1s. Se viene indicato solo uno dei valori di m<sub>s</sub>, avremo 1s<sup>1</sup> (che indica l'idrogeno), se vengono indicati entrambi avremo 1s<sup>2</sup> (che indica l'elio). Visivamente, questo viene rappresentato come:[[File:Formula_9.png|centro|senza_cornice]]Come mostrato, il sottoguscio 1s può contenere solo due elettroni e, quando è pieno, gli elettroni hanno spin opposti. ==== La regola di Hund ==== Quando si assegnano gli elettroni negli orbitali, ogni elettrone riempirà prima tutti gli orbitali con energia simile (detti anche degenerati) prima di accoppiarsi con un altro elettrone in un orbitale riempito a metà. Gli atomi allo stato fondamentale tendono ad avere il maggior numero possibile di elettroni spaiati. Quando si visualizzano questi processi, si pensi che gli elettroni hanno lo stesso comportamento che avrebbero i poli di una calamita se venissero a contatto; quando gli elettroni carichi negativamente riempiono gli orbitali, cercano di allontanarsi il più possibile l'uno dall'altro prima di accoppiarsi. ====== Esempio: Ossigeno e azoto ====== Se osserviamo la corretta configurazione elettronica dell'atomo di azoto (Z = 7), un elemento molto importante per la biologia delle piante: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>3</sup>[[File:Formula_5.png|centro|senza_cornice]]Si vede chiaramente che gli orbitali p sono riempiti a metà, dato che ci sono tre elettroni e tre orbitali p. Questo perché la regola di Hund stabilisce che i tre elettroni del sottoguscio 2p riempiranno tutti gli orbitali vuoti prima di riempire gli orbitali con gli elettroni al loro interno. Se consideriamo l'elemento successivo all'azoto nello stesso periodo, l'ossigeno (Z = 8), la sua configurazione elettronica è: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>4</sup> (per un atomo).[[File:Formula_7.png|centro|senza_cornice]]L'ossigeno ha un elettrone in più dell'azoto e poiché gli orbitali sono tutti riempiti a metà, l'elettrone deve accoppiarsi. ==== Occupazione degli orbitali ==== Gli elettroni riempiono gli orbitali in modo da minimizzare l'energia dell'atomo. Pertanto, gli elettroni di un atomo riempiono i principali livelli energetici in ordine crescente di energia (gli elettroni si allontanano dal nucleo). L'energia relativa degli orbitali è mostrata nella figura di seguito.[[File:Formula_6.jpg|centro|miniatura|l'energia potenziale relativa degli orbitali atomici.]]L'ordine dei livelli riempiti è quindi: '''''1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d e 7p.''''' L'ordine generale di riempimento degli orbitali è illustrato nella figura di seguito. I sottogusci corrispondenti a ciascun valore di ''n'' sono scritti da sinistra a destra su linee orizzontali successive, dove ogni riga rappresenta una riga della tavola periodica. L'ordine di riempimento degli orbitali è indicato dalle linee diagonali che vanno dall'alto a destra al basso a sinistra. Di conseguenza, l'orbitale 4s viene riempito prima dell'orbitale 3d a causa degli effetti di schermatura e penetrazione. Di conseguenza, la configurazione elettronica del potassio, che inizia il quarto periodo, è [Ar]4s<sup>1</sup>, mentre quella del calcio è [Ar]4s<sup>2</sup>. Cinque orbitali 3d sono riempiti dai successivi 10 elementi, i metalli di transizione, seguiti da tre orbitali 4p. Si noti che l'ultimo membro di questa fila è il gas nobile kripton (Z = 36), [Ar]4s<sup>2</sup>3d<sup>10</sup>4p<sup>6</sup> = [Kr], che ha orbitali 4s, 3d e 4p pieni. La quinta fila della tavola periodica è essenzialmente uguale alla quarta, tranne che per il fatto che gli orbitali 5s, 4d e 5p sono riempiti in sequenza.[[File:Formula_4.jpg|centro|miniatura|Previsione dell'ordine di riempimento degli orbitali negli atomi multielettronici. Se si scrivono i sottogusci per ogni valore del numero quantico principale su righe successive, l'ordine osservato di riempimento degli orbitali è indicato da una serie di linee diagonali che vanno dall'alto a destra al basso a sinistra.]] ==== Il processo di Aufbau ==== Aufbau deriva dalla parola tedesca “aufbauen” che significa “costruire”. Quando si scrivono le configurazioni degli elettroni, gli orbitali vengono costruiti da atomo ad atomo. Quando si scrive la configurazione elettronica di un atomo, gli orbitali vengono riempiti in ordine crescente di numero atomico. Tuttavia, esistono alcune eccezioni a questa regola. ====== Esempio: Elementi della 3° fila ====== Seguendo lo schema attraverso un periodo da B (Z=5) a Ne (Z=10), il numero di elettroni aumenta e i sottogusci si riempiono. Questo esempio si concentra sul sottoguscio p, che si riempie dal boro al neon. * B (Z=5) configurazione: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>1</sup> * C (Z=6) configurazione: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>2</sup> * N (Z=7) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>3</sup> * O (Z=8) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>4</sup> * F (Z=9) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>5</sup> * Ne (Z=10) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>6</sup> ==== Il numero degli elettroni di valenza ==== Il numero di elettroni di valenza di un elemento può essere determinato dal gruppo della tavola periodica (colonna verticale) in cui l'elemento è classificato. Con l'eccezione dei gruppi 3-12 (i metalli di transizione), la cifra delle unità del numero del gruppo identifica quanti elettroni di valenza sono associati a un atomo neutro di un elemento elencato in quella particolare colonna. Ad esempio, nel gruppo 16, la cifra delle unità è 6 e gli elementi di questo gruppo hanno 6 elettroni di valenza. {| class="wikitable" |+Tabella 1.3.1: Elettroni di valenza derivati dal gruppo della tavola periodica !Gruppo della tavola periodica !Elettroni di valenza |- |Gruppo 1: metalli alcalini |1 |- |Gruppo 2: metalli alcalino-terrosi |2 |- |Gruppi 3-12: metalli di transizione |2* (il guscio 4s è completo e non può contenere altri elettroni) |- |Gruppo 13: boro gruppo |3 |- |Gruppo 14: carbonio gruppo |4 |- |Gruppo 15: picntogeni |5 |- |Gruppo 16: calcogeni |6 |- |Gruppo 17: alogeni |7 |- |Gruppo 18: gas nobili |8** |} <nowiki>*</nowiki> Il metodo generale di conteggio degli elettroni di valenza non è generalmente utile per i metalli di transizione. Si utilizza invece il '''metodo di conteggio degli elettroni d''' modificato. <nowiki>**</nowiki> Ad eccezione dell'elio, che ha solo due elettroni di valenza. La configurazione elettronica di un elemento è la disposizione degli elettroni nei suoi orbitali atomici. Conoscendo la configurazione elettronica di un elemento, possiamo prevedere e spiegare gran parte della sua chimica. === Esempio === Disegna un diagramma degli orbitali e utilizzalo per ricavare la configurazione elettronica del fosforo, Z=15. Qual è la sua configurazione elettronica di valenza? '''Dato:''' numero atomico '''Richiesto:''' diagramma orbitale e configurazione degli elettroni di valenza del fosforo '''Strategia:''' # Individua il gas nobile più vicino al fosforo nella tavola periodica. Quindi sottrai il suo numero di elettroni da quelli del fosforo per ottenere il numero di elettroni di valenza del fosforo. # Facendo riferimento alla figura della tavola periodica, disegna un diagramma degli orbitali per rappresentare questi orbitali di valenza. Seguendo la regola di Hund, colloca gli elettroni di valenza negli orbitali disponibili, iniziando dall'orbitale con energia più bassa. Scrivi la configurazione degli elettroni dal tuo diagramma orbitale. # Ignora gli orbitali interni (quelli che corrispondono alla configurazione elettronica del gas nobile più vicino) e scrivi la configurazione degli elettroni di valenza del fosforo. '''Soluzione:''' # Poiché il fosforo si trova nella terza fila della tavola periodica, sappiamo che ha un guscio chiuso [Ne] con 10 elettroni. Cominciamo sottraendo 10 elettroni dai 15 del fosforo. # I cinque elettroni aggiuntivi vengono collocati nei successivi orbitali disponibili, che sono gli orbitali 3s e 3p:[[File:Formula_1_prima.jpg|centro|senza_cornice]]Poiché l'orbitale 3s ha un'energia inferiore a quella degli orbitali 3p, lo riempiamo per primo:[[File:Formula_2.jpg|centro|formula|senza_cornice]]La regola di Hund ci dice che i tre elettroni rimanenti occuperanno gli orbitali degenerati 3p separatamente, ma con gli spin allineati:[[File:Formula_3.jpg|centro|senza_cornice]] La configurazione elettronica è [Ne]3s<sup>2</sup>3p<sup>3</sup>. # Otteniamo la configurazione degli elettroni di valenza ignorando gli orbitali interni, il che per il fosforo significa ignorare il guscio chiuso [Ne]. Si ottiene così una configurazione degli elettroni di valenza pari a 3s<sup>2</sup>3p<sup>3</sup>. === Esercizio === Disegna un diagramma degli orbitali e usalo per ricavare la configurazione elettronica del cloro, Z=17. Qual è la sua configurazione elettronica di valenza? '''Soluzione:''' [Ne]3''s''<sup>2</sup>3''p''<sup>5</sup>; 3''s''<sup>2</sup>3''p''<sup>5</sup> La sesta riga della tavola periodica sarà diversa dalle due precedenti perché gli orbitali 4f, che possono contenere 14 elettroni, sono riempiti tra gli orbitali 6s e 5d. Gli elementi che contengono orbitali 4f nel loro guscio di valenza sono i lantanidi. Quando gli orbitali 6p sono finalmente riempiti, abbiamo raggiunto il prossimo (e ultimo) gas nobile conosciuto, il radon (Z = 86), [Xe]6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup>6p<sup>6</sup> = [Rn]. Nell'ultima riga, gli orbitali 5f sono riempiti tra gli orbitali 7s e 6d, il che dà i 14 elementi attinidi. Poiché l'elevato numero di protoni rende i loro nuclei instabili, tutti gli attinidi sono radioattivi. === Esempio === Scrivi la configurazione elettronica del mercurio (Z = 80), mostrando tutti gli orbitali interni. '''Dato:''' numero atomico '''Richiesta:''' configurazione elettronica completa '''Strategia:''' Utilizzando il diagramma degli orbitali nella figura sopra e la tavola periodica come guida, riempi gli orbitali fino a posizionare tutti gli 80 elettroni. '''Soluzione:''' Colloca gli elettroni negli orbitali seguendo l'ordine indicato nella figura sopra, e utilizzando la tavola periodica come guida, si ottiene {| class="wikitable" |1''s''<sup>2</sup> |riga 1 |2 elettroni |- |2''s''<sup>2</sup>2''p''<sup>6</sup> |riga 2 |8 elettroni |- |3''s''<sup>2</sup>3''p''<sup>6</sup> |riga 3 |8 elettroni |- |4''s''<sup>2</sup>3''d''<sup>10</sup>4''p''<sup>6</sup> |riga 4 |18 elettroni |- |5''s''<sup>2</sup>4''d''<sup>10</sup>5''p''<sup>6</sup> |riga 5 |18 elettroni |- | |riga 1–5 |54 elettroni |} Dopo aver riempito le prime cinque file, abbiamo ancora 80 - 54 = 26 elettroni da ospitare. Secondo la tavola periodica, dobbiamo riempire gli orbitali 6s (2 elettroni), 4f (14 elettroni) e 5d (10 elettroni). Il risultato è la configurazione elettronica del mercurio: 1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>2</sup>3p<sup>6</sup>4s<sup>2</sup>3d<sup>10</sup>4p<sup>6</sup>5s<sup>2</sup>4d<sup>10</sup>5p<sup>6</sup>6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup> = Hg = [Xe]6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup> con un sottoguscio 5d pieno, una configurazione del guscio di valenza 6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup> e un totale di 80 elettroni. (È necessario verificare sempre che il numero totale di elettroni sia uguale al numero atomico). === Sintesi === Sulla base del principio di Pauli e della conoscenza delle energie orbitali ottenute con orbitali simili a quelli dell'idrogeno, è possibile costruire la tavola periodica riempiendo gli orbitali disponibili a partire da quelli a più bassa energia ('''principio di aufbau'''), il che dà origine a una particolare disposizione degli elettroni per ogni elemento (la sua '''configurazione elettronica'''). La '''regola di Hund''' dice che la disposizione degli elettroni a più bassa energia è quella che li colloca in orbitali degenerati con gli spin paralleli. Ai fini chimici, gli elettroni più importanti sono quelli del guscio principale più esterno, gli '''elettroni di valenza'''. == Sviluppo della teoria dei legami chimici == I simboli dei punti di Lewis sono un modo per indicare il numero di elettroni di valenza di un atomo. Sono utili per prevedere il numero e i tipi di legami covalenti nelle molecole organiche. La forma molecolare delle molecole è prevista dalla teoria della repulsione di coppia degli elettroni di valenza (VSEPR). Le forme delle molecole organiche comuni si basano su disposizioni tetraedriche, trigonali planari o lineari dei gruppi di elettroni. === Termini chiave === * forza del legame * legame covalente * legame ionico * Struttura di Lewis * elettrone a coppia solitaria * elettrone non legante === Note di studio === Per disegnare con successo le strutture di Lewis, è necessario conoscere il numero di elettroni di valenza presenti in ciascuno degli atomi coinvolti. Memorizzare il numero di elettroni di valenza posseduti da ciascuno degli elementi comunemente incontrati nella chimica organica: C, H, O, N, S, P e gli alogeni. Quando si disegna una struttura organica, è necessario ricordare che un atomo di carbonio neutro ha quasi sempre quattro legami. Allo stesso modo, l'idrogeno ha sempre un legame, gli atomi di ossigeno neutri hanno due legami e gli atomi di azoto neutri hanno tre legami. Memorizzando queste semplici regole, si può evitare di commettere errori inutili nel corso del corso. Nel corso del corso si utilizzerà la rappresentazione a “cuneo e linea spezzata”, che aiuta a trasmettere la natura tridimensionale dei composti organici. === Panoramica sul legame === Perché alcune sostanze sono molecole chimicamente legate e altre sono un'associazione di ioni? La risposta a questa domanda dipende dalle strutture elettroniche degli atomi e dalla natura delle forze chimiche all'interno dei composti. Sebbene non esistano confini ben definiti, i legami chimici sono tipicamente classificati in tre tipi principali: legami ionici, legami covalenti e legami metallici. In questo capitolo verranno discussi ciascun tipo di legame e le proprietà generali riscontrate nelle sostanze tipiche in cui si verifica il tipo di legame. # I legami ionici derivano dalle '''forze elettrostatiche che esistono tra ioni di carica opposta'''. Questi legami coinvolgono tipicamente un metallo con un non metallo. # I legami covalenti '''derivano dalla condivisione di elettroni tra due atomi'''. Questi legami coinvolgono tipicamente un elemento non metallico con un altro. # I legami metallici si trovano nei metalli solidi (rame, ferro, alluminio) con ogni atomo metallico legato a diversi atomi metallici vicini e gli elettroni di legame sono liberi di muoversi nella struttura tridimensionale. Ogni classificazione dei legami viene discussa in dettaglio nelle sezioni successive del capitolo. Vediamo le disposizioni preferite degli elettroni negli atomi quando formano composti chimici. IMMAGINE (Figura 1.4.1: G. N. Lewis e la regola dell'ottetto. (a) Lewis sta lavorando in laboratorio. (b) Nello schizzo originale di Lewis per la regola dell'ottetto, inizialmente aveva collocato gli elettroni agli angoli di un cubo, invece di disporli come facciamo oggi.) === Simboli di Lewis === All'inizio del XX secolo, il chimico americano G. N. Lewis (1875-1946) ideò un sistema di simboli - oggi chiamato simboli dei punti elettronici di Lewis, spesso abbreviati in ''simboli dei punti di Lewis'' - che possono essere utilizzati per prevedere il numero di legami formati dalla maggior parte degli elementi nei loro composti. Ogni simbolo di Lewis è costituito dal simbolo chimico di un elemento circondato da punti che rappresentano i suoi elettroni di valenza. Simboli dei punti di Lewis: * forniscono una comoda rappresentazione degli elettroni di valenza * permettono di tenere traccia degli elettroni di valenza durante la formazione dei legami * è costituito dal simbolo chimico dell'elemento più un punto per ogni elettrone di valenza Per scrivere il simbolo dei punti di Lewis di un elemento, si posizionano i punti che rappresentano gli elettroni di valenza, uno alla volta, intorno al simbolo chimico dell'elemento. Si mettono fino a quattro punti sopra, sotto, a sinistra e a destra del simbolo (in qualsiasi ordine, purché gli elementi con quattro o meno elettroni di valenza non abbiano più di un punto in ogni posizione). I punti successivi, per gli elementi con più di quattro elettroni di valenza, sono di nuovo distribuiti uno alla volta, ciascuno abbinato a uno dei primi quattro. Il fluoro, ad esempio, con configurazione elettronica [He]2s<sup>2</sup>2p<sup>5</sup>, ha sette elettroni di valenza, quindi il suo simbolo di Lewis è costruito come segue: IMMAGINE Figura 1.4.2: Simboli dei punti di Lewis per gli elementi del periodo 2 Lewis ha utilizzato i punti non appaiati per prevedere il numero di legami che un elemento formerà in un composto. Consideriamo il simbolo dell'azoto nella Figura 1.4.2. Il simbolo dei punti di Lewis spiega perché l'azoto, con tre elettroni di valenza spaiati, tende a formare composti in cui condivide gli elettroni spaiati per formare tre legami. Anche il boro, che ha tre elettroni di valenza spaiati nel simbolo del punto di Lewis, tende a formare composti con tre legami, mentre il carbonio, con quattro elettroni di valenza spaiati nel simbolo del punto di Lewis, tende a condividere tutti i suoi elettroni di valenza spaiati formando composti con quattro legami. I simboli di Lewis sono uno strumento che aiuta a disegnare le strutture. Nella prossima sezione vedremo perché i legami nei composti molecolari seguono la teoria di Lewis. Gli elementi dello stesso gruppo hanno lo stesso numero di elettroni di valenza e simboli di Lewis simili. Ad esempio, la configurazione elettronica dello zolfo atomico è [Ne]3s<sup>2</sup>3p<sup>4</sup>, quindi ci sono '''sei''' elettroni di valenza. Il suo simbolo di Lewis sarà quindi simile a quello dell'ossigeno e avrà l'aspetto di: IMMAGINE === La regola dell'ottetto === Il principale contributo di Lewis alla teoria del legame è stato quello di riconoscere che gli atomi tendono a perdere, guadagnare o condividere elettroni per raggiungere un totale di otto elettroni di valenza, chiamato ottetto. Questa cosiddetta regola dell'ottetto spiega la stechiometria della maggior parte dei composti dei blocchi s e p della tavola periodica. Oggi sappiamo dalla meccanica quantistica che il numero otto corrisponde a un orbitale di valenza ns e tre np, che insieme possono ospitare un totale di otto elettroni. Tuttavia, è notevole che l'intuizione di Lewis sia stata fatta quasi un decennio prima che Rutherford proponesse il modello nucleare dell'atomo. Le eccezioni più comuni alla regola dell'ottetto sono l'elio, la cui configurazione elettronica 1s<sup>2</sup> gli conferisce un guscio completo n = 1, e l'idrogeno, che tende a guadagnare o condividere il suo unico elettrone per ottenere la configurazione elettronica dell'elio. L'idea di Lewis di un ottetto spiega perché i gas nobili raramente formano composti. Hanno la configurazione stabile s<sup>2</sup>p<sup>6</sup> (ottetto completo, nessuna carica), quindi non hanno motivo di reagire e cambiare la loro configurazione. Tutti gli altri elementi cercano di guadagnare, perdere o condividere elettroni per raggiungere la configurazione dei gas nobili. Questo spiega perché gli atomi si combinano tra loro per formare composti. La formazione di legami rende gli atomi più stabili e a bassa energia. La creazione di legami libera energia e rappresenta una forza trainante per la formazione dei composti. Gli atomi spesso guadagnano, perdono o condividono elettroni per ottenere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino a loro nella tavola periodica. === Strutture di Lewis === Le strutture di Lewis rappresentano come i simboli di Lewis guadagnano, perdono o condividono elettroni per ottenere un ottetto formando composti. === Strutture di Lewis dei composti ionici === Quando nella struttura di un composto organico è presente un metallo, è molto probabile che sia presente almeno un legame ionico. I legami ionici sono rappresentati nelle strutture di Lewis in modo diverso rispetto ai legami covalenti. Occorre prestare molta attenzione quando si disegna la struttura di Lewis di un composto organico che contiene un legame ionico. I legami ionici si formano tipicamente quando un metallo e un non metallo fanno parte di un composto. Alcuni atomi ottengono un ottetto guadagnando o perdendo completamente elettroni per formare ioni. I legami ionici si formano grazie all'attrazione eletrostatica degli ioni creati. La formula del sale da cucina è NaCl. È il risultato del legame tra ioni Na<sup>+</sup> e ioni Cl<sup>-</sup>. Se il sodio metallico e il cloro gassoso si mescolano nelle giuste condizioni, formano il sale. Il sodio perde un elettrone e il cloro ne guadagna uno. Nel processo, viene rilasciata una grande quantità di luce e calore. Il sale risultante è per lo più non reattivo, è stabile. Non subisce reazioni esplosive, a differenza del sodio e del cloro di cui è composto. Perché? In base alla regola dell'ottetto, gli atomi cercano di ottenere una configurazione elettronica da gas nobile, ovvero otto elettroni di valenza. Il sodio (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>1</sup>) ha un solo elettrone di valenza, quindi rinunciandovi si otterrebbe la stessa configurazione elettronica del neon (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>). Il cloro (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>2</sup>3p<sup>7</sup>) ha sette elettroni di valenza, quindi, se ne prende uno, ne avrà otto (un ottetto). Il cloro ha la configurazione elettronica dell'argon (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>2</sup>3p<sup>8</sup>) quando guadagna un elettrone. La struttura di Lewis di un composto ionico mostra il movimento degli elettroni. Per NaCl, il sodio è nel gruppo 1 e ha un elettrone di valenza e il cloro è nel gruppo 17 e ha sette elettroni di valenza. Il sodio perde il suo unico elettrone di valenza e si carica positivamente. Il cloro guadagna questo elettrone, ottenendo un ottetto completo e una carica negativa. Dopo il guadagno/perdita di un elettrone, le nuove strutture di Lewis di Na<sup>+</sup> e Cl<sup>-</sup> sono scritte una accanto all'altra e rappresentano il legame ionico in NaCl. IMMAGINE (Esempi di strutture di Lewis di composti ionici) === Legami covalenti e strutture di Lewis dei composti molecolari === Mentre i metalli alcalini (come il sodio e il potassio), i metalli alcalino-terrosi (come il magnesio e il calcio) e gli alogeni (come il fluoro e il cloro) spesso formano ioni per ottenere un ottetto completo, gli elementi principali della chimica organica - carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno - tendono invece a riempire il loro ottetto ''condividendo'' elettroni con altri atomi, formando legami covalenti. Consideriamo il caso più semplice dell'idrogeno gassoso. Un atomo di idrogeno isolato ha un solo elettrone, situato nell'orbitale 1s. Se due atomi di idrogeno si avvicinano abbastanza da far sovrapporre i rispettivi orbitali 1s, i due elettroni possono essere condivisi tra i due nuclei e si forma una molecola di H<sub>2</sub> con legame covalente. Nella struttura di Lewis dell'H<sub>2</sub>, ogni coppia di elettroni condivisa tra due atomi è disegnata come una singola linea, a indicare un singolo legame covalente. IMMAGINE L'idrogeno rappresenta un caso particolare, perché un atomo di idrogeno non può soddisfare la regola dell'ottetto; ha bisogno di due soli elettroni per avere un guscio completo. Questa è spesso chiamata “regola del doppietto” per l'idrogeno. Una delle molecole organiche più semplici è il metano, con formula molecolare CH<sub>4</sub>. Il metano è il “gas naturale” bruciato nei forni di casa e negli scaldabagni, oltre che nelle centrali elettriche. Per illustrare il legame covalente nel metano utilizzando una struttura di Lewis, dobbiamo innanzitutto riconoscere che, sebbene un atomo di carbonio abbia un totale di sei elettroni, il suo simbolo di Lewis ha quattro elettroni spaiati. Secondo la teoria di Lewis, l'atomo di carbonio vuole formare quattro legami covalenti per riempire il suo ottetto. In una molecola di metano, l'atomo di carbonio centrale condivide i suoi quattro elettroni di valenza con quattro atomi di idrogeno, formando così quattro legami e soddisfacendo la regola dell'ottetto (per il carbonio) e la “regola del doppietto” (per ciascuno degli idrogeni). IMMAGINE La prossima molecola organica relativamente semplice da considerare è l'etano, la cui formula molecolare è C<sub>2</sub>H<sub>6</sub>. Se disegniamo separatamente il simbolo di Lewis di ogni atomo, possiamo vedere che la regola dell'ottetto/doppio può essere soddisfatta per tutti formando un legame carbonio-carbonio e sei legami carbonio-idrogeno. IMMAGINE Lo stesso approccio può essere utilizzato per le molecole in cui non è presente un atomo di carbonio. In una molecola d'acqua, il simbolo di Lewis dell'atomo di ossigeno ha due elettroni spaiati. Questi sono accoppiati con il singolo elettrone nei simboli di Lewis dei due legami covalenti O-H degli idrogeni. I restanti quattro elettroni non legati dell'ossigeno sono chiamati “coppie solitarie”. IMMAGINE Poiché gli elettroni solitari spesso NON sono mostrati nelle strutture chimiche, è importante vedere come aggiungere mentalmente le coppie solitarie. All'inizio può essere utile aggiungere fisicamente gli elettroni solitari. {| class="wikitable" |IMMAGINE |IMMAGINE |IMMAGINE |- |metilamina |etanolo |clorometano |} === Esercizio === Per la seguente struttura, inserisci tutti gli elettroni solitari mancanti. IMMAGINE ==== Soluzione ==== IMMAGINE Quando due o più elettroni vengono condivisi tra gli atomi, si forma un legame covalente multiplo. La formula molecolare dell'etene (noto anche come etilene, un composto presente nella frutta, come le mele, che ne segnala la maturazione) è C<sub>2</sub>H<sub>4</sub>. Disponendo i simboli di Lewis degli atomi, si può notare che la regola dell'ottetto/doppio può essere soddisfatta per tutti gli atomi solo se i due carboni condividono ''due'' coppie di elettroni tra loro. L'etene contiene un doppio legame carbonio/carbonio. IMMAGINE Seguendo questo schema, il triplo legame nell'etilene di formula molecolare C<sub>2</sub>H<sub>2</sub> (noto anche come acetilene, il combustibile utilizzato nelle torce per saldatura) si forma quando i due atomi di carbonio condividono ''tre'' coppie di elettroni tra loro. IMMAGINE === Esercizio === Disegna la struttura di Lewis dell'ammoniaca, NH<sub>3</sub>. ==== Soluzione ==== IMMAGINE === Forma molecolare === Il disegno di un bastone e di un cuneo di metano mostra gli angoli tetraedrici... (Il cuneo esce dalla carta e la linea tratteggiata va dietro la carta. Le linee solide sono nel piano del foglio). IMMAGINE Gli esempi che seguono fanno uso di questa notazione e illustrano anche l'importanza di includere le coppie di elettroni del guscio di valenza non leganti quando si visualizzano tali configurazioni. {| class="wikitable" |IMMAGINE |IMMAGINE |IMMAGINE |- |metano |ammoniaca |acqua |} Le configurazioni di legame sono prontamente previste dalla teoria della repulsione delle coppie di elettroni di valenza, comunemente indicata come VSEPR nella maggior parte dei testi di chimica introduttivi. Questo semplice modello si basa sul fatto che gli elettroni si respingono l'un l'altro e che è ragionevole aspettarsi che i legami e le coppie di elettroni di valenza non leganti associati a un dato atomo preferiscano essere il più distanti possibile. Le configurazioni di legame del carbonio sono facili da ricordare, poiché ne esistono solo tre categorie. {| class="wikitable" |} {| class="wikitable" !Configurazione !Partner di legame !Angoli di legame !Esempio |- align="CENTER" |Tetraedrico |4 |109.5º |IMMAGINE |- align="CENTER" |Trigonale Planare |3 |120º |IMMAGINE |- align="CENTER" |Lineare |2 |180º |IMMAGINE |} Nei tre esempi illustrati sopra, l'atomo centrale (carbonio) non ha elettroni di valenza non leganti; di conseguenza, la configurazione può essere stimata dal solo numero di partner di legame. Tuttavia, per le molecole di acqua e ammoniaca, gli elettroni non leganti devono essere inclusi nel calcolo. In ogni caso, ci sono quattro regioni di densità elettronica associate al guscio di valenza, per cui ci si aspetta un angolo di legame tetraedrico. Gli angoli di legame misurati di questi composti (H<sub>2</sub>O 104,5º e NH<sub>3</sub> 107,3º) mostrano che sono più vicini alla configurazione tetraedrica che a quella trigonale planare o lineare. Naturalmente, è la configurazione degli atomi (non gli elettroni) a definire la forma di una molecola, e in questo senso l'ammoniaca è detta piramidale (non tetraedrica). Il composto trifluoruro di boro, BF<sub>3</sub>, non ha elettroni di valenza non legati e la configurazione dei suoi atomi è trigonale. La teoria VSEPR è stata trattata in modo esauriente da Oxford e Purdue. Il modo migliore per studiare le forme tridimensionali delle molecole è utilizzare modelli molecolari. Molti tipi di kit di modelli sono disponibili per studenti e chimici professionisti. == Descrizione dei legami chimici - Teoria del legame di valenza == === Termini chiave === Assicurati di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * forza di legame * legame covalente * lunghezza del legame * legame sigma (σ) * legame pi (π) * teoria del legame di valenza === Teoria del legame di valenza === Mentre discutevamo su come utilizzare le strutture di Lewis per descrivere il legame nei composti organici, siamo stati finora molto vaghi nel nostro linguaggio riguardo alla natura effettiva dei legami chimici stessi. Sappiamo che un legame covalente implica la "condivisione" di una coppia di elettroni tra due atomi, ma come avviene questo e come porta alla formazione di un legame che tiene insieme i due atomi? Sono stati sviluppati due modelli principali per descrivere come si formano i legami covalenti: la teoria del legame di valenza e la teoria degli orbitali molecolari. La teoria del legame di valenza è utilizzata più spesso per descrivere i legami nelle molecole organiche. In questo modello, i legami covalenti si formano dalla sovrapposizione di due orbitali atomici su atomi diversi, ciascuno contenente un singolo elettrone. Gli elettroni si accoppiano nella sovrapposizione orbitale, legando insieme gli atomi. L'esempio più semplice di teoria del legame di valenza può essere dimostrato dalla molecola di H₂ . Dalla tavola periodica possiamo vedere che ogni atomo di idrogeno ha un singolo elettrone di valenza. Se due atomi di idrogeno si uniscono per formare un legame, allora ogni atomo di idrogeno condivide effettivamente entrambi gli elettroni e quindi ognuno assomiglia al gas nobile elio ed è più stabile. I due elettroni condivisi nella sovrapposizione orbitale sono rappresentati da un singolo trattino tra gli atomi. [[File:Teoria_del_legame_di_valenza.png|alt=Teoria del legame di valenza|centro]] La teoria del legame di valenza descrive un legame chimico come la sovrapposizione di orbitali atomici. Nel caso della molecola di idrogeno, l'orbitale 1s di un atomo di idrogeno si sovrappone all'orbitale 1s del secondo atomo di idrogeno per formare un orbitale molecolare chiamato legame sigma, che contiene due elettroni di spin opposto. L'attrazione reciproca tra questa coppia di elettroni caricati negativamente e i nuclei dei due atomi caricati positivamente serve a collegare fisicamente i due atomi attraverso una forza che definiamo legame covalente. La forza di un legame covalente dipende dall'entità della sovrapposizione degli orbitali coinvolti. Gli orbitali che si sovrappongono ampiamente formano legami più forti di quelli che hanno una sovrapposizione minore. [[File:Electron-pair bond.png|centro|senza_cornice]] Un'altra caratteristica importante del legame covalente in H₂ è importante da considerare a questo punto. I due orbitali 1s sovrapposti possono essere visualizzati come due palloncini sferici premuti l'uno contro l'altro. Ciò significa che il legame ha ''simmetria'' '''cilindrica:''' se prendessimo un piano di sezione trasversale del legame in un punto qualsiasi, formerebbe un cerchio. Questo tipo di legame è chiamato legame '''σ (sigma)'''. [[File:Sigma_bonds.png|alt=Sigma bonds|centro]] L'energia del sistema dipende da quanto si sovrappongono gli orbitali. Il diagramma energetico sottostante illustra come la somma delle energie di due atomi di idrogeno (la curva colorata) cambia man mano che si avvicinano. Quando gli atomi sono molto distanti non c'è sovrapposizione e, per convenzione, fissiamo la somma delle energie a zero. Quando gli atomi si avvicinano, i loro orbitali iniziano a sovrapporsi. Ogni elettrone inizia a sentire l'attrazione del nucleo dell'altro atomo. Inoltre, gli elettroni iniziano a respingersi, così come i nuclei. Finché gli atomi sono ancora ampiamente separati, le attrazioni sono leggermente più forti delle repulsioni e l'energia del sistema diminuisce. (Inizia a formarsi un legame.) Man mano che gli atomi si avvicinano, la sovrapposizione aumenta, quindi l'attrazione dei nuclei per gli elettroni continua ad aumentare (così come le repulsioni tra gli elettroni e tra i nuclei). A una certa distanza tra gli atomi, che varia a seconda degli atomi coinvolti, l'energia raggiunge il suo valore più basso (il più stabile). Questa distanza ottimale tra i due nuclei legati è chiamata lunghezza di legame tra i due atomi. Il legame è stabile perché a questo punto le forze attrattive e repulsive si combinano per creare la configurazione a più bassa energia possibile. [[File:Internuclear_distance.png|alt=Internuclear distance|centro|miniatura|Figura 1.5.2​  : Un grafico dell'energia potenziale in funzione della distanza internucleare per l'interazione tra due atomi di idrogeno gassoso]] Questa distanza internucleare ottimale è la '''lunghezza del legame''' . Per la molecola di H<sub>2</sub>, la distanza è di 74 µm (picometri, 10-12 metri ). Allo stesso modo, la differenza di energia potenziale tra lo stato energetico più basso (alla distanza internucleare ottimale) e lo stato in cui i due atomi sono completamente separati è chiamata '''energia di dissociazione del legame,''' o, più semplicemente ''', forza del legame'''. Per la molecola di idrogeno, la forza del legame HH è pari a circa 435 kJ/mol. Ciò significa che ci vorrebbero 435 kJ per rompere una mole di legami HH. Ogni legame covalente in una data molecola ha una lunghezza e una forza caratteristiche. In generale, la lunghezza di un tipico legame singolo carbonio-carbonio in una molecola organica è di circa 150 µm, mentre i doppi legami carbonio-carbonio sono di circa 130 µm, i doppi legami carbonio-ossigeno sono di circa 120 µm e i legami carbonio-idrogeno sono compresi tra 100 e 110 µm. La forza dei legami covalenti nelle molecole organiche varia da circa 234 kJ/mole per un legame carbonio-iodio (nell'ormone tiroideo, ad esempio), a circa 410 kJ/mole per un tipico legame carbonio-idrogeno e fino a oltre 800 kJ/mole per un triplo legame carbonio-carbonio. {| class="wikitable" |+Tabella: Energie e lunghezze di legame rappresentative !Legame !Lunghezza (pm) !Energia (kJ/mol) ! !Legame !Lunghezza (pm) !Energia (kJ/mol) |- |HH |74 |436 | |CO |140.1 |358 |- |HC |106.8 |413 | |C=O |119.7 |745 |- |HN |101.5 |391 | |C≡O |113.7 |1072 |- |HO |97,5 |467 | |H-Cl |127,5 |431 |- |CC |150,6 |347 | |H-Br |141.4 |366 |- |C=C |133,5 |614 | |CIAO |160.9 |298 |- |C≡C |120,8 |839 | |OO |148 |146 |- |CN |142.1 |305 | |O=O |120,8 |498 |- |C=N |130.0 |615 | |FF |141.2 |159 |- |C≡N |116.1 |891 | |Cl-Cl |198,8 |243 |} === Esercizi === 1) Il seguente diagramma energetico, energia vs. distanza intermolecolare, si riferisce a una molecola di fluoro (F<sub>2</sub>) . Descrivi l'importanza dei punti A, B e C sul grafico. === Soluzioni === A - Sono presenti forze repulsive, i nuclei sono troppo vicini tra loro . B - Distanza ottimale tra i due orbitali per avere un legame (la lunghezza del legame) C - Non è possibile formare un legame, gli orbitali sono troppo distanti. == Orbitali ibridi sp<sup>3</sup> e la struttura del metano == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * angolo di legame * ibridazione * ibrido sp<sup>3</sup> === Teoria del legame di valenza === La teoria del legame di valenza, che utilizza orbitali atomici sovrapposti per spiegare come si formano i legami chimici, funziona bene in molecole biatomiche semplici come l'H<sub>2</sub>. Tuttavia, quando le molecole con più di due atomi formano legami stabili, è necessario un modello più dettagliato. Un buon esempio è il metano (CH<sub>4</sub>). Secondo la teoria dei legami di valenza, la struttura di una specie covalente può essere rappresentata con una struttura di Lewis. [[File:Chemorg_1.6.1.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Sperimentalmente, è stato dimostrato che i quattro legami carbonio-idrogeno nella molecola del metano sono identici, cioè hanno la stessa energia di legame e la stessa lunghezza di legame. Inoltre, la teoria VSEPR suggerisce che la geometria dell'atomo di carbonio nella molecola del metano è tetraedrica (2), ed esistono numerose prove teoriche e sperimentali a sostegno di questa previsione. [[File:Chemorg_1.6.2.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Secondo la teoria dei legami di valenza, un legame covalente si forma quando un elettrone spaiato di un atomo si sovrappone a un elettrone spaiato di un altro atomo. Consideriamo ora la configurazione elettronica dei quattro elettroni di valenza del carbonio. [[File:Chemorg_1.6.3.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Esiste una grave discrepanza tra la configurazione elettronica del carbonio (angolo di legame 1 previsto dal VSEPR e i dati sperimentali. Infine, esistono due orbitali diversi, 2, che creerebbero legami C-H di tipo diverso. Come già detto, sperimentalmente i quattro legami carbonio-idrogeno nella molecola del metano sono identici. === Orbitali ibridi === Una risposta ai problemi sopra esposti fu offerta nel 1931 da Linus Pauling. Egli dimostrò matematicamente che un orbitale s e tre orbitali. ==== Ideali importanti per comprendere l'ibridazione ==== # Gli orbitali ibridi non esistono negli atomi isolati. Si formano solo negli atomi legati covalentemente. # Gli orbitali ibridi hanno forme e orientamenti molto diversi da quelli degli orbitali atomici degli atomi isolati. # Un insieme di orbitali ibridi è generato dalla combinazione di orbitali atomici. Il numero di orbitali ibridi in un insieme è uguale al numero di orbitali atomici che sono stati combinati per produrre l'insieme. # Tutti gli orbitali di un insieme di orbitali ibridi sono equivalenti per forma ed energia. # Il tipo di orbitali ibridi formati in un atomo legato crea la geometria molecolare prevista dalla teoria VSEPR. # Gli orbitali ibridi si sovrappongono per formare legami σ. # Gli elettroni a coppia solitaria sono spesso contenuti in orbitali ibridi. === Ibridazione sp<sup>3</sup> nel metano === Per spiegare questa osservazione, la teoria del legame di valenza si basa su un concetto chiamato '''ibridazione orbitale'''. In questa figura, i quattro orbitali di valenza del carbonio (un orbitale 2s e tre orbitali 2p) si combinano matematicamente (ricordate: gli orbitali sono descritti da equazioni) per formare quattro '''orbitali ibridi''' equivalenti, che vengono chiamati '''orbitali sp<sup>3</sup>''' perché si formano mescolando un orbitale s e tre orbitali p. Nella nuova configurazione elettronica, ciascuno dei quattro elettroni di valenza del carbonio occupa un singolo orbitale sp<sup>3</sup>, creando quattro elettroni spaiati. [[File:Chemorg_1.6.4.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] La forma di un orbitale ibridato sp<sup>3</sup> è una combinazione di orbitali atomici s e p. [[File:Chemorg_1.6.5.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Ogni orbitale ibrido sp<sup>3</sup> contiene un elettrone e gli elettroni si respingono. Per ridurre al minimo la repulsione tra gli elettroni, i quattro orbitali sp<sup>3</sup>-ibridati si dispongono intorno al nucleo del carbonio in modo da essere il più lontano possibile l'uno dall'altro, dando luogo alla disposizione tetraedrica prevista da VSPER. L'atomo di carbonio nel metano è chiamato “atomo di carbonio ibridizzato sp<sup>3</sup>”. I lobi più grandi degli ibridi sp<sup>3</sup> sono diretti verso i quattro angoli di un tetraedro, il che significa che l'angolo tra due orbitali qualsiasi è 109,5°. [[File:Chemorg_1.6.6.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] === Legami nel metano === Ogni legame C-H nel metano, quindi, può essere descritto come una sovrapposizione tra un orbitale 1s riempito a metà in quattro atomi di idrogeno e il lobo più grande di uno dei quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> riempiti a metà formano un legame sigma (σ) equivalente. Questa sovrapposizione di orbitali è spesso descritta con la notazione: sp<sup>3</sup>(C)-1s(H). La formazione di orbitali ibridi sp<sup>3</sup> spiega con successo la struttura tetraedrica del metano e l'equivalenza dei quattro legami C-H. Resta da spiegare perché si formano gli orbitali ibridi sp<sup>3</sup>. Quando gli orbitali s e 3 p del carbonio si ibridano, l'orbitale ibrido sp<sup>3</sup> risultante è asimmetrico, con un lobo più grande dell'altro. Ciò significa che il lobo più grande può sovrapporsi più efficacemente agli orbitali di altri legami, rendendoli più forti. L'ibridazione consente al carbonio di formare legami più forti di quelli che avrebbe con orbitali s o p non ibridati. [[File:Chemorg_1.6.7.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] I quattro legami carbonio-idrogeno nel metano sono equivalenti e hanno tutti una lunghezza di legame di 109 pm (1,09 x 10-10 m), una forza di legame di 429 kJ/mol. Tutti gli angoli di legame H-C-H sono 109,5°. [[File:Chemorg_1.6.8.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] [[File:Chemorg_1.6.9.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] === Guarda da vicino: Linus Pauling === Probabilmente il chimico più influente del XX secolo, Linus Pauling (1901-1994) è l'unica persona ad aver vinto due premi Nobel individuali (cioè non condivisi). Negli anni '30, Pauling utilizzò nuove teorie matematiche per enunciare alcuni principi fondamentali del legame chimico. Il suo libro del 1939, ''The Nature of the Chemical Bond'', è uno dei libri più significativi mai pubblicati in chimica. Il grande contributo di Pauling alla chimica fu la teoria del legame di valenza, che combinava la sua conoscenza della teoria meccanica quantistica con la conoscenza di fatti chimici fondamentali, come la lunghezza e la forza dei legami e la forma delle molecole. La teoria del legame di valenza, come la teoria del legame di Lewis, fornisce un modello semplice che è utile per prevedere e comprendere le strutture delle molecole, soprattutto per la chimica organica. . Nel 1935, l'interesse di Pauling si rivolse alle molecole biologiche e gli fu assegnato il Premio Nobel per la Chimica 1954 per il suo lavoro sulla struttura delle proteine. (Era molto vicino a scoprire la struttura a doppia elica del DNA quando James Watson e James Crick annunciarono la loro scoperta della sua struttura nel 1953). In seguito gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 1962 per i suoi sforzi volti a vietare i test sulle armi nucleari. [[File:Chemorg_1.6.10.jpg|centro|miniatura|Linus Pauling è stato uno dei chimici più influenti del XX secolo.]] Negli ultimi anni, Pauling si convinse che grandi dosi di vitamina C avrebbero prevenuto le malattie, compreso il comune raffreddore. La maggior parte delle ricerche cliniche non riuscì a dimostrare l'esistenza di un legame, ma Pauling continuò ad assumere grandi dosi quotidiane. Morì nel 1994, dopo aver trascorso una vita intera a creare un'eredità scientifica che pochi potranno mai eguagliare. == Orbitali ibridi sp³ e struttura dell'etano == === Legame di etano === La molecola più semplice con un legame carbonio-carbonio è l'etano, C<sub>2</sub>H<sub>6</sub>. [[File:Rappresentrazioni_di_etano.svg|alt=Rappresentrazioni di etano|centro|miniatura|'''Rappresentazioni dell'Etano''']] Nell'etano (CH<sub>3</sub>CH<sub>3</sub>) , entrambi gli atomi di carbonio sono ibridati sp<sup>3</sup>'', il che'' significa che entrambi hanno quattro legami con geometria tetraedrica. Un orbitale ''sp<sup>3</sup> di un atomo'' di carbonio si sovrappone, uno all'altro, a un orbitale sp<sup>3</sup> ''del'' secondo atomo di carbonio per formare un legame ''σ'' carbonio-carbonio. Questa sovrapposizione orbitale è spesso descritta usando la notazione: ''sp<sup>3</sup>'' (C)-sp<sup>3</sup> (C). Ciascuno dei rimanenti orbitali ibridi ''sp<sup>3</sup>'' si sovrappone all'orbitale ''s'' di un atomo di idrogeno per formare legami σ carbonio-idrogeno. [[File:Legame_di_etano_1.svg|alt=Legame di etano 1|centro]] Il legame carbonio-carbonio σ ha una lunghezza di legame di 154 µm e una forza di legame di 377 kJ/mol. I legami carbonio-idrogeno σ sono leggermente più deboli, 421 kJ/mol, rispetto a quelli del metano. Gli angoli di legame CCH nell'etano sono di 111,2°, un valore prossimo a quello previsto per le molecole tetraedriche. [[File:Legame_di_etano_2.svg|alt=Legame di etano 2|centro]] L'orientamento dei due gruppi CH<sub>2</sub> non è fisso l'uno rispetto all'altro. Poiché si formano dalla sovrapposizione di due orbitali, i legami ''sigma sono liberi di ruotare.'' Ciò significa, nel caso della molecola di etano, che i due gruppi metilici (CH<sub>2</sub>) possono essere rappresentati come due ruote su un mozzo, ciascuna in grado di ruotare liberamente rispetto all'altra. [[File:Legame_di_etano_3.svg|alt=Legame di etano 3|centro]] ===== '''Come lo sapevano?''' ===== La geometria tetraedrica del carbonio fu prevista già nel 1874. Ma come lo sapevano? Un interrogativo emerse analizzando l'etano con un sostituente bromo (C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br ). Esaminando le possibili strutture del composto C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br, si individuano diverse possibili formule strutturali. Un serio problema era se queste formule rappresentassero gli stessi composti o composti diversi. Tutto ciò che si sapeva all'inizio era che ogni campione purificato di C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br , indipendentemente dal modo in cui era stato preparato, aveva un punto di ebollizione di 38 ° C e una densità di 1,460 gml<sup>−1</sup>. Inoltre, tutti avevano lo stesso aspetto , lo stesso odore e subivano le stesse reazioni chimiche. Non c'erano prove che C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br fosse una miscela o che si potesse preparare più di un composto con questa formula. Si potrebbe quindi concludere che tutte le formule strutturali sopra riportate rappresentano una singola sostanza , ma come? Una brillante soluzione al problema arrivò quando JH van't Hoff propose che tutti e quattro i legami del carbonio fossero equivalenti e diretti verso i vertici di un tetraedro regolare. Se ridisegnamo le strutture di C₂H₂Br con entrambi gli atomi di carbonio a geometria tetraedrica, vediamo che esiste una sola disposizione possibile. Questa teoria allude all'idea di libera rotazione attorno ai legami sigma, che sarà discussa più avanti. [[File:Legame_di_etano_4.png|alt=Legame di etano 4|centro]] [[File:Chemorg_1.7.6.png|centro|chemorg]] == Orbitali ibridi sp² e struttura dell'etilene == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * legame pi greco (π) * ibrido sp<sup>2</sup> === Legami nell'etilene === Finora la teoria dei legami di valenza è stata in grado di descrivere il legame nelle molecole contenenti solo legami singoli. Tuttavia, quando le molecole contengono legami doppi o tripli, il modello richiede maggiori dettagli. L'etilene (comunemente noto come etene), CH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>, è la molecola più semplice che contiene un doppio legame carbonio-carbonio. La struttura di Lewis dell'etilene indica la presenza di un doppio legame carbonio-carbonio e di quattro legami singoli carbonio-idrogeno. Sperimentalmente, è stato dimostrato che i quattro legami carbonio-idrogeno nella molecola di etilene sono identici. Poiché ogni carbonio è circondato da tre gruppi di elettroni, secondo la teoria VSEPR la molecola dovrebbe avere una geometria trigonale planare. Sebbene ogni carbonio abbia soddisfatto il requisito di tetravalenza, un legame appare diverso. È evidente che si tratta di un altro tipo di sovrapposizione di orbitali. [[File:Chemorg_1.8.1.svg|centro|chemorg 1.8]] I legami sigma che si formano nell'etene sono dovuti alla partecipazione di un diverso tipo di orbitale ibrido. Tre orbitali atomici su ciascun carbonio - 2s, 2p<sub>x</sub> e 2p<sub>y</sub> - si combinano per formare tre orbitali ibridi sp<sub>2</sub>, lasciando l'orbitale 2p<sub>z</sub> non ibridato. Tre dei quattro elettroni di valenza di ciascun carbonio sono distribuiti nei tre orbitali ibridi sp<sup>2</sup>, mentre l'elettrone rimanente va nell'orbitale p<sub>z</sub> non ibridato. Ogni carbonio dell'etene è detto “carbonio ibrido sp<sup>2</sup>”. La configurazione elettronica del carbonio ibridato sp<sup>2</sup> mostra che ci sono quattro elettroni spaiati per formare legami. Tuttavia, gli elettroni spaiati sono contenuti in due tipi diversi di orbitali, quindi è prevedibile che si formino due tipi diversi di legami. [[File:Chemorg_1.8.2.svg|centro]] È stato dimostrato matematicamente che la forma dell'orbitale sp<sup>2</sup> ibridato è all'incirca uguale a quella dell'orbitale sp<sup>3</sup> ibridato. Per minimizzare la repulsione tra gli elettroni, i tre orbitali sp<sup>2</sup> ibridati sono disposti con una geometria trigonale planare. Ogni lobo orbitale punta ai tre angoli di un triangolo equilatero, con angoli di 120° tra loro. Anche in questo caso, geometria e ibridazione possono essere collegate. Si può dire che gli atomi circondati da tre gruppi di elettroni hanno una geometria planare trigonale e un'ibridazione sp<sup>2</sup>. [[File:Chemorg_1.8.3.png|centro|chemorg 1.8]] L'orbitale 2p<sub>z</sub> non ibrido è ''perpendicolare'' al piano degli orbitali ibridi sp<sup>2</sup> trigonali planari. [[File:Chemorg_1.8.4.png|centro|chemorg 1.8]] Nella molecola di etilene, ogni atomo di carbonio è legato a due atomi di idrogeno. Pertanto, per i legami sigma C-H nell'etilene si sovrappongono due orbitali ibridi sp<sup>2</sup> con gli orbitali 1s di due atomi di idrogeno (sp<sup>2</sup>(C)-1s(H)). Di conseguenza, coerentemente con le osservazioni, i quattro legami carbonio-idrogeno nell'etilene sono identici. [[File:Chemorg_1.8.5.png|centro|chemorg 1.8]] Il legame sigma C-C nell'etilene è formato dalla sovrapposizione di un orbitale ibrido sp<sup>2</sup> di ciascun carbonio. [[File:Chemorg_1.8.6.png|centro|chemorg 1.8]] La sovrapposizione di orbitali ibridi o di un orbitale ibrido e di un orbitale 1s dell'idrogeno crea la struttura del legame sigma della molecola di etilene. Tuttavia, l'orbitale p<sub>z</sub> non ibrido su ciascun carbonio rimane. [[File:Chemorg_1.8.7.png|centro|chemorg 1.8]] Gli orbitali p<sub>z</sub> non ibridati su ciascun carbonio si sovrappongono a un legame π (pi greco). La sovrapposizione degli orbitali è comunemente scritta come pz(C)-1p<sub>z</sub>(C). In generale, i legami multipli nei composti molecolari sono formati dalla sovrapposizione di orbitali p non ibridati. Va notato che il doppio legame carbonio-carbonio nell'etilene è costituito da due diversi tipi di legame, uno sigma e uno pi greco. [[File:Chemorg_1.8.8.png|centro|chemorg 1.8]] Nel complesso, si dice che l'etilene contenga cinque legami sigma e un legame pi greco. I legami pi greco tendono a essere più deboli dei legami sigma perché la sovrapposizione laterale degli orbitali p determina una sovrapposizione orbitale meno efficace rispetto alla sovrapposizione orbitale end-to-end di un legame sigma. Questo rende il legame pi greco molto più facile da rompere, il che è una delle idee più importanti nelle reazioni di chimica organica. [[File:Chemorg_1.8.9.svg|centro|chemorg 1.8]] Si dice che una molecola di etilene sia costituita da cinque legami sigma e un legame pi greco. I tre orbitali ibridi sp<sup>2</sup> su ciascun carbonio si orientano per creare la geometria trigonale planare di base. L'angolo di legame H-C-C nell'etilene è di 121,3<sup>o</sup>, molto vicino ai 120<sup>o</sup> previsti dal VSEPR. I quattro legami C-H sigma nell'etilene. Il doppio legame carbonio-carbonio nell'etilene è più corto (133,9 pm) e quasi due volte più forte (728 kJ/mol) del legame singolo carbonio-carbonio (154 pm e 377 kJ/mol). Ciascuno dei quattro legami carbonio-idrogeno nell'etilene sono equivalenti e hanno una lunghezza di 108,7 pm. [[File:Chemorg_1.8.10.svg|centro|chemorg 1.8]] === Rigidità nell'etene === Essendo il risultato di una sovrapposizione side-by-side (anziché end-to-end come nel caso del legame sigma), '''i legami pi greco non sono liberi di ruotare'''. Se si verificasse una rotazione intorno a questo legame, si dovrebbe interrompere la sovrapposizione laterale tra i due orbitali 2p<sup>z</sup> che costituiscono il legame pi. Se si verificasse una rotazione libera, gli orbitali p dovrebbero attraversare una fase in cui si trovano a 90° l'uno dall'altro, il che romperebbe il legame pi greco perché non ci sarebbe più sovrapposizione. Poiché il legame pi greco è essenziale per la struttura dell'etene, non deve rompersi, quindi non ci può essere rotazione libera intorno al legame sigma carbonio-carbonio. La presenza del legame pi greco “blocca” i sei atomi dell'etene nello stesso piano. [[File:Chemorg_1.8.11.jpg|centro|chemorg 1.8]] === Esercizio === 1) a: Descrivi gli orbitali che si sovrappongono al legame sigma carbonio-azoto e al legame pie nella molecola sottostante: [[File:Chemorg_1.8.13.png|centro|chemorg 1.8]] b: Quale tipo di orbitale contiene la coppia solitaria dell'azoto? 2) Per la seguente molecola, indica quali atomi sono tenuti sullo stesso piano dal doppio legame carbonio-carbonio: [[File:Chemorg_1.8.14.png|centro|chemorg 1.8]] ==== Soluzioni ==== 1) a) Gli atomi di carbonio e azoto sono entrambi ibridati sp<sup>2</sup>. Il doppio legame carbonio-azoto è composto da un legame sigma formato da due orbitali sp<sup>2</sup> e da un legame pi greco formato dalla sovrapposizione di due orbitali 2p non ibridati. [[File:Chemorg_1.8.15.png|centro|chemorg 1.8]] b) Come mostrato nella figura precedente, gli elettroni solitari dell'azoto occupano uno dei tre orbitali ibridi sp<sup>2</sup>. 2) [[File:Chemorg_1.8.16.png|centro|chemorg 1.8]] == Ibridazione di azoto, ossigeno, fosforo e zolfo == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * elettroni a coppia solitaria === Note di studio === L'azoto si trova spesso nei composti organici. Come gli atomi di carbonio, gli atomi di azoto possono essere sp<sup>3</sup>-, sp<sup>2</sup>- o sp-ibridati. In questo corso, il termine “coppia solitaria” viene utilizzato per descrivere una coppia di elettroni non condivisa. Il concetto di legame di valenza dell'ibridazione orbitale può essere estrapolato ad altri atomi, tra cui azoto, ossigeno, fosforo e zolfo. In altri composti, i legami covalenti che si formano possono essere descritti utilizzando orbitali ibridi. === L'azoto === ==== Legami in NH<sub>3</sub> ==== L'azoto in NH<sub>3</sub> ha cinque elettroni di valenza. Dopo l'ibridazione, questi cinque elettroni sono collocati nei quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> equivalenti. La configurazione elettronica dell'azoto presenta ora un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> completamente riempito con due elettroni e tre orbitali ibridi sp<sup>3</sup> con un elettrone spaiato ciascuno. I due elettroni nell'orbitale ibrido sp<sup>3</sup> pieno sono considerati non leganti perché già appaiati. Questi elettroni saranno rappresentati come una coppia solitaria nella struttura dell'NH<sub>3</sub>. I tre elettroni non appaiati negli orbitali ibridi sono considerati leganti e si sovrapporranno agli orbitali s dell'idrogeno per formare legami sigma N-H. Nota! Questa configurazione di legame è stata prevista dalla struttura di Lewis dell'NH<sub>3</sub>. [[File:Chemorg_1.10.1.svg|centro|chemorg 1.10]] I quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> dell'azoto si orientano a formare una geometria tetraedrica. I tre legami sigma N-H dell'NH<sub>3</sub> sono formati dalla sovrapposizione degli orbitali sp<sup>3</sup>(N)-1s(H). Il quarto orbitale ibrido sp<sup>3</sup> contiene i due elettroni della coppia solitaria e non è direttamente coinvolto nel legame. [[File:Chemorg_1.10.2.png|centro|chemorg 1.10]] ==== Ammina metilica ==== L'azoto è ibridato sp<sup>3</sup>, il che significa che possiede quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup>. Due degli orbitali ibridati sp<sup>3</sup> si sovrappongono agli orbitali s degli idrogeni per formare i due legami sigma N-H. Uno degli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> si sovrappone a un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> del carbonio per formare il legame sigma C-N. Gli elettroni solitari dell'azoto sono contenuti nell'ultimo orbitale ibridato sp<sup>3</sup>. A causa dell'ibridazione sp<sup>3</sup>, l'azoto ha una geometria tetraedrica. Tuttavia, gli angoli dei legami H-N-H e H-N-C sono inferiori ai tipici 109,5° a causa della compressione operata dagli elettroni solitari. [[File:Chemorg_1.10.3.svg|centro|chemorg 1.10]] === L'ossigeno === ==== Legami in H<sub>2</sub>O ==== L'ossigeno in H<sub>2</sub>O ha sei elettroni di valenza. Dopo l'ibridazione, questi sei elettroni sono collocati nei quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> equivalenti. La configurazione elettronica dell'ossigeno presenta ora due orbitali ibridi sp<sup>3</sup> completamente riempiti con due elettroni e due orbitali ibridi sp<sup>3</sup> con un elettrone spaiato ciascuno. Gli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> riempiti sono considerati non leganti perché già appaiati. Questi elettroni saranno rappresentati come due serie di coppie solitarie sulla struttura di H<sub>2</sub>O. I due elettroni spaiati negli orbitali ibridi sono considerati leganti e si sovrapporranno agli orbitali s dell'idrogeno per formare legami O-H sigma. Nota! Questa configurazione di legame è stata prevista dalla struttura di Lewis di H<sub>2</sub>O. [[File:Chemorg_1.10.4.svg|centro|chemorg 1.10]] I quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> dell'ossigeno si orientano a formare una geometria tetraedrica. I due legami sigma O-H di H<sub>2</sub>O sono formati dalla sovrapposizione degli orbitali sp<sup>3</sup>(O)-1s(H). I due orbitali ibridi sp<sup>3</sup> rimanenti contengono ciascuno due elettroni sotto forma di coppia solitaria. [[File:Chemorg_1.6.9.png|alt=Chemorg 1.6.9|centro]] === Metanolo === L'ossigeno è ibridato sp<sup>3</sup>, il che significa che ha quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup>. Uno degli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> si sovrappone agli orbitali s di un idrogeno per formare i legami sigma O-H. Uno degli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> si sovrappone a un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> del carbonio per formare il legame sigma C-O. Entrambe le serie di elettroni solitari sull'ossigeno sono contenute nel restante orbitale ibridato sp<sup>3</sup>. A causa dell'ibridazione sp<sup>3</sup>, l'ossigeno ha una geometria tetraedrica. Tuttavia, gli angoli di legame H-O-C sono inferiori ai tipici 109,5° a causa della compressione da parte degli elettroni solitari. [[File:Chemorg_1.10.5.svg|centro|chemorg 1.10]] === Fosforo === ==== Fosfato di metile ==== Lo schema di legame del fosforo è analogo a quello dell'azoto, poiché entrambi si trovano nel periodo 15. Tuttavia, il fosforo può avere ottetti espansi perché si trova nella riga n = 3. Tuttavia, il fosforo può avere degli ottetti espansi perché si trova nella riga n = 3. In genere, il fosforo forma cinque legami covalenti. Nelle molecole biologiche, il fosforo si trova solitamente negli organofosfati. Gli organofosfati sono costituiti da un atomo di fosforo legato a quattro ossigeni, con uno degli ossigeni legato anche a un carbonio. Nel metilfosfato, il fosforo è ibridato sp<sup>3</sup> e l'angolo di legame O-P-O varia da 110° a 112°. [[File:Chemorg_1.10.6.svg|centro|chemorg 1.10]] === Zolfo === ==== Metanolo e solfuro di dimetile ==== Lo zolfo ha uno schema di legame simile a quello dell'ossigeno perché entrambi si trovano nel periodo 16 della tavola periodica. Poiché lo zolfo si trova nella terza fila della tavola periodica, ha la capacità di formare un ottetto espanso e la capacità di formare un numero di legami covalenti superiore a quello tipico. Nei sistemi biologici, lo zolfo si trova tipicamente in molecole chiamate tioli o solfuri. In un tiolo, l'atomo di zolfo è legato a un idrogeno e a un carbonio ed è analogo al legame O-H di un alcol. In un solfuro, lo zolfo è legato a due carboni. Il più semplice esempio di tiolo è il tiolo del metano (CH<sub>3</sub>SH) e il più semplice esempio di solfuro è il dimetilsolfuro [(CH<sub>3</sub>)<sub>3</sub>S]. In entrambi i casi lo zolfo è ibridato sp<sup>3</sup>, ma gli angoli di legame dello zolfo sono molto inferiori ai tipici 109,5° tetraedrici, essendo rispettivamente 96,6° e 99,1°. [[File:Chemorg_1.10.7.svg|centro|miniatura|metanolo]] [[File:Chemorg_1.10.8.svg|centro|miniatura|solfuro di dimetile]] === Esercizi === 1) Inserisci le coppie di elettroni solitari mancanti nelle seguenti molecole e scrivi quale ibridazione ti aspetti per ciascuno degli atomi indicati. a) L'ossigeno è dimetiletere: [[File:Chemorg_1.10.9.svg|centro|chemorg 1.10]] b) L'azoto nella dimetil amina: [[File:Chemorg_1.10.10.png|centro|chemorg 1.10]] c) Il fosforo nella fosfina: [[File:Chemorg_1.10.11.png|centro|chemorg 1.10]] d) Lo zolfo nell'idrogeno solforato: [[File:Chemorg_1.10.12.png|centro|chemorg 1.10]] ==== Soluzioni ==== 1) a) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.13.png|centro|chemorg 1.10]] b) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.14.png|centro|chemorg 1.10]] c) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.15.png|centro|chemorg 1.10]] d) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.16.png|centro|chemorg 1.10]] == Rappresentare le strutture chimiche == === Note di studio === Quando si disegna la struttura di un composto organico neutro, è utile ricordare che * ogni atomo di carbonio ha quattro legami. * ogni atomo di azoto ha tre legami * ogni atomo di ossigeno ha due legami * ogni atomo di idrogeno ha un legame. Attraverso la chimica generale, potreste aver già avuto modo di osservare le strutture molecolari utilizzando le strutture di Lewis. Poiché la chimica organica può coinvolgere molecole di grandi dimensioni, sarebbe utile che le strutture di Lewis potessero essere abbreviate. I tre diversi modi di disegnare le molecole organiche comprendono le '''formule di Kekulé''', le '''formule condensate''' e le '''strutture scheletriche''' (chiamate anche strutture a legami lineari o formule lineari). Durante questo corso, si vedranno molecole scritte in tutte e tre le forme. Sarà più utile se vi sentirete a vostro agio nel passare da uno stile di disegno all'altro, osservando i disegni e capendo cosa rappresentano. Sviluppare la capacità di convertire tra i diversi tipi di formule richiede pratica e, nella maggior parte dei casi, l'aiuto di modelli molecolari. Molti tipi di kit di modelli sono disponibili per gli studenti e i chimici professionisti, e lo studente principiante è incoraggiato a procurarsene uno. La semplificazione delle formule strutturali può essere ottenuta senza alcuna perdita di informazioni. Le formule di Kekule sono solo il termine della chimica organica per le strutture di Lewis già incontrate in precedenza. Nelle '''formule strutturali condensate''', i legami con ogni carbonio sono omessi, ma ogni unità strutturale distinta (gruppo) è scritta con numeri di pedice che designano più sostituenti, compresi gli idrogeni. Le '''formule lineari''' omettono completamente i simboli del carbonio e dell'idrogeno (a meno che l'idrogeno non sia legato a un atomo diverso dal carbonio). Ogni segmento di linea retta rappresenta un legame, le estremità e le intersezioni delle linee sono atomi di carbonio e il numero corretto di idrogeni è calcolato dalla tetravalenza del carbonio. Gli elettroni del guscio di valenza non legati sono omessi in queste formule. === Kekulé (alias strutture di Lewis) === Una formula di Kekulé o formula strutturale mostra gli atomi della molecola nell'ordine in cui sono legati. Inoltre, mostra il modo in cui gli atomi sono legati l'uno all'altro, ad esempio il legame covalente singolo, doppio e triplo. I legami covalenti sono rappresentati da linee. Il numero di trattini indica se il legame è singolo, doppio o triplo. Vengono mostrate tutte le etichette degli atomi e tutte le coppie solitarie. {| class="wikitable" |[[File:Chemorg_1.12.1.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.2.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.3.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |'''A''' |'''B''' |'''C''' |} === Formula condensata === Una formula condensata è costituita dai simboli degli elementi. Le formule strutturali condensate mostrano l'ordine degli atomi come una formula strutturale, ma sono scritte in un'unica riga per risparmiare spazio e renderne più comoda e veloce la scrittura. L'ordine degli atomi suggerisce la connettività della molecola. Le formule strutturali condensate sono utili anche per mostrare che un gruppo di atomi è collegato a un singolo atomo in un composto. In questo caso, si usano le parentesi intorno al gruppo di atomi per indicare che sono insieme. Inoltre, se a un dato atomo è collegato più di un sostituente, questo viene indicato con un numero di pedice. Un esempio è CH<sub>4</sub>, che rappresenta quattro idrogeni attaccati allo stesso carbonio. Le formule condensate possono essere lette in entrambi i sensi e H<sub>3</sub>C è uguale a CH<sub>3</sub>, anche se quest'ultimo è più comune. Guardate gli esempi qui sotto e abbinateli alla loro molecola identica sotto le strutture di Kekulé e le formule lineari. {| class="wikitable" |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>OH |ClCH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>CH(OCH<sub>3</sub>)CH<sub>3</sub> |CH<sub>3</sub>NHCH<sub>2</sub>COOH |- |'''A''' |'''B''' |'''C''' |} Osserviamo da vicino l'esempio B. Quando si esamina una formula condensata, è bene concentrarsi sui carboni e sugli altri elementi che non sono idrogeno. Gli idrogeni sono importanti, ma di solito sono presenti per completare gli ottetti. Inoltre, si noti che l'elemento -OCH<sub>3</sub> è scritto tra parentesi, il che indica che non fa parte della catena principale di carboni. Quando si legge una formula condensata, se si raggiunge un atomo che non ha un ottetto completo quand3o si arriva all'idrogeno successivo, è possibile che ci siano doppi o tripli legami. Nell'esempio C, il carbonio è legato a doppio filo con l'ossigeno e a singolo filo con un altro ossigeno. Si noti che COOH significa C(=O)-O-H invece di CH<sub>3</sub>-C-O-O-H perché il carbonio non ha un ottetto completo e ossigeni. === Formula lineare === Poiché i composti organici possono essere talvolta complessi, le formule ad angolo retto vengono utilizzate per scrivere in modo più efficiente gli atomi di carbonio e idrogeno, sostituendo la lettera “C” con le linee. Un atomo di carbonio è presente ovunque una linea intersechi un'altra linea. Gli atomi di idrogeno sono omessi, ma si presume che siano presenti per completare ciascuno dei quattro legami del carbonio. Gli idrogeni legati a elementi diversi dal carbonio sono indicati. Sono riportate le etichette degli atomi di tutti gli altri elementi. Gli elettroni a coppia solitaria sono solitamente omessi. Si presume che siano presenti per completare l'ottetto di atomi non di carbonio. Le formule lineari aiutano a mostrare la struttura e l'ordine degli atomi in un composto. {| class="wikitable" |[[File:Chemorg_1.12.4.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.5.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.6.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |'''A''' |'''B''' |'''C''' |} Queste molecole corrispondono esattamente alle stesse molecole rappresentate per le strutture di Kekulé e le formule condensate. Si noti che i carboni non sono più disegnati e sono sostituiti dalle estremità e dalle curve di una linea. Inoltre, gli idrogeni sono stati omessi, ma potrebbero essere facilmente inseriti (vedi problemi pratici). Anche se di solito non disegniamo gli H legati al carbonio, li disegniamo se sono collegati ad altri atomi oltre al carbonio (ad esempio il gruppo OH nell'esempio A). Questo viene fatto perché non è sempre chiaro se l'atomo non di carbonio è circondato da coppie solitarie o idrogeni. Sempre nell'esempio A, si noti come l'OH sia disegnato con un legame al secondo carbonio, ma ciò non significa che ci sia un terzo carbonio alla fine di quel legame/linea. {| class="wikitable" |+Tabella: Formule strutturali degli isomeri !Formula Kekulé !Formula condensata !Formula delle linee |- |[[File:Chemorg_1.12.7.svg|centro|chemorg 1.12]] |CH<sub>3</sub>(CH<sub>2</sub>)<sub>3</sub>OH |[[File:Chemorg_1.12.12.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.8.svg|centro|chemorg 1.12]] |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>CH(OH)CH<sub>3</sub> |[[File:Chemorg_1.12.13.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.9.svg|centro|chemorg 1.12]] |(CH<sub>3</sub>)<sub>2</sub>CHCH<sub>2</sub>OH |[[File:Chemorg_1.12.14.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.10.svg|centro|chemorg 1.12]] |(CH<sub>3</sub>)<sub>3</sub>COH |[[File:Chemorg_1.12.15.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.11.svg|centro|chemorg 1.12]] |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>OCH<sub>2</sub>CH<sub>3</sub> |[[File:Chemorg_1.12.16.svg|centro|chemorg 1.12]] |} === Esempio: Conversione tra formule strutturali === È utile convertire i composti in diverse formule strutturali (Kekule, Retta e Condensata) a seconda del tipo di domanda che viene posta. Gli esami standardizzati includono spesso un'alta percentuale di formule condensate perché è più facile ed economico digitare lettere e numeri piuttosto che importare cifre. Inizialmente, può essere difficile scrivere una struttura di riga direttamente da una formula condensata. Prima si scrive la struttura di Kekule dalla formula condensata e poi si disegna la struttura a linee da Kekule. a) La formula condensata del propanale è CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>CHO. Disegnare la struttura di Kekule. La struttura di Kekule per il propanale è mostrata di seguito. Ricordate che ogni carbonio ha quattro legami e l'ottetto degli ossigeni è pieno di coppie solitarie. [[File:Chemorg_1.12.17.svg|centro|chemorg 1.12]] La struttura di legame del propanale è mostrata di seguito. Per prima cosa, si rimuovono gli idrogeni. L'idrogeno attaccato al gruppo aldeidico rimane perché fa parte di un gruppo funzionale. Rimuovere le etichette “C” dalla struttura e mantenere le linee al loro posto. Infine, rimuovere le coppie solitarie. [[File:Chemorg_1.12.18.svg|centro|chemorg 1.12]] Tutte e tre le strutture rappresentano lo stesso composto, il propanale. [[File:Chemorg_1.12.19.svg|centro|chemorg 1.12]] b) Di seguito è riportata la struttura ad angolo retto della molecola trimetilammina. [[File:Chemorg_1.12.20.svg|centro|chemorg 1.12]] Per convertirla in una struttura di Kekule, identificare innanzitutto i carboni della molecola. Essi si trovano agli angoli e alle estremità della linea senza etichetta dell'atomo. La trimetilammina ha tre carboni. Successivamente, si aggiungono idrogeni ai carboni fino a ottenere quattro legami. Ogni carbonio della trimetil amina è legato singolarmente all'azoto. Ciò significa che ogni carbonio avrà bisogno di altri tre legami C-H per creare il suo ottetto. Infine, aggiungere coppie solitarie ad altri elementi per riempire i loro ottetti. L'azoto della trimetil amina è legato a tre carboni. Ciò significa che avrà bisogno di una coppia di elettroni solitari per completare il suo ottetto. [[File:Chemorg_1.12.21.svg|centro|chemorg 1.12]] === Esercizio 1 === Quanti carboni ci sono nel seguente disegno? Quanti idrogeni? [[File:Chemorg_1.12.22.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== Ricorda la regola dell'ottetto e quante volte i carboni e gli idrogeni possono legarsi ad altri atomi. [[File:Chemorgsol_1.12.1.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 2 === Quanti carboni ci sono nel seguente disegno? Quanti idrogeni? [[File:Chemorg_1.12.23.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== [[File:Chemorgsol_1.12.2.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 3 === Quanti carboni ci sono nel seguente disegno? Quanti idrogeni? [[File:Chemorg_1.12.24.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== [[File:Chemorgsol_1.12.3.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 4 === Osserva la seguente molecola di vitamina A e disegna gli idrogeni e le coppie di elettroni nascosti. [[File:Chemorg_1.12.25.png|centro|chemorg 1.12]] Suggerimento: Tutti i carboni hanno 4 legami? Tutti gli ossigeni hanno un ottetto completo? ==== Soluzione ==== Le coppie di elettroni sono disegnate in blu e gli idrogeni in rosso. [[File:Chemorgsol_1.12.4.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 5 === Disegna ClCH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>CH(OCH<sub>3</sub>)CH<sub>3</sub> in forma di Kekulé e di linea. ==== Soluzione ==== [[File:Chemorgsol_1.12.5.png|centro|chemorgsol 1.12]] e [[File:Chemorgsol_1.12.6.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 6 === Scrivi la formula molecolare di ciascuno dei composti qui illustrati. [[File:Chemorg_1.12.26.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== a. C<sub>7</sub>H<sub>7</sub>N b. C<sub>5</sub>H<sub>10</sub> c. C<sub>5</sub>H<sub>4</sub>O d. C<sub>5</sub>H<sub>6</sub>Br<sub>2</sub> == Forza di acidi e basi == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito * costante di acidità, K<sub>a</sub> * costante di equilibrio, K<sub>eq</sub> === Note di studio === I calcoli e le espressioni che coinvolgono K<sub>a</sub> e pK<sub>a</sub> sono stati trattati in dettaglio nel corso di chimica generale del primo anno. Si noti che la costante di acidità è nota anche come costante di dissociazione acida. Sicuramente saprete che alcuni acidi sono più forti di altri. L'acido solforico è abbastanza forte da poter essere utilizzato come detergente per scarichi, in quanto scioglie rapidamente gli intasamenti di capelli e altro materiale organico. IMMAGINE 2.7.1 Non sorprende che l'acido solforico concentrato provochi ustioni dolorose se tocca la pelle e danni permanenti se entra negli occhi (c'è una buona ragione per gli occhiali di sicurezza che si indossano in laboratorio!). Anche l'acido acetico (aceto) provoca ustioni alla pelle e agli occhi, ma non è abbastanza forte per essere un efficace pulitore di scarichi. L'acqua, che come sappiamo può agire come donatore di protoni, non è ovviamente un acido molto forte. Anche lo ione idrossido potrebbe teoricamente agire come un acido - dopo tutto ha un protone da donare - ma questa non è una reazione che normalmente considereremmo rilevante se non nelle condizioni più estreme. L'acidità relativa di diversi composti o gruppi funzionali - in altre parole, la loro capacità relativa di donare un protone a una base comune in condizioni identiche - è quantificata da un numero chiamato '''costante di dissociazione acida''', abbreviato '''K<sub>a</sub>'''. La base comune scelta per il confronto è l'acqua. Consideriamo l'acido acetico come primo esempio. Quando una piccola quantità di acido acetico viene aggiunta all'acqua, si verifica un evento di trasferimento di protoni (reazione acido-base). IMMAGINE 2.7.2 Notate la frase "in qualche misura": questa reazione non arriva al completamento, con tutto l'acido acetico convertito in acetato, la sua base coniugata. Piuttosto, viene raggiunto un equilibrio dinamico, con il trasferimento di protoni che avviene in entrambe le direzioni (quindi le frecce bidirezionali) e concentrazioni finite di tutte e quattro le specie in gioco. La natura di questa situazione di equilibrio, come ricorderete dalla Chimica generale, è espressa da una costante di equilibrio, la K. La costante di equilibrio è in realtà un rapporto di attività (rappresentato dal simbolo ), ma le attività sono raramente utilizzate in corsi diversi dalla chimica analitica o fisica. Per semplificare la discussione per i corsi di chimica generale e di chimica organica, le attività di tutti i soluti vengono sostituite con le molarità e l'attività del solvente (di solito l'acqua) è definita come avente valore 1. Nel nostro esempio, abbiamo aggiunto una piccola quantità di acido acetico a una grande quantità di acqua: l'acqua è il solvente di questa reazione. Pertanto, nel corso della reazione, la concentrazione dell'acqua cambia pochissimo e l'acqua può essere trattata come un solvente puro, a cui viene sempre assegnata un'attività pari a 1. L'acido acetico, lo ione acetato e lo ione idronio sono tutti soluti e quindi le loro attività vengono approssimate con le molarità. La costante di dissociazione acida, o K<sub>a</sub>, per l'acido acetico è quindi definita come: IMMAGINE 2.7.3 Poiché la divisione per 1 non cambia il valore della costante, l'“1” di solito non viene scritto e K<sub>a</sub> viene scritto come: IMMAGINE 2.7.4 In termini più generali, la costante di dissociazione di un dato acido è espressa come: IMMAGINE 2.7.5 o IMMAGINE 2.7.6 L'equazione 2.7.1 si applica a un acido neutro come l'HCl o l'acido acetico, mentre l'equazione 2.7.2 si applica a un acido cationico come l'ammonio (NH<sub>4</sub><sup>+</sup>). Il valore di K<sub>a</sub> = 1,75 x 10<sup>-5</sup> per l'acido acetico è molto piccolo: ciò significa che la dissociazione avviene molto poco e che all'equilibrio c'è molto più acido acetico in soluzione che ione acetato. L'acido acetico è un acido relativamente debole, almeno se paragonato all'acido solforico (K<sub>a</sub> = 109) o all'acido cloridrico (K<sub>a</sub> = 107), che subiscono entrambi una dissociazione essenzialmente completa in acqua. Un numero come 1,75 x 10<sup>-5</sup> non è molto facile da dire o da ricordare. I chimici usano spesso i valori di pK<sub>a</sub> come termine più conveniente per esprimere l'acidità relativa. pK<sub>a</sub> è correlato a K<sub>a</sub> dalla seguente equazione IMMAGINE 2.7.7 Facendo i calcoli, scopriamo che il pK<sub>a</sub> dell'acido acetico è 4,8. L'uso dei valori di pK<sub>a</sub> ci permette di esprimere l'acidità di composti e gruppi funzionali comuni su una scala numerica che va da -10 (acido molto forte) a 50 (per niente acido). La Tabella 2.7.1 alla fine del testo elenca i valori pK<sub>a</sub> esatti o approssimativi per diversi tipi di protoni che è probabile incontrare nello studio della chimica organica e biologica. Osservando la Tabella 2.7.1, si nota che la pK<sub>a</sub> degli acidi carbossilici è compresa tra 4-5, la pK<sub>a</sub> dell'acido solforico è -10 e la pK<sub>a</sub> dell'acqua è 14. Gli alcheni e gli alcani, che non sono affatto acidi, hanno valori di pK<sub>a</sub> superiori a 30. Più basso è il valore di pK<sub>a</sub>, più forte è l'acido. {| class="wikitable" |+Tabella: costanti acide rappresentative |IMMAGINE 2.7.8 acido solforico pK<sub>a</sub> −10 |IMMAGINE 2.7.9 acido cloridrico pK<sub>a</sub> −7 |IMMAGINE 2.7.10 idronio pK<sub>a</sub> 0.00 |IMMAGINE 2.7.11 chetone protonato pK<sub>a</sub> ~ −7 |IMMAGINE 2.7.12 alcol protonato pK<sub>a</sub> ~ −3 |- |IMMAGINE 2.7.13 monoestere fosfato pK<sub>a</sub> ~ 1 |IMMAGINE 2.7.14 diestero fosfato pK<sub>a</sub> ~ 1.5 |IMMAGINE 2.7.15 acido fosforico pK<sub>a</sub> 2.2 |IMMAGINE 2.7.16 anilina protonata pK<sub>a</sub> ~ 4.6 |IMMAGINE 2.7.17 acido carbossilico pK<sub>a</sub> ~ 4-5 |- |IMMAGINE 2.7.18 piridinio pK<sub>a</sub> 5.3 |IMMAGINE 2.7.19 acido carbonico pK<sub>a</sub> 6.4 |IMMAGINE 2.7.20 cianuro di idrogeno pK<sub>a</sub> ~ 9.2 |IMMAGINE 2.7.21 ammonio pK<sub>a</sub> 9.2 |IMMAGINE 2.7.22 fenolo pK<sub>a</sub> 9.9 |- |IMMAGINE 2.7.23 tiolo pK<sub>a</sub> ~ 10-11 |IMMAGINE 2.7.24 acqua pK<sub>a</sub> 14.00 |IMMAGINE 2.7.25 ammide pK<sub>a</sub> ~ 17 |IMMAGINE 2.7.26 alcool pK<sub>a</sub> ~ 16-18 |IMMAGINE 2.7.27 alfa-protone pK<sub>a</sub> ~ 18-20 |- | |IMMAGINE 2.7.28 alchene terminale pK<sub>a</sub> ~ 25 |IMMAGINE 2.7.29 alchene terminale pK<sub>a</sub> ~ 35 |IMMAGINE 2.7.30 ammoniaca pK<sub>a</sub> ~ 35 | |} È importante capire che il pK<sub>a</sub> non è la stessa cosa del pH: il pK<sub>a</sub> è una proprietà intrinseca di un composto o di un gruppo funzionale, mentre il pH è la misura della concentrazione di ioni idronio in una particolare soluzione acquosa: IMMAGINE 2.7.31 È importante capire che il pK<sub>a</sub> non è la stessa cosa del pH: il pK<sub>a</sub> è una proprietà intrinseca di un composto o di un gruppo funzionale, mentre il pH è la misura della concentrazione di ioni idronio in una particolare soluzione acquosa: un particolare acido avrà sempre lo stesso pK<sub>a</sub> (assumendo che stiamo parlando di una soluzione acquosa a temperatura ambiente), ma diverse soluzioni acquose dell'acido potrebbero avere valori di pH diversi, a seconda di quanto acido viene aggiunto a quanta acqua. La nostra tabella dei valori di pK<sub>a</sub> ci permetterà anche di confrontare la forza di diverse basi confrontando i valori di pK<sub>a</sub> dei loro acidi coniugati. L'idea chiave da ricordare è la seguente: più forte è l'acido coniugato, più debole è la base coniugata. L'acido solforico è l'acido più forte del nostro elenco, con un valore pK<sub>a</sub> di -10, quindi HSO<sub>4</sub><sup>-</sup> è la base coniugata più debole. Si può notare che lo ione idrossido è una base più forte dell'ammoniaca (NH<sub>3</sub>), perché l'ammonio (NH<sub>4</sub><sup>+</sup>, pK<sub>a</sub> = 9,2) è un acido più forte dell'acqua (pK<sub>a</sub> = 14,00). '''Più forte è l'acido coniugato, più debole è la base coniugata.''' Sebbene la Tabella 2.7.1 fornisca i valori di pK<sub>a</sub> solo di un numero limitato di composti, può essere molto utile come punto di partenza per stimare l'acidità o la basicità di qualsiasi molecola organica. È qui che la vostra familiarità con i gruppi funzionali organici vi sarà molto utile. Qual è, ad esempio, il pK<sub>a</sub> del cicloesanolo? Non è riportato nella tabella, ma trattandosi di un alcol, probabilmente è vicino a quello dell'etanolo (pK<sub>a</sub> = 16). Allo stesso modo, possiamo usare la Tabella 2.7.1 per prevedere che la para-idrossifenil acetaldeide, un composto intermedio nella biosintesi della morfina, ha un pK<sub>a</sub> vicino a 10, vicino a quello del nostro composto di riferimento, il fenolo. IMMAGINE 2.7.32 In questo esempio, è necessario valutare l'acidità potenziale in quattro punti diversi della molecola. IMMAGINE 2.7.33 pK<sub>a</sub> H<sup>a</sup> ~ 10 pK<sub>a</sub> H<sup>b</sup> = non in tavola (non è acido) pK<sub>a</sub> H<sup>c</sup> ~ 19 pK<sub>a</sub> H<sup>d</sup> = non in tavola (non è acido) I protoni aldeidici e aromatici non sono affatto acidi (i valori di pK<sub>a</sub> sono superiori a 40 - non nella nostra tabella). I due protoni sul carbonio vicino al carbonile sono leggermente acidi, con valori di pK<sub>a</sub> intorno a 19-20 secondo la tabella. Il protone più acido si trova sul gruppo fenolico, quindi se il composto venisse fatto reagire con un singolo equivalente molare di base forte, questo è il protone che verrebbe donato per primo. Nel prosieguo dello studio della chimica organica, sarà opportuno memorizzare gli intervalli di pK<sub>a</sub> approssimativi di alcuni importanti gruppi funzionali, tra cui l'acqua, gli alcoli, i fenoli, l'ammonio, i tioli, i fosfati, gli acidi carbossilici e i carboni vicini ai gruppi carbonilici (i cosiddetti a-carboni). Sono questi i gruppi che più facilmente si vedono agire come acidi o basi nelle reazioni organiche biologiche. Un'avvertenza: quando si usa la tabella pK<sub>a</sub>, bisogna essere assolutamente sicuri di considerare la coppia coniugata acido/base corretta. Se vi viene chiesto di dire qualcosa sulla basicità dell'ammoniaca (NH<sub>3</sub>) rispetto a quella dello ione etossido (CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>O-), per esempio, i valori di pK<sub>a</sub> da considerare sono 9,2 (la pK<sub>a</sub> dello ione ammonio) e 16 (la pK<sub>a</sub> dell'etanolo). Da questi numeri si evince che l'etossido è la base più forte. Non commettete l'errore di utilizzare il valore di pK<sub>a</sub> di 38: questo è il pK<sub>a</sub> dell'ammoniaca che agisce come un acido e indica quanto è basico lo ione NH<sub>2</sub><sup>-</sup> (molto basico!). === Esempio 2.7.1: Gruppi acidi === Utilizzando la tabella dei pK<sub>a</sub>, stimare i valori di pK<sub>a</sub> per il gruppo più acido dei composti sottostanti e disegnare la struttura della base coniugata che risulta quando questo gruppo dona un protone. Utilizzare la tabella dei pK<sub>a</sub> di cui sopra e/o le tabelle di riferimento. ==== Soluzione ==== : a. The most acidic group is the protonated amine, pK<sub>a</sub> ~ 5-9 : b. Alpha proton by the C=O group, pK<sub>a</sub> ~ 18-20 : c. Thiol, pK<sub>a</sub> ~ 10 : d. Carboxylic acid, pK<sub>a</sub> ~ 5 : e. Carboxylic acid, pK<sub>a</sub> ~ 5 === Esempio 2.7.2 === L'acido acetico (CH<sub>3</sub>COOH) ha una pK<sub>a</sub> di 4,76. Determinare la K<sub>a</sub> dell'acido acetico. ==== Soluzione ==== Risolvendo algebricamente la K<sub>a</sub> si ottiene quanto segue: pK<sub>a</sub> = -Log(K<sub>a</sub>) -pK<sub>a</sub> = Log(K<sub>a</sub>) 10-pK<sub>a</sub> = K<sub>a</sub> Utilizzando una calcolatrice, inserire prima il valore della pK<sub>a</sub> (4,76). Il numero diventa negativo (-4,76). Quindi, utilizzare la funzione log inversa. Tutte le calcolatrici sono leggermente diverse, quindi questa funzione può apparire come: ANTILOG, INV LOG o 10X. Spesso è la seconda funzione del pulsante LOG. K<sub>a</sub> per l'acido acetico = 10-pK<sub>a</sub> = 1,74 x 10<sup>-5</sup> === Esercizi === # Scrivere un'espressione per la costante di acidità dell'acido acetico, CH<sub>3</sub>COOH. # La pK<sub>a</sub> dell'acido acetico è 4,72; calcolare la sua K<sub>a</sub>. # La K<sub>a</sub> dell'acido benzoico è 6,5 × 10-5; determinare la sua pK<sub>a</sub>. # In base alle risposte date alle domande precedenti, stabilire se l'acido acetico o l'acido benzoico sono più forti. ==== Soluzione ==== # K<sub>a</sub>=[CH<sub>3</sub>CO<sub>2</sub><sup>−</sup>][H<sup>+</sup>]/[CH<sub>3</sub>CO<sub>2</sub>H] o K<sub>a</sub>=[CH<sub>3</sub>CO<sup>-2</sup>][H<sub>3</sub>O<sup>+</sup>]/[CH<sub>3</sub>CO<sub>2</sub>H] # pK<sub>a</sub>=-log10K<sub>a</sub>=4.74 quindi, log10 K<sub>a</sub>=-4.72 e K<sub>a</sub>= anti-log(-4.72)= 1.9×10<sup>-5</sup> # pK<sub>a</sub>=−log10 K<sub>a</sub>=−log106.5×10<sup>−5</sup>=−(−4.19)=4.19 # L'acido benzoico è più forte dell'acido acetico. [L'acido benzoico ha una K<sub>a</sub> più alta e una pK<sub>a</sub> più bassa]. == Acidi organici e basi organiche == ===== Obiettivo ===== Dopo aver completato questa sezione, dovresti essere in grado di * predire l'acidità relativa di due molecole organiche in base alla loro struttura. * predire la basicità relativa di due molecole organiche in base alla loro struttura. Questa pagina spiega l'acidità degli acidi organici semplici e analizza i fattori che influenzano la loro forza relativa. === Acidi organici come acidi deboli === Ai fini di questo argomento, considereremo la definizione di acido come "una sostanza che dona ioni idrogeno (protoni) ad altre cose". Ne avremo una misura osservando la facilità con cui gli acidi rilasciano ioni idrogeno alle molecole d'acqua quando sono in soluzione. Un acido in soluzione stabilisce questo equilibrio: Uno ione idronio si forma insieme all'anione (ione negativo) dell'acido. Questo equilibrio viene talvolta semplificato omettendo l'acqua per enfatizzare la ionizzazione dell'acido. Se lo scrivi in ​​questo modo, devi includere i simboli di stato - "(aq)". Scrivere H<sup>+</sup> (aq) implica che lo ione idrogeno sia legato a una molecola d'acqua come H<sub>3</sub>O<sup>+</sup>. Gli ioni idrogeno sono sempre legati a qualcosa durante le reazioni chimiche. Gli acidi organici sono deboli nel senso che questa ionizzazione è molto incompleta. In qualsiasi momento, la maggior parte dell'acido sarà presente nella soluzione sotto forma di molecole non ionizzate. Ad esempio, nel caso dell'acido etanoico diluito, la soluzione contiene circa il 99% delle molecole di acido etanoico: in qualsiasi istante, solo circa l'1% si è effettivamente ionizzato. La posizione di equilibrio si trova quindi molto a sinistra. === Polarizzazione acida debole === Gli acidi organici possono solitamente essere caratterizzati nelle mappe del potenziale elettrostatico dalla presenza di un atomo di idrogeno polarizzato positivamente, mostrato in blu. Osservando le mappe sottostanti, il metanolo ha un legame OH leggermente polarizzato ed è considerato molto debolmente acido. Il legame OH nella metilammina è meno polarizzato, come mostrato dal colore blu più chiaro attorno all'idrogeno, rendendolo meno acido del metanolo. Tuttavia, il legame CH nell'etano è praticamente privo di polarità, come mostrato dall'assenza di colore blu, rendendolo non acido. La discussione seguente spiegherà la differenza di acidità di queste e di altre molecole organiche. === Confronto delle forze degli acidi deboli === La forza acida è strettamente correlata alla stabilità della base coniugata che si formerà rimuovendo un protone. Per analizzare la probabilità che una molecola sia acida, è necessario stimare la stabilità della sua base coniugata. ==== Stabilizzazione della base coniugata - Quattro considerazioni principali: ==== # Dimensioni ed elettronegatività dell'atomo che detiene la carica # La carica può essere delocalizzata per risonanza? # Ci sono effetti induttivi? # Ibridazione dell'orbitale che mantiene la carica Queste considerazioni sono elencate in ordine di importanza e spiegate singolarmente, ma devono essere considerate nel loro insieme. ==== 1. Effetti di dimensione ed elettronegatività nell'acidità ==== Confrontando gli elementi, il confronto dipende dalla loro posizione nella tavola periodica. Spostando un periodo (ovvero lungo una riga) degli elementi del gruppo principale, gli elettroni di valenza occupano tutti orbitali nello stesso livello. Questi elettroni hanno energia comparabile, quindi questo fattore non ci aiuta a discernere le differenze di stabilità relativa. Le differenze di elettronegatività sono ora il fattore dominante. Questa tendenza è evidente confrontando i valori di pK<sub>a</sub> di etano, metilammina e metanolo, che riflettono le elettronegatività relative di C < N < O. La chiave per comprendere questa tendenza è considerare l'ipotetica base coniugata in ciascun caso'': più stabile è la base coniugata, più forte è l'acido''. In generale, più un atomo è elettronegativo, maggiore è la sua capacità di sopportare una carica negativa. Nell'anione etile, la carica negativa è portata dal carbonio, nell'anione metilammina dall'azoto e nell'anione metossido da un ossigeno. Ricordate l'andamento periodico dell'elettronegatività: aumenta anche spostandosi da sinistra a destra lungo una riga, il che significa che l'ossigeno è il più elettronegativo dei tre elementi considerati. Questo rende la carica negativa dell'anione metossido la più stabile delle tre basi coniugate e il metanolo il più forte dei tre acidi. Allo stesso modo, il carbonio è il meno elettronegativo, rendendo l'etano il più debole dei tre acidi. All'interno di un gruppo (ovvero lungo una colonna). Man mano che ci si sposta lungo la tavola periodica, gli elettroni occupano sottolivelli energetici più elevati, creando dimensioni e volumi atomici maggiori. All'aumentare del volume di un elemento, qualsiasi carica negativa presente tende a diffondersi, riducendo la densità elettronica e aumentando la stabilità. La figura seguente mostra delle sfere che rappresentano gli atomi dei blocchi ''s'' e ''p'' dalla tavola periodica in scala, mostrando i due andamenti del raggio atomico. DIDASCALIA IMMAGINE: Figura 2.9.1:Tendenze dei raggi atomici nella tavola periodica. Sebbene ci siano alcune inversioni di tendenza (ad esempio, vedi Po nella riga inferiore), gli atomi generalmente diventano più piccoli procedendo lungo la tavola periodica e più grandi procedendo lungo una colonna. I numeri indicano i raggi in pm. Questa relazione tra dimensione atomica e densità elettronica è illustrata quando si confrontano le acidità relative del metanolo, CH<sub>3</sub>OH, e del metanetiolo, CH<sub>3</sub>SH. Il valore di pK<sub>a</sub> più basso, pari a 10,4, del metanethiolo indica che si tratta di un acido più forte del metanolo, che ha un valore di pK<sub>a</sub> pari a 15,5. È importante ricordare che nessuno dei due composti è considerato un acido. Queste relazioni sono utili quando si cerca di deprotonare i composti per aumentarne la reattività chimica in condizioni di reazione non acquosa. La differenza di dimensioni si nota facilmente osservando le mappe di potenziale elettrostatico del metanolo (a sinistra) e del metanetiolo (a destra). L'atomo di zolfo del metanetiolo è più grande dell'atomo di ossigeno del metanolo. Le dimensioni maggiori dello zolfo sono in grado di delocalizzare e stabilizzare meglio la carica negativa nella sua base coniugata, il metanetiolato. ==== 2. Effetti di risonanza nell'acidità ==== Questa sezione si concentra su come le strutture di risonanza di diversi gruppi organici contribuiscano alla loro acidità relativa, anche se lo stesso elemento agisce come donatore di protoni. Quando si valutano le basi coniugate per verificare la presenza di contributori di risonanza, bisogna cercare gli elettroni mobili (coppie solitarie ed elettroni di legame pi greco). La delocalizzazione degli elettroni su due o più atomi distribuisce la densità di elettroni, aumentando la stabilità della base coniugata e aumentando l'acidità dell'acido corrispondente. Un esempio classico è il confronto tra l'acidità relativa dell'etanolo e dell'acido acetico, ma le conclusioni a cui giungeremo saranno ugualmente valide per tutti i gruppi alcolici e gli acidi carbossilici. Nonostante siano entrambi acidi ossigenati, il pK In entrambe le specie, la carica negativa sulla base coniugata è detenuta da un ossigeno, quindi non è possibile invocare tendenze periodiche. Per l'acido acetico, tuttavia, c'è una differenza fondamentale: è possibile disegnare un collaboratore di risonanza in cui la carica negativa è attratta dal secondo ossigeno del gruppo. Le due forme di risonanza per la base coniugata sono uguali in energia, secondo le nostre “regole di risonanza”. Ciò significa che la carica negativa dello ione acetato non si trova su un ossigeno o sull'altro, ma è condivisa tra i due. I chimici usano il termine “delocalizzazione della carica” per descrivere questa situazione. Nello ione etossido, invece, la carica negativa è “bloccata” sul singolo ossigeno. Questa stabilizzazione porta a una marcata acidità. La delocalizzazione della carica per risonanza ha un effetto molto potente sulla reattività delle molecole organiche, tanto da spiegare la differenza di quasi 12 pK tra le costanti di acidità delle due molecole). Lo ione acetato è molto più stabile dello ione etossido, a causa degli effetti della delocalizzazione di risonanza. Gli effetti della coniugazione si possono notare confrontando le mappe di potenziale elettrostatico dell'etanolo e dell'acido acetico. La coniugazione crea una maggiore polarizzazione nel legame O-H dell'acido acetico, come dimostra il colore blu più scuro. === Perché il fenolo è acido? === I composti come gli alcoli e il fenolo che contengono un gruppo -OH collegato a un idrocarburo sono acidi molto deboli. Gli alcoli sono così debolmente acidi che, per i normali scopi di laboratorio, la loro acidità può essere praticamente ignorata. Tuttavia, il fenolo è sufficientemente acido da avere proprietà riconoscibili come acide, anche se è ancora un acido molto debole. Uno ione idrogeno può staccarsi dal gruppo -OH e trasferirsi a una base. Ad esempio, in soluzione acquosa: Poiché il fenolo è un acido molto debole, la posizione di equilibrio si trova ben a sinistra. Tuttavia, il fenolo può perdere uno ione idrogeno perché lo ione fenossido (o ione fenolato - i due termini possono essere usati in modo intercambiabile) che si forma è stabilizzato grazie alla risonanza. La carica negativa dell'atomo di ossigeno è delocalizzata intorno all'anello, poiché una delle coppie solitarie dell'atomo di ossigeno può trovarsi in un orbitale p e sovrapporsi agli elettroni pi greco dell'anello benzenico. Questa sovrapposizione porta a una delocalizzazione che si estende dall'anello all'atomo di ossigeno. Di conseguenza, la carica negativa non è più interamente localizzata sull'ossigeno, ma è distribuita intorno all'intero ione. La diffusione della carica rende lo ione più stabile di quanto sarebbe se tutta la carica rimanesse sull'ossigeno. Tuttavia, l'ossigeno è l'elemento più elettronegativo dello ione e gli elettroni delocalizzati saranno attratti verso di esso. Ciò significa che ci sarà ancora molta carica intorno all'ossigeno che tenderà ad attrarre nuovamente lo ione idrogeno. Ecco perché il fenolo è solo un acido molto debole. Questo spiega perché il fenolo è un acido molto più forte del cicloesanolo. Come si può vedere nel seguente diagramma energetico, la stabilizzazione della risonanza aumenta per la base coniugata del fenolo rispetto al cicloesanolo dopo la rimozione di un protone. La stabilizzazione della risonanza in questi due casi è molto diversa. Un principio importante della risonanza è che la separazione di carica diminuisce l'importanza di chi contribuisce all'ibrido di risonanza. Le strutture che contribuiscono all'ibrido di fenolo subiscono tutte una separazione di carica, con conseguente stabilizzazione molto modesta di questo composto. D'altra parte, l'anione fenolato è già carico e i contributori canonici agiscono per disperdere la carica, determinando una sostanziale stabilizzazione di questa specie. Le basi coniugate degli alcoli semplici non sono stabilizzate dalla delocalizzazione della carica, quindi l'acidità di questi composti è simile a quella dell'acqua. A destra è riportato un diagramma energetico che mostra l'effetto della risonanza sulle acidità del cicloesanolo e del fenolo. Poiché la stabilizzazione per risonanza della base coniugata del fenolato è molto maggiore della stabilizzazione del fenolo stesso, l'acidità del fenolo rispetto al cicloesanolo aumenta. La prova che la carica negativa del fenolato è delocalizzata sui carboni orto e para dell'anello benzenico deriva dall'influenza dei sostituenti che sottraggono elettroni in quei siti. ==== Acidità dell'idrogeno α (alfa) al carbonile ==== Gli atomi di idrogeno alchilici legati a un atomo di carbonio in posizione α (alfa) (direttamente adiacente) rispetto a un gruppo C=O mostrano un'acidità insolita. Mentre i valori di pK<sub>a</sub> per i legami C-H alchilici sono tipicamente dell'ordine di 40-50, i valori di pK<sub>a</sub> per questi idrogeni alfa sono più dell'ordine di 19-20. Questo è dovuto quasi esclusivamente alla risonanza dei legami con il gruppo C=O. Ciò è dovuto quasi esclusivamente alla stabilizzazione per risonanza del carbanione prodotto, chiamato enolato, come illustrato nel diagramma seguente. L'effetto del C=O stabilizzante si nota confrontando i pKa degli idrogeni α delle aldeidi (~16-18), dei chetoni (~19-21) e degli esteri (~23-25). ==== 3. Effetti induttivi ==== L'effetto induttivo è un effetto sperimentalmente osservato della trasmissione di carica attraverso una catena di atomi in una molecola, con conseguente dipolo permanente in un legame. Ad esempio, in un gruppo acido carbossilico la presenza di cloro su carboni adiacenti aumenta l'acidità del gruppo acido carbossilico. L'atomo di cloro è più elettronegativo dell'idrogeno e quindi è in grado di “indurre” o “tirare” la densità di elettroni verso di sé, allontanandola dal gruppo carbossilico. In questo modo la densità di elettroni della base coniugata si distribuisce ulteriormente, con un effetto stabilizzante. In questo contesto, il sostituente del cloro è chiamato '''gruppo che sottrae elettroni'''. Si noti che l'effetto di abbassamento del pK<sub>a</sub> di ciascun atomo di cloro, pur essendo significativo, non è così drammatico come l'effetto di risonanza delocalizzante illustrato dalla differenza dei valori di pK<sub>a</sub> tra un alcol e un acido carbossilico. In generale, gli effetti di risonanza sono più potenti di quelli induttivi. Confrontare i valori di pK<sub>a</sub> dell'acido acetico e dei suoi derivati mono-, di- e triclorurati: Gli effetti induttivi del cloro sono chiaramente visibili osservando le mappe di potenziale elettrostatico dell'acido acetico (a sinistra) e dell'acido tricloroacetico (a destra). Il legame O-H dell'acido tricloracetico è altamente polarizzato, come mostra il colore blu scuro. Ciò dimostra che l'acido tricoloracetico è un acido molto più forte dell'acido acetico. Poiché l'effetto induttivo dipende dall'elettronegatività, i sostituenti del fluoro hanno un effetto di abbassamento del pK<sub>a</sub> più pronunciato rispetto ai sostituenti del cloro. Inoltre, l'induzione avviene attraverso legami covalenti e la sua influenza diminuisce sensibilmente con la distanza: quindi un cloro a due carboni di distanza da un gruppo acido carbossilico ha un effetto minore rispetto a un cloro a un solo carbonio di distanza. L'acido 2-cloropropanoico ha un pK<sub>a</sub> di 2,8, mentre per l'acido 3-cloropropanoico il pK<sub>a</sub> è di 4,0. I gruppi alchilici (idrocarburi) sono deboli donatori di elettroni induttivi. In questo caso, l'effetto induttivo spinge la densità di elettroni sulla base coniugata, causando una maggiore concentrazione di elettroni e producendo un effetto destabilizzante. L'effetto induttivo dei gruppi alchilici provoca una variazione significativa nelle acidità dei diversi acidi carbossilici. Si noti che l'effetto induttivo diminuisce dopo che la catena alchilica è lunga circa tre carboni. {| class="wikitable" | |'''pK<sub>a</sub>''' |- |HCOOH (Methanoic Acid or Formic Acid) |3.75 |- |CH<sub>3</sub>COOH (Ethanoic Acid or Acetic Acid) |4.76 |- |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>COOH (Propanoic Acid) |4.87 |- |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>COOH (Butanoic Acid) |4.82 |} ==== 4. Ibridazione degli orbitali ==== L'ibridazione di un orbitale influisce sulla sua elettronegatività. All'interno di un guscio, gli orbitali s occupano la regione più vicina al nucleo rispetto agli orbitali p. Pertanto, gli orbitali s sferici sono più elettronegativi degli orbitali p lobati. Pertanto, gli orbitali s sferici sono più elettronegativi degli orbitali p lobati. L'elettronegatività relativa degli orbitali ibridati è sp > sp<sup>2</sup> > sp<sup>3</sup>, poiché la percentuale del carattere s diminuisce con l'aggiunta di orbitali p agli ibridi. Questa tendenza indica che gli orbitali ibridati sp sono più stabili con una carica negativa rispetto agli orbitali ibridati sp<sup>3</sup>. La tabella seguente mostra come l'ibridazione degli orbitali influenzi l'acidità relativa. {| class="wikitable" |'''compound''' | |'''hybridization''' |'''''s'' character''' |'''pK<sub>a</sub>''' | |- | | |sp<sup>3</sup> |25% |50 |weakest acid |- | | |sp<sup>2</sup> |33% |44 |↓ |- | | | | |36 |↓ |- | | |sp |50% |25 |↓ |- | | | | |16 |strongest acid |} === Confronto tra le forze delle basi deboli === Tecnicamente, le basi organiche sono caratterizzate dalla presenza di un atomo con una coppia di elettroni solitari. Queste coppie di elettroni solitari contengono un'alta densità di elettroni, mostrata in rosso nelle mappe di potenziale elettrostatico, e possono legarsi a H<sup>+</sup>. Di seguito sono riportate le mappe del metanolo, dell'ammina metilica e dell'acetone. Tutti e tre i composti possono essere protonati con un acido sufficientemente forte. Si noti che tutti e tre questi composti hanno anche la capacità di donare un protone quando reagiscono con una base sufficientemente forte. Il fatto che questi composti agiscano come acidi o basi dipende dalle condizioni. È comune confrontare quantitativamente le basi utilizzando i pK<sub>a</sub> dei loro acidi coniugati piuttosto che i loro pK<sub>b</sub>. Poiché pK<sub>a</sub> + pK<sub>b</sub> = 14, più alto è il pK<sub>a</sub> e più forte è la base, in contrasto con la consueta relazione inversa tra pK<sub>a</sub> e acidità. Ricordiamo che l'ammoniaca (NH<sub>3</sub>) agisce come base perché l'atomo di azoto ha una coppia solitaria di elettroni che può accettare un protone. L'acido coniugato della maggior parte delle ammine alchiliche semplici ha un pK<sub>a</sub> compreso tra 9,5 e 11,0 e le loro soluzioni acquose sono basiche (hanno un pH compreso tra 11 e 12, a seconda della concentrazione). Ciò può essere illustrato dalla reazione seguente, in cui un'ammina rimuove un protone dall'acqua per formare ioni ammonio sostituiti (ad esempio NH<sub>4</sub><sup>+</sup>) e ioni idrossido (OH<sup>-</sup>): Le ammine sono uno degli unici gruppi funzionali neutri considerati basici. Ciò è una conseguenza diretta della presenza di una coppia di elettroni non condivisi sull'azoto. La coppia di elettroni non condivisi è meno stretta dall'azoto di un'ammina rispetto all'ossigeno corrispondente di un alcol, il che la rende più disponibile ad agire come base. Come esempio specifico, la metilammina reagisce con l'acqua per formare lo ione metilammonio e lo ione OH<sup>-</sup>. ==== Esempio: Ammoniaca ==== Tutte le basi hanno delle somiglianze con l'ammoniaca e quindi inizieremo a vedere il motivo delle sue proprietà di base. Ai fini di questo argomento, prenderemo la definizione di base come “una sostanza che si combina con ioni idrogeno (protoni)”. Per avere una misura di ciò, osserviamo la facilità con cui le basi sottraggono ioni idrogeno alle molecole d'acqua quando sono in soluzione nell'acqua. L'ammoniaca in soluzione stabilisce questo equilibrio: NH<sub>3</sub>+H<sub>2</sub>O⇌NH+4+OH<sup>−</sup>(2.10.1) Si forma uno ione ammonio insieme a ioni idrossido. Poiché l'ammoniaca è solo una base debole, non si aggrappa allo ione idrogeno in più in modo molto efficace e quindi la reazione è reversibile. In qualsiasi momento, circa il 99% dell'ammoniaca è presente come molecola non reagita. La posizione di equilibrio si trova ben a sinistra. L'ammoniaca reagisce come base a causa della coppia solitaria attiva sull'azoto. L'azoto è più elettronegativo dell'idrogeno e quindi attrae verso di sé gli elettroni di legame della molecola di ammoniaca. Ciò significa che, oltre alla coppia solitaria, c'è un accumulo di carica negativa intorno all'atomo di azoto. Questa combinazione di negatività extra e di coppia solitaria attiva attira il nuovo idrogeno dall'acqua. Osservando la tabella seguente, è chiaro che la basicità dei composti contenenti azoto è fortemente influenzata dalla loro struttura. La variazione della basicità di questi composti può essere spiegata principalmente dagli effetti della delocalizzazione degli elettroni discussi in precedenza. Tabella 2.9.1: pK<sub>a</sub> degli acidi coniugati di una serie di ammine. {| class="wikitable" !Compound | | | | | | | | | | |- align="center" !pK<sub>a</sub> |11.0 |10.7 |10.7 |9.3 |5.2 |4.6 |1.0 |0.0 | -1.0 | -10.0 |} === Effetti induttivi nella basicità dell'azoto === Le alchilammine sono più basiche dell'ammoniaca poiché i gruppi alchilici donano elettroni all'azoto più elettronegativo. Questo effetto induttivo fa sì che la densità di elettroni sull'azoto dell'alchilammina sia maggiore di quella dell'azoto dell'ammonio. Ciò significa che sull'atomo di azoto si accumulerà una piccola quantità di carica negativa supplementare. Questa negatività extra intorno all'azoto rende la coppia solitaria ancora più attraente per gli ioni idrogeno. Di conseguenza, le ammine alchiliche primarie, secondarie e terziarie sono più basiche dell'ammoniaca. Il gruppo metilico spinge la densità di elettroni verso l'azoto, rendendolo più basico. Il fatto di rendere l'azoto più negativo aiuta la coppia solitaria a raccogliere uno ione idrogeno. Che effetto ha lo ione metilammonio positivo che si forma? È più stabile di uno ione ammonio semplice? Confrontate lo ione metilammonio con uno ione ammonio: Nello ione metilammonio, la carica positiva viene diffusa intorno allo ione grazie all'effetto di “spinta elettronica” del gruppo metilico. Quanto più è possibile diffondere la carica intorno allo ione, tanto più stabile diventa uno ione. Nello ione ammonio non c'è modo di diffondere la carica. Riassumendo: * L'azoto è più negativo nella metilammina che nell'ammoniaca e quindi raccoglie più facilmente uno ione idrogeno. * Lo ione formato dalla metilammina è più stabile di quello formato dall'ammoniaca e quindi ha meno probabilità di liberarsi nuovamente dello ione idrogeno. L'insieme di queste caratteristiche fa sì che la metilammina sia una base più forte dell'ammoniaca. === Effetti di risonanza nella basicità dell'azoto === L'effetto di risonanza spiega anche perché un atomo di azoto è basico quando si trova in un'ammina, ma non è significativamente basico quando fa parte di un gruppo ammidico. Mentre la coppia di elettroni solitari di un azoto amminico è localizzata in un punto, la coppia solitaria di un azoto ammidico è delocalizzata per risonanza. La coppia solitaria è stabilizzata dalla delocalizzazione per risonanza. Ecco un altro modo di pensare: la coppia solitaria di un azoto ammidico non è disponibile per il legame con un protone - questi due elettroni sono troppo stabili perché fanno parte del sistema di legame pi greco delocalizzato. La mappa del potenziale elettrostatico mostra l'effetto della risonanza sulla basicità di un'ammide. La mappa mostra che la densità elettronica, indicata in rosso, è quasi completamente spostata verso l'ossigeno. Ciò diminuisce notevolmente la basicità degli elettroni della coppia solitaria sull'azoto in un'ammide. L'anilina, l'analogo amminico del fenolo, è sostanzialmente meno basica di un'ammina (come evidenziato dal pK<sub>a</sub> degli acidi coniugati). Possiamo utilizzare lo stesso ragionamento che abbiamo fatto per confrontare l'acidità di un fenolo con quella di un alcol. Nell'anilina, la coppia solitaria sull'atomo di azoto è stabilizzata dalla risonanza con il sistema pi greco aromatico, rendendolo meno disponibile per il legame e quindi meno basico. In questi casi, sembra che ogni volta si rompa lo stesso legame ossigeno-idrogeno e quindi ci si potrebbe aspettare che le forze siano simili. Il fattore più importante nel determinare le forze acide relative di queste molecole è la natura degli ioni formati. Si ottiene sempre uno ione idronio, che è costante, ma la natura dell'anione (lo ione negativo) varia notevolmente da caso a caso. == Acidi e Basi - La definizione di Lewis == === Termini chiave === # Acido di Lewis # Base di Lewis # Elettrofilo # Nucleofilo<br /> === Appunti di studio === Il concetto di acidità e basicità di Lewis vi sarà molto utile quando studierete i meccanismi di reazione. La consapevolezza che uno ione come [[File:Immagine_wikibooks_1.svg|centro|senza_cornice|95x95px]] è carente di elettroni ed è quindi un acido di Lewis, dovrebbe aiutarvi a capire perché questo ione reagisce con sostanze che sono basi di Lewis (ad esempio, H<sub>2</sub>O). === Introduzione alla teoria acido-base di Lewis === La teoria acido-base di Brønsted è stata utilizzata in tutta la storia della chimica degli acidi e delle basi. Tuttavia, questa teoria è molto restrittiva e si concentra principalmente su acidi e basi che agiscono come donatori e accettori di protoni. A volte si verificano condizioni in cui la teoria non si adatta necessariamente, come ad esempio nei solidi e nei gas. Nel 1923, G.N. Lewis della UC Berkeley propose una teoria alternativa per descrivere gli acidi e le basi. La sua teoria forniva una spiegazione generalizzata di acidi e basi basata sulla struttura e sul legame. Grazie all'uso della definizione di Lewis di acidi e basi, i chimici sono ora in grado di prevedere una più ampia varietà di reazioni acido-base. La teoria di Lewis utilizzava gli elettroni invece del trasferimento di protoni e affermava specificamente che un acido è una specie che accetta una coppia di elettroni mentre una base dona una coppia di elettroni. [[File:Immagine_wikibooks_2.svg|centro|senza_cornice|Immagine wikibooks 2|283x283px]] Esempio di base di Lewis (atomo di ossigeno del carbonile) che reagisce con l'acido di Lewis (ione Mg<sub>2</sub><sup>+</sup>). La reazione tra un acido e una base di Lewis produce un legame covalente coordinato. Un legame covalente coordinato è solo un tipo di legame covalente in cui un reagente dona entrambi gli elettroni per formare il legame. In questo caso, la base di Lewis dona i suoi elettroni per formare un legame con l'acido di Lewis. Il prodotto risultante è chiamato composto di addizione, o più comunemente complesso. Il flusso di coppie di elettroni dalla base di Lewis all'acido di Lewis è rappresentato da frecce curve, come quelle utilizzate per le strutture di risonanza. Le frecce curve significano sempre che una coppia di elettroni si sposta dall'atomo in coda alla freccia all'atomo in testa alla freccia. In questo caso la coppia di elettroni solitari della base di Lewis attacca l'acido di Lewis formando un legame. Questo nuovo tipo di movimento della coppia di elettroni verrà utilizzato in tutto il testo per descrivere il flusso di elettroni durante le reazioni. * Acido di Lewis: specie che accetta una coppia di elettroni e che in genere ha orbitali liberi o un legame polare che coinvolge l'idrogeno tale da poter donare H<sup>+</sup> (che ha un orbitale 1s vuoto). * Base di Lewis: una specie che dona una coppia di elettroni e avrà elettroni solitari di legame <math>\pi</math> <br /> === Acidi di Lewis === I composti neutri del boro, dell'alluminio e degli altri elementi del Gruppo 13 (BF<sub>3</sub>, AlCl<sub>3</sub>), che possiedono solo sei elettroni di valenza, hanno una forte tendenza a guadagnare una coppia di elettroni aggiuntiva. Poiché questi composti sono circondati solo da tre gruppi di elettroni, sono ibridati sp<sup>2</sup>, contengono un orbitale p libero e sono potenti acidi di Lewis. La coppia di elettroni solitari della trimetilammina è contenuta in un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> che la rende una base di Lewis. Questi due orbitali si sovrappongono, creando un legame covalente in un complesso trifluoruro di boro-trimetilammina. Il movimento degli elettroni durante questa interazione è indicato da una freccia. [[File:Immagine_wikibooks_3.svg|centro|senza_cornice|423x423px|Immagine wikibooks 3]] Gli ioni positivi sono spesso acidi di Lewis perché hanno un'attrazione elettrostatica per i donatori di elettroni. Ne sono un esempio i metalli alcalini e alcalino-terrosi nelle colonne del gruppo IA e IIA. K+, Mg2+ e Ca2+ sono talvolta considerati acidi di Lewis in biologia, ad esempio. Questi ioni sono forme molto stabili di questi elementi grazie ai loro bassi potenziali di ionizzazione degli elettroni. L'interazione tra un catione di magnesio (Mg+2) e un ossigeno carbonilico è un esempio comune di reazione acido-base di Lewis. L'ossigeno carbonilico (la base di Lewis) dona una coppia di elettroni al catione di magnesio (l'acido di Lewis). Come vedremo nel Capitolo 19, quando inizieremo lo studio delle reazioni che coinvolgono i gruppi carbonilici, questa interazione ha l'effetto molto importante di aumentare la polarità del doppio legame carbonio-ossigeno. [[File:Immagine wikibooks 2.svg|centro|senza_cornice|293x293px|Immagine wikibooks 4]] La regola degli otto elettroni non vale per tutta la tavola periodica. Per ottenere le configurazioni dei gas nobili, alcuni atomi possono avere bisogno di diciotto elettroni nel loro guscio di valenza. I metalli di transizione come il titanio, il ferro e il nichel possono avere fino a diciotto elettroni e possono spesso accettare coppie di elettroni dalle basi di Lewis. I metalli di transizione sono spesso acidi di Lewis. Ad esempio, il titanio ha quattro elettroni di valenza e può formare quattro legami in composti come il tetrachide di titanio (isopropossido), qui sotto, o il tetracloruro di titanio, TiCl4. Tuttavia, l'atomo di titanio in questo composto ha solo otto elettroni di valenza, non diciotto. Può facilmente accettare elettroni da donatori. [[File:Immagine wikibooks 5.svg|centro|senza_cornice|160x160px]] [[File:Lewis_structure_of_cerium_tris(dimethylamide).svg|centro|senza_cornice|187x187px|Lewis structure of cerium tris(dimethylamide)]] ''Figura 2.10.1: Sebbene il titanio abbia otto elettroni in questa molecola, il tetrakis(isopropossido) di titanio, può ospitarne fino a diciotto. È un acido di Lewis. L'atomo di cerio nel tris(dimetilammide) di cerio proviene da una parte simile della tavola periodica ed è anch'esso un acido di Lewis.'' === Il protone come comune acido di Lewis === Forse l'esempio più comune di acido di Lewis è anche il più semplice. È il catione idrogeno (H+) o protone. Si chiama protone perché, nella maggior parte degli atomi di idrogeno, l'unica particella del nucleo è un protone. Se un elettrone viene rimosso per creare un catione, rimane solo un protone. Il protone è un acido di Lewis per una serie di motivi. Ha una carica positiva e quindi attira gli elettroni, che sono negativi. Inoltre, non ha la configurazione elettronica del suo vicino di gas nobile, l'elio. L'elio ha due elettroni. Se una base di Lewis o un nucleofilo dona una coppia di elettroni a un protone, quest'ultimo otterrà la configurazione di gas nobile dell'elio. [[File:Immagine_wikibooks_7.svg|centro|senza_cornice|Immagine wikibooks 7]] ''Figura 2.10.3: Protone che reagisce come un acido di Lewis'' Tuttavia, i cationi idrogeno non sono così semplici. In realtà non sono così comuni. Al contrario, i protoni sono generalmente sempre legati a una base di Lewis. L'idrogeno è quasi sempre legato covalentemente (o coordinatamente) a un altro atomo. Molti degli altri elementi che si trovano comunemente nei composti con l'idrogeno sono più elettronegativi dell'idrogeno. Di conseguenza, l'idrogeno ha spesso una carica positiva parziale che lo fa agire ancora come un acido di Lewis. Una reazione acido-base che coinvolge i protoni può essere meglio espressa come: [[File:Immagine_wikibooks_8.svg|centro|senza_cornice|492x492px|Immagine wikibooks 8]] ''Figura 2.10.4 : Trasferimento di protoni da un sito all'altro.'' Le interazioni acido-base di Lewis che abbiamo visto finora sono leggermente diverse. Invece di due composti che si uniscono e formano un legame, abbiamo una base di Lewis che sostituisce un'altra a un protone. Nella reazione si verificano due movimenti specifici di elettroni, entrambi indicati dalle frecce. Gli elettroni della coppia solitaria sull'ossigeno attaccano l'idrogeno per formare un legame O-H nel prodotto. Inoltre, gli elettroni del legame H-Cl si spostano per diventare una coppia solitaria sul cloro quando il legame H-Cl si rompe. Queste due frecce insieme rappresentano il meccanismo di questa reazione acido-base. === '''Basi di Lewis''' === Cosa rende una molecola (o un atomo o uno ione) una base di Lewis? Deve avere una coppia di elettroni disponibili da condividere con un altro atomo per formare un legame. Gli elettroni più facilmente disponibili sono quelli che non sono già in legami. Gli elettroni di legame hanno una bassa energia. Gli elettroni non di legame hanno un'energia più alta e possono essere stabilizzati quando vengono delocalizzati in un nuovo legame. Le basi di Lewis hanno solitamente elettroni non leganti o coppie solitarie, il che rende i composti di ossigeno e azoto delle comuni basi di Lewis. Le basi di Lewis possono essere anioniche o neutre. Il requisito fondamentale è che abbiano una coppia di elettroni da donare. [[File:Immagine_wikibooks_9.svg|centro|senza_cornice|385x385px|Immagine wikibooks 9]]''Figura 2.10.5: Alcuni comuni esempi organici di basi di Lewis. La maggior parte dei composti contenenti ossigeno, azoto e zolfo può agire come basi di Lewis.'' ==== Nota 1: Ammoniaca ==== L'ammoniaca, NH3, ha una coppia solitaria ed è una base di Lewis. Può donare a composti che accettano elettroni. [[File:Immagine_wikibooks_10.svg|centro|senza_cornice|313x313px|Immagine wikibooks 10]] ''Ammoniaca che dona a un accettore di elettroni o a un acido di Lewis.'' Non tutti i composti possono agire come basi di Lewis. Ad esempio, il metano, CH4, ha tutti gli elettroni di valenza in coppie di legame. Queste coppie di legame sono troppo stabili per essere donate in condizioni normali, quindi il metano non è una base di Lewis. Anche i composti neutri del boro hanno tutti gli elettroni in coppie di legame. Ad esempio, il borano, BH3, non ha coppie solitarie; tutti i suoi elettroni di valenza sono in legami. I composti del boro non sono tipicamente basi di Lewis. [[File:Immagine_wikibooks_11.svg|centro|senza_cornice|Immagine wikibooks 11]]''Figura 2.10.6 : I composti di carbonio e boro con tutti i legami sigma non hanno coppie solitarie e non agiscono come basi di Lewis.'' ==== Esercizio 2.10.1 ==== Quali dei seguenti composti vi aspettereste siano basi di Lewis? a) SiH4 b) AlH3 c) PH3 d) SH2 e) -SH === Complessi acido-base di Lewis === Cosa succede quando una base di Lewis dona una coppia di elettroni a un acido di Lewis? Il formalismo di spinta degli elettroni (frecce) che abbiamo utilizzato per illustrare il comportamento degli acidi e delle basi di Lewis ha lo scopo di mostrare la direzione del movimento degli elettroni dal donatore all'accettore. Tuttavia, poiché un legame può essere considerato come una coppia di elettroni condivisi tra due atomi (in questo caso, tra il donatore e l'accettore), queste frecce mostrano anche dove si formano i legami. [[File:Immagine_wikibooks_12.svg|centro|senza_cornice|335x335px|Immagine wikibooks 12]] ''Figura 2.10.7: Donazione di elettroni da una base di Lewis a un acido di Lewis.'' Gli elettroni donati da una base di Lewis a un acido di Lewis formano un nuovo legame. Dall'acido e dalla base di Lewis più piccoli si forma un nuovo composto più grande. Questo composto è chiamato complesso acido-base di Lewis. Un semplice esempio di complessazione acido-base di Lewis riguarda l'ammoniaca e il trifluoruro di boro. L'atomo di azoto ha una coppia solitaria ed è un donatore di elettroni. Il boro non ha un ottetto ed è un accettore di elettroni. I due composti possono formare un complesso acido-base di Lewis o un complesso di coordinazione. [[File:Immagine_wikibooks_13.svg|centro|senza_cornice|416x416px|Immagine wikibooks 13]] ''Figura 2.10.8: Formazione di un complesso acido-base di Lewis da ammoniaca e trifluoruro di boro.'' Quando l'azoto dona una coppia di elettroni da condividere con il boro, il legame che si forma è talvolta chiamato legame di coordinazione. Un legame di coordinazione è qualsiasi legame covalente che si forma quando un atomo porta una coppia dei suoi elettroni e li dona a un altro. Nella terminologia della chimica organica, il donatore di elettroni è chiamato '''nucleofilo''' e l'accettore di elettroni è chiamato '''elettrofilo''' . L'ammoniaca è un nucleofilo e il trifluoruro di boro è un elettrofilo. * Poiché le basi di Lewis sono attratte dagli atomi con carenza di elettroni e poiché la carica positiva è generalmente associata al nucleo di un atomo, le basi di Lewis sono talvolta chiamate "nucleofili". Nucleofilo significa amante del nucleo. * Poiché gli acidi di Lewis attraggono le coppie di elettroni, a volte vengono chiamati "elettrofili". Elettrofilo significa che ama gli elettroni. ===== Esercizio ===== Per la seguente reazione, aggiungere frecce curve (formalismo di spinta degli elettroni) per indicare il flusso di elettroni. [[File:Immagine_wikibooks_14.png|centro|senza_cornice|451x451px|Immagine wikibooks 14]] ===== Esercizio ===== Si forma un complesso acido-base di Lewis tra THF (tetraidrofurano) e borano, BH 3 . a) Quale composto è l'acido di Lewis? Quale è la base di Lewis? b) Quale atomo nell'acido di Lewis è il sito acido? Perché? c) Quale atomo nella base di Lewis è il sito basico? Perché? d) Quanti donatori sarebbero necessari per soddisfare il sito acido? e) Mostrare, utilizzando la notazione a freccia, la reazione per formare un complesso acido-base di Lewis. f) Il borano è altamente piroforico; reagisce violentemente con l'aria, incendiandosi. Mostra, usando la notazione a freccia, cosa potrebbe accadere quando il borano entra in contatto con l'aria. g) Il complesso borano-THF è molto meno piroforico del borano. Perché, secondo te, è così? Aggiungi qui il testo degli esercizi. == Interazioni non covalenti tra molecole == ==== Obiettivi ==== Dopo aver completato questa sezione, dovresti essere in grado di # identificare le varie forze intermolecolari che possono essere in gioco in un dato composto organico. # descrivere come le forze intermolecolari influenzano le proprietà fisiche, la forma tridimensionale e la struttura dei composti. ==== Termini chiave ==== Assicurati di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * forze dipolo-dipolo * Forze di dispersione di Londra * legame idrogeno * forze intermolecolari * interazione non covalente * forze di van der Waals === Introduzione === Le proprietà dei liquidi sono intermedie tra quelle dei gas e dei solidi, ma sono più simili a quelle dei solidi. A differenza delle forze ''intramolecolari'' , come i legami covalenti che tengono insieme gli atomi nelle molecole e negli ioni poliatomici, le forze ''intermolecolari'' tengono insieme le molecole in un liquido o in un solido. Le forze intermolecolari sono generalmente molto più deboli dei legami covalenti. Ad esempio, sono necessari 927 kJ per vincere le forze intramolecolari e rompere entrambi i legami O–H in 1 mole di acqua, ma ne bastano solo circa 41 kJ per vincere le attrazioni intermolecolari e convertire 1 mole di acqua liquida in vapore acqueo a 100 °C. (Nonostante questo valore apparentemente basso, le forze intermolecolari nell'acqua liquida sono tra le più intense conosciute!) Data la grande differenza nell'intensità delle forze intra- e intermolecolari, i cambiamenti tra lo stato solido, liquido e gassoso si verificano quasi invariabilmente per le sostanze molecolari ''senza rompere i legami covalenti'' . ==== Nota ==== ''Le proprietà dei liquidi sono intermedie tra quelle dei gas e dei solidi, ma sono più simili a quelle dei solid''i. Le forze intermolecolari determinano le proprietà della massa, come i punti di fusione dei solidi e i punti di ebollizione dei liquidi. I liquidi bollono quando le molecole hanno abbastanza energia termica per superare le forze attrattive intermolecolari che le tengono insieme, formando così bolle di vapore all'interno del liquido. Allo stesso modo, i solidi si sciolgono quando le molecole acquisiscono sufficiente energia termica per superare le forze intermolecolari che le bloccano nel solido. Una reazione che avviene all'interno della stessa molecola è intramolecolare; una reazione che avviene tra due molecole è intermolecolare. Le forze intermolecolari sono di natura elettrostatica, cioè derivano dall'interazione tra specie con carica positiva e negativa. Come i legami covalenti e ionici, le interazioni intermolecolari sono la somma di componenti attrattive e repulsive. Poiché le interazioni elettrostatiche diminuiscono rapidamente con l'aumentare della distanza tra le molecole, le interazioni intermolecolari sono più importanti per i solidi e i liquidi, dove le molecole sono vicine. Queste interazioni diventano importanti per i gas solo a pressioni molto elevate, dove sono responsabili delle deviazioni osservate dalla legge dei gas ideali. In questa sezione consideriamo esplicitamente tre tipi di interazioni intermolecolari: forze dipolo-dipolo, forze di dispersione e legami a idrogeno. Queste interazioni intermolecolari sono chiamate anche forze di van der Waals o interazioni non covalenti. === Interazioni dipolo-dipolo === I legami covalenti polari si comportano come se gli atomi legati avessero cariche frazionali localizzate uguali ma opposte (cioè, i due atomi legati generano un dipolo). Se la struttura di una molecola è tale che i singoli dipoli di legame non si annullano a vicenda, allora la molecola ha un momento di dipolo netto. Le molecole con momento di dipolo netto tendono ad allinearsi in modo che l'estremità positiva di un dipolo sia vicina all'estremità negativa di un altro e viceversa, come mostrato nella Figura 2.12.1 parti (a e b). Le disposizioni in cui due estremità positive o due negative sono adiacenti (parti (c e d) della Figura 2.12.1) sono a più alta energia, poiché le cariche simili si respingono. Quindi le interazioni dipolo-dipolo, come quelle nelle parti (a e b) della Figura 2.12.1, sono interazioni intermolecolari attrattive interazioni intermolecolari repulsive. im 2.12.1 Poiché le molecole in un liquido si muovono liberamente e continuamente, le molecole sperimentano sempre simultaneamente interazioni dipolo-dipolo sia attrattive che repulsive, come mostrato nella Figura 2.12.2. In media, tuttavia, dominano le interazioni attrattive. (immagine 2.12.2) Il clorometano è un esempio di molecola polare. Una mappa del potenziale elettrostatico mostra un'alta densità di elettroni (in rosso) intorno al cloro elettronegativo, che gli conferisce una parziale carica negativa. L'altra estremità della molecola ha una densità di elettroni che la allontana, conferendole una carica positiva parziale, visibile in blu. Le estremità positive e negative di diverse molecole di clorometano sono attratte l'una dall'altra attraverso questa interazione elettrostatica. (immagine) Poiché ogni estremità di un dipolo possiede solo una frazione della carica di un elettrone, le interazioni dipolo-dipolo sono sostanzialmente più deboli delle interazioni tra due ioni, ciascuno dei quali ha una carica di almeno ±1, o tra un dipolo e uno ione, in cui una delle specie ha almeno una carica positiva o negativa completa. Inoltre, l'interazione attrattiva tra dipoli diminuisce molto più rapidamente con l'aumentare della distanza rispetto alle interazioni ione-ione. Ricordiamo che l'energia attrattiva tra due ioni è proporzionale a 1/rrrrr, ovvero 64 volte. Pertanto, una sostanza come l'HCl, che è parzialmente tenuta insieme da interazioni dipolo-dipolo, è un gas a temperatura ambiente e a 1 atm di pressione, mentre il NaCl, che è tenuto insieme da interazioni ioniche, è un solido ad alto punto di fusione. All'interno di una serie di composti di massa molare simile, la forza delle interazioni intermolecolari aumenta con l'aumentare del momento di dipolo delle molecole, come mostrato nella Tabella 2.12.1. Utilizzando quanto appreso sulla previsione delle polarità relative dei legami a partire dalle elettronegatività degli atomi legati, si possono fare delle ipotesi istruttive sui punti di ebollizione relativi di molecole simili. {| class="wikitable" |+Tabella 2.12.1: Relazioni tra Momento di dipolo e il punto di ebollizione per composti organici di massa molare simile !Composto !Massa molare (g/mol) !Momento di dipolo (D) !Punto di ebollizione (K) |- |C 3 H 6 (ciclopropano) |42 |0 |240 |- |CH 3 OCH 3 (dimetil etere) |46 |1.30 |248 |- |CH 3 CN (acetonitrile) |41 |3.9 |355 |} ==== Nota ==== L'energia attrattiva tra due ioni è proporzionale a 1/r, mentre l'energia attrattiva tra due dipoli è proporzionale a 1/r6. ==== Esempio 2.12.1 ==== Disporre l'etil metil etere (CH3OCH2CH3), il 2-metilpropano [isobutano, (CH3)2CHCH3] e l'acetone (CH3COCH3) in ordine crescente di punto di ebollizione. Le loro strutture sono le seguenti: (immagine) ===== Strategia: ===== Confrontate le masse molari e le polarità dei composti. I composti con masse molari più elevate e che sono polari avranno i punti di ebollizione più alti. ===== Soluzione: ===== I tre composti hanno essenzialmente la stessa massa molare (58-60 g/mol), quindi dobbiamo considerare le differenze di polarità per prevedere la forza delle interazioni intermolecolari dipolo-dipolo e quindi i punti di ebollizione dei composti. Il primo composto, il 2-metilpropano, contiene solo legami C-H, che non sono molto polari perché C e H hanno valori di elettronegatività simili. Dovrebbe quindi avere un momento di dipolo molto piccolo (ma non nullo) e un punto di ebollizione molto basso. L'etere etilico metilico ha una struttura simile a quella dell'H2O; contiene due legami singoli polari C-O orientati con un angolo di circa 109° l'uno rispetto all'altro, oltre a legami C-H relativamente non polari. Di conseguenza, i dipoli dei legami C-O si rafforzano parzialmente l'un l'altro e generano un momento di dipolo significativo che dovrebbe dare un punto di ebollizione moderatamente alto. L'acetone contiene un doppio legame C=O polare orientato a circa 120° rispetto a due gruppi metilici con legami C-H non polari. Il dipolo del legame C-O corrisponde quindi al dipolo molecolare, il che dovrebbe comportare un momento di dipolo piuttosto grande e un punto di ebollizione elevato. Si prevede quindi il seguente ordine di punti di ebollizione: 2-metilpropano < etil-metil-etere < acetone. Questo risultato è in buon accordo con i dati reali: 2-metilpropano, punto di ebollizione = -11,7°C, e momento di dipolo (μ) = 0,13 D; metiletere, punto di ebollizione = 7,4°C e μ = 1,17 D; acetone, punto di ebollizione = 56,1°C e μ = 2,88 D. ===== Esercizio 2.11.1 ===== Disporre il tetrafluoruro di carbonio (CF4), il solfuro di etile e metile (CH3SC2H5), il dimetilsolfossido [(CH3)2S=O] e il 2-metilbutano [isopentano, (CH3)2CHCH2CH3] in ordine decrescente di punto di ebollizione. === Forze di Dispersione di London === Finora abbiamo considerato solo le interazioni tra molecole polari, ma è necessario considerare altri fattori per spiegare perché molte molecole non polari, come il bromo, il benzene e l'esano, sono liquide a temperatura ambiente e altre, come lo iodio e il naftalene, sono solide. Anche i gas nobili possono essere liquefatti o solidificati a basse temperature, ad alte pressioni o in entrambi i casi. Che tipo di forze attrattive possono esistere tra molecole o atomi non polari? A questa domanda ha risposto Fritz London (1900-1954), un fisico tedesco che in seguito ha lavorato negli Stati Uniti. Nel 1930, London propose che le fluttuazioni temporanee nella distribuzione degli elettroni all'interno degli atomi e delle molecole non polari possono portare alla formazione di momenti di dipolo istantanei di breve durata, che producono forze attrattive chiamate forze di dispersione di London tra sostanze altrimenti non polari. {| class="wikitable" |+Tabella 2.12.2: Punti di fusione e di ebollizione normali di alcuni elementi e composti non polari !Sostanza !Massa molare (g/mol) !Punto di fusione (°C) !Punto di ebollizione (°C) |- |Ar |40 | -189,4 | -185,9 |- |Xe |131 | -111,8 | -108,1 |- |Numero 2 |28 | -210 | -195,8 |- |O 2 |32 | -218,8 | -183,0 |- |F 2 |38 | -219,7 | -188,1 |- |Io 2 |254 |113.7 |184,4 |- |Capitolo 4 |16 | -182,5 | -161,5 |} Consideriamo ad esempio una coppia di atomi di He adiacenti. In media, i due elettroni di ciascun atomo di He sono distribuiti uniformemente intorno al nucleo. Tuttavia, poiché gli elettroni sono in costante movimento, è probabile che la loro distribuzione in un atomo sia asimmetrica in un dato istante, dando luogo a un momento di dipolo istantaneo. Come mostrato nella parte (a) della Figura 2.12.3, il momento di dipolo istantaneo di un atomo può interagire con gli elettroni di un atomo adiacente, attirandoli verso l'estremità positiva del dipolo istantaneo o respingendoli dall'estremità negativa. L'effetto netto è che il primo atomo causa la formazione temporanea di un dipolo, detto indotto, nel secondo. Le interazioni tra questi dipoli temporanei fanno sì che gli atomi siano attratti l'uno dall'altro. Queste interazioni attrattive sono deboli e diminuiscono rapidamente con l'aumentare della distanza. London è riuscito a dimostrare con la meccanica quantistica che l'energia attrattiva tra le molecole dovuta alle interazioni tra dipoli temporanei e dipoli indotti diminuisce come 1/r6. Raddoppiando la distanza, quindi, l'energia attrattiva diminuisce di 26 volte, ovvero di 64 volte. (immagine 2,12.3) Le interazioni dipolo-dipolo istantanee indotte tra molecole non polari possono produrre attrazioni intermolecolari così come producono attrazioni interatomiche in sostanze monoatomiche come lo Xe. Questo effetto, illustrato per due molecole di H2 nella parte (b) della Figura 2.12.3, tende a diventare più pronunciato all'aumentare delle masse atomiche e molecolari (Tabella 2.12.3). Per esempio, lo Xe bolle a -108,1°C, mentre l'He bolle a -269°C. La ragione di questa tendenza è che la forza di dispersione di Londra è legata alla facilità con cui la distribuzione degli elettroni in un dato atomo può essere perturbata. In atomi piccoli come l'He, i due elettroni 1s sono tenuti vicino al nucleo in un volume molto piccolo e le repulsioni elettrone-elettrone sono abbastanza forti da impedire una significativa asimmetria nella loro distribuzione. Negli atomi più grandi, come lo Xe, invece, gli elettroni esterni sono attratti molto meno fortemente dal nucleo a causa dei gusci intermedi pieni. Di conseguenza, è relativamente facile deformare temporaneamente la distribuzione degli elettroni per generare un dipolo istantaneo o indotto. La facilità di deformazione della distribuzione degli elettroni in un atomo o in una molecola è chiamata polarizzabilità. Poiché la distribuzione degli elettroni è più facilmente perturbabile nelle specie grandi e pesanti che in quelle piccole e leggere, si dice che le sostanze più pesanti tendono a essere molto più polarizzabili di quelle più leggere. La polarizzabilità di una sostanza determina anche il modo in cui interagisce con ioni e specie che possiedono dipoli permanenti. Le forze di dispersione di London sono quindi responsabili della tendenza generale verso punti di ebollizione più elevati con l'aumento della massa molecolare e della superficie in una serie omologa di composti, come gli alcani (parte (a) della Figura 2.12.4). L'intensità delle forze di dispersione di Londra dipende anche in modo significativo dalla forma molecolare, perché la forma determina la quantità di una molecola che può interagire con le molecole vicine in qualsiasi momento. Ad esempio, la parte (b) della Figura 2.12.4 mostra il 2,2-dimetilpropano (neopentano) e l'n-pentano, entrambi con formula empirica C5H12. Il neopentano è quasi sferico, con una piccola superficie per le interazioni intermolecolari, mentre l'n-pentano ha una conformazione allungata che gli consente di entrare in stretto contatto con altre molecole di n-pentano. Di conseguenza, il punto di ebollizione del neopentano (9,5°C) è inferiore di oltre 25°C rispetto a quello del n-pentano (36,1°C). (immagine 2.12.4) Tutte le molecole, polari o non polari, sono attratte l'una dall'altra dalle forze di dispersione di London, oltre che da altre forze attrattive eventualmente presenti. In generale, tuttavia, le interazioni dipolo-dipolo nelle piccole molecole polari sono significativamente più forti delle forze di dispersione di London, per cui le prime predominano. ==== Esempio 2.12.2 ==== Disporre n-butano, propano, 2-metilpropano [isobutano] e n-pentano in ordine crescente di punto di ebollizione. ===== Strategia: ===== Determinare le forze intermolecolari nei composti e quindi disporre i composti in base alla forza di tali forze. La sostanza con le forze più deboli avrà il punto di ebollizione più basso. ===== Soluzione: ===== I quattro composti sono alcani e non polari, quindi le forze di dispersione di Londra sono le uniche forze intermolecolari importanti. Queste forze sono generalmente più forti con l'aumentare della massa molecolare, quindi il propano dovrebbe avere il punto di ebollizione più basso e il n-pentano quello più alto, con i due isomeri del butano che si collocano nel mezzo. Dei due isomeri del butano, il 2-metilpropano è più compatto, mentre il n-butano ha una forma più allungata. Di conseguenza, ci aspettiamo che le interazioni intermolecolari per il n-butano siano più forti a causa della sua maggiore area superficiale, con un conseguente punto di ebollizione più alto. L'ordine complessivo è quindi il seguente, con i punti di ebollizione effettivi tra parentesi: propano (-42,1°C) < 2-metilpropano (-11,7°C) < n-butano (-0,5°C) < n-pentano (36,1°C). ==== Esercizio 2.11.2 ==== Disporre GeH4, SiCl4, SiH4, CH4 e GeCl4 in ordine decrescente di punto di ebollizione. === Legami a idrogeno === Le molecole con atomi di idrogeno legati ad atomi elettronegativi come O, N e F (e in misura molto minore Cl e S) tendono a presentare interazioni intermolecolari insolitamente forti. Queste determinano punti di ebollizione molto più elevati rispetto a quelli osservati per le sostanze in cui dominano le forze di dispersione di Londra, come illustrato per gli idruri covalenti degli elementi dei gruppi 14-17 nella Figura 2.12.5. Il metano e i suoi congeneri più pesanti del gruppo 14 formano una serie i cui punti di ebollizione aumentano dolcemente all'aumentare della massa molare. Questa è la tendenza prevista per le molecole non polari, per le quali le forze di dispersione di Londra sono le forze intermolecolari esclusive. Al contrario, gli idruri dei membri più leggeri dei gruppi 15-17 hanno punti di ebollizione superiori di oltre 100°C rispetto a quanto previsto sulla base delle loro masse molari. L'effetto è più drammatico per l'acqua: se estendiamo la retta che collega i punti per H2Te e H2Se alla retta per il periodo 2, otteniamo un punto di ebollizione stimato di -130°C per l'acqua! Immaginate le implicazioni per la vita sulla Terra se l'acqua bollisse a -130°C anziché a 100°C. immagine Perché le forti forze intermolecolari producono punti di ebollizione così anomali e altre proprietà insolite, come alte entalpie di vaporizzazione e alti punti di fusione? La risposta risiede nella natura altamente polare dei legami tra l'idrogeno e gli elementi molto elettronegativi come O, N e F. La grande differenza di elettronegatività si traduce in una grande carica parziale positiva sull'idrogeno e in una corrispondente grande carica parziale negativa sull'atomo di O, N o F. Di conseguenza, i legami H-O, H-N e H-F hanno dipoli di legame molto grandi che possono interagire fortemente tra loro. Poiché l'atomo di idrogeno è così piccolo, questi dipoli possono anche avvicinarsi l'uno all'altro più della maggior parte degli altri dipoli. La combinazione di grandi dipoli di legame e di brevi distanze dipolo-dipolo dà luogo a interazioni dipolo-dipolo molto forti, chiamate legami a idrogeno, come mostrato nella Figura 2.12.6 per il ghiaccio. Un legame a idrogeno è solitamente indicato da una linea tratteggiata tra l'atomo di idrogeno attaccato a O, N o F (il donatore del legame a idrogeno) e l'atomo che possiede la coppia solitaria di elettroni (l'accettore del legame a idrogeno). Poiché ogni molecola d'acqua contiene due atomi di idrogeno e due coppie solitarie, una disposizione tetraedrica massimizza il numero di legami idrogeno che si possono formare. Nella struttura del ghiaccio, ogni atomo di ossigeno è circondato da un tetraedro distorto di atomi di idrogeno che formano ponti con gli atomi di ossigeno delle molecole d'acqua adiacenti. Tuttavia, gli atomi di idrogeno a ponte non sono equidistanti dai due atomi di ossigeno che collegano. Al contrario, ogni atomo di idrogeno dista 101 pm da un ossigeno e 174 pm dall'altro. Al contrario, ogni atomo di ossigeno è legato a due atomi di H alla distanza minore e a due alla distanza maggiore, corrispondenti rispettivamente a due legami covalenti O-H e a due legami idrogeno O⋅⋅⋅H da molecole d'acqua adiacenti. La risultante struttura aperta e simile a una gabbia del ghiaccio significa che il solido è in realtà leggermente meno denso del liquido, il che spiega perché il ghiaccio galleggia sull'acqua anziché affondare. (immagine) Ogni molecola d'acqua accetta due legami idrogeno da altre due molecole d'acqua e dona due atomi di idrogeno per formare legami idrogeno con altre due molecole d'acqua, producendo una struttura aperta, simile a una gabbia. La struttura dell'acqua liquida è molto simile, ma nel liquido i legami idrogeno vengono continuamente spezzati e formati a causa del rapido movimento molecolare. Poiché il ghiaccio è meno denso dell'acqua liquida, i fiumi, i laghi e gli oceani si congelano dall'alto verso il basso. Infatti, il ghiaccio forma uno strato superficiale protettivo che isola il resto dell'acqua, permettendo a pesci e altri organismi di sopravvivere nei livelli inferiori di un lago o di un mare ghiacciato. Se il ghiaccio fosse più denso del liquido, il ghiaccio che si forma in superficie con il freddo affonderebbe con la stessa velocità con cui si è formato. I corpi idrici si congelerebbero dal basso verso l'alto, il che sarebbe letale per la maggior parte delle creature acquatiche. L'espansione dell'acqua quando si congela spiega anche perché i motori delle automobili o delle imbarcazioni devono essere protetti da “antigelo” e perché le tubature non protette delle case si rompono se si lasciano congelare. Sebbene i legami a idrogeno siano molto più deboli dei legami covalenti, con energie di dissociazione tipiche di soli 15-25 kJ/mol, hanno un'influenza significativa sulle proprietà fisiche di un composto. Composti come l'HF possono formare solo due legami idrogeno alla volta, così come, in media, l'NH3 liquido puro. Di conseguenza, anche se le loro masse molecolari sono simili a quelle dell'acqua, i loro punti di ebollizione sono significativamente inferiori a quello dell'acqua, che forma quattro legami idrogeno alla volta. ==== Esempio 2.12.3 ==== Considerando CH3OH, C2H6, Xe e (CH3)3N, quali possono formare legami idrogeno con se stessi? Disegnate le strutture con legami a idrogeno. ===== Strategia: ===== Identificare i composti con un atomo di idrogeno attaccato a O, N o F. È probabile che questi siano in grado di agire come donatori di legami a idrogeno. Tra i composti che possono agire come donatori di legami a idrogeno, identificare quelli che contengono anche coppie di elettroni solitari, che consentono loro di essere accettori di legami a idrogeno. Se una sostanza è sia un donatore di idrogeno che un accettore di legami a idrogeno, disegnate una struttura che mostri il legame a idrogeno. ===== Soluzione: ===== A Tra le specie elencate, lo xeno (Xe), l'etano (C2H6) e la trimetilammina [(CH3)3N] non contengono un atomo di idrogeno legato a O, N o F; pertanto non possono agire come donatori di legami a idrogeno. B L'unico composto che può agire come donatore di legami a idrogeno, il metanolo (CH3OH), contiene sia un atomo di idrogeno attaccato all'O (che lo rende un donatore di legami a idrogeno) sia due coppie di elettroni solitari sull'O (che lo rendono un accettore di legami a idrogeno); il metanolo può quindi formare legami a idrogeno agendo sia come donatore che come accettore di legami a idrogeno. La struttura a legami idrogeno del metanolo è la seguente: (immagine) ==== Esercizio 2.12.3 ==== Considerando CH3CO2H, (CH3)3N, NH3 e CH3F, quali possono formare legami a idrogeno con se stessi? Disegnare le strutture con legami a idrogeno. ===== Risposta: CH3CO2H e NH3; ===== Legami a idrogeno nell'acido acetico.  Legami a idrogeno nell'ammoniaca. ==== Esempio 2.12.4 ==== Disporre C60 (buckminsterfullerene, che ha una struttura a gabbia), NaCl, He, Ar e N2O in ordine crescente di punto di ebollizione. Dato: composti Richiesto: ordine dei punti di ebollizione crescenti ===== Strategia: ===== Individuare le forze intermolecolari in ciascun composto e quindi disporre i composti in base alla forza di tali forze. La sostanza con le forze più deboli avrà il punto di ebollizione più basso. ===== Soluzione: ===== Le interazioni elettrostatiche sono più forti per un composto ionico, quindi ci aspettiamo che NaCl abbia il punto di ebollizione più alto. Per prevedere i punti di ebollizione relativi degli altri composti, dobbiamo considerare la loro polarità (per le interazioni dipolo-dipolo), la loro capacità di formare legami a idrogeno e la loro massa molare (per le forze di dispersione di Londra). L'elio non è polare ed è di gran lunga il più leggero, quindi dovrebbe avere il punto di ebollizione più basso. L'argon e l'N2O hanno masse molari molto simili (rispettivamente 40 e 44 g/mol), ma l'N2O è polare mentre l'Ar no. Di conseguenza, N2O dovrebbe avere un punto di ebollizione più alto. Una molecola di C60 non è polare, ma la sua massa molare è di 720 g/mol, molto più grande di quella di Ar o N2O. Poiché i punti di ebollizione delle sostanze non polari aumentano rapidamente con la massa molecolare, il C60 dovrebbe bollire a una temperatura più alta rispetto alle altre sostanze non ioniche. L'ordine previsto è quindi il seguente, con i punti di ebollizione effettivi tra parentesi: He (-269°C) < Ar (-185,7°C) < N2O (-88,5°C) < C60 (>280°C) < NaCl (1465°C). ==== Esercizio 2.12.4 ==== Disporre 2,4-dimetileptano, Ne, CS2, Cl2 e KBr in ordine decrescente di punto di ebollizione. ===== Risposta: ===== KBr (1435°C) > 2,4-dimetileptano (132,9°C) > CS2 (46,6°C) > Cl2 (-34,6°C) > Ne (-246°C) === Sintesi === Le molecole nei liquidi sono legate ad altre molecole da interazioni intermolecolari, che sono più deboli delle interazioni intramolecolari che tengono uniti gli atomi all'interno delle molecole e degli ioni poliatomici. Le transizioni tra le fasi solida e liquida o liquida e gassosa sono dovute a cambiamenti nelle interazioni intermolecolari, ma non riguardano le interazioni intramolecolari. I tre tipi principali di interazioni intermolecolari sono le interazioni dipolo-dipolo, le forze di dispersione di Londra (queste due sono spesso indicate collettivamente come forze di van der Waals) e i legami idrogeno. Le interazioni dipolo-dipolo derivano dalle interazioni elettrostatiche delle estremità positive e negative delle molecole con momenti di dipolo permanenti; la loro forza è proporzionale alla grandezza del momento di dipolo e a 1/r6, dove r è la distanza tra i dipoli. Le forze di dispersione di London sono dovute alla formazione di momenti di dipolo istantanei in molecole polari o non polari come risultato di fluttuazioni di breve durata della distribuzione della carica elettronica, che a loro volta causano la formazione temporanea di un dipolo indotto nelle molecole adiacenti. Come le interazioni dipolo-dipolo, la loro energia diminuisce con 1/r6. Gli atomi più grandi tendono a essere più polarizzabili di quelli più piccoli perché i loro elettroni esterni sono meno legati e quindi più facilmente perturbabili. I legami a idrogeno sono interazioni dipolo-dipolo particolarmente forti tra molecole che hanno legato l'idrogeno a un atomo altamente elettronegativo, come l'O, l'N o l'F. L'atomo H parzialmente carico di una molecola (donatore di legami a idrogeno) può interagire fortemente con una coppia di elettroni solitari di un atomo di O, N o F parzialmente carico negativamente su molecole adiacenti (accettore di legami a idrogeno). A causa del forte legame O⋅⋅⋅Hidrogeno tra le molecole d'acqua, l'acqua ha un punto di ebollizione insolitamente alto e il ghiaccio ha una struttura aperta, simile a una gabbia, meno densa dell'acqua liquida. === Key Takeaway === Le forze intermolecolari sono di natura elettrostatica e comprendono le forze di van der Waals e i legami a idrogeno. === Problemi === Quali sono più forti le interazioni dipolo-dipolo o le forze di dispersione di Londra? Quali sono più importanti in una molecola con atomi pesanti? Spiegate le vostre risposte. L'acqua liquida è essenziale per la vita come la conosciamo, ma in base alla sua massa molecolare, l'acqua dovrebbe essere un gas in condizioni standard. Perché l'acqua è un liquido e non un gas in condizioni standard? Perché le interazioni intermolecolari sono più importanti per i liquidi e i solidi che per i gas? In quali condizioni bisogna considerare queste interazioni per i gas? Nel gruppo 17, il fluoro e il cloro elementari sono gas, mentre il bromo è un liquido e lo iodio è un solido. Perché? Identificare l'interazione intermolecolare più importante in ciascuno dei seguenti elementi. a) SO2 b) HF c) CO2 d) CCl4 e) CH2Cl2 Sia l'acqua che il metanolo hanno punti di ebollizione anomalamente elevati a causa del legame a idrogeno, ma il punto di ebollizione dell'acqua è maggiore di quello del metanolo nonostante la sua massa molecolare inferiore. Perché? Disegnate le strutture di questi due composti, includendo eventuali coppie solitarie e indicando i potenziali legami a idrogeno. Vi aspettate che il punto di ebollizione dell'H2S sia più alto o più basso di quello dell'H2O? Giustificate la vostra risposta. Alcune ricette prevedono un'ebollizione vigorosa, mentre altre prevedono una cottura a fuoco lento. Qual è la differenza di temperatura del liquido di cottura tra l'ebollizione e la cottura a fuoco lento? Qual è la differenza di energia assorbita? gvzuzzgno3cglch0nvj1dm69jorwf6q 477863 477859 2025-06-15T21:16:31Z Caterinalazzaro07 52604 477863 wikitext text/x-wiki FATTO: 1.0, <s>1.1, 1.2, 1.3, metà 1.4, 1.5</s>, 1.6, 1.7, 1.8, 1.10, 1.12, 2.11 NO IMMAGINI: 2.7, 2.9, 2.10 (solo didascalie delle immagini), = Struttura e legami = Questo capitolo fornisce una revisione del materiale trattato in un corso standard di chimica generale per matricole attraverso la discussione dei seguenti argomenti: * le differenze tra chimica organica e inorganica. * forme e significato degli orbitali atomici. * le configurazioni degli elettroni * legame ionico e covalente. * teoria degli orbitali molecolari * ibridazione. * struttura e geometria dei composti metano, etano, etilene e acetilene. == Introduzione alla chimica organica == Tutti gli esseri viventi sulla Terra sono formati principalmente da '''composti del carbonio'''. La prevalenza di composti del carbonio negli esseri viventi ha portato all'epiteto di vita "a base di carbonio". La verità è che non conosciamo nessun altro tipo di vita. I primi chimici consideravano le sostanze isolate dagli ''organismi'' (piante e animali) come un tipo diverso di materia che non poteva essere sintetizzata artificialmente, e queste sostanze erano quindi note come ''composti organici''. [[File:Chimica organica 1.0.1.jpg|centro|miniatura|Figura 1.0.1: Tutti i composti organici contengono carbonio e la maggior parte di essi è formata da esseri viventi, anche se si formano anche attraverso processi geologici e artificiali. (credito a sinistra: modifica del lavoro di Jon Sullivan; credito a sinistra al centro: modifica del lavoro di Deb Tremper; credito a destra al centro: modifica del lavoro di “annszyp”/Wikimedia Commons; credito a destra: modifica del lavoro di George Shuklin)]] '''Jöns Jacob Berzelius''', medico di professione, '''coniò per primo il termine "chimica organica"''' nel 1806 per indicare lo studio dei composti derivati ​​da fonti biologiche. Fino all'inizio del XIX secolo, naturalisti e scienziati osservarono differenze cruciali tra i composti derivati ​​da organismi viventi e quelli non derivati ​​da organismi viventi. [[File:Chimica organica 1.0.2.png|centro|senza_cornice]] Nel 1828, Friedrich Wöhler (considerato un pioniere della chimica organica) completò con successo una sintesi organica riscaldando il cianato di ammonio e sintetizzando il composto biologico urea (un componente dell'urina di molti animali) in quella che oggi viene chiamata "sintesi di Wöhler". Fino a questa scoperta, i chimici credevano ampiamente che le sostanze organiche potessero formarsi solo sotto l'influenza della "forza vitale" presente nell'organismo di animali e piante. La sintesi di Wöhler dimostrò drammaticamente la falsità di tale teoria. [[File:Chimica_organica_1.0.11.svg|centro|senza_cornice|chimica organica 1.0.11]] La sintesi dell'urea fu una scoperta cruciale per i biochimici perché dimostrò che un composto noto per essere prodotto in natura solo da organismi biologici poteva essere prodotto in laboratorio in condizioni controllate a partire da materia inanimata. Questa sintesi "in vitro" di materia organica smentiva la teoria comune (vitalismo) sulla ''vis vitalis'' , una "forza vitale" trascendente necessaria per la produzione di composti organici. La capacità di manipolare i composti organici include la fermentazione per creare il vino e la produzione di sapone, entrambe attività che hanno fatto parte della società per così tanto tempo che la loro scoperta è andata perduta nell'antichità. Prove dimostrano che i Babilonesi, già nel 2800 a.C., producevano sapone mescolando grasso animale con cenere di legno. Solo nel XIX secolo, Eugène Chevreul scoprì la natura chimica della produzione del sapone. In una reazione ora chiamata saponificazione, i grassi vengono riscaldati in presenza di una base forte (KOH o NaOH) per produrre sali di acidi grassi e glicerolo. I sali di acidi grassi sono il sapone che migliora la capacità dell'acqua di sciogliere i grassi. [[File:Chimica_organica_1.0.12.svg|centro|senza_cornice|chimica organica 1.0.12]] Sebbene originariamente definita come la chimica delle molecole biologiche, la '''chimica organica''' è stata successivamente ridefinita per riferirsi specificamente ai composti del carbonio, anche quelli di origine non biologica. Alcune molecole di carbonio non sono considerate organiche, con l'anidride carbonica come composto inorganico del carbonio più noto e più comune, ma tali molecole rappresentano l'eccezione e non la regola. La chimica organica si concentra sui composti del carbonio e sul movimento degli elettroni nelle catene e negli anelli del carbonio, nonché su come gli elettroni vengono condivisi con altri atomi di carbonio ed eteroatomi e si occupa principalmente delle proprietà dei legami covalenti e degli elementi non metallici, sebbene gli ioni e i metalli svolgano ruoli critici in alcune reazioni. Perché il carbonio è così speciale? La risposta a questa domanda riguarda la speciale capacità del carbonio di legarsi a se stesso, che verrà discussa in questo capitolo. Il carbonio è unico nella sua capacità di formare un'ampia varietà di composti, da quelli semplici a quelli complessi. Esistono letteralmente milioni di composti organici noti alla scienza, dal metano, che contiene un atomo di carbonio, al DNA, che contiene milioni di atomi di carbonio. Ancora più importante, la chimica organica ci dà la capacità di creare e modificare la struttura dei composti organici, che è l'argomento principale di questo libro. Le applicazioni della chimica organica sono innumerevoli e includono ogni sorta di plastica, coloranti, aromi, profumi, detergenti, esplosivi, carburanti e molti, molti altri prodotti. Leggi l'elenco degli ingredienti di quasi tutti i tipi di alimenti che mangi – o persino del tuo flacone di shampoo – e troverai il frutto del lavoro di chimici organici. [[File:Chimica organica 1.0.5.png|centro|senza_cornice]] Il valore che i composti organici rivestono per noi fa sì che la chimica organica sia una disciplina importante all'interno del campo generale della chimica. In questo capitolo, discuteremo perché l'elemento carbonio dà origine a un vasto numero e varietà di composti, come questi composti vengono classificati e il ruolo dei composti organici in contesti biologici e industriali rappresentativi. La chimica organica è probabilmente il campo più attivo e importante della chimica al momento, grazie alla sua estrema applicabilità sia alla biochimica (soprattutto nell'industria farmaceutica) che alla petrolchimica (soprattutto nell'industria energetica). La chimica organica ha una storia relativamente recente, ma avrà un futuro di enorme importanza, influenzando la vita di tutti in tutto il mondo per molti, molti anni a venire. == Struttura atomica: I nuclei == Gli atomi sono composti da protoni, neutroni ed elettroni. I protoni e i neutroni si trovano nel nucleo dell'atomo, mentre gli elettroni si trovano nella nube di elettroni intorno al nucleo. La carica elettrica relativa di un protone è +1, quella di un neutrone è nulla e la carica relativa di un elettrone è -1. Il numero di protoni nel nucleo di un atomo è chiamato numero atomico, Z. Il numero di massa, A, è la somma del numero di protoni e del numero di neutroni in un nucleo. === Termini chiave === * numero atomico * peso atomico * elettrone * numero di massa * neutrone * protone === L'atomo nucleare === La precisa natura fisica degli atomi emerse finalmente da una serie di eleganti esperimenti condotti tra il 1895 e il 1915. Il più importante di questi risultati fu il famoso esperimento di Ernest Rutherford del 1911 sulla diffusione dei raggi alfa, che stabilì che: * La quasi totalità della ''massa'' di un atomo è contenuta in un nucleo minuscolo (e quindi estremamente denso) che porta una carica elettrica positiva il cui valore identifica ogni elemento ed è noto come ''numero atomico'' dell'elemento. * Quasi tutto il ''volume'' di un atomo è costituito da spazio vuoto in cui risiedono gli ''elettroni'', i portatori fondamentali di carica elettrica negativa. La massa estremamente piccola dell'elettrone (1/1840<sup>th</sup> della massa del nucleo dell'idrogeno) fa sì che si comporti come una particella quantistica, il che significa che la sua posizione in qualsiasi momento non può essere specificata; il meglio che possiamo fare è descrivere il suo comportamento in termini di probabilità che si manifesti in qualsiasi punto dello spazio. È comune (ma un po' fuorviante) descrivere il volume di spazio in cui gli elettroni di un atomo hanno una probabilità significativa di trovarsi come la ''nube di elettroni''. Quest'ultima non ha un confine esterno definito, quindi nemmeno l'atomo. Il raggio di un atomo deve essere definito in modo arbitrario, come il confine in cui l'elettrone può essere trovato con il 95% di probabilità. I raggi atomici sono in genere 30-300 pm. [[File:Il_nucleo_atomico.png|centro|miniatura|il nucleo atomico]] Il nucleo stesso è composto da due tipi di particelle. I ''protoni'' sono i portatori di carica elettrica positiva nel nucleo; la carica dei protoni è esattamente uguale a quella degli elettroni, ma di segno opposto. Ciò significa che in qualsiasi atomo [elettricamente neutro], il numero di protoni nel nucleo (spesso indicato come ''carica nucleare'') è bilanciato dallo stesso numero di elettroni fuori dal nucleo. L'altra particella nucleare è il ''neutrone''. Come dice il nome, questa particella non ha carica elettrica. La sua massa è quasi uguale a quella del protone. La maggior parte dei nuclei contiene un numero approssimativamente uguale di neutroni e protoni, quindi possiamo dire che queste due particelle insieme rappresentano quasi tutta la massa dell'atomo. ''Poiché gli elettroni di un atomo sono in contatto con il mondo esterno, è possibile che uno o più elettroni vengano persi o che ne vengano aggiunti di nuovi. L'atomo elettricamente carico che ne risulta è chiamato ione.'' === Numero atomico (Z) === Quale singolo parametro caratterizza in modo univoco l'atomo di un dato elemento? Non è la massa relativa dell'atomo, come vedremo nella sezione sugli isotopi. Si tratta piuttosto del numero di protoni nel nucleo, che chiamiamo ''numero atomico'' e indichiamo con il simbolo Z. Ogni protone porta una carica elettrica di +1, quindi il numero atomico specifica anche la carica elettrica del nucleo. Nell'atomo neutro, i ''protoni Z'' all'interno del nucleo sono bilanciati dagli ''elettroni'' ''Z'' all'esterno. [[File:Henry_Moseley.jpg|miniatura|I numeri atomici furono elaborati per la prima volta nel 1913 da Henry Moseley, un giovane membro del gruppo di ricerca di Rutherford a Manchester.|centro]] Moseley cercò una proprietà misurabile di ogni elemento che aumentasse linearmente con il numero atomico. La trovò in una classe di raggi X emessi da un elemento quando viene bombardato da elettroni. Le frequenze di questi raggi X sono uniche per ogni elemento e aumentano uniformemente negli elementi successivi. Moseley scoprì che le radici quadrate di queste frequenze danno una linea retta se tracciate rispetto a Z; questo gli permise di ordinare gli elementi in ordine crescente di numero atomico. Si può pensare al numero atomico come a una sorta di numero di serie di un elemento, che inizia con 1 per l'idrogeno e aumenta di uno per ogni elemento successivo. Il nome chimico dell'elemento e il suo simbolo sono legati in modo univoco al numero atomico; così il simbolo “Sr” sta per lo stronzio, i cui atomi hanno tutti Z = 38. === Numero di massa (A) === Il ''numero di massa'' è uguale alla somma del numero di protoni e del numero di neutroni presenti nel nucleo. A volte viene rappresentato con il simbolo A, quindi ''A = Z + N'' in cui Z è il numero atomico e N è il ''numero'' ''neutronico''. === Elementi === Ad oggi sono stati scoperti circa 115 elementi diversi; per definizione, ognuno di essi è chimicamente unico. Per capire perché sono unici, è necessario comprendere la struttura dell'atomo (la particella fondamentale e individuale di un elemento) e le caratteristiche dei suoi componenti. Gli atomi sono costituiti da elettroni, protoni e neutroni. Sebbene questa sia una semplificazione eccessiva che ignora le altre particelle subatomiche che sono state scoperte, è sufficiente per la discussione dei principi chimici. Alcune proprietà di queste particelle subatomiche sono riassunte nella Tabella 1.1.1, che illustra tre punti importanti: # Gli elettroni e i protoni hanno cariche elettriche identiche in grandezza ma di segno opposto. All'elettrone e al protone sono assegnate cariche relative di -1 e +1, rispettivamente. # I neutroni hanno all'incirca la stessa massa dei protoni, ma non hanno carica. Sono elettricamente neutri. # La massa di un protone o di un neutrone è circa 1836 volte superiore a quella di un elettrone. I protoni e i neutroni costituiscono la maggior parte della massa degli atomi. La scoperta dell'elettrone e del protone è stata fondamentale per lo sviluppo del modello moderno dell'atomo e costituisce un eccellente caso di applicazione del metodo scientifico. In effetti, l'elucidazione della struttura dell'atomo è uno dei più grandi gialli della storia della scienza. {| class="wikitable" |+Tabella 1.1.1: Proprietà delle particelle subatomiche !'''Particella''' !'''Massa (g)''' !'''Massa atomica (amu)''' !'''Carica elettrica (coulombs)''' !'''Carica relativa''' |- |electron |9.109×10<sup>−28</sup> |0.0005486 |−1.602 × 10<sup>−19</sup> |−1 |- |proton |1.673×10<sup>−24</sup> |1.007276 | +1.602 × 10<sup>−19</sup> | +1 |- |neutron |1.675×10<sup>−24</sup> |1.008665 |0 |0 |} Nella maggior parte dei casi, i simboli degli elementi derivano direttamente dal nome di ciascun elemento, come C per il carbonio, U per l'uranio, Ca per il calcio e Po per il polonio. Gli elementi sono stati anche chiamati per le loro proprietà [come il radio (Ra) per la sua radioattività], per il paese natale dello scienziato o degli scienziati che li hanno scoperti [il polonio (Po) per la Polonia], per eminenti scienziati [il curio (Cm) per i Curie], per dei e dee [il selenio (Se) per la dea greca della luna, Selene] e per altre ragioni poetiche o storiche. Alcuni dei simboli utilizzati per gli elementi noti fin dall'antichità derivano da nomi storici non più in uso; rimangono solo i simboli a indicarne l'origine. Ne sono un esempio Fe per ferro, dal latino ''ferrum''; Na per sodio, dal latino ''natrium''; W per tungsteno, dal tedesco ''wolfram''. Gli esempi sono riportati nella Tabella 1.1.2. {| class="wikitable" |+Tabella 1.1.2: Simboli degli elementi basati su nomi non più in uso !'''Elemento''' !'''Simbolo''' !'''Derivazione''' !'''Significato''' |- |antimonio |Sb |stibium |dal latino "marchio” |- |rame |Cu |cuprum |da Cyprium, nome latino dell'isola di Cipro, la principale fonte di minerali di rame nell'Impero Romano |- |oro |Au |aurum |dal latino "oro" |- |ferro |Fe |ferrum |dal latino "ferro" |- |piombo |Pb |plumbum |dal latino "pesante" |- |mercurio |Hg |hydrargyrum |dal latino "argento liquido" |- |potassio |K |kalium |dall'arabo al-qili "alcali" |- |argento |Ag |argentum |dal latino "argento" |- |sodio |Na |natrium |dal latino "sodio" |- |stagno |Sn |stannum |dal latino "stagno" |- |tungsteno |W |wolfram |dal tedesco “pietra del lupo” perché interferiva con la fusione dello stagno e si pensava che lo divorasse |} Ricordiamo che i nuclei della maggior parte degli atomi contengono neutroni e protoni. A differenza dei protoni, il numero di neutroni non è assolutamente fisso per la maggior parte degli elementi. Gli atomi che hanno lo stesso numero di protoni, e quindi lo stesso numero atomico, ma un numero diverso di neutroni sono chiamati isotopi. Tutti gli isotopi di un elemento hanno lo stesso numero di protoni e di elettroni, il che significa che presentano la stessa chimica. Gli isotopi di un elemento differiscono solo per la loro massa atomica, che è data dal numero di massa (A), la somma dei numeri di protoni e neutroni. === Isotopi del carbonio === L'elemento carbonio (C) ha un numero atomico di 6, il che significa che tutti gli atomi di carbonio neutri contengono 6 protoni e 6 elettroni. In un tipico campione di materiale contenente carbonio, il 98,89% degli atomi di carbonio contiene anche 6 neutroni, per cui ognuno di essi ha un numero di massa pari a 12. Un isotopo di un qualsiasi elemento può essere rappresentato in modo univoco come A/Z X, dove X è il simbolo atomico dell'elemento. L'isotopo del carbonio che ha 6 neutroni è quindi 12/6 C. Il pedice che indica il numero atomico è in realtà superfluo perché il simbolo atomico specifica già in modo univoco Z. Di conseguenza, 12/6 C è più spesso scritto come <sup>12</sup>C, che si legge come “carbonio-12”. Ciononostante, il valore di Z è comunemente incluso nella notazione delle reazioni nucleari, perché queste reazioni comportano variazioni di Z. [[File:Formalismo_utilizzato.jpg|centro|miniatura|Formalismo utilizzato per identificare un nuclide specifico (qualsiasi tipo particolare di nucleo)]] Oltre a <sup>12</sup>C, un tipico campione di carbonio contiene l'1,11% di 13/6 C (<sup>13</sup>C), con 7 neutroni e 6 protoni, e una traccia di 14/6 C (<sup>14</sup>C), con 8 neutroni e 6 protoni. Il nucleo del <sup>14</sup>C non è tuttavia stabile, ma subisce un lento decadimento radioattivo che è alla base della tecnica di datazione al carbonio-14 utilizzata in archeologia. Molti elementi diversi dal carbonio hanno più di un isotopo stabile; lo stagno, ad esempio, ha 10 isotopi. Le proprietà di alcuni isotopi comuni sono riportate nella Tabella 1.1.3. {| class="wikitable" |+Tabella 1.1.3: Proprietà degli isotopi selezionati !'''Elemento''' !'''Simbolo''' ! '''Massa atomica (amu)''' !'''Numero di massa isotopica''' !'''Masse isotopiche (amu)''' !'''Abbondanze percentuali (%)''' |- | rowspan="2" |idrogeno | rowspan="2" |H | rowspan="2" |1.0079 |1 |1.007825 |99.9855 |- |2 |2.014102 |0.0115 |- | rowspan="2" |boro | rowspan="2" |B | rowspan="2" |10.81 |10 |10.012937 |19.91 |- |11 |11.009305 |80.09 |- | rowspan="2" |carbonio | rowspan="2" |C | rowspan="2" |12.011 |12 |12 (definito) |99.89 |- |13 |13.003355 |1.11 |- | rowspan="3" |ossigeno | rowspan="3" |O | rowspan="3" |15.9994 |16 |15.994915 |99.757 |- |17 |16.999132 |0.0378 |- |18 |17.999161 |0.205 |- | rowspan="4" |ferro | rowspan="4" |Fe | rowspan="4" |55.845 |54 |53.939611 |5.82 |- |56 |55.934938 |91.66 |- |57 |56.935394 |2.19 |- |58 |57.933276 |0.33 |- | rowspan="3" |uranio | rowspan="3" |U | rowspan="3" |238.03 |234 |234.040952 |0.0054 |- |235 |235.043930 |0.7204 |- |238 |238.050788 |99.274 |} === Esempio === Un elemento con tre isotopi stabili ha 82 protoni. Gli isotopi separati contengono 124, 125 e 126 neutroni. Identifica l'elemento e scrivi i simboli degli isotopi. '''Dato:''' numero di protoni e neutroni '''Richiesto:''' elemento e simbolo atomico '''Strategia:''' # Fai riferimento alla tavola periodica e utilizza il numero di protoni per identificare l'elemento. # Calcola il numero di massa di ciascun isotopo sommando i numeri di protoni e neutroni. # Indica il simbolo di ciascun isotopo con il numero di massa come apice e il numero di protoni come pedice, entrambi scritti a sinistra del simbolo dell'elemento. '''Soluzione:''' # L'elemento con 82 protoni (numero atomico 82) è il piombo: Pb. # Per il primo isotopo, A = 82 protoni + 124 neutroni = 206. Analogamente, A = 82 + 125 = 207 e A = 82 + 126 = 208 per il secondo e il terzo isotopo, rispettivamente. I simboli per questi isotopi sono 206/82 Pb, 207/82 Pb e 208/82 Pb che di solito vengono abbreviati in <sup>206</sup>Pb, <sup>207</sup>Pb e <sup>208</sup>Pb. === Esercizio === Identifica l'elemento con 35 protoni e scrivi i simboli dei suoi isotopi con 44 e 46 neutroni. '''Soluzione:''' 79/35 Br e 81/35 Br o, più comunemente, <sup>79</sup>Br e <sup>81</sup>Br. === Sintesi === L'atomo è costituito da particelle discrete che ne regolano il comportamento chimico e fisico. Ogni atomo di un elemento contiene lo stesso numero di protoni, che è il '''numero atomico''' (Z). Gli atomi neutri hanno lo stesso numero di elettroni e protoni. Gli atomi di un elemento che contengono un numero diverso di neutroni sono chiamati '''isotopi'''. Ogni isotopo di un dato elemento ha lo stesso numero atomico ma un diverso '''numero di massa''' (A), che è la somma dei numeri di protoni e neutroni. Le masse relative degli atomi sono riportate utilizzando l''''unità di massa atomica''' ('''amu'''), definita come un dodicesimo della massa di un atomo di carbonio-12, con 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni. == Struttura atomica: Orbitali == Un orbitale è il perfezionamento meccanico quantistico dell'orbita di Bohr. In contrasto con il suo concetto di orbita circolare semplice con un raggio fisso, gli orbitali sono regioni di spazio matematicamente derivate con diverse probabilità di avere un elettrone. Un modo per rappresentare le distribuzioni di probabilità degli elettroni è \(Ψ^2\). Poiché \(Ψ^2\) indica la probabilità di trovare un elettrone in un determinato volume di spazio (ad esempio un picometro cubo), un grafico di \(Ψ^2\) rispetto alla distanza dal nucleo (\(r\)) è un grafico della densità di probabilità. Ad esempio, l'orbitale 1s è sfericamente simmetrico, quindi la probabilità di trovare un elettrone 1s in un determinato punto dipende solo dalla sua distanza dal nucleo. La densità di probabilità è massima a \(r = 0\) (in corrispondenza del nucleo) e diminuisce costantemente con l'aumentare della distanza. A valori molto grandi di r, la densità di probabilità dell'elettrone è molto piccola ma non nulla. Possiamo calcolare la probabilità radiale (la probabilità di trovare un elettrone 1s a una distanza r dal nucleo) sommando le probabilità che un elettrone si trovi in tutti i punti di una serie di x gusci sferici di raggio r1, r2, r3,..., rx - 1, rx. In effetti, stiamo dividendo l'atomo in gusci concentrici molto sottili, come gli strati di una cipolla (parte (a) della Figura \(\PageIndex{1}\)), e calcolando la probabilità di trovare un elettrone su ogni guscio sferico. Ricordiamo che la densità di probabilità degli elettroni è massima a r = 0 (parte (b) nella Figura \PageIndex{1}\)), quindi la densità di punti è massima per i gusci sferici più piccoli nella parte (a) della Figura \PageIndex{1}\). Al contrario, l'area superficiale di ogni guscio sferico è pari a 4πr2, che aumenta molto rapidamente all'aumentare di r (parte (c) della Figura \PageIndex{1}\)). Poiché la superficie dei gusci sferici aumenta più rapidamente con l'aumentare di r rispetto alla diminuzione della densità di probabilità degli elettroni, il grafico della probabilità radiale presenta un massimo a una particolare distanza (parte (d) della Figura \PageIndex{1}\). Soprattutto, quando r è molto piccolo, la superficie di un guscio sferico è così piccola che la probabilità totale di trovare un elettrone vicino al nucleo è molto bassa; in corrispondenza del nucleo, la probabilità dell'elettrone svanisce (parte (d) nella Figura \PageIndex{1}\)). [[File:Orbitali_atomici.jpg|alt=Orbitali atomici|centro|miniatura|Figura 1.2.1: Raggio più probabile per l'elettrone allo stato fondamentale dell'atomo di idrogeno. (a) Immaginate di dividere il volume totale dell'atomo in gusci concentrici molto sottili, come mostrato nel disegno a cipolla. (b) Un grafico della densità di probabilità degli elettroni Ψ2 rispetto a r mostra che la densità di probabilità degli elettroni è massima a r = 0 e diminuisce dolcemente all'aumentare di r. La densità dei punti è quindi massima nei gusci più interni della cipolla. (c) La superficie di ogni guscio, data da 4πr2 , aumenta rapidamente con l'aumentare di r. (d) Se contiamo il numero di punti in ogni guscio sferico, otteniamo la probabilità totale di trovare l'elettrone a un dato valore di r. Poiché la superficie di ogni guscio aumenta più rapidamente con l'aumentare di r di quanto diminuisca la densità di probabilità dell'elettrone, il grafico della probabilità dell'elettrone rispetto a r (la probabilità radiale) mostra un picco. Questo picco corrisponde al raggio più probabile per l'elettrone, 52,9 pm, che è esattamente il raggio previsto dal modello di Bohr dell'atomo di idrogeno.]] Per l'atomo di idrogeno, il picco nel grafico delle probabilità radiali si verifica a r = 0,529 Å (52,9 pm), che è esattamente il raggio calcolato da Bohr per l'orbita n = 1. Quindi il raggio più probabile ottenuto dalla meccanica quantistica è identico a quello calcolato dalla meccanica classica. Pertanto, il raggio più probabile ottenuto dalla meccanica quantistica è identico a quello calcolato dalla meccanica classica. Nel modello di Bohr, tuttavia, si presumeva che l'elettrone si trovasse a questa distanza il 100% del tempo, mentre nel modello di Schrödinger della meccanica quantistica si trova a questa distanza solo per una parte del tempo. La differenza tra i due modelli è attribuibile al comportamento ondulatorio dell'elettrone e al principio di indeterminazione di Heisenberg. [[File:Orbitali_atomici_2.jpg|alt=Orbitali atomici 2|centro|miniatura|Figura 1.2.2: Densità di probabilità per gli orbitali 1s, 2s e 3s dell'atomo di idrogeno. (a) È mostrata la densità di probabilità degli elettroni in qualsiasi piano che contenga il nucleo. Si noti la presenza di regioni circolari, o nodi, in cui la densità di probabilità è nulla. (b) Le superfici di contorno racchiudono il 90% della probabilità degli elettroni, il che illustra le diverse dimensioni degli orbitali 1s, 2s e 3s. I disegni in sezione forniscono viste parziali dei nodi sferici interni. Il colore arancione corrisponde alle regioni dello spazio in cui la fase della funzione d'onda è positiva, mentre il colore blu corrisponde alle regioni dello spazio in cui la fase della funzione d'onda è negativa. (c) In questi grafici della probabilità degli elettroni in funzione della distanza dal nucleo (r) in tutte le direzioni (probabilità radiale), il raggio più probabile aumenta all'aumentare di n, ma gli orbitali 2s e 3s hanno regioni di probabilità significativa degli elettroni a piccoli valori di r.La figura 1.2.2 confronta le densità di probabilità elettronica degli orbitali 1s, 2s e 3s dell'idrogeno. Si noti che tutti e tre sono a simmetria sferica. Per gli orbitali 2s e 3s, tuttavia (e anche per tutti gli altri orbitali s), la densità di probabilità degli elettroni non diminuisce in modo uniforme con l'aumento di r. Al contrario, si osserva una serie di minimi e massimi nei grafici di probabilità radiali (parte (c) nella Figura 1.2.2 ). I minimi corrispondono a nodi sferici (regioni di probabilità elettronica nulla), che si alternano a regioni sferiche di nonzero]] === Orbitali s === All'aumentare di n, gli orbitali s subiscono tre variazioni (Figura 1.2.2). * Diventano più grandi, estendendosi più lontano dal nucleo. * Contengono più nodi. Questo è simile a un'onda stazionaria che ha regioni di ampiezza significativa separate da nodi, punti con ampiezza zero. * Per un dato atomo, anche gli orbitali s diventano più energetici all'aumentare di n, a causa della loro maggiore distanza dal nucleo. Gli orbitali sono generalmente disegnati come superfici tridimensionali che racchiudono il 90% della densità di elettroni, come è stato mostrato per gli orbitali 1s, 2s e 3s dell'idrogeno nella parte (b) della Figura 1.2.2. e 3s perché i nodi sferici si trovano all'interno della superficie del 90%. Fortunatamente, la posizione dei nodi sferici non è importante per il legame chimico. === Orbitali p === Solo gli orbitali s sono a simmetria sferica. All'aumentare del valore di l, aumenta il numero di orbitali in un determinato sottoguscio e le forme degli orbitali diventano più complesse. Poiché il sottoguscio 2p ha l = 1, con tre valori di ml (-1, 0 e +1), ci sono tre orbitali 2p. [[File:P_orbitals.jpg|alt=P orbitals|centro|miniatura|Figura 1.2.2: I colori corrispondono alle regioni dello spazio in cui la fase della funzione d'onda è positiva (arancione) e negativa (blu)]] La distribuzione di probabilità degli elettroni per uno degli orbitali 2p dell'idrogeno è mostrata nella Figura 1.2.3 Se l'orbitale 2p è un orbitale 2p, con una densità di elettroni pari a zero nel piano xy (cioè il piano xy è un piano nodale), si tratta di un orbitale 2pz. Come mostrato nella Figura 1.2.4 gli orbitali p hanno forme identiche, ma si trovano rispettivamente lungo l'asse x (2px) e l'asse y (2py). Si noti che ogni orbitale p ha un solo piano nodale. In ogni caso, la fase della funzione d'onda per ciascuno degli orbitali 2p è positiva per il lobo che punta lungo l'asse positivo e negativa per il lobo che punta lungo l'asse negativo. È importante sottolineare che questi segni corrispondono alla fase dell'onda che descrive il moto dell'elettrone, non alle cariche positive o negative. [[File:Chemorg_1.2.4.jpg|centro|miniatura|Figura 1.2.4: I tre orbitali 2p equivalenti dell'atomo di idrogeno]] Le superfici mostrate racchiudono il 90% della probabilità totale di elettroni per gli orbitali 2px, 2py e 2pz. Ogni orbitale è orientato lungo l'asse indicato dal pedice e un piano nodale perpendicolare a tale asse biseca ogni orbitale 2p. La fase della funzione d'onda è positiva (arancione) nella regione dello spazio dove x, y o z sono positivi e negativa (blu) dove x, y o z sono negativi. Come nel caso degli orbitali s, la dimensione e la complessità degli orbitali p per qualsiasi atomo aumentano all'aumentare del numero quantico principale n. Le forme delle superfici di probabilità al 90% degli orbitali 3p, 4p e degli orbitali p a più alta energia sono tuttavia essenzialmente le stesse di quelle mostrate nella Figura \(\PageIndex{4}\). La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione della disposizione degli elettroni distribuiti tra gli orbitali e i sottogusci. Comunemente, la configurazione elettronica viene utilizzata per descrivere gli orbitali di un atomo allo stato fondamentale, ma può anche essere usata per rappresentare un atomo che si è ionizzato in un catione o in un anione, compensando la perdita o l'aumento di elettroni negli orbitali successivi. Molte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi possono essere correlate alle loro configurazioni elettroniche uniche. Gli elettroni di valenza, ovvero gli elettroni del guscio più esterno, sono il fattore determinante per la chimica unica dell'elemento. == Struttura atomica: Configurazioni degli elettroni == Il testo si propone di insegnare a scrivere le configurazioni degli elettroni allo stato fondamentale per gli elementi fino al numero atomico 36, concentrandosi sulla disposizione degli elettroni negli orbitali atomici. Vengono spiegati concetti chiave come le configurazioni degli elettroni, la regola di Hund, il principio di esclusione di Pauli e il principio di Aufbau. La tavola periodica è fondamentale per determinare queste configurazioni e vengono evidenziate le regole per l'assegnazione degli orbitali degli elettroni. === Termini chiave === * configurazione elettronica allo stato fondamentale * Regola di Hund * Principio di esclusione di Pauli * principio di aufbau La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione della disposizione degli elettroni distribuiti tra gli orbitali e i sottogusci. Comunemente, la configurazione elettronica viene utilizzata per descrivere gli orbitali di un atomo allo stato fondamentale, ma può anche essere usata per rappresentare un atomo che si è ionizzato in un catione o in un anione, compensando la perdita o l'aumento di elettroni negli orbitali successivi. Molte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi possono essere correlate alle loro configurazioni elettroniche uniche. Gli elettroni di valenza, ovvero gli elettroni del guscio più esterno, sono il fattore determinante per la chimica unica dell'elemento. [[File:Formula_8.jpg|centro|miniatura|la tavola periodica]] === Configurazioni di elettroni === La configurazione elettronica di un atomo è la rappresentazione della disposizione degli elettroni distribuiti tra gli orbitali e i sottogusci. Comunemente, la configurazione elettronica viene utilizzata per descrivere gli orbitali di un atomo allo stato fondamentale, ma può anche essere usata per rappresentare un atomo che si è ionizzato in un catione o in un anione, compensando la perdita o l'aumento di elettroni negli orbitali successivi. Molte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi possono essere correlate alle loro configurazioni elettroniche uniche. Gli elettroni di valenza, ovvero gli elettroni del guscio più esterno, sono il fattore determinante per la chimica unica dell'elemento. Prima di assegnare gli elettroni di un atomo agli orbitali, è necessario conoscere i concetti di base delle configurazioni degli elettroni. Ogni elemento della tavola periodica è costituito da atomi, che sono composti da protoni, neutroni ed elettroni. Gli elettroni hanno una carica negativa e si trovano intorno al nucleo dell'atomo in orbitali elettronici, definiti come il volume di spazio in cui l'elettrone può trovarsi con una probabilità del 95%. I quattro tipi di orbitali (s, p, d e f) hanno forme diverse e un orbitale può contenere al massimo due elettroni. Gli orbitali p, d e f hanno diversi sottolivelli e quindi possono contenere più elettroni. Come detto, la configurazione elettronica di ogni elemento è unica per la sua posizione nella tavola periodica. Il livello energetico è determinato dal periodo e il numero di elettroni è dato dal numero atomico dell'elemento. Gli orbitali dei diversi livelli energetici sono simili tra loro, ma occupano aree diverse dello spazio. L'orbitale 1s e l'orbitale 2s hanno entrambi le caratteristiche di un orbitale s (nodi radiali, probabilità di volume sferico, possono contenere solo due elettroni, ecc.) ma, poiché si trovano in livelli energetici diversi, occupano spazi diversi intorno al nucleo. Ogni orbitale può essere rappresentato da blocchi specifici sulla tavola periodica. Il blocco s è la regione dei metalli alcalini compreso l'elio (gruppi 1 e 2), il blocco d sono i metalli di transizione (gruppi da 3 a 12), il blocco p sono gli elementi dei gruppi principali da 13 a 18 e il blocco f sono le serie dei lantanoidi e degli attinidi. L'uso della tavola periodica per determinare le configurazioni elettroniche degli atomi è fondamentale, ma bisogna anche tenere presente che ci sono alcune regole da seguire quando si assegnano gli elettroni ai diversi orbitali. La tavola periodica è uno strumento incredibilmente utile per scrivere le configurazioni elettroniche. Per ulteriori informazioni sul collegamento tra le configurazioni degli elettroni e la tavola periodica, visitate il modulo Collegare gli elettroni alla tavola periodica. === Regole per l'assegnazione degli orbitali degli elettroni === ==== Il principio di esclusione di Pauli ==== Il principio di esclusione di Pauli stabilisce che due elettroni non possono avere gli stessi quattro numeri quantici. I primi tre (n, l e m<sub>l</sub>) possono essere uguali, ma il quarto numero quantico deve essere diverso. Un singolo orbitale può contenere al massimo due elettroni, che '''devono''' avere spin opposti; altrimenti avrebbero gli stessi quattro numeri quantici, il che è proibito. Un elettrone ha spin up (m<sub>s</sub> = +1/2) e l'altro ha spin down (m<sub>s</sub> = -1/2). Questo ci dice che ogni sottoguscio ha il doppio degli elettroni per orbitale. Il sottoguscio s ha 1 orbitale che può contenere fino a 2 elettroni, il sottoguscio p ha 3 orbitali che possono contenere fino a 6 elettroni, il sottoguscio d ha 5 orbitali che possono contenere fino a 10 elettroni e il sottoguscio f ha 7 orbitali con 14 elettroni. ====== Esempio: Idrogeno e elio ====== I primi tre numeri quantici di un elettrone sono n=1, l=0, m<sub>l</sub>=0. A questi possono corrispondere solo due elettroni, che sarebbero o m<sub>s</sub> = -1/2 o m<sub>s</sub> = +1/2. Come già sappiamo dallo studio dei numeri quantici e degli orbitali degli elettroni, possiamo concludere che questi quattro numeri quantici si riferiscono al sottoguscio 1s. Se viene indicato solo uno dei valori di m<sub>s</sub>, avremo 1s<sup>1</sup> (che indica l'idrogeno), se vengono indicati entrambi avremo 1s<sup>2</sup> (che indica l'elio). Visivamente, questo viene rappresentato come:[[File:Formula_9.png|centro|senza_cornice]]Come mostrato, il sottoguscio 1s può contenere solo due elettroni e, quando è pieno, gli elettroni hanno spin opposti. ==== La regola di Hund ==== Quando si assegnano gli elettroni negli orbitali, ogni elettrone riempirà prima tutti gli orbitali con energia simile (detti anche degenerati) prima di accoppiarsi con un altro elettrone in un orbitale riempito a metà. Gli atomi allo stato fondamentale tendono ad avere il maggior numero possibile di elettroni spaiati. Quando si visualizzano questi processi, si pensi che gli elettroni hanno lo stesso comportamento che avrebbero i poli di una calamita se venissero a contatto; quando gli elettroni carichi negativamente riempiono gli orbitali, cercano di allontanarsi il più possibile l'uno dall'altro prima di accoppiarsi. ====== Esempio: Ossigeno e azoto ====== Se osserviamo la corretta configurazione elettronica dell'atomo di azoto (Z = 7), un elemento molto importante per la biologia delle piante: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>3</sup>[[File:Formula_5.png|centro|senza_cornice]]Si vede chiaramente che gli orbitali p sono riempiti a metà, dato che ci sono tre elettroni e tre orbitali p. Questo perché la regola di Hund stabilisce che i tre elettroni del sottoguscio 2p riempiranno tutti gli orbitali vuoti prima di riempire gli orbitali con gli elettroni al loro interno. Se consideriamo l'elemento successivo all'azoto nello stesso periodo, l'ossigeno (Z = 8), la sua configurazione elettronica è: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>4</sup> (per un atomo).[[File:Formula_7.png|centro|senza_cornice]]L'ossigeno ha un elettrone in più dell'azoto e poiché gli orbitali sono tutti riempiti a metà, l'elettrone deve accoppiarsi. ==== Occupazione degli orbitali ==== Gli elettroni riempiono gli orbitali in modo da minimizzare l'energia dell'atomo. Pertanto, gli elettroni di un atomo riempiono i principali livelli energetici in ordine crescente di energia (gli elettroni si allontanano dal nucleo). L'energia relativa degli orbitali è mostrata nella figura di seguito.[[File:Formula_6.jpg|centro|miniatura|l'energia potenziale relativa degli orbitali atomici.]]L'ordine dei livelli riempiti è quindi: '''''1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d e 7p.''''' L'ordine generale di riempimento degli orbitali è illustrato nella figura di seguito. I sottogusci corrispondenti a ciascun valore di ''n'' sono scritti da sinistra a destra su linee orizzontali successive, dove ogni riga rappresenta una riga della tavola periodica. L'ordine di riempimento degli orbitali è indicato dalle linee diagonali che vanno dall'alto a destra al basso a sinistra. Di conseguenza, l'orbitale 4s viene riempito prima dell'orbitale 3d a causa degli effetti di schermatura e penetrazione. Di conseguenza, la configurazione elettronica del potassio, che inizia il quarto periodo, è [Ar]4s<sup>1</sup>, mentre quella del calcio è [Ar]4s<sup>2</sup>. Cinque orbitali 3d sono riempiti dai successivi 10 elementi, i metalli di transizione, seguiti da tre orbitali 4p. Si noti che l'ultimo membro di questa fila è il gas nobile kripton (Z = 36), [Ar]4s<sup>2</sup>3d<sup>10</sup>4p<sup>6</sup> = [Kr], che ha orbitali 4s, 3d e 4p pieni. La quinta fila della tavola periodica è essenzialmente uguale alla quarta, tranne che per il fatto che gli orbitali 5s, 4d e 5p sono riempiti in sequenza.[[File:Formula_4.jpg|centro|miniatura|Previsione dell'ordine di riempimento degli orbitali negli atomi multielettronici. Se si scrivono i sottogusci per ogni valore del numero quantico principale su righe successive, l'ordine osservato di riempimento degli orbitali è indicato da una serie di linee diagonali che vanno dall'alto a destra al basso a sinistra.]] ==== Il processo di Aufbau ==== Aufbau deriva dalla parola tedesca “aufbauen” che significa “costruire”. Quando si scrivono le configurazioni degli elettroni, gli orbitali vengono costruiti da atomo ad atomo. Quando si scrive la configurazione elettronica di un atomo, gli orbitali vengono riempiti in ordine crescente di numero atomico. Tuttavia, esistono alcune eccezioni a questa regola. ====== Esempio: Elementi della 3° fila ====== Seguendo lo schema attraverso un periodo da B (Z=5) a Ne (Z=10), il numero di elettroni aumenta e i sottogusci si riempiono. Questo esempio si concentra sul sottoguscio p, che si riempie dal boro al neon. * B (Z=5) configurazione: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>1</sup> * C (Z=6) configurazione: 1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>2</sup> * N (Z=7) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>3</sup> * O (Z=8) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>4</sup> * F (Z=9) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>5</sup> * Ne (Z=10) configurazione:1s<sup>2</sup> 2s<sup>2</sup> 2p<sup>6</sup> ==== Il numero degli elettroni di valenza ==== Il numero di elettroni di valenza di un elemento può essere determinato dal gruppo della tavola periodica (colonna verticale) in cui l'elemento è classificato. Con l'eccezione dei gruppi 3-12 (i metalli di transizione), la cifra delle unità del numero del gruppo identifica quanti elettroni di valenza sono associati a un atomo neutro di un elemento elencato in quella particolare colonna. Ad esempio, nel gruppo 16, la cifra delle unità è 6 e gli elementi di questo gruppo hanno 6 elettroni di valenza. {| class="wikitable" |+Tabella 1.3.1: Elettroni di valenza derivati dal gruppo della tavola periodica !Gruppo della tavola periodica !Elettroni di valenza |- |Gruppo 1: metalli alcalini |1 |- |Gruppo 2: metalli alcalino-terrosi |2 |- |Gruppi 3-12: metalli di transizione |2* (il guscio 4s è completo e non può contenere altri elettroni) |- |Gruppo 13: boro gruppo |3 |- |Gruppo 14: carbonio gruppo |4 |- |Gruppo 15: picntogeni |5 |- |Gruppo 16: calcogeni |6 |- |Gruppo 17: alogeni |7 |- |Gruppo 18: gas nobili |8** |} <nowiki>*</nowiki> Il metodo generale di conteggio degli elettroni di valenza non è generalmente utile per i metalli di transizione. Si utilizza invece il '''metodo di conteggio degli elettroni d''' modificato. <nowiki>**</nowiki> Ad eccezione dell'elio, che ha solo due elettroni di valenza. La configurazione elettronica di un elemento è la disposizione degli elettroni nei suoi orbitali atomici. Conoscendo la configurazione elettronica di un elemento, possiamo prevedere e spiegare gran parte della sua chimica. === Esempio === Disegna un diagramma degli orbitali e utilizzalo per ricavare la configurazione elettronica del fosforo, Z=15. Qual è la sua configurazione elettronica di valenza? '''Dato:''' numero atomico '''Richiesto:''' diagramma orbitale e configurazione degli elettroni di valenza del fosforo '''Strategia:''' # Individua il gas nobile più vicino al fosforo nella tavola periodica. Quindi sottrai il suo numero di elettroni da quelli del fosforo per ottenere il numero di elettroni di valenza del fosforo. # Facendo riferimento alla figura della tavola periodica, disegna un diagramma degli orbitali per rappresentare questi orbitali di valenza. Seguendo la regola di Hund, colloca gli elettroni di valenza negli orbitali disponibili, iniziando dall'orbitale con energia più bassa. Scrivi la configurazione degli elettroni dal tuo diagramma orbitale. # Ignora gli orbitali interni (quelli che corrispondono alla configurazione elettronica del gas nobile più vicino) e scrivi la configurazione degli elettroni di valenza del fosforo. '''Soluzione:''' # Poiché il fosforo si trova nella terza fila della tavola periodica, sappiamo che ha un guscio chiuso [Ne] con 10 elettroni. Cominciamo sottraendo 10 elettroni dai 15 del fosforo. # I cinque elettroni aggiuntivi vengono collocati nei successivi orbitali disponibili, che sono gli orbitali 3s e 3p:[[File:Formula_1_prima.jpg|centro|senza_cornice]]Poiché l'orbitale 3s ha un'energia inferiore a quella degli orbitali 3p, lo riempiamo per primo:[[File:Formula_2.jpg|centro|formula|senza_cornice]]La regola di Hund ci dice che i tre elettroni rimanenti occuperanno gli orbitali degenerati 3p separatamente, ma con gli spin allineati:[[File:Formula_3.jpg|centro|senza_cornice]] La configurazione elettronica è [Ne]3s<sup>2</sup>3p<sup>3</sup>. # Otteniamo la configurazione degli elettroni di valenza ignorando gli orbitali interni, il che per il fosforo significa ignorare il guscio chiuso [Ne]. Si ottiene così una configurazione degli elettroni di valenza pari a 3s<sup>2</sup>3p<sup>3</sup>. === Esercizio === Disegna un diagramma degli orbitali e usalo per ricavare la configurazione elettronica del cloro, Z=17. Qual è la sua configurazione elettronica di valenza? '''Soluzione:''' [Ne]3''s''<sup>2</sup>3''p''<sup>5</sup>; 3''s''<sup>2</sup>3''p''<sup>5</sup> La sesta riga della tavola periodica sarà diversa dalle due precedenti perché gli orbitali 4f, che possono contenere 14 elettroni, sono riempiti tra gli orbitali 6s e 5d. Gli elementi che contengono orbitali 4f nel loro guscio di valenza sono i lantanidi. Quando gli orbitali 6p sono finalmente riempiti, abbiamo raggiunto il prossimo (e ultimo) gas nobile conosciuto, il radon (Z = 86), [Xe]6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup>6p<sup>6</sup> = [Rn]. Nell'ultima riga, gli orbitali 5f sono riempiti tra gli orbitali 7s e 6d, il che dà i 14 elementi attinidi. Poiché l'elevato numero di protoni rende i loro nuclei instabili, tutti gli attinidi sono radioattivi. === Esempio === Scrivi la configurazione elettronica del mercurio (Z = 80), mostrando tutti gli orbitali interni. '''Dato:''' numero atomico '''Richiesta:''' configurazione elettronica completa '''Strategia:''' Utilizzando il diagramma degli orbitali nella figura sopra e la tavola periodica come guida, riempi gli orbitali fino a posizionare tutti gli 80 elettroni. '''Soluzione:''' Colloca gli elettroni negli orbitali seguendo l'ordine indicato nella figura sopra, e utilizzando la tavola periodica come guida, si ottiene {| class="wikitable" |1''s''<sup>2</sup> |riga 1 |2 elettroni |- |2''s''<sup>2</sup>2''p''<sup>6</sup> |riga 2 |8 elettroni |- |3''s''<sup>2</sup>3''p''<sup>6</sup> |riga 3 |8 elettroni |- |4''s''<sup>2</sup>3''d''<sup>10</sup>4''p''<sup>6</sup> |riga 4 |18 elettroni |- |5''s''<sup>2</sup>4''d''<sup>10</sup>5''p''<sup>6</sup> |riga 5 |18 elettroni |- | |riga 1–5 |54 elettroni |} Dopo aver riempito le prime cinque file, abbiamo ancora 80 - 54 = 26 elettroni da ospitare. Secondo la tavola periodica, dobbiamo riempire gli orbitali 6s (2 elettroni), 4f (14 elettroni) e 5d (10 elettroni). Il risultato è la configurazione elettronica del mercurio: 1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>2</sup>3p<sup>6</sup>4s<sup>2</sup>3d<sup>10</sup>4p<sup>6</sup>5s<sup>2</sup>4d<sup>10</sup>5p<sup>6</sup>6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup> = Hg = [Xe]6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup> con un sottoguscio 5d pieno, una configurazione del guscio di valenza 6s<sup>2</sup>4f<sup>14</sup>5d<sup>10</sup> e un totale di 80 elettroni. (È necessario verificare sempre che il numero totale di elettroni sia uguale al numero atomico). === Sintesi === Sulla base del principio di Pauli e della conoscenza delle energie orbitali ottenute con orbitali simili a quelli dell'idrogeno, è possibile costruire la tavola periodica riempiendo gli orbitali disponibili a partire da quelli a più bassa energia ('''principio di aufbau'''), il che dà origine a una particolare disposizione degli elettroni per ogni elemento (la sua '''configurazione elettronica'''). La '''regola di Hund''' dice che la disposizione degli elettroni a più bassa energia è quella che li colloca in orbitali degenerati con gli spin paralleli. Ai fini chimici, gli elettroni più importanti sono quelli del guscio principale più esterno, gli '''elettroni di valenza'''. == Sviluppo della teoria dei legami chimici == I simboli dei punti di Lewis sono un modo per indicare il numero di elettroni di valenza di un atomo. Sono utili per prevedere il numero e i tipi di legami covalenti nelle molecole organiche. La forma molecolare delle molecole è prevista dalla teoria della repulsione di coppia degli elettroni di valenza (VSEPR). Le forme delle molecole organiche comuni si basano su disposizioni tetraedriche, trigonali planari o lineari dei gruppi di elettroni. === Termini chiave === * forza del legame * legame covalente * legame ionico * Struttura di Lewis * elettrone a coppia solitaria * elettrone non legante === Note di studio === Per disegnare con successo le strutture di Lewis, è necessario conoscere il numero di elettroni di valenza presenti in ciascuno degli atomi coinvolti. Memorizzare il numero di elettroni di valenza posseduti da ciascuno degli elementi comunemente incontrati nella chimica organica: C, H, O, N, S, P e gli alogeni. Quando si disegna una struttura organica, è necessario ricordare che un atomo di carbonio neutro ha quasi sempre quattro legami. Allo stesso modo, l'idrogeno ha sempre un legame, gli atomi di ossigeno neutri hanno due legami e gli atomi di azoto neutri hanno tre legami. Memorizzando queste semplici regole, si può evitare di commettere errori inutili nel corso del corso. Nel corso del corso si utilizzerà la rappresentazione a “cuneo e linea spezzata”, che aiuta a trasmettere la natura tridimensionale dei composti organici. === Panoramica sul legame === Perché alcune sostanze sono molecole chimicamente legate e altre sono un'associazione di ioni? La risposta a questa domanda dipende dalle strutture elettroniche degli atomi e dalla natura delle forze chimiche all'interno dei composti. Sebbene non esistano confini ben definiti, i legami chimici sono tipicamente classificati in tre tipi principali: legami ionici, legami covalenti e legami metallici. In questo capitolo verranno discussi ciascun tipo di legame e le proprietà generali riscontrate nelle sostanze tipiche in cui si verifica il tipo di legame. # I legami ionici derivano dalle '''forze elettrostatiche che esistono tra ioni di carica opposta'''. Questi legami coinvolgono tipicamente un metallo con un non metallo. # I legami covalenti '''derivano dalla condivisione di elettroni tra due atomi'''. Questi legami coinvolgono tipicamente un elemento non metallico con un altro. # I legami metallici si trovano nei metalli solidi (rame, ferro, alluminio) con ogni atomo metallico legato a diversi atomi metallici vicini e gli elettroni di legame sono liberi di muoversi nella struttura tridimensionale. Ogni classificazione dei legami viene discussa in dettaglio nelle sezioni successive del capitolo. Vediamo le disposizioni preferite degli elettroni negli atomi quando formano composti chimici. IMMAGINE (Figura 1.4.1: G. N. Lewis e la regola dell'ottetto. (a) Lewis sta lavorando in laboratorio. (b) Nello schizzo originale di Lewis per la regola dell'ottetto, inizialmente aveva collocato gli elettroni agli angoli di un cubo, invece di disporli come facciamo oggi.) === Simboli di Lewis === All'inizio del XX secolo, il chimico americano G. N. Lewis (1875-1946) ideò un sistema di simboli - oggi chiamato simboli dei punti elettronici di Lewis, spesso abbreviati in ''simboli dei punti di Lewis'' - che possono essere utilizzati per prevedere il numero di legami formati dalla maggior parte degli elementi nei loro composti. Ogni simbolo di Lewis è costituito dal simbolo chimico di un elemento circondato da punti che rappresentano i suoi elettroni di valenza. Simboli dei punti di Lewis: * forniscono una comoda rappresentazione degli elettroni di valenza * permettono di tenere traccia degli elettroni di valenza durante la formazione dei legami * è costituito dal simbolo chimico dell'elemento più un punto per ogni elettrone di valenza Per scrivere il simbolo dei punti di Lewis di un elemento, si posizionano i punti che rappresentano gli elettroni di valenza, uno alla volta, intorno al simbolo chimico dell'elemento. Si mettono fino a quattro punti sopra, sotto, a sinistra e a destra del simbolo (in qualsiasi ordine, purché gli elementi con quattro o meno elettroni di valenza non abbiano più di un punto in ogni posizione). I punti successivi, per gli elementi con più di quattro elettroni di valenza, sono di nuovo distribuiti uno alla volta, ciascuno abbinato a uno dei primi quattro. Il fluoro, ad esempio, con configurazione elettronica [He]2s<sup>2</sup>2p<sup>5</sup>, ha sette elettroni di valenza, quindi il suo simbolo di Lewis è costruito come segue: IMMAGINE Figura 1.4.2: Simboli dei punti di Lewis per gli elementi del periodo 2 Lewis ha utilizzato i punti non appaiati per prevedere il numero di legami che un elemento formerà in un composto. Consideriamo il simbolo dell'azoto nella Figura 1.4.2. Il simbolo dei punti di Lewis spiega perché l'azoto, con tre elettroni di valenza spaiati, tende a formare composti in cui condivide gli elettroni spaiati per formare tre legami. Anche il boro, che ha tre elettroni di valenza spaiati nel simbolo del punto di Lewis, tende a formare composti con tre legami, mentre il carbonio, con quattro elettroni di valenza spaiati nel simbolo del punto di Lewis, tende a condividere tutti i suoi elettroni di valenza spaiati formando composti con quattro legami. I simboli di Lewis sono uno strumento che aiuta a disegnare le strutture. Nella prossima sezione vedremo perché i legami nei composti molecolari seguono la teoria di Lewis. Gli elementi dello stesso gruppo hanno lo stesso numero di elettroni di valenza e simboli di Lewis simili. Ad esempio, la configurazione elettronica dello zolfo atomico è [Ne]3s<sup>2</sup>3p<sup>4</sup>, quindi ci sono '''sei''' elettroni di valenza. Il suo simbolo di Lewis sarà quindi simile a quello dell'ossigeno e avrà l'aspetto di: IMMAGINE === La regola dell'ottetto === Il principale contributo di Lewis alla teoria del legame è stato quello di riconoscere che gli atomi tendono a perdere, guadagnare o condividere elettroni per raggiungere un totale di otto elettroni di valenza, chiamato ottetto. Questa cosiddetta regola dell'ottetto spiega la stechiometria della maggior parte dei composti dei blocchi s e p della tavola periodica. Oggi sappiamo dalla meccanica quantistica che il numero otto corrisponde a un orbitale di valenza ns e tre np, che insieme possono ospitare un totale di otto elettroni. Tuttavia, è notevole che l'intuizione di Lewis sia stata fatta quasi un decennio prima che Rutherford proponesse il modello nucleare dell'atomo. Le eccezioni più comuni alla regola dell'ottetto sono l'elio, la cui configurazione elettronica 1s<sup>2</sup> gli conferisce un guscio completo n = 1, e l'idrogeno, che tende a guadagnare o condividere il suo unico elettrone per ottenere la configurazione elettronica dell'elio. L'idea di Lewis di un ottetto spiega perché i gas nobili raramente formano composti. Hanno la configurazione stabile s<sup>2</sup>p<sup>6</sup> (ottetto completo, nessuna carica), quindi non hanno motivo di reagire e cambiare la loro configurazione. Tutti gli altri elementi cercano di guadagnare, perdere o condividere elettroni per raggiungere la configurazione dei gas nobili. Questo spiega perché gli atomi si combinano tra loro per formare composti. La formazione di legami rende gli atomi più stabili e a bassa energia. La creazione di legami libera energia e rappresenta una forza trainante per la formazione dei composti. Gli atomi spesso guadagnano, perdono o condividono elettroni per ottenere lo stesso numero di elettroni del gas nobile più vicino a loro nella tavola periodica. === Strutture di Lewis === Le strutture di Lewis rappresentano come i simboli di Lewis guadagnano, perdono o condividono elettroni per ottenere un ottetto formando composti. === Strutture di Lewis dei composti ionici === Quando nella struttura di un composto organico è presente un metallo, è molto probabile che sia presente almeno un legame ionico. I legami ionici sono rappresentati nelle strutture di Lewis in modo diverso rispetto ai legami covalenti. Occorre prestare molta attenzione quando si disegna la struttura di Lewis di un composto organico che contiene un legame ionico. I legami ionici si formano tipicamente quando un metallo e un non metallo fanno parte di un composto. Alcuni atomi ottengono un ottetto guadagnando o perdendo completamente elettroni per formare ioni. I legami ionici si formano grazie all'attrazione eletrostatica degli ioni creati. La formula del sale da cucina è NaCl. È il risultato del legame tra ioni Na<sup>+</sup> e ioni Cl<sup>-</sup>. Se il sodio metallico e il cloro gassoso si mescolano nelle giuste condizioni, formano il sale. Il sodio perde un elettrone e il cloro ne guadagna uno. Nel processo, viene rilasciata una grande quantità di luce e calore. Il sale risultante è per lo più non reattivo, è stabile. Non subisce reazioni esplosive, a differenza del sodio e del cloro di cui è composto. Perché? In base alla regola dell'ottetto, gli atomi cercano di ottenere una configurazione elettronica da gas nobile, ovvero otto elettroni di valenza. Il sodio (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>1</sup>) ha un solo elettrone di valenza, quindi rinunciandovi si otterrebbe la stessa configurazione elettronica del neon (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>). Il cloro (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>2</sup>3p<sup>7</sup>) ha sette elettroni di valenza, quindi, se ne prende uno, ne avrà otto (un ottetto). Il cloro ha la configurazione elettronica dell'argon (1s<sup>2</sup>2s<sup>2</sup>2p<sup>6</sup>3s<sup>2</sup>3p<sup>8</sup>) quando guadagna un elettrone. La struttura di Lewis di un composto ionico mostra il movimento degli elettroni. Per NaCl, il sodio è nel gruppo 1 e ha un elettrone di valenza e il cloro è nel gruppo 17 e ha sette elettroni di valenza. Il sodio perde il suo unico elettrone di valenza e si carica positivamente. Il cloro guadagna questo elettrone, ottenendo un ottetto completo e una carica negativa. Dopo il guadagno/perdita di un elettrone, le nuove strutture di Lewis di Na<sup>+</sup> e Cl<sup>-</sup> sono scritte una accanto all'altra e rappresentano il legame ionico in NaCl. IMMAGINE (Esempi di strutture di Lewis di composti ionici) === Legami covalenti e strutture di Lewis dei composti molecolari === Mentre i metalli alcalini (come il sodio e il potassio), i metalli alcalino-terrosi (come il magnesio e il calcio) e gli alogeni (come il fluoro e il cloro) spesso formano ioni per ottenere un ottetto completo, gli elementi principali della chimica organica - carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno - tendono invece a riempire il loro ottetto ''condividendo'' elettroni con altri atomi, formando legami covalenti. Consideriamo il caso più semplice dell'idrogeno gassoso. Un atomo di idrogeno isolato ha un solo elettrone, situato nell'orbitale 1s. Se due atomi di idrogeno si avvicinano abbastanza da far sovrapporre i rispettivi orbitali 1s, i due elettroni possono essere condivisi tra i due nuclei e si forma una molecola di H<sub>2</sub> con legame covalente. Nella struttura di Lewis dell'H<sub>2</sub>, ogni coppia di elettroni condivisa tra due atomi è disegnata come una singola linea, a indicare un singolo legame covalente. IMMAGINE L'idrogeno rappresenta un caso particolare, perché un atomo di idrogeno non può soddisfare la regola dell'ottetto; ha bisogno di due soli elettroni per avere un guscio completo. Questa è spesso chiamata “regola del doppietto” per l'idrogeno. Una delle molecole organiche più semplici è il metano, con formula molecolare CH<sub>4</sub>. Il metano è il “gas naturale” bruciato nei forni di casa e negli scaldabagni, oltre che nelle centrali elettriche. Per illustrare il legame covalente nel metano utilizzando una struttura di Lewis, dobbiamo innanzitutto riconoscere che, sebbene un atomo di carbonio abbia un totale di sei elettroni, il suo simbolo di Lewis ha quattro elettroni spaiati. Secondo la teoria di Lewis, l'atomo di carbonio vuole formare quattro legami covalenti per riempire il suo ottetto. In una molecola di metano, l'atomo di carbonio centrale condivide i suoi quattro elettroni di valenza con quattro atomi di idrogeno, formando così quattro legami e soddisfacendo la regola dell'ottetto (per il carbonio) e la “regola del doppietto” (per ciascuno degli idrogeni). IMMAGINE La prossima molecola organica relativamente semplice da considerare è l'etano, la cui formula molecolare è C<sub>2</sub>H<sub>6</sub>. Se disegniamo separatamente il simbolo di Lewis di ogni atomo, possiamo vedere che la regola dell'ottetto/doppio può essere soddisfatta per tutti formando un legame carbonio-carbonio e sei legami carbonio-idrogeno. IMMAGINE Lo stesso approccio può essere utilizzato per le molecole in cui non è presente un atomo di carbonio. In una molecola d'acqua, il simbolo di Lewis dell'atomo di ossigeno ha due elettroni spaiati. Questi sono accoppiati con il singolo elettrone nei simboli di Lewis dei due legami covalenti O-H degli idrogeni. I restanti quattro elettroni non legati dell'ossigeno sono chiamati “coppie solitarie”. IMMAGINE Poiché gli elettroni solitari spesso NON sono mostrati nelle strutture chimiche, è importante vedere come aggiungere mentalmente le coppie solitarie. All'inizio può essere utile aggiungere fisicamente gli elettroni solitari. {| class="wikitable" |IMMAGINE |IMMAGINE |IMMAGINE |- |metilamina |etanolo |clorometano |} === Esercizio === Per la seguente struttura, inserisci tutti gli elettroni solitari mancanti. IMMAGINE ==== Soluzione ==== IMMAGINE Quando due o più elettroni vengono condivisi tra gli atomi, si forma un legame covalente multiplo. La formula molecolare dell'etene (noto anche come etilene, un composto presente nella frutta, come le mele, che ne segnala la maturazione) è C<sub>2</sub>H<sub>4</sub>. Disponendo i simboli di Lewis degli atomi, si può notare che la regola dell'ottetto/doppio può essere soddisfatta per tutti gli atomi solo se i due carboni condividono ''due'' coppie di elettroni tra loro. L'etene contiene un doppio legame carbonio/carbonio. IMMAGINE Seguendo questo schema, il triplo legame nell'etilene di formula molecolare C<sub>2</sub>H<sub>2</sub> (noto anche come acetilene, il combustibile utilizzato nelle torce per saldatura) si forma quando i due atomi di carbonio condividono ''tre'' coppie di elettroni tra loro. IMMAGINE === Esercizio === Disegna la struttura di Lewis dell'ammoniaca, NH<sub>3</sub>. ==== Soluzione ==== IMMAGINE === Forma molecolare === Il disegno di un bastone e di un cuneo di metano mostra gli angoli tetraedrici... (Il cuneo esce dalla carta e la linea tratteggiata va dietro la carta. Le linee solide sono nel piano del foglio). IMMAGINE Gli esempi che seguono fanno uso di questa notazione e illustrano anche l'importanza di includere le coppie di elettroni del guscio di valenza non leganti quando si visualizzano tali configurazioni. {| class="wikitable" |IMMAGINE |IMMAGINE |IMMAGINE |- |metano |ammoniaca |acqua |} Le configurazioni di legame sono prontamente previste dalla teoria della repulsione delle coppie di elettroni di valenza, comunemente indicata come VSEPR nella maggior parte dei testi di chimica introduttivi. Questo semplice modello si basa sul fatto che gli elettroni si respingono l'un l'altro e che è ragionevole aspettarsi che i legami e le coppie di elettroni di valenza non leganti associati a un dato atomo preferiscano essere il più distanti possibile. Le configurazioni di legame del carbonio sono facili da ricordare, poiché ne esistono solo tre categorie. {| class="wikitable" |} {| class="wikitable" !Configurazione !Partner di legame !Angoli di legame !Esempio |- align="CENTER" |Tetraedrico |4 |109.5º |IMMAGINE |- align="CENTER" |Trigonale Planare |3 |120º |IMMAGINE |- align="CENTER" |Lineare |2 |180º |IMMAGINE |} Nei tre esempi illustrati sopra, l'atomo centrale (carbonio) non ha elettroni di valenza non leganti; di conseguenza, la configurazione può essere stimata dal solo numero di partner di legame. Tuttavia, per le molecole di acqua e ammoniaca, gli elettroni non leganti devono essere inclusi nel calcolo. In ogni caso, ci sono quattro regioni di densità elettronica associate al guscio di valenza, per cui ci si aspetta un angolo di legame tetraedrico. Gli angoli di legame misurati di questi composti (H<sub>2</sub>O 104,5º e NH<sub>3</sub> 107,3º) mostrano che sono più vicini alla configurazione tetraedrica che a quella trigonale planare o lineare. Naturalmente, è la configurazione degli atomi (non gli elettroni) a definire la forma di una molecola, e in questo senso l'ammoniaca è detta piramidale (non tetraedrica). Il composto trifluoruro di boro, BF<sub>3</sub>, non ha elettroni di valenza non legati e la configurazione dei suoi atomi è trigonale. La teoria VSEPR è stata trattata in modo esauriente da Oxford e Purdue. Il modo migliore per studiare le forme tridimensionali delle molecole è utilizzare modelli molecolari. Molti tipi di kit di modelli sono disponibili per studenti e chimici professionisti. == Descrizione dei legami chimici - Teoria del legame di valenza == === Termini chiave === Assicurati di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * forza di legame * legame covalente * lunghezza del legame * legame sigma (σ) * legame pi (π) * teoria del legame di valenza === Teoria del legame di valenza === Mentre discutevamo su come utilizzare le strutture di Lewis per descrivere il legame nei composti organici, siamo stati finora molto vaghi nel nostro linguaggio riguardo alla natura effettiva dei legami chimici stessi. Sappiamo che un legame covalente implica la "condivisione" di una coppia di elettroni tra due atomi, ma come avviene questo e come porta alla formazione di un legame che tiene insieme i due atomi? Sono stati sviluppati due modelli principali per descrivere come si formano i legami covalenti: la teoria del legame di valenza e la teoria degli orbitali molecolari. La teoria del legame di valenza è utilizzata più spesso per descrivere i legami nelle molecole organiche. In questo modello, i legami covalenti si formano dalla sovrapposizione di due orbitali atomici su atomi diversi, ciascuno contenente un singolo elettrone. Gli elettroni si accoppiano nella sovrapposizione orbitale, legando insieme gli atomi. L'esempio più semplice di teoria del legame di valenza può essere dimostrato dalla molecola di H₂ . Dalla tavola periodica possiamo vedere che ogni atomo di idrogeno ha un singolo elettrone di valenza. Se due atomi di idrogeno si uniscono per formare un legame, allora ogni atomo di idrogeno condivide effettivamente entrambi gli elettroni e quindi ognuno assomiglia al gas nobile elio ed è più stabile. I due elettroni condivisi nella sovrapposizione orbitale sono rappresentati da un singolo trattino tra gli atomi. [[File:Teoria_del_legame_di_valenza.png|alt=Teoria del legame di valenza|centro]] La teoria del legame di valenza descrive un legame chimico come la sovrapposizione di orbitali atomici. Nel caso della molecola di idrogeno, l'orbitale 1s di un atomo di idrogeno si sovrappone all'orbitale 1s del secondo atomo di idrogeno per formare un orbitale molecolare chiamato legame sigma, che contiene due elettroni di spin opposto. L'attrazione reciproca tra questa coppia di elettroni caricati negativamente e i nuclei dei due atomi caricati positivamente serve a collegare fisicamente i due atomi attraverso una forza che definiamo legame covalente. La forza di un legame covalente dipende dall'entità della sovrapposizione degli orbitali coinvolti. Gli orbitali che si sovrappongono ampiamente formano legami più forti di quelli che hanno una sovrapposizione minore. [[File:Electron-pair bond.png|centro|senza_cornice]] Un'altra caratteristica importante del legame covalente in H₂ è importante da considerare a questo punto. I due orbitali 1s sovrapposti possono essere visualizzati come due palloncini sferici premuti l'uno contro l'altro. Ciò significa che il legame ha ''simmetria'' '''cilindrica:''' se prendessimo un piano di sezione trasversale del legame in un punto qualsiasi, formerebbe un cerchio. Questo tipo di legame è chiamato legame '''σ (sigma)'''. [[File:Sigma_bonds.png|alt=Sigma bonds|centro]] L'energia del sistema dipende da quanto si sovrappongono gli orbitali. Il diagramma energetico sottostante illustra come la somma delle energie di due atomi di idrogeno (la curva colorata) cambia man mano che si avvicinano. Quando gli atomi sono molto distanti non c'è sovrapposizione e, per convenzione, fissiamo la somma delle energie a zero. Quando gli atomi si avvicinano, i loro orbitali iniziano a sovrapporsi. Ogni elettrone inizia a sentire l'attrazione del nucleo dell'altro atomo. Inoltre, gli elettroni iniziano a respingersi, così come i nuclei. Finché gli atomi sono ancora ampiamente separati, le attrazioni sono leggermente più forti delle repulsioni e l'energia del sistema diminuisce. (Inizia a formarsi un legame.) Man mano che gli atomi si avvicinano, la sovrapposizione aumenta, quindi l'attrazione dei nuclei per gli elettroni continua ad aumentare (così come le repulsioni tra gli elettroni e tra i nuclei). A una certa distanza tra gli atomi, che varia a seconda degli atomi coinvolti, l'energia raggiunge il suo valore più basso (il più stabile). Questa distanza ottimale tra i due nuclei legati è chiamata lunghezza di legame tra i due atomi. Il legame è stabile perché a questo punto le forze attrattive e repulsive si combinano per creare la configurazione a più bassa energia possibile. [[File:Internuclear_distance.png|alt=Internuclear distance|centro|miniatura|Figura 1.5.2​  : Un grafico dell'energia potenziale in funzione della distanza internucleare per l'interazione tra due atomi di idrogeno gassoso]] Questa distanza internucleare ottimale è la '''lunghezza del legame''' . Per la molecola di H<sub>2</sub>, la distanza è di 74 µm (picometri, 10-12 metri ). Allo stesso modo, la differenza di energia potenziale tra lo stato energetico più basso (alla distanza internucleare ottimale) e lo stato in cui i due atomi sono completamente separati è chiamata '''energia di dissociazione del legame,''' o, più semplicemente ''', forza del legame'''. Per la molecola di idrogeno, la forza del legame HH è pari a circa 435 kJ/mol. Ciò significa che ci vorrebbero 435 kJ per rompere una mole di legami HH. Ogni legame covalente in una data molecola ha una lunghezza e una forza caratteristiche. In generale, la lunghezza di un tipico legame singolo carbonio-carbonio in una molecola organica è di circa 150 µm, mentre i doppi legami carbonio-carbonio sono di circa 130 µm, i doppi legami carbonio-ossigeno sono di circa 120 µm e i legami carbonio-idrogeno sono compresi tra 100 e 110 µm. La forza dei legami covalenti nelle molecole organiche varia da circa 234 kJ/mole per un legame carbonio-iodio (nell'ormone tiroideo, ad esempio), a circa 410 kJ/mole per un tipico legame carbonio-idrogeno e fino a oltre 800 kJ/mole per un triplo legame carbonio-carbonio. {| class="wikitable" |+Tabella: Energie e lunghezze di legame rappresentative !Legame !Lunghezza (pm) !Energia (kJ/mol) ! !Legame !Lunghezza (pm) !Energia (kJ/mol) |- |HH |74 |436 | |CO |140.1 |358 |- |HC |106.8 |413 | |C=O |119.7 |745 |- |HN |101.5 |391 | |C≡O |113.7 |1072 |- |HO |97,5 |467 | |H-Cl |127,5 |431 |- |CC |150,6 |347 | |H-Br |141.4 |366 |- |C=C |133,5 |614 | |CIAO |160.9 |298 |- |C≡C |120,8 |839 | |OO |148 |146 |- |CN |142.1 |305 | |O=O |120,8 |498 |- |C=N |130.0 |615 | |FF |141.2 |159 |- |C≡N |116.1 |891 | |Cl-Cl |198,8 |243 |} === Esercizi === 1) Il seguente diagramma energetico, energia vs. distanza intermolecolare, si riferisce a una molecola di fluoro (F<sub>2</sub>) . Descrivi l'importanza dei punti A, B e C sul grafico. === Soluzioni === A - Sono presenti forze repulsive, i nuclei sono troppo vicini tra loro . B - Distanza ottimale tra i due orbitali per avere un legame (la lunghezza del legame) C - Non è possibile formare un legame, gli orbitali sono troppo distanti. == Orbitali ibridi sp<sup>3</sup> e la struttura del metano == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * angolo di legame * ibridazione * ibrido sp<sup>3</sup> === Teoria del legame di valenza === La teoria del legame di valenza, che utilizza orbitali atomici sovrapposti per spiegare come si formano i legami chimici, funziona bene in molecole biatomiche semplici come l'H<sub>2</sub>. Tuttavia, quando le molecole con più di due atomi formano legami stabili, è necessario un modello più dettagliato. Un buon esempio è il metano (CH<sub>4</sub>). Secondo la teoria dei legami di valenza, la struttura di una specie covalente può essere rappresentata con una struttura di Lewis. [[File:Chemorg_1.6.1.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Sperimentalmente, è stato dimostrato che i quattro legami carbonio-idrogeno nella molecola del metano sono identici, cioè hanno la stessa energia di legame e la stessa lunghezza di legame. Inoltre, la teoria VSEPR suggerisce che la geometria dell'atomo di carbonio nella molecola del metano è tetraedrica (2), ed esistono numerose prove teoriche e sperimentali a sostegno di questa previsione. [[File:Chemorg_1.6.2.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Secondo la teoria dei legami di valenza, un legame covalente si forma quando un elettrone spaiato di un atomo si sovrappone a un elettrone spaiato di un altro atomo. Consideriamo ora la configurazione elettronica dei quattro elettroni di valenza del carbonio. [[File:Chemorg_1.6.3.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Esiste una grave discrepanza tra la configurazione elettronica del carbonio (angolo di legame 1 previsto dal VSEPR e i dati sperimentali. Infine, esistono due orbitali diversi, 2, che creerebbero legami C-H di tipo diverso. Come già detto, sperimentalmente i quattro legami carbonio-idrogeno nella molecola del metano sono identici. === Orbitali ibridi === Una risposta ai problemi sopra esposti fu offerta nel 1931 da Linus Pauling. Egli dimostrò matematicamente che un orbitale s e tre orbitali. ==== Ideali importanti per comprendere l'ibridazione ==== # Gli orbitali ibridi non esistono negli atomi isolati. Si formano solo negli atomi legati covalentemente. # Gli orbitali ibridi hanno forme e orientamenti molto diversi da quelli degli orbitali atomici degli atomi isolati. # Un insieme di orbitali ibridi è generato dalla combinazione di orbitali atomici. Il numero di orbitali ibridi in un insieme è uguale al numero di orbitali atomici che sono stati combinati per produrre l'insieme. # Tutti gli orbitali di un insieme di orbitali ibridi sono equivalenti per forma ed energia. # Il tipo di orbitali ibridi formati in un atomo legato crea la geometria molecolare prevista dalla teoria VSEPR. # Gli orbitali ibridi si sovrappongono per formare legami σ. # Gli elettroni a coppia solitaria sono spesso contenuti in orbitali ibridi. === Ibridazione sp<sup>3</sup> nel metano === Per spiegare questa osservazione, la teoria del legame di valenza si basa su un concetto chiamato '''ibridazione orbitale'''. In questa figura, i quattro orbitali di valenza del carbonio (un orbitale 2s e tre orbitali 2p) si combinano matematicamente (ricordate: gli orbitali sono descritti da equazioni) per formare quattro '''orbitali ibridi''' equivalenti, che vengono chiamati '''orbitali sp<sup>3</sup>''' perché si formano mescolando un orbitale s e tre orbitali p. Nella nuova configurazione elettronica, ciascuno dei quattro elettroni di valenza del carbonio occupa un singolo orbitale sp<sup>3</sup>, creando quattro elettroni spaiati. [[File:Chemorg_1.6.4.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] La forma di un orbitale ibridato sp<sup>3</sup> è una combinazione di orbitali atomici s e p. [[File:Chemorg_1.6.5.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] Ogni orbitale ibrido sp<sup>3</sup> contiene un elettrone e gli elettroni si respingono. Per ridurre al minimo la repulsione tra gli elettroni, i quattro orbitali sp<sup>3</sup>-ibridati si dispongono intorno al nucleo del carbonio in modo da essere il più lontano possibile l'uno dall'altro, dando luogo alla disposizione tetraedrica prevista da VSPER. L'atomo di carbonio nel metano è chiamato “atomo di carbonio ibridizzato sp<sup>3</sup>”. I lobi più grandi degli ibridi sp<sup>3</sup> sono diretti verso i quattro angoli di un tetraedro, il che significa che l'angolo tra due orbitali qualsiasi è 109,5°. [[File:Chemorg_1.6.6.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] === Legami nel metano === Ogni legame C-H nel metano, quindi, può essere descritto come una sovrapposizione tra un orbitale 1s riempito a metà in quattro atomi di idrogeno e il lobo più grande di uno dei quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> riempiti a metà formano un legame sigma (σ) equivalente. Questa sovrapposizione di orbitali è spesso descritta con la notazione: sp<sup>3</sup>(C)-1s(H). La formazione di orbitali ibridi sp<sup>3</sup> spiega con successo la struttura tetraedrica del metano e l'equivalenza dei quattro legami C-H. Resta da spiegare perché si formano gli orbitali ibridi sp<sup>3</sup>. Quando gli orbitali s e 3 p del carbonio si ibridano, l'orbitale ibrido sp<sup>3</sup> risultante è asimmetrico, con un lobo più grande dell'altro. Ciò significa che il lobo più grande può sovrapporsi più efficacemente agli orbitali di altri legami, rendendoli più forti. L'ibridazione consente al carbonio di formare legami più forti di quelli che avrebbe con orbitali s o p non ibridati. [[File:Chemorg_1.6.7.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] I quattro legami carbonio-idrogeno nel metano sono equivalenti e hanno tutti una lunghezza di legame di 109 pm (1,09 x 10-10 m), una forza di legame di 429 kJ/mol. Tutti gli angoli di legame H-C-H sono 109,5°. [[File:Chemorg_1.6.8.svg|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] [[File:Chemorg_1.6.9.png|centro|senza_cornice|Chemorg 1.6]] === Guarda da vicino: Linus Pauling === Probabilmente il chimico più influente del XX secolo, Linus Pauling (1901-1994) è l'unica persona ad aver vinto due premi Nobel individuali (cioè non condivisi). Negli anni '30, Pauling utilizzò nuove teorie matematiche per enunciare alcuni principi fondamentali del legame chimico. Il suo libro del 1939, ''The Nature of the Chemical Bond'', è uno dei libri più significativi mai pubblicati in chimica. Il grande contributo di Pauling alla chimica fu la teoria del legame di valenza, che combinava la sua conoscenza della teoria meccanica quantistica con la conoscenza di fatti chimici fondamentali, come la lunghezza e la forza dei legami e la forma delle molecole. La teoria del legame di valenza, come la teoria del legame di Lewis, fornisce un modello semplice che è utile per prevedere e comprendere le strutture delle molecole, soprattutto per la chimica organica. . Nel 1935, l'interesse di Pauling si rivolse alle molecole biologiche e gli fu assegnato il Premio Nobel per la Chimica 1954 per il suo lavoro sulla struttura delle proteine. (Era molto vicino a scoprire la struttura a doppia elica del DNA quando James Watson e James Crick annunciarono la loro scoperta della sua struttura nel 1953). In seguito gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 1962 per i suoi sforzi volti a vietare i test sulle armi nucleari. [[File:Chemorg_1.6.10.jpg|centro|miniatura|Linus Pauling è stato uno dei chimici più influenti del XX secolo.]] Negli ultimi anni, Pauling si convinse che grandi dosi di vitamina C avrebbero prevenuto le malattie, compreso il comune raffreddore. La maggior parte delle ricerche cliniche non riuscì a dimostrare l'esistenza di un legame, ma Pauling continuò ad assumere grandi dosi quotidiane. Morì nel 1994, dopo aver trascorso una vita intera a creare un'eredità scientifica che pochi potranno mai eguagliare. == Orbitali ibridi sp³ e struttura dell'etano == === Legame di etano === La molecola più semplice con un legame carbonio-carbonio è l'etano, C<sub>2</sub>H<sub>6</sub>. [[File:Rappresentrazioni_di_etano.svg|alt=Rappresentrazioni di etano|centro|miniatura|'''Rappresentazioni dell'Etano''']] Nell'etano (CH<sub>3</sub>CH<sub>3</sub>) , entrambi gli atomi di carbonio sono ibridati sp<sup>3</sup>'', il che'' significa che entrambi hanno quattro legami con geometria tetraedrica. Un orbitale ''sp<sup>3</sup> di un atomo'' di carbonio si sovrappone, uno all'altro, a un orbitale sp<sup>3</sup> ''del'' secondo atomo di carbonio per formare un legame ''σ'' carbonio-carbonio. Questa sovrapposizione orbitale è spesso descritta usando la notazione: ''sp<sup>3</sup>'' (C)-sp<sup>3</sup> (C). Ciascuno dei rimanenti orbitali ibridi ''sp<sup>3</sup>'' si sovrappone all'orbitale ''s'' di un atomo di idrogeno per formare legami σ carbonio-idrogeno. [[File:Legame_di_etano_1.svg|alt=Legame di etano 1|centro]] Il legame carbonio-carbonio σ ha una lunghezza di legame di 154 µm e una forza di legame di 377 kJ/mol. I legami carbonio-idrogeno σ sono leggermente più deboli, 421 kJ/mol, rispetto a quelli del metano. Gli angoli di legame CCH nell'etano sono di 111,2°, un valore prossimo a quello previsto per le molecole tetraedriche. [[File:Legame_di_etano_2.svg|alt=Legame di etano 2|centro]] L'orientamento dei due gruppi CH<sub>2</sub> non è fisso l'uno rispetto all'altro. Poiché si formano dalla sovrapposizione di due orbitali, i legami ''sigma sono liberi di ruotare.'' Ciò significa, nel caso della molecola di etano, che i due gruppi metilici (CH<sub>2</sub>) possono essere rappresentati come due ruote su un mozzo, ciascuna in grado di ruotare liberamente rispetto all'altra. [[File:Legame_di_etano_3.svg|alt=Legame di etano 3|centro]] ===== '''Come lo sapevano?''' ===== La geometria tetraedrica del carbonio fu prevista già nel 1874. Ma come lo sapevano? Un interrogativo emerse analizzando l'etano con un sostituente bromo (C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br ). Esaminando le possibili strutture del composto C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br, si individuano diverse possibili formule strutturali. Un serio problema era se queste formule rappresentassero gli stessi composti o composti diversi. Tutto ciò che si sapeva all'inizio era che ogni campione purificato di C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br , indipendentemente dal modo in cui era stato preparato, aveva un punto di ebollizione di 38 ° C e una densità di 1,460 gml<sup>−1</sup>. Inoltre, tutti avevano lo stesso aspetto , lo stesso odore e subivano le stesse reazioni chimiche. Non c'erano prove che C<sub>2</sub>H<sub>5</sub>Br fosse una miscela o che si potesse preparare più di un composto con questa formula. Si potrebbe quindi concludere che tutte le formule strutturali sopra riportate rappresentano una singola sostanza , ma come? Una brillante soluzione al problema arrivò quando JH van't Hoff propose che tutti e quattro i legami del carbonio fossero equivalenti e diretti verso i vertici di un tetraedro regolare. Se ridisegnamo le strutture di C₂H₂Br con entrambi gli atomi di carbonio a geometria tetraedrica, vediamo che esiste una sola disposizione possibile. Questa teoria allude all'idea di libera rotazione attorno ai legami sigma, che sarà discussa più avanti. [[File:Legame_di_etano_4.png|alt=Legame di etano 4|centro]] [[File:Chemorg_1.7.6.png|centro|chemorg]] == Orbitali ibridi sp² e struttura dell'etilene == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * legame pi greco (π) * ibrido sp<sup>2</sup> === Legami nell'etilene === Finora la teoria dei legami di valenza è stata in grado di descrivere il legame nelle molecole contenenti solo legami singoli. Tuttavia, quando le molecole contengono legami doppi o tripli, il modello richiede maggiori dettagli. L'etilene (comunemente noto come etene), CH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>, è la molecola più semplice che contiene un doppio legame carbonio-carbonio. La struttura di Lewis dell'etilene indica la presenza di un doppio legame carbonio-carbonio e di quattro legami singoli carbonio-idrogeno. Sperimentalmente, è stato dimostrato che i quattro legami carbonio-idrogeno nella molecola di etilene sono identici. Poiché ogni carbonio è circondato da tre gruppi di elettroni, secondo la teoria VSEPR la molecola dovrebbe avere una geometria trigonale planare. Sebbene ogni carbonio abbia soddisfatto il requisito di tetravalenza, un legame appare diverso. È evidente che si tratta di un altro tipo di sovrapposizione di orbitali. [[File:Chemorg_1.8.1.svg|centro|chemorg 1.8]] I legami sigma che si formano nell'etene sono dovuti alla partecipazione di un diverso tipo di orbitale ibrido. Tre orbitali atomici su ciascun carbonio - 2s, 2p<sub>x</sub> e 2p<sub>y</sub> - si combinano per formare tre orbitali ibridi sp<sub>2</sub>, lasciando l'orbitale 2p<sub>z</sub> non ibridato. Tre dei quattro elettroni di valenza di ciascun carbonio sono distribuiti nei tre orbitali ibridi sp<sup>2</sup>, mentre l'elettrone rimanente va nell'orbitale p<sub>z</sub> non ibridato. Ogni carbonio dell'etene è detto “carbonio ibrido sp<sup>2</sup>”. La configurazione elettronica del carbonio ibridato sp<sup>2</sup> mostra che ci sono quattro elettroni spaiati per formare legami. Tuttavia, gli elettroni spaiati sono contenuti in due tipi diversi di orbitali, quindi è prevedibile che si formino due tipi diversi di legami. [[File:Chemorg_1.8.2.svg|centro]] È stato dimostrato matematicamente che la forma dell'orbitale sp<sup>2</sup> ibridato è all'incirca uguale a quella dell'orbitale sp<sup>3</sup> ibridato. Per minimizzare la repulsione tra gli elettroni, i tre orbitali sp<sup>2</sup> ibridati sono disposti con una geometria trigonale planare. Ogni lobo orbitale punta ai tre angoli di un triangolo equilatero, con angoli di 120° tra loro. Anche in questo caso, geometria e ibridazione possono essere collegate. Si può dire che gli atomi circondati da tre gruppi di elettroni hanno una geometria planare trigonale e un'ibridazione sp<sup>2</sup>. [[File:Chemorg_1.8.3.png|centro|chemorg 1.8]] L'orbitale 2p<sub>z</sub> non ibrido è ''perpendicolare'' al piano degli orbitali ibridi sp<sup>2</sup> trigonali planari. [[File:Chemorg_1.8.4.png|centro|chemorg 1.8]] Nella molecola di etilene, ogni atomo di carbonio è legato a due atomi di idrogeno. Pertanto, per i legami sigma C-H nell'etilene si sovrappongono due orbitali ibridi sp<sup>2</sup> con gli orbitali 1s di due atomi di idrogeno (sp<sup>2</sup>(C)-1s(H)). Di conseguenza, coerentemente con le osservazioni, i quattro legami carbonio-idrogeno nell'etilene sono identici. [[File:Chemorg_1.8.5.png|centro|chemorg 1.8]] Il legame sigma C-C nell'etilene è formato dalla sovrapposizione di un orbitale ibrido sp<sup>2</sup> di ciascun carbonio. [[File:Chemorg_1.8.6.png|centro|chemorg 1.8]] La sovrapposizione di orbitali ibridi o di un orbitale ibrido e di un orbitale 1s dell'idrogeno crea la struttura del legame sigma della molecola di etilene. Tuttavia, l'orbitale p<sub>z</sub> non ibrido su ciascun carbonio rimane. [[File:Chemorg_1.8.7.png|centro|chemorg 1.8]] Gli orbitali p<sub>z</sub> non ibridati su ciascun carbonio si sovrappongono a un legame π (pi greco). La sovrapposizione degli orbitali è comunemente scritta come pz(C)-1p<sub>z</sub>(C). In generale, i legami multipli nei composti molecolari sono formati dalla sovrapposizione di orbitali p non ibridati. Va notato che il doppio legame carbonio-carbonio nell'etilene è costituito da due diversi tipi di legame, uno sigma e uno pi greco. [[File:Chemorg_1.8.8.png|centro|chemorg 1.8]] Nel complesso, si dice che l'etilene contenga cinque legami sigma e un legame pi greco. I legami pi greco tendono a essere più deboli dei legami sigma perché la sovrapposizione laterale degli orbitali p determina una sovrapposizione orbitale meno efficace rispetto alla sovrapposizione orbitale end-to-end di un legame sigma. Questo rende il legame pi greco molto più facile da rompere, il che è una delle idee più importanti nelle reazioni di chimica organica. [[File:Chemorg_1.8.9.svg|centro|chemorg 1.8]] Si dice che una molecola di etilene sia costituita da cinque legami sigma e un legame pi greco. I tre orbitali ibridi sp<sup>2</sup> su ciascun carbonio si orientano per creare la geometria trigonale planare di base. L'angolo di legame H-C-C nell'etilene è di 121,3<sup>o</sup>, molto vicino ai 120<sup>o</sup> previsti dal VSEPR. I quattro legami C-H sigma nell'etilene. Il doppio legame carbonio-carbonio nell'etilene è più corto (133,9 pm) e quasi due volte più forte (728 kJ/mol) del legame singolo carbonio-carbonio (154 pm e 377 kJ/mol). Ciascuno dei quattro legami carbonio-idrogeno nell'etilene sono equivalenti e hanno una lunghezza di 108,7 pm. [[File:Chemorg_1.8.10.svg|centro|chemorg 1.8]] === Rigidità nell'etene === Essendo il risultato di una sovrapposizione side-by-side (anziché end-to-end come nel caso del legame sigma), '''i legami pi greco non sono liberi di ruotare'''. Se si verificasse una rotazione intorno a questo legame, si dovrebbe interrompere la sovrapposizione laterale tra i due orbitali 2p<sup>z</sup> che costituiscono il legame pi. Se si verificasse una rotazione libera, gli orbitali p dovrebbero attraversare una fase in cui si trovano a 90° l'uno dall'altro, il che romperebbe il legame pi greco perché non ci sarebbe più sovrapposizione. Poiché il legame pi greco è essenziale per la struttura dell'etene, non deve rompersi, quindi non ci può essere rotazione libera intorno al legame sigma carbonio-carbonio. La presenza del legame pi greco “blocca” i sei atomi dell'etene nello stesso piano. [[File:Chemorg_1.8.11.jpg|centro|chemorg 1.8]] === Esercizio === 1) a: Descrivi gli orbitali che si sovrappongono al legame sigma carbonio-azoto e al legame pie nella molecola sottostante: [[File:Chemorg_1.8.13.png|centro|chemorg 1.8]] b: Quale tipo di orbitale contiene la coppia solitaria dell'azoto? 2) Per la seguente molecola, indica quali atomi sono tenuti sullo stesso piano dal doppio legame carbonio-carbonio: [[File:Chemorg_1.8.14.png|centro|chemorg 1.8]] ==== Soluzioni ==== 1) a) Gli atomi di carbonio e azoto sono entrambi ibridati sp<sup>2</sup>. Il doppio legame carbonio-azoto è composto da un legame sigma formato da due orbitali sp<sup>2</sup> e da un legame pi greco formato dalla sovrapposizione di due orbitali 2p non ibridati. [[File:Chemorg_1.8.15.png|centro|chemorg 1.8]] b) Come mostrato nella figura precedente, gli elettroni solitari dell'azoto occupano uno dei tre orbitali ibridi sp<sup>2</sup>. 2) [[File:Chemorg_1.8.16.png|centro|chemorg 1.8]] == Ibridazione di azoto, ossigeno, fosforo e zolfo == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * elettroni a coppia solitaria === Note di studio === L'azoto si trova spesso nei composti organici. Come gli atomi di carbonio, gli atomi di azoto possono essere sp<sup>3</sup>-, sp<sup>2</sup>- o sp-ibridati. In questo corso, il termine “coppia solitaria” viene utilizzato per descrivere una coppia di elettroni non condivisa. Il concetto di legame di valenza dell'ibridazione orbitale può essere estrapolato ad altri atomi, tra cui azoto, ossigeno, fosforo e zolfo. In altri composti, i legami covalenti che si formano possono essere descritti utilizzando orbitali ibridi. === L'azoto === ==== Legami in NH<sub>3</sub> ==== L'azoto in NH<sub>3</sub> ha cinque elettroni di valenza. Dopo l'ibridazione, questi cinque elettroni sono collocati nei quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> equivalenti. La configurazione elettronica dell'azoto presenta ora un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> completamente riempito con due elettroni e tre orbitali ibridi sp<sup>3</sup> con un elettrone spaiato ciascuno. I due elettroni nell'orbitale ibrido sp<sup>3</sup> pieno sono considerati non leganti perché già appaiati. Questi elettroni saranno rappresentati come una coppia solitaria nella struttura dell'NH<sub>3</sub>. I tre elettroni non appaiati negli orbitali ibridi sono considerati leganti e si sovrapporranno agli orbitali s dell'idrogeno per formare legami sigma N-H. Nota! Questa configurazione di legame è stata prevista dalla struttura di Lewis dell'NH<sub>3</sub>. [[File:Chemorg_1.10.1.svg|centro|chemorg 1.10]] I quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> dell'azoto si orientano a formare una geometria tetraedrica. I tre legami sigma N-H dell'NH<sub>3</sub> sono formati dalla sovrapposizione degli orbitali sp<sup>3</sup>(N)-1s(H). Il quarto orbitale ibrido sp<sup>3</sup> contiene i due elettroni della coppia solitaria e non è direttamente coinvolto nel legame. [[File:Chemorg_1.10.2.png|centro|chemorg 1.10]] ==== Ammina metilica ==== L'azoto è ibridato sp<sup>3</sup>, il che significa che possiede quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup>. Due degli orbitali ibridati sp<sup>3</sup> si sovrappongono agli orbitali s degli idrogeni per formare i due legami sigma N-H. Uno degli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> si sovrappone a un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> del carbonio per formare il legame sigma C-N. Gli elettroni solitari dell'azoto sono contenuti nell'ultimo orbitale ibridato sp<sup>3</sup>. A causa dell'ibridazione sp<sup>3</sup>, l'azoto ha una geometria tetraedrica. Tuttavia, gli angoli dei legami H-N-H e H-N-C sono inferiori ai tipici 109,5° a causa della compressione operata dagli elettroni solitari. [[File:Chemorg_1.10.3.svg|centro|chemorg 1.10]] === L'ossigeno === ==== Legami in H<sub>2</sub>O ==== L'ossigeno in H<sub>2</sub>O ha sei elettroni di valenza. Dopo l'ibridazione, questi sei elettroni sono collocati nei quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> equivalenti. La configurazione elettronica dell'ossigeno presenta ora due orbitali ibridi sp<sup>3</sup> completamente riempiti con due elettroni e due orbitali ibridi sp<sup>3</sup> con un elettrone spaiato ciascuno. Gli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> riempiti sono considerati non leganti perché già appaiati. Questi elettroni saranno rappresentati come due serie di coppie solitarie sulla struttura di H<sub>2</sub>O. I due elettroni spaiati negli orbitali ibridi sono considerati leganti e si sovrapporranno agli orbitali s dell'idrogeno per formare legami O-H sigma. Nota! Questa configurazione di legame è stata prevista dalla struttura di Lewis di H<sub>2</sub>O. [[File:Chemorg_1.10.4.svg|centro|chemorg 1.10]] I quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup> dell'ossigeno si orientano a formare una geometria tetraedrica. I due legami sigma O-H di H<sub>2</sub>O sono formati dalla sovrapposizione degli orbitali sp<sup>3</sup>(O)-1s(H). I due orbitali ibridi sp<sup>3</sup> rimanenti contengono ciascuno due elettroni sotto forma di coppia solitaria. [[File:Chemorg_1.6.9.png|alt=Chemorg 1.6.9|centro]] === Metanolo === L'ossigeno è ibridato sp<sup>3</sup>, il che significa che ha quattro orbitali ibridi sp<sup>3</sup>. Uno degli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> si sovrappone agli orbitali s di un idrogeno per formare i legami sigma O-H. Uno degli orbitali ibridi sp<sup>3</sup> si sovrappone a un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> del carbonio per formare il legame sigma C-O. Entrambe le serie di elettroni solitari sull'ossigeno sono contenute nel restante orbitale ibridato sp<sup>3</sup>. A causa dell'ibridazione sp<sup>3</sup>, l'ossigeno ha una geometria tetraedrica. Tuttavia, gli angoli di legame H-O-C sono inferiori ai tipici 109,5° a causa della compressione da parte degli elettroni solitari. [[File:Chemorg_1.10.5.svg|centro|chemorg 1.10]] === Fosforo === ==== Fosfato di metile ==== Lo schema di legame del fosforo è analogo a quello dell'azoto, poiché entrambi si trovano nel periodo 15. Tuttavia, il fosforo può avere ottetti espansi perché si trova nella riga n = 3. Tuttavia, il fosforo può avere degli ottetti espansi perché si trova nella riga n = 3. In genere, il fosforo forma cinque legami covalenti. Nelle molecole biologiche, il fosforo si trova solitamente negli organofosfati. Gli organofosfati sono costituiti da un atomo di fosforo legato a quattro ossigeni, con uno degli ossigeni legato anche a un carbonio. Nel metilfosfato, il fosforo è ibridato sp<sup>3</sup> e l'angolo di legame O-P-O varia da 110° a 112°. [[File:Chemorg_1.10.6.svg|centro|chemorg 1.10]] === Zolfo === ==== Metanolo e solfuro di dimetile ==== Lo zolfo ha uno schema di legame simile a quello dell'ossigeno perché entrambi si trovano nel periodo 16 della tavola periodica. Poiché lo zolfo si trova nella terza fila della tavola periodica, ha la capacità di formare un ottetto espanso e la capacità di formare un numero di legami covalenti superiore a quello tipico. Nei sistemi biologici, lo zolfo si trova tipicamente in molecole chiamate tioli o solfuri. In un tiolo, l'atomo di zolfo è legato a un idrogeno e a un carbonio ed è analogo al legame O-H di un alcol. In un solfuro, lo zolfo è legato a due carboni. Il più semplice esempio di tiolo è il tiolo del metano (CH<sub>3</sub>SH) e il più semplice esempio di solfuro è il dimetilsolfuro [(CH<sub>3</sub>)<sub>3</sub>S]. In entrambi i casi lo zolfo è ibridato sp<sup>3</sup>, ma gli angoli di legame dello zolfo sono molto inferiori ai tipici 109,5° tetraedrici, essendo rispettivamente 96,6° e 99,1°. [[File:Chemorg_1.10.7.svg|centro|miniatura|metanolo]] [[File:Chemorg_1.10.8.svg|centro|miniatura|solfuro di dimetile]] === Esercizi === 1) Inserisci le coppie di elettroni solitari mancanti nelle seguenti molecole e scrivi quale ibridazione ti aspetti per ciascuno degli atomi indicati. a) L'ossigeno è dimetiletere: [[File:Chemorg_1.10.9.svg|centro|chemorg 1.10]] b) L'azoto nella dimetil amina: [[File:Chemorg_1.10.10.png|centro|chemorg 1.10]] c) Il fosforo nella fosfina: [[File:Chemorg_1.10.11.png|centro|chemorg 1.10]] d) Lo zolfo nell'idrogeno solforato: [[File:Chemorg_1.10.12.png|centro|chemorg 1.10]] ==== Soluzioni ==== 1) a) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.13.png|centro|chemorg 1.10]] b) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.14.png|centro|chemorg 1.10]] c) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.15.png|centro|chemorg 1.10]] d) ibridazione sp<sup>3</sup> [[File:Chemorg_1.10.16.png|centro|chemorg 1.10]] == Rappresentare le strutture chimiche == === Note di studio === Quando si disegna la struttura di un composto organico neutro, è utile ricordare che * ogni atomo di carbonio ha quattro legami. * ogni atomo di azoto ha tre legami * ogni atomo di ossigeno ha due legami * ogni atomo di idrogeno ha un legame. Attraverso la chimica generale, potreste aver già avuto modo di osservare le strutture molecolari utilizzando le strutture di Lewis. Poiché la chimica organica può coinvolgere molecole di grandi dimensioni, sarebbe utile che le strutture di Lewis potessero essere abbreviate. I tre diversi modi di disegnare le molecole organiche comprendono le '''formule di Kekulé''', le '''formule condensate''' e le '''strutture scheletriche''' (chiamate anche strutture a legami lineari o formule lineari). Durante questo corso, si vedranno molecole scritte in tutte e tre le forme. Sarà più utile se vi sentirete a vostro agio nel passare da uno stile di disegno all'altro, osservando i disegni e capendo cosa rappresentano. Sviluppare la capacità di convertire tra i diversi tipi di formule richiede pratica e, nella maggior parte dei casi, l'aiuto di modelli molecolari. Molti tipi di kit di modelli sono disponibili per gli studenti e i chimici professionisti, e lo studente principiante è incoraggiato a procurarsene uno. La semplificazione delle formule strutturali può essere ottenuta senza alcuna perdita di informazioni. Le formule di Kekule sono solo il termine della chimica organica per le strutture di Lewis già incontrate in precedenza. Nelle '''formule strutturali condensate''', i legami con ogni carbonio sono omessi, ma ogni unità strutturale distinta (gruppo) è scritta con numeri di pedice che designano più sostituenti, compresi gli idrogeni. Le '''formule lineari''' omettono completamente i simboli del carbonio e dell'idrogeno (a meno che l'idrogeno non sia legato a un atomo diverso dal carbonio). Ogni segmento di linea retta rappresenta un legame, le estremità e le intersezioni delle linee sono atomi di carbonio e il numero corretto di idrogeni è calcolato dalla tetravalenza del carbonio. Gli elettroni del guscio di valenza non legati sono omessi in queste formule. === Kekulé (alias strutture di Lewis) === Una formula di Kekulé o formula strutturale mostra gli atomi della molecola nell'ordine in cui sono legati. Inoltre, mostra il modo in cui gli atomi sono legati l'uno all'altro, ad esempio il legame covalente singolo, doppio e triplo. I legami covalenti sono rappresentati da linee. Il numero di trattini indica se il legame è singolo, doppio o triplo. Vengono mostrate tutte le etichette degli atomi e tutte le coppie solitarie. {| class="wikitable" |[[File:Chemorg_1.12.1.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.2.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.3.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |'''A''' |'''B''' |'''C''' |} === Formula condensata === Una formula condensata è costituita dai simboli degli elementi. Le formule strutturali condensate mostrano l'ordine degli atomi come una formula strutturale, ma sono scritte in un'unica riga per risparmiare spazio e renderne più comoda e veloce la scrittura. L'ordine degli atomi suggerisce la connettività della molecola. Le formule strutturali condensate sono utili anche per mostrare che un gruppo di atomi è collegato a un singolo atomo in un composto. In questo caso, si usano le parentesi intorno al gruppo di atomi per indicare che sono insieme. Inoltre, se a un dato atomo è collegato più di un sostituente, questo viene indicato con un numero di pedice. Un esempio è CH<sub>4</sub>, che rappresenta quattro idrogeni attaccati allo stesso carbonio. Le formule condensate possono essere lette in entrambi i sensi e H<sub>3</sub>C è uguale a CH<sub>3</sub>, anche se quest'ultimo è più comune. Guardate gli esempi qui sotto e abbinateli alla loro molecola identica sotto le strutture di Kekulé e le formule lineari. {| class="wikitable" |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>OH |ClCH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>CH(OCH<sub>3</sub>)CH<sub>3</sub> |CH<sub>3</sub>NHCH<sub>2</sub>COOH |- |'''A''' |'''B''' |'''C''' |} Osserviamo da vicino l'esempio B. Quando si esamina una formula condensata, è bene concentrarsi sui carboni e sugli altri elementi che non sono idrogeno. Gli idrogeni sono importanti, ma di solito sono presenti per completare gli ottetti. Inoltre, si noti che l'elemento -OCH<sub>3</sub> è scritto tra parentesi, il che indica che non fa parte della catena principale di carboni. Quando si legge una formula condensata, se si raggiunge un atomo che non ha un ottetto completo quand3o si arriva all'idrogeno successivo, è possibile che ci siano doppi o tripli legami. Nell'esempio C, il carbonio è legato a doppio filo con l'ossigeno e a singolo filo con un altro ossigeno. Si noti che COOH significa C(=O)-O-H invece di CH<sub>3</sub>-C-O-O-H perché il carbonio non ha un ottetto completo e ossigeni. === Formula lineare === Poiché i composti organici possono essere talvolta complessi, le formule ad angolo retto vengono utilizzate per scrivere in modo più efficiente gli atomi di carbonio e idrogeno, sostituendo la lettera “C” con le linee. Un atomo di carbonio è presente ovunque una linea intersechi un'altra linea. Gli atomi di idrogeno sono omessi, ma si presume che siano presenti per completare ciascuno dei quattro legami del carbonio. Gli idrogeni legati a elementi diversi dal carbonio sono indicati. Sono riportate le etichette degli atomi di tutti gli altri elementi. Gli elettroni a coppia solitaria sono solitamente omessi. Si presume che siano presenti per completare l'ottetto di atomi non di carbonio. Le formule lineari aiutano a mostrare la struttura e l'ordine degli atomi in un composto. {| class="wikitable" |[[File:Chemorg_1.12.4.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.5.svg|centro|chemorg 1.12]] |[[File:Chemorg_1.12.6.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |'''A''' |'''B''' |'''C''' |} Queste molecole corrispondono esattamente alle stesse molecole rappresentate per le strutture di Kekulé e le formule condensate. Si noti che i carboni non sono più disegnati e sono sostituiti dalle estremità e dalle curve di una linea. Inoltre, gli idrogeni sono stati omessi, ma potrebbero essere facilmente inseriti (vedi problemi pratici). Anche se di solito non disegniamo gli H legati al carbonio, li disegniamo se sono collegati ad altri atomi oltre al carbonio (ad esempio il gruppo OH nell'esempio A). Questo viene fatto perché non è sempre chiaro se l'atomo non di carbonio è circondato da coppie solitarie o idrogeni. Sempre nell'esempio A, si noti come l'OH sia disegnato con un legame al secondo carbonio, ma ciò non significa che ci sia un terzo carbonio alla fine di quel legame/linea. {| class="wikitable" |+Tabella: Formule strutturali degli isomeri !Formula Kekulé !Formula condensata !Formula delle linee |- |[[File:Chemorg_1.12.7.svg|centro|chemorg 1.12]] |CH<sub>3</sub>(CH<sub>2</sub>)<sub>3</sub>OH |[[File:Chemorg_1.12.12.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.8.svg|centro|chemorg 1.12]] |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>CH(OH)CH<sub>3</sub> |[[File:Chemorg_1.12.13.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.9.svg|centro|chemorg 1.12]] |(CH<sub>3</sub>)<sub>2</sub>CHCH<sub>2</sub>OH |[[File:Chemorg_1.12.14.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.10.svg|centro|chemorg 1.12]] |(CH<sub>3</sub>)<sub>3</sub>COH |[[File:Chemorg_1.12.15.svg|centro|chemorg 1.12]] |- |[[File:Chemorg_1.12.11.svg|centro|chemorg 1.12]] |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>OCH<sub>2</sub>CH<sub>3</sub> |[[File:Chemorg_1.12.16.svg|centro|chemorg 1.12]] |} === Esempio: Conversione tra formule strutturali === È utile convertire i composti in diverse formule strutturali (Kekule, Retta e Condensata) a seconda del tipo di domanda che viene posta. Gli esami standardizzati includono spesso un'alta percentuale di formule condensate perché è più facile ed economico digitare lettere e numeri piuttosto che importare cifre. Inizialmente, può essere difficile scrivere una struttura di riga direttamente da una formula condensata. Prima si scrive la struttura di Kekule dalla formula condensata e poi si disegna la struttura a linee da Kekule. a) La formula condensata del propanale è CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>CHO. Disegnare la struttura di Kekule. La struttura di Kekule per il propanale è mostrata di seguito. Ricordate che ogni carbonio ha quattro legami e l'ottetto degli ossigeni è pieno di coppie solitarie. [[File:Chemorg_1.12.17.svg|centro|chemorg 1.12]] La struttura di legame del propanale è mostrata di seguito. Per prima cosa, si rimuovono gli idrogeni. L'idrogeno attaccato al gruppo aldeidico rimane perché fa parte di un gruppo funzionale. Rimuovere le etichette “C” dalla struttura e mantenere le linee al loro posto. Infine, rimuovere le coppie solitarie. [[File:Chemorg_1.12.18.svg|centro|chemorg 1.12]] Tutte e tre le strutture rappresentano lo stesso composto, il propanale. [[File:Chemorg_1.12.19.svg|centro|chemorg 1.12]] b) Di seguito è riportata la struttura ad angolo retto della molecola trimetilammina. [[File:Chemorg_1.12.20.svg|centro|chemorg 1.12]] Per convertirla in una struttura di Kekule, identificare innanzitutto i carboni della molecola. Essi si trovano agli angoli e alle estremità della linea senza etichetta dell'atomo. La trimetilammina ha tre carboni. Successivamente, si aggiungono idrogeni ai carboni fino a ottenere quattro legami. Ogni carbonio della trimetil amina è legato singolarmente all'azoto. Ciò significa che ogni carbonio avrà bisogno di altri tre legami C-H per creare il suo ottetto. Infine, aggiungere coppie solitarie ad altri elementi per riempire i loro ottetti. L'azoto della trimetil amina è legato a tre carboni. Ciò significa che avrà bisogno di una coppia di elettroni solitari per completare il suo ottetto. [[File:Chemorg_1.12.21.svg|centro|chemorg 1.12]] === Esercizio 1 === Quanti carboni ci sono nel seguente disegno? Quanti idrogeni? [[File:Chemorg_1.12.22.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== Ricorda la regola dell'ottetto e quante volte i carboni e gli idrogeni possono legarsi ad altri atomi. [[File:Chemorgsol_1.12.1.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 2 === Quanti carboni ci sono nel seguente disegno? Quanti idrogeni? [[File:Chemorg_1.12.23.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== [[File:Chemorgsol_1.12.2.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 3 === Quanti carboni ci sono nel seguente disegno? Quanti idrogeni? [[File:Chemorg_1.12.24.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== [[File:Chemorgsol_1.12.3.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 4 === Osserva la seguente molecola di vitamina A e disegna gli idrogeni e le coppie di elettroni nascosti. [[File:Chemorg_1.12.25.png|centro|chemorg 1.12]] Suggerimento: Tutti i carboni hanno 4 legami? Tutti gli ossigeni hanno un ottetto completo? ==== Soluzione ==== Le coppie di elettroni sono disegnate in blu e gli idrogeni in rosso. [[File:Chemorgsol_1.12.4.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 5 === Disegna ClCH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>CH(OCH<sub>3</sub>)CH<sub>3</sub> in forma di Kekulé e di linea. ==== Soluzione ==== [[File:Chemorgsol_1.12.5.png|centro|chemorgsol 1.12]] e [[File:Chemorgsol_1.12.6.png|centro|chemorgsol 1.12]] === Esercizio 6 === Scrivi la formula molecolare di ciascuno dei composti qui illustrati. [[File:Chemorg_1.12.26.png|centro|chemorg 1.12]] ==== Soluzione ==== a. C<sub>7</sub>H<sub>7</sub>N b. C<sub>5</sub>H<sub>10</sub> c. C<sub>5</sub>H<sub>4</sub>O d. C<sub>5</sub>H<sub>6</sub>Br<sub>2</sub> == Forza di acidi e basi == === Termini chiave === Assicuratevi di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito * costante di acidità, K<sub>a</sub> * costante di equilibrio, K<sub>eq</sub> === Note di studio === I calcoli e le espressioni che coinvolgono K<sub>a</sub> e pK<sub>a</sub> sono stati trattati in dettaglio nel corso di chimica generale del primo anno. Si noti che la costante di acidità è nota anche come costante di dissociazione acida. Sicuramente saprete che alcuni acidi sono più forti di altri. L'acido solforico è abbastanza forte da poter essere utilizzato come detergente per scarichi, in quanto scioglie rapidamente gli intasamenti di capelli e altro materiale organico. IMMAGINE 2.7.1 Non sorprende che l'acido solforico concentrato provochi ustioni dolorose se tocca la pelle e danni permanenti se entra negli occhi (c'è una buona ragione per gli occhiali di sicurezza che si indossano in laboratorio!). Anche l'acido acetico (aceto) provoca ustioni alla pelle e agli occhi, ma non è abbastanza forte per essere un efficace pulitore di scarichi. L'acqua, che come sappiamo può agire come donatore di protoni, non è ovviamente un acido molto forte. Anche lo ione idrossido potrebbe teoricamente agire come un acido - dopo tutto ha un protone da donare - ma questa non è una reazione che normalmente considereremmo rilevante se non nelle condizioni più estreme. L'acidità relativa di diversi composti o gruppi funzionali - in altre parole, la loro capacità relativa di donare un protone a una base comune in condizioni identiche - è quantificata da un numero chiamato '''costante di dissociazione acida''', abbreviato '''K<sub>a</sub>'''. La base comune scelta per il confronto è l'acqua. Consideriamo l'acido acetico come primo esempio. Quando una piccola quantità di acido acetico viene aggiunta all'acqua, si verifica un evento di trasferimento di protoni (reazione acido-base). IMMAGINE 2.7.2 Notate la frase "in qualche misura": questa reazione non arriva al completamento, con tutto l'acido acetico convertito in acetato, la sua base coniugata. Piuttosto, viene raggiunto un equilibrio dinamico, con il trasferimento di protoni che avviene in entrambe le direzioni (quindi le frecce bidirezionali) e concentrazioni finite di tutte e quattro le specie in gioco. La natura di questa situazione di equilibrio, come ricorderete dalla Chimica generale, è espressa da una costante di equilibrio, la K. La costante di equilibrio è in realtà un rapporto di attività (rappresentato dal simbolo ), ma le attività sono raramente utilizzate in corsi diversi dalla chimica analitica o fisica. Per semplificare la discussione per i corsi di chimica generale e di chimica organica, le attività di tutti i soluti vengono sostituite con le molarità e l'attività del solvente (di solito l'acqua) è definita come avente valore 1. Nel nostro esempio, abbiamo aggiunto una piccola quantità di acido acetico a una grande quantità di acqua: l'acqua è il solvente di questa reazione. Pertanto, nel corso della reazione, la concentrazione dell'acqua cambia pochissimo e l'acqua può essere trattata come un solvente puro, a cui viene sempre assegnata un'attività pari a 1. L'acido acetico, lo ione acetato e lo ione idronio sono tutti soluti e quindi le loro attività vengono approssimate con le molarità. La costante di dissociazione acida, o K<sub>a</sub>, per l'acido acetico è quindi definita come: IMMAGINE 2.7.3 Poiché la divisione per 1 non cambia il valore della costante, l'“1” di solito non viene scritto e K<sub>a</sub> viene scritto come: IMMAGINE 2.7.4 In termini più generali, la costante di dissociazione di un dato acido è espressa come: IMMAGINE 2.7.5 o IMMAGINE 2.7.6 L'equazione 2.7.1 si applica a un acido neutro come l'HCl o l'acido acetico, mentre l'equazione 2.7.2 si applica a un acido cationico come l'ammonio (NH<sub>4</sub><sup>+</sup>). Il valore di K<sub>a</sub> = 1,75 x 10<sup>-5</sup> per l'acido acetico è molto piccolo: ciò significa che la dissociazione avviene molto poco e che all'equilibrio c'è molto più acido acetico in soluzione che ione acetato. L'acido acetico è un acido relativamente debole, almeno se paragonato all'acido solforico (K<sub>a</sub> = 109) o all'acido cloridrico (K<sub>a</sub> = 107), che subiscono entrambi una dissociazione essenzialmente completa in acqua. Un numero come 1,75 x 10<sup>-5</sup> non è molto facile da dire o da ricordare. I chimici usano spesso i valori di pK<sub>a</sub> come termine più conveniente per esprimere l'acidità relativa. pK<sub>a</sub> è correlato a K<sub>a</sub> dalla seguente equazione IMMAGINE 2.7.7 Facendo i calcoli, scopriamo che il pK<sub>a</sub> dell'acido acetico è 4,8. L'uso dei valori di pK<sub>a</sub> ci permette di esprimere l'acidità di composti e gruppi funzionali comuni su una scala numerica che va da -10 (acido molto forte) a 50 (per niente acido). La Tabella 2.7.1 alla fine del testo elenca i valori pK<sub>a</sub> esatti o approssimativi per diversi tipi di protoni che è probabile incontrare nello studio della chimica organica e biologica. Osservando la Tabella 2.7.1, si nota che la pK<sub>a</sub> degli acidi carbossilici è compresa tra 4-5, la pK<sub>a</sub> dell'acido solforico è -10 e la pK<sub>a</sub> dell'acqua è 14. Gli alcheni e gli alcani, che non sono affatto acidi, hanno valori di pK<sub>a</sub> superiori a 30. Più basso è il valore di pK<sub>a</sub>, più forte è l'acido. {| class="wikitable" |+Tabella: costanti acide rappresentative |IMMAGINE 2.7.8 acido solforico pK<sub>a</sub> −10 |IMMAGINE 2.7.9 acido cloridrico pK<sub>a</sub> −7 |IMMAGINE 2.7.10 idronio pK<sub>a</sub> 0.00 |IMMAGINE 2.7.11 chetone protonato pK<sub>a</sub> ~ −7 |IMMAGINE 2.7.12 alcol protonato pK<sub>a</sub> ~ −3 |- |IMMAGINE 2.7.13 monoestere fosfato pK<sub>a</sub> ~ 1 |IMMAGINE 2.7.14 diestero fosfato pK<sub>a</sub> ~ 1.5 |IMMAGINE 2.7.15 acido fosforico pK<sub>a</sub> 2.2 |IMMAGINE 2.7.16 anilina protonata pK<sub>a</sub> ~ 4.6 |IMMAGINE 2.7.17 acido carbossilico pK<sub>a</sub> ~ 4-5 |- |IMMAGINE 2.7.18 piridinio pK<sub>a</sub> 5.3 |IMMAGINE 2.7.19 acido carbonico pK<sub>a</sub> 6.4 |IMMAGINE 2.7.20 cianuro di idrogeno pK<sub>a</sub> ~ 9.2 |IMMAGINE 2.7.21 ammonio pK<sub>a</sub> 9.2 |IMMAGINE 2.7.22 fenolo pK<sub>a</sub> 9.9 |- |IMMAGINE 2.7.23 tiolo pK<sub>a</sub> ~ 10-11 |IMMAGINE 2.7.24 acqua pK<sub>a</sub> 14.00 |IMMAGINE 2.7.25 ammide pK<sub>a</sub> ~ 17 |IMMAGINE 2.7.26 alcool pK<sub>a</sub> ~ 16-18 |IMMAGINE 2.7.27 alfa-protone pK<sub>a</sub> ~ 18-20 |- | |IMMAGINE 2.7.28 alchene terminale pK<sub>a</sub> ~ 25 |IMMAGINE 2.7.29 alchene terminale pK<sub>a</sub> ~ 35 |IMMAGINE 2.7.30 ammoniaca pK<sub>a</sub> ~ 35 | |} È importante capire che il pK<sub>a</sub> non è la stessa cosa del pH: il pK<sub>a</sub> è una proprietà intrinseca di un composto o di un gruppo funzionale, mentre il pH è la misura della concentrazione di ioni idronio in una particolare soluzione acquosa: IMMAGINE 2.7.31 È importante capire che il pK<sub>a</sub> non è la stessa cosa del pH: il pK<sub>a</sub> è una proprietà intrinseca di un composto o di un gruppo funzionale, mentre il pH è la misura della concentrazione di ioni idronio in una particolare soluzione acquosa: un particolare acido avrà sempre lo stesso pK<sub>a</sub> (assumendo che stiamo parlando di una soluzione acquosa a temperatura ambiente), ma diverse soluzioni acquose dell'acido potrebbero avere valori di pH diversi, a seconda di quanto acido viene aggiunto a quanta acqua. La nostra tabella dei valori di pK<sub>a</sub> ci permetterà anche di confrontare la forza di diverse basi confrontando i valori di pK<sub>a</sub> dei loro acidi coniugati. L'idea chiave da ricordare è la seguente: più forte è l'acido coniugato, più debole è la base coniugata. L'acido solforico è l'acido più forte del nostro elenco, con un valore pK<sub>a</sub> di -10, quindi HSO<sub>4</sub><sup>-</sup> è la base coniugata più debole. Si può notare che lo ione idrossido è una base più forte dell'ammoniaca (NH<sub>3</sub>), perché l'ammonio (NH<sub>4</sub><sup>+</sup>, pK<sub>a</sub> = 9,2) è un acido più forte dell'acqua (pK<sub>a</sub> = 14,00). '''Più forte è l'acido coniugato, più debole è la base coniugata.''' Sebbene la Tabella 2.7.1 fornisca i valori di pK<sub>a</sub> solo di un numero limitato di composti, può essere molto utile come punto di partenza per stimare l'acidità o la basicità di qualsiasi molecola organica. È qui che la vostra familiarità con i gruppi funzionali organici vi sarà molto utile. Qual è, ad esempio, il pK<sub>a</sub> del cicloesanolo? Non è riportato nella tabella, ma trattandosi di un alcol, probabilmente è vicino a quello dell'etanolo (pK<sub>a</sub> = 16). Allo stesso modo, possiamo usare la Tabella 2.7.1 per prevedere che la para-idrossifenil acetaldeide, un composto intermedio nella biosintesi della morfina, ha un pK<sub>a</sub> vicino a 10, vicino a quello del nostro composto di riferimento, il fenolo. IMMAGINE 2.7.32 In questo esempio, è necessario valutare l'acidità potenziale in quattro punti diversi della molecola. IMMAGINE 2.7.33 pK<sub>a</sub> H<sup>a</sup> ~ 10 pK<sub>a</sub> H<sup>b</sup> = non in tavola (non è acido) pK<sub>a</sub> H<sup>c</sup> ~ 19 pK<sub>a</sub> H<sup>d</sup> = non in tavola (non è acido) I protoni aldeidici e aromatici non sono affatto acidi (i valori di pK<sub>a</sub> sono superiori a 40 - non nella nostra tabella). I due protoni sul carbonio vicino al carbonile sono leggermente acidi, con valori di pK<sub>a</sub> intorno a 19-20 secondo la tabella. Il protone più acido si trova sul gruppo fenolico, quindi se il composto venisse fatto reagire con un singolo equivalente molare di base forte, questo è il protone che verrebbe donato per primo. Nel prosieguo dello studio della chimica organica, sarà opportuno memorizzare gli intervalli di pK<sub>a</sub> approssimativi di alcuni importanti gruppi funzionali, tra cui l'acqua, gli alcoli, i fenoli, l'ammonio, i tioli, i fosfati, gli acidi carbossilici e i carboni vicini ai gruppi carbonilici (i cosiddetti a-carboni). Sono questi i gruppi che più facilmente si vedono agire come acidi o basi nelle reazioni organiche biologiche. Un'avvertenza: quando si usa la tabella pK<sub>a</sub>, bisogna essere assolutamente sicuri di considerare la coppia coniugata acido/base corretta. Se vi viene chiesto di dire qualcosa sulla basicità dell'ammoniaca (NH<sub>3</sub>) rispetto a quella dello ione etossido (CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>O-), per esempio, i valori di pK<sub>a</sub> da considerare sono 9,2 (la pK<sub>a</sub> dello ione ammonio) e 16 (la pK<sub>a</sub> dell'etanolo). Da questi numeri si evince che l'etossido è la base più forte. Non commettete l'errore di utilizzare il valore di pK<sub>a</sub> di 38: questo è il pK<sub>a</sub> dell'ammoniaca che agisce come un acido e indica quanto è basico lo ione NH<sub>2</sub><sup>-</sup> (molto basico!). === Esempio 2.7.1: Gruppi acidi === Utilizzando la tabella dei pK<sub>a</sub>, stimare i valori di pK<sub>a</sub> per il gruppo più acido dei composti sottostanti e disegnare la struttura della base coniugata che risulta quando questo gruppo dona un protone. Utilizzare la tabella dei pK<sub>a</sub> di cui sopra e/o le tabelle di riferimento. ==== Soluzione ==== : a. The most acidic group is the protonated amine, pK<sub>a</sub> ~ 5-9 : b. Alpha proton by the C=O group, pK<sub>a</sub> ~ 18-20 : c. Thiol, pK<sub>a</sub> ~ 10 : d. Carboxylic acid, pK<sub>a</sub> ~ 5 : e. Carboxylic acid, pK<sub>a</sub> ~ 5 === Esempio 2.7.2 === L'acido acetico (CH<sub>3</sub>COOH) ha una pK<sub>a</sub> di 4,76. Determinare la K<sub>a</sub> dell'acido acetico. ==== Soluzione ==== Risolvendo algebricamente la K<sub>a</sub> si ottiene quanto segue: pK<sub>a</sub> = -Log(K<sub>a</sub>) -pK<sub>a</sub> = Log(K<sub>a</sub>) 10-pK<sub>a</sub> = K<sub>a</sub> Utilizzando una calcolatrice, inserire prima il valore della pK<sub>a</sub> (4,76). Il numero diventa negativo (-4,76). Quindi, utilizzare la funzione log inversa. Tutte le calcolatrici sono leggermente diverse, quindi questa funzione può apparire come: ANTILOG, INV LOG o 10X. Spesso è la seconda funzione del pulsante LOG. K<sub>a</sub> per l'acido acetico = 10-pK<sub>a</sub> = 1,74 x 10<sup>-5</sup> === Esercizi === # Scrivere un'espressione per la costante di acidità dell'acido acetico, CH<sub>3</sub>COOH. # La pK<sub>a</sub> dell'acido acetico è 4,72; calcolare la sua K<sub>a</sub>. # La K<sub>a</sub> dell'acido benzoico è 6,5 × 10-5; determinare la sua pK<sub>a</sub>. # In base alle risposte date alle domande precedenti, stabilire se l'acido acetico o l'acido benzoico sono più forti. ==== Soluzione ==== # K<sub>a</sub>=[CH<sub>3</sub>CO<sub>2</sub><sup>−</sup>][H<sup>+</sup>]/[CH<sub>3</sub>CO<sub>2</sub>H] o K<sub>a</sub>=[CH<sub>3</sub>CO<sup>-2</sup>][H<sub>3</sub>O<sup>+</sup>]/[CH<sub>3</sub>CO<sub>2</sub>H] # pK<sub>a</sub>=-log10K<sub>a</sub>=4.74 quindi, log10 K<sub>a</sub>=-4.72 e K<sub>a</sub>= anti-log(-4.72)= 1.9×10<sup>-5</sup> # pK<sub>a</sub>=−log10 K<sub>a</sub>=−log106.5×10<sup>−5</sup>=−(−4.19)=4.19 # L'acido benzoico è più forte dell'acido acetico. [L'acido benzoico ha una K<sub>a</sub> più alta e una pK<sub>a</sub> più bassa]. == Acidi organici e basi organiche == ===== Obiettivo ===== Dopo aver completato questa sezione, dovresti essere in grado di * predire l'acidità relativa di due molecole organiche in base alla loro struttura. * predire la basicità relativa di due molecole organiche in base alla loro struttura. Questa pagina spiega l'acidità degli acidi organici semplici e analizza i fattori che influenzano la loro forza relativa. === Acidi organici come acidi deboli === Ai fini di questo argomento, considereremo la definizione di acido come "una sostanza che dona ioni idrogeno (protoni) ad altre cose". Ne avremo una misura osservando la facilità con cui gli acidi rilasciano ioni idrogeno alle molecole d'acqua quando sono in soluzione. Un acido in soluzione stabilisce questo equilibrio: Uno ione idronio si forma insieme all'anione (ione negativo) dell'acido. Questo equilibrio viene talvolta semplificato omettendo l'acqua per enfatizzare la ionizzazione dell'acido. Se lo scrivi in ​​questo modo, devi includere i simboli di stato - "(aq)". Scrivere H<sup>+</sup> (aq) implica che lo ione idrogeno sia legato a una molecola d'acqua come H<sub>3</sub>O<sup>+</sup>. Gli ioni idrogeno sono sempre legati a qualcosa durante le reazioni chimiche. Gli acidi organici sono deboli nel senso che questa ionizzazione è molto incompleta. In qualsiasi momento, la maggior parte dell'acido sarà presente nella soluzione sotto forma di molecole non ionizzate. Ad esempio, nel caso dell'acido etanoico diluito, la soluzione contiene circa il 99% delle molecole di acido etanoico: in qualsiasi istante, solo circa l'1% si è effettivamente ionizzato. La posizione di equilibrio si trova quindi molto a sinistra. === Polarizzazione acida debole === Gli acidi organici possono solitamente essere caratterizzati nelle mappe del potenziale elettrostatico dalla presenza di un atomo di idrogeno polarizzato positivamente, mostrato in blu. Osservando le mappe sottostanti, il metanolo ha un legame OH leggermente polarizzato ed è considerato molto debolmente acido. Il legame OH nella metilammina è meno polarizzato, come mostrato dal colore blu più chiaro attorno all'idrogeno, rendendolo meno acido del metanolo. Tuttavia, il legame CH nell'etano è praticamente privo di polarità, come mostrato dall'assenza di colore blu, rendendolo non acido. La discussione seguente spiegherà la differenza di acidità di queste e di altre molecole organiche. === Confronto delle forze degli acidi deboli === La forza acida è strettamente correlata alla stabilità della base coniugata che si formerà rimuovendo un protone. Per analizzare la probabilità che una molecola sia acida, è necessario stimare la stabilità della sua base coniugata. ==== Stabilizzazione della base coniugata - Quattro considerazioni principali: ==== # Dimensioni ed elettronegatività dell'atomo che detiene la carica # La carica può essere delocalizzata per risonanza? # Ci sono effetti induttivi? # Ibridazione dell'orbitale che mantiene la carica Queste considerazioni sono elencate in ordine di importanza e spiegate singolarmente, ma devono essere considerate nel loro insieme. ==== 1. Effetti di dimensione ed elettronegatività nell'acidità ==== Confrontando gli elementi, il confronto dipende dalla loro posizione nella tavola periodica. Spostando un periodo (ovvero lungo una riga) degli elementi del gruppo principale, gli elettroni di valenza occupano tutti orbitali nello stesso livello. Questi elettroni hanno energia comparabile, quindi questo fattore non ci aiuta a discernere le differenze di stabilità relativa. Le differenze di elettronegatività sono ora il fattore dominante. Questa tendenza è evidente confrontando i valori di pK<sub>a</sub> di etano, metilammina e metanolo, che riflettono le elettronegatività relative di C < N < O. La chiave per comprendere questa tendenza è considerare l'ipotetica base coniugata in ciascun caso'': più stabile è la base coniugata, più forte è l'acido''. In generale, più un atomo è elettronegativo, maggiore è la sua capacità di sopportare una carica negativa. Nell'anione etile, la carica negativa è portata dal carbonio, nell'anione metilammina dall'azoto e nell'anione metossido da un ossigeno. Ricordate l'andamento periodico dell'elettronegatività: aumenta anche spostandosi da sinistra a destra lungo una riga, il che significa che l'ossigeno è il più elettronegativo dei tre elementi considerati. Questo rende la carica negativa dell'anione metossido la più stabile delle tre basi coniugate e il metanolo il più forte dei tre acidi. Allo stesso modo, il carbonio è il meno elettronegativo, rendendo l'etano il più debole dei tre acidi. All'interno di un gruppo (ovvero lungo una colonna). Man mano che ci si sposta lungo la tavola periodica, gli elettroni occupano sottolivelli energetici più elevati, creando dimensioni e volumi atomici maggiori. All'aumentare del volume di un elemento, qualsiasi carica negativa presente tende a diffondersi, riducendo la densità elettronica e aumentando la stabilità. La figura seguente mostra delle sfere che rappresentano gli atomi dei blocchi ''s'' e ''p'' dalla tavola periodica in scala, mostrando i due andamenti del raggio atomico. DIDASCALIA IMMAGINE: Figura 2.9.1:Tendenze dei raggi atomici nella tavola periodica. Sebbene ci siano alcune inversioni di tendenza (ad esempio, vedi Po nella riga inferiore), gli atomi generalmente diventano più piccoli procedendo lungo la tavola periodica e più grandi procedendo lungo una colonna. I numeri indicano i raggi in pm. Questa relazione tra dimensione atomica e densità elettronica è illustrata quando si confrontano le acidità relative del metanolo, CH<sub>3</sub>OH, e del metanetiolo, CH<sub>3</sub>SH. Il valore di pK<sub>a</sub> più basso, pari a 10,4, del metanethiolo indica che si tratta di un acido più forte del metanolo, che ha un valore di pK<sub>a</sub> pari a 15,5. È importante ricordare che nessuno dei due composti è considerato un acido. Queste relazioni sono utili quando si cerca di deprotonare i composti per aumentarne la reattività chimica in condizioni di reazione non acquosa. La differenza di dimensioni si nota facilmente osservando le mappe di potenziale elettrostatico del metanolo (a sinistra) e del metanetiolo (a destra). L'atomo di zolfo del metanetiolo è più grande dell'atomo di ossigeno del metanolo. Le dimensioni maggiori dello zolfo sono in grado di delocalizzare e stabilizzare meglio la carica negativa nella sua base coniugata, il metanetiolato. ==== 2. Effetti di risonanza nell'acidità ==== Questa sezione si concentra su come le strutture di risonanza di diversi gruppi organici contribuiscano alla loro acidità relativa, anche se lo stesso elemento agisce come donatore di protoni. Quando si valutano le basi coniugate per verificare la presenza di contributori di risonanza, bisogna cercare gli elettroni mobili (coppie solitarie ed elettroni di legame pi greco). La delocalizzazione degli elettroni su due o più atomi distribuisce la densità di elettroni, aumentando la stabilità della base coniugata e aumentando l'acidità dell'acido corrispondente. Un esempio classico è il confronto tra l'acidità relativa dell'etanolo e dell'acido acetico, ma le conclusioni a cui giungeremo saranno ugualmente valide per tutti i gruppi alcolici e gli acidi carbossilici. Nonostante siano entrambi acidi ossigenati, il pK In entrambe le specie, la carica negativa sulla base coniugata è detenuta da un ossigeno, quindi non è possibile invocare tendenze periodiche. Per l'acido acetico, tuttavia, c'è una differenza fondamentale: è possibile disegnare un collaboratore di risonanza in cui la carica negativa è attratta dal secondo ossigeno del gruppo. Le due forme di risonanza per la base coniugata sono uguali in energia, secondo le nostre “regole di risonanza”. Ciò significa che la carica negativa dello ione acetato non si trova su un ossigeno o sull'altro, ma è condivisa tra i due. I chimici usano il termine “delocalizzazione della carica” per descrivere questa situazione. Nello ione etossido, invece, la carica negativa è “bloccata” sul singolo ossigeno. Questa stabilizzazione porta a una marcata acidità. La delocalizzazione della carica per risonanza ha un effetto molto potente sulla reattività delle molecole organiche, tanto da spiegare la differenza di quasi 12 pK tra le costanti di acidità delle due molecole). Lo ione acetato è molto più stabile dello ione etossido, a causa degli effetti della delocalizzazione di risonanza. Gli effetti della coniugazione si possono notare confrontando le mappe di potenziale elettrostatico dell'etanolo e dell'acido acetico. La coniugazione crea una maggiore polarizzazione nel legame O-H dell'acido acetico, come dimostra il colore blu più scuro. === Perché il fenolo è acido? === I composti come gli alcoli e il fenolo che contengono un gruppo -OH collegato a un idrocarburo sono acidi molto deboli. Gli alcoli sono così debolmente acidi che, per i normali scopi di laboratorio, la loro acidità può essere praticamente ignorata. Tuttavia, il fenolo è sufficientemente acido da avere proprietà riconoscibili come acide, anche se è ancora un acido molto debole. Uno ione idrogeno può staccarsi dal gruppo -OH e trasferirsi a una base. Ad esempio, in soluzione acquosa: Poiché il fenolo è un acido molto debole, la posizione di equilibrio si trova ben a sinistra. Tuttavia, il fenolo può perdere uno ione idrogeno perché lo ione fenossido (o ione fenolato - i due termini possono essere usati in modo intercambiabile) che si forma è stabilizzato grazie alla risonanza. La carica negativa dell'atomo di ossigeno è delocalizzata intorno all'anello, poiché una delle coppie solitarie dell'atomo di ossigeno può trovarsi in un orbitale p e sovrapporsi agli elettroni pi greco dell'anello benzenico. Questa sovrapposizione porta a una delocalizzazione che si estende dall'anello all'atomo di ossigeno. Di conseguenza, la carica negativa non è più interamente localizzata sull'ossigeno, ma è distribuita intorno all'intero ione. La diffusione della carica rende lo ione più stabile di quanto sarebbe se tutta la carica rimanesse sull'ossigeno. Tuttavia, l'ossigeno è l'elemento più elettronegativo dello ione e gli elettroni delocalizzati saranno attratti verso di esso. Ciò significa che ci sarà ancora molta carica intorno all'ossigeno che tenderà ad attrarre nuovamente lo ione idrogeno. Ecco perché il fenolo è solo un acido molto debole. Questo spiega perché il fenolo è un acido molto più forte del cicloesanolo. Come si può vedere nel seguente diagramma energetico, la stabilizzazione della risonanza aumenta per la base coniugata del fenolo rispetto al cicloesanolo dopo la rimozione di un protone. La stabilizzazione della risonanza in questi due casi è molto diversa. Un principio importante della risonanza è che la separazione di carica diminuisce l'importanza di chi contribuisce all'ibrido di risonanza. Le strutture che contribuiscono all'ibrido di fenolo subiscono tutte una separazione di carica, con conseguente stabilizzazione molto modesta di questo composto. D'altra parte, l'anione fenolato è già carico e i contributori canonici agiscono per disperdere la carica, determinando una sostanziale stabilizzazione di questa specie. Le basi coniugate degli alcoli semplici non sono stabilizzate dalla delocalizzazione della carica, quindi l'acidità di questi composti è simile a quella dell'acqua. A destra è riportato un diagramma energetico che mostra l'effetto della risonanza sulle acidità del cicloesanolo e del fenolo. Poiché la stabilizzazione per risonanza della base coniugata del fenolato è molto maggiore della stabilizzazione del fenolo stesso, l'acidità del fenolo rispetto al cicloesanolo aumenta. La prova che la carica negativa del fenolato è delocalizzata sui carboni orto e para dell'anello benzenico deriva dall'influenza dei sostituenti che sottraggono elettroni in quei siti. ==== Acidità dell'idrogeno α (alfa) al carbonile ==== Gli atomi di idrogeno alchilici legati a un atomo di carbonio in posizione α (alfa) (direttamente adiacente) rispetto a un gruppo C=O mostrano un'acidità insolita. Mentre i valori di pK<sub>a</sub> per i legami C-H alchilici sono tipicamente dell'ordine di 40-50, i valori di pK<sub>a</sub> per questi idrogeni alfa sono più dell'ordine di 19-20. Questo è dovuto quasi esclusivamente alla risonanza dei legami con il gruppo C=O. Ciò è dovuto quasi esclusivamente alla stabilizzazione per risonanza del carbanione prodotto, chiamato enolato, come illustrato nel diagramma seguente. L'effetto del C=O stabilizzante si nota confrontando i pKa degli idrogeni α delle aldeidi (~16-18), dei chetoni (~19-21) e degli esteri (~23-25). ==== 3. Effetti induttivi ==== L'effetto induttivo è un effetto sperimentalmente osservato della trasmissione di carica attraverso una catena di atomi in una molecola, con conseguente dipolo permanente in un legame. Ad esempio, in un gruppo acido carbossilico la presenza di cloro su carboni adiacenti aumenta l'acidità del gruppo acido carbossilico. L'atomo di cloro è più elettronegativo dell'idrogeno e quindi è in grado di “indurre” o “tirare” la densità di elettroni verso di sé, allontanandola dal gruppo carbossilico. In questo modo la densità di elettroni della base coniugata si distribuisce ulteriormente, con un effetto stabilizzante. In questo contesto, il sostituente del cloro è chiamato '''gruppo che sottrae elettroni'''. Si noti che l'effetto di abbassamento del pK<sub>a</sub> di ciascun atomo di cloro, pur essendo significativo, non è così drammatico come l'effetto di risonanza delocalizzante illustrato dalla differenza dei valori di pK<sub>a</sub> tra un alcol e un acido carbossilico. In generale, gli effetti di risonanza sono più potenti di quelli induttivi. Confrontare i valori di pK<sub>a</sub> dell'acido acetico e dei suoi derivati mono-, di- e triclorurati: Gli effetti induttivi del cloro sono chiaramente visibili osservando le mappe di potenziale elettrostatico dell'acido acetico (a sinistra) e dell'acido tricloroacetico (a destra). Il legame O-H dell'acido tricloracetico è altamente polarizzato, come mostra il colore blu scuro. Ciò dimostra che l'acido tricoloracetico è un acido molto più forte dell'acido acetico. Poiché l'effetto induttivo dipende dall'elettronegatività, i sostituenti del fluoro hanno un effetto di abbassamento del pK<sub>a</sub> più pronunciato rispetto ai sostituenti del cloro. Inoltre, l'induzione avviene attraverso legami covalenti e la sua influenza diminuisce sensibilmente con la distanza: quindi un cloro a due carboni di distanza da un gruppo acido carbossilico ha un effetto minore rispetto a un cloro a un solo carbonio di distanza. L'acido 2-cloropropanoico ha un pK<sub>a</sub> di 2,8, mentre per l'acido 3-cloropropanoico il pK<sub>a</sub> è di 4,0. I gruppi alchilici (idrocarburi) sono deboli donatori di elettroni induttivi. In questo caso, l'effetto induttivo spinge la densità di elettroni sulla base coniugata, causando una maggiore concentrazione di elettroni e producendo un effetto destabilizzante. L'effetto induttivo dei gruppi alchilici provoca una variazione significativa nelle acidità dei diversi acidi carbossilici. Si noti che l'effetto induttivo diminuisce dopo che la catena alchilica è lunga circa tre carboni. {| class="wikitable" | |'''pK<sub>a</sub>''' |- |HCOOH (Methanoic Acid or Formic Acid) |3.75 |- |CH<sub>3</sub>COOH (Ethanoic Acid or Acetic Acid) |4.76 |- |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>COOH (Propanoic Acid) |4.87 |- |CH<sub>3</sub>CH<sub>2</sub>CH<sub>2</sub>COOH (Butanoic Acid) |4.82 |} ==== 4. Ibridazione degli orbitali ==== L'ibridazione di un orbitale influisce sulla sua elettronegatività. All'interno di un guscio, gli orbitali s occupano la regione più vicina al nucleo rispetto agli orbitali p. Pertanto, gli orbitali s sferici sono più elettronegativi degli orbitali p lobati. Pertanto, gli orbitali s sferici sono più elettronegativi degli orbitali p lobati. L'elettronegatività relativa degli orbitali ibridati è sp > sp<sup>2</sup> > sp<sup>3</sup>, poiché la percentuale del carattere s diminuisce con l'aggiunta di orbitali p agli ibridi. Questa tendenza indica che gli orbitali ibridati sp sono più stabili con una carica negativa rispetto agli orbitali ibridati sp<sup>3</sup>. La tabella seguente mostra come l'ibridazione degli orbitali influenzi l'acidità relativa. {| class="wikitable" |'''compound''' | |'''hybridization''' |'''''s'' character''' |'''pK<sub>a</sub>''' | |- | | |sp<sup>3</sup> |25% |50 |weakest acid |- | | |sp<sup>2</sup> |33% |44 |↓ |- | | | | |36 |↓ |- | | |sp |50% |25 |↓ |- | | | | |16 |strongest acid |} === Confronto tra le forze delle basi deboli === Tecnicamente, le basi organiche sono caratterizzate dalla presenza di un atomo con una coppia di elettroni solitari. Queste coppie di elettroni solitari contengono un'alta densità di elettroni, mostrata in rosso nelle mappe di potenziale elettrostatico, e possono legarsi a H<sup>+</sup>. Di seguito sono riportate le mappe del metanolo, dell'ammina metilica e dell'acetone. Tutti e tre i composti possono essere protonati con un acido sufficientemente forte. Si noti che tutti e tre questi composti hanno anche la capacità di donare un protone quando reagiscono con una base sufficientemente forte. Il fatto che questi composti agiscano come acidi o basi dipende dalle condizioni. È comune confrontare quantitativamente le basi utilizzando i pK<sub>a</sub> dei loro acidi coniugati piuttosto che i loro pK<sub>b</sub>. Poiché pK<sub>a</sub> + pK<sub>b</sub> = 14, più alto è il pK<sub>a</sub> e più forte è la base, in contrasto con la consueta relazione inversa tra pK<sub>a</sub> e acidità. Ricordiamo che l'ammoniaca (NH<sub>3</sub>) agisce come base perché l'atomo di azoto ha una coppia solitaria di elettroni che può accettare un protone. L'acido coniugato della maggior parte delle ammine alchiliche semplici ha un pK<sub>a</sub> compreso tra 9,5 e 11,0 e le loro soluzioni acquose sono basiche (hanno un pH compreso tra 11 e 12, a seconda della concentrazione). Ciò può essere illustrato dalla reazione seguente, in cui un'ammina rimuove un protone dall'acqua per formare ioni ammonio sostituiti (ad esempio NH<sub>4</sub><sup>+</sup>) e ioni idrossido (OH<sup>-</sup>): Le ammine sono uno degli unici gruppi funzionali neutri considerati basici. Ciò è una conseguenza diretta della presenza di una coppia di elettroni non condivisi sull'azoto. La coppia di elettroni non condivisi è meno stretta dall'azoto di un'ammina rispetto all'ossigeno corrispondente di un alcol, il che la rende più disponibile ad agire come base. Come esempio specifico, la metilammina reagisce con l'acqua per formare lo ione metilammonio e lo ione OH<sup>-</sup>. ==== Esempio: Ammoniaca ==== Tutte le basi hanno delle somiglianze con l'ammoniaca e quindi inizieremo a vedere il motivo delle sue proprietà di base. Ai fini di questo argomento, prenderemo la definizione di base come “una sostanza che si combina con ioni idrogeno (protoni)”. Per avere una misura di ciò, osserviamo la facilità con cui le basi sottraggono ioni idrogeno alle molecole d'acqua quando sono in soluzione nell'acqua. L'ammoniaca in soluzione stabilisce questo equilibrio: NH<sub>3</sub>+H<sub>2</sub>O⇌NH+4+OH<sup>−</sup>(2.10.1) Si forma uno ione ammonio insieme a ioni idrossido. Poiché l'ammoniaca è solo una base debole, non si aggrappa allo ione idrogeno in più in modo molto efficace e quindi la reazione è reversibile. In qualsiasi momento, circa il 99% dell'ammoniaca è presente come molecola non reagita. La posizione di equilibrio si trova ben a sinistra. L'ammoniaca reagisce come base a causa della coppia solitaria attiva sull'azoto. L'azoto è più elettronegativo dell'idrogeno e quindi attrae verso di sé gli elettroni di legame della molecola di ammoniaca. Ciò significa che, oltre alla coppia solitaria, c'è un accumulo di carica negativa intorno all'atomo di azoto. Questa combinazione di negatività extra e di coppia solitaria attiva attira il nuovo idrogeno dall'acqua. Osservando la tabella seguente, è chiaro che la basicità dei composti contenenti azoto è fortemente influenzata dalla loro struttura. La variazione della basicità di questi composti può essere spiegata principalmente dagli effetti della delocalizzazione degli elettroni discussi in precedenza. Tabella 2.9.1: pK<sub>a</sub> degli acidi coniugati di una serie di ammine. {| class="wikitable" !Compound | | | | | | | | | | |- align="center" !pK<sub>a</sub> |11.0 |10.7 |10.7 |9.3 |5.2 |4.6 |1.0 |0.0 | -1.0 | -10.0 |} === Effetti induttivi nella basicità dell'azoto === Le alchilammine sono più basiche dell'ammoniaca poiché i gruppi alchilici donano elettroni all'azoto più elettronegativo. Questo effetto induttivo fa sì che la densità di elettroni sull'azoto dell'alchilammina sia maggiore di quella dell'azoto dell'ammonio. Ciò significa che sull'atomo di azoto si accumulerà una piccola quantità di carica negativa supplementare. Questa negatività extra intorno all'azoto rende la coppia solitaria ancora più attraente per gli ioni idrogeno. Di conseguenza, le ammine alchiliche primarie, secondarie e terziarie sono più basiche dell'ammoniaca. Il gruppo metilico spinge la densità di elettroni verso l'azoto, rendendolo più basico. Il fatto di rendere l'azoto più negativo aiuta la coppia solitaria a raccogliere uno ione idrogeno. Che effetto ha lo ione metilammonio positivo che si forma? È più stabile di uno ione ammonio semplice? Confrontate lo ione metilammonio con uno ione ammonio: Nello ione metilammonio, la carica positiva viene diffusa intorno allo ione grazie all'effetto di “spinta elettronica” del gruppo metilico. Quanto più è possibile diffondere la carica intorno allo ione, tanto più stabile diventa uno ione. Nello ione ammonio non c'è modo di diffondere la carica. Riassumendo: * L'azoto è più negativo nella metilammina che nell'ammoniaca e quindi raccoglie più facilmente uno ione idrogeno. * Lo ione formato dalla metilammina è più stabile di quello formato dall'ammoniaca e quindi ha meno probabilità di liberarsi nuovamente dello ione idrogeno. L'insieme di queste caratteristiche fa sì che la metilammina sia una base più forte dell'ammoniaca. === Effetti di risonanza nella basicità dell'azoto === L'effetto di risonanza spiega anche perché un atomo di azoto è basico quando si trova in un'ammina, ma non è significativamente basico quando fa parte di un gruppo ammidico. Mentre la coppia di elettroni solitari di un azoto amminico è localizzata in un punto, la coppia solitaria di un azoto ammidico è delocalizzata per risonanza. La coppia solitaria è stabilizzata dalla delocalizzazione per risonanza. Ecco un altro modo di pensare: la coppia solitaria di un azoto ammidico non è disponibile per il legame con un protone - questi due elettroni sono troppo stabili perché fanno parte del sistema di legame pi greco delocalizzato. La mappa del potenziale elettrostatico mostra l'effetto della risonanza sulla basicità di un'ammide. La mappa mostra che la densità elettronica, indicata in rosso, è quasi completamente spostata verso l'ossigeno. Ciò diminuisce notevolmente la basicità degli elettroni della coppia solitaria sull'azoto in un'ammide. L'anilina, l'analogo amminico del fenolo, è sostanzialmente meno basica di un'ammina (come evidenziato dal pK<sub>a</sub> degli acidi coniugati). Possiamo utilizzare lo stesso ragionamento che abbiamo fatto per confrontare l'acidità di un fenolo con quella di un alcol. Nell'anilina, la coppia solitaria sull'atomo di azoto è stabilizzata dalla risonanza con il sistema pi greco aromatico, rendendolo meno disponibile per il legame e quindi meno basico. In questi casi, sembra che ogni volta si rompa lo stesso legame ossigeno-idrogeno e quindi ci si potrebbe aspettare che le forze siano simili. Il fattore più importante nel determinare le forze acide relative di queste molecole è la natura degli ioni formati. Si ottiene sempre uno ione idronio, che è costante, ma la natura dell'anione (lo ione negativo) varia notevolmente da caso a caso. == Acidi e Basi - La definizione di Lewis == === Termini chiave === # Acido di Lewis # Base di Lewis # Elettrofilo # Nucleofilo<br /> === Appunti di studio === Il concetto di acidità e basicità di Lewis vi sarà molto utile quando studierete i meccanismi di reazione. La consapevolezza che uno ione come [[File:Immagine_wikibooks_1.svg|centro|senza_cornice|95x95px]] è carente di elettroni ed è quindi un acido di Lewis, dovrebbe aiutarvi a capire perché questo ione reagisce con sostanze che sono basi di Lewis (ad esempio, H<sub>2</sub>O). === Introduzione alla teoria acido-base di Lewis === La teoria acido-base di Brønsted è stata utilizzata in tutta la storia della chimica degli acidi e delle basi. Tuttavia, questa teoria è molto restrittiva e si concentra principalmente su acidi e basi che agiscono come donatori e accettori di protoni. A volte si verificano condizioni in cui la teoria non si adatta necessariamente, come ad esempio nei solidi e nei gas. Nel 1923, G.N. Lewis della UC Berkeley propose una teoria alternativa per descrivere gli acidi e le basi. La sua teoria forniva una spiegazione generalizzata di acidi e basi basata sulla struttura e sul legame. Grazie all'uso della definizione di Lewis di acidi e basi, i chimici sono ora in grado di prevedere una più ampia varietà di reazioni acido-base. La teoria di Lewis utilizzava gli elettroni invece del trasferimento di protoni e affermava specificamente che un acido è una specie che accetta una coppia di elettroni mentre una base dona una coppia di elettroni. [[File:Immagine_wikibooks_2.svg|centro|senza_cornice|Immagine wikibooks 2|283x283px]] Esempio di base di Lewis (atomo di ossigeno del carbonile) che reagisce con l'acido di Lewis (ione Mg<sub>2</sub><sup>+</sup>). La reazione tra un acido e una base di Lewis produce un legame covalente coordinato. Un legame covalente coordinato è solo un tipo di legame covalente in cui un reagente dona entrambi gli elettroni per formare il legame. In questo caso, la base di Lewis dona i suoi elettroni per formare un legame con l'acido di Lewis. Il prodotto risultante è chiamato composto di addizione, o più comunemente complesso. Il flusso di coppie di elettroni dalla base di Lewis all'acido di Lewis è rappresentato da frecce curve, come quelle utilizzate per le strutture di risonanza. Le frecce curve significano sempre che una coppia di elettroni si sposta dall'atomo in coda alla freccia all'atomo in testa alla freccia. In questo caso la coppia di elettroni solitari della base di Lewis attacca l'acido di Lewis formando un legame. Questo nuovo tipo di movimento della coppia di elettroni verrà utilizzato in tutto il testo per descrivere il flusso di elettroni durante le reazioni. * Acido di Lewis: specie che accetta una coppia di elettroni e che in genere ha orbitali liberi o un legame polare che coinvolge l'idrogeno tale da poter donare H<sup>+</sup> (che ha un orbitale 1s vuoto). * Base di Lewis: una specie che dona una coppia di elettroni e avrà elettroni solitari di legame <math>\pi</math> <br /> === Acidi di Lewis === I composti neutri del boro, dell'alluminio e degli altri elementi del Gruppo 13 (BF<sub>3</sub>, AlCl<sub>3</sub>), che possiedono solo sei elettroni di valenza, hanno una forte tendenza a guadagnare una coppia di elettroni aggiuntiva. Poiché questi composti sono circondati solo da tre gruppi di elettroni, sono ibridati sp<sup>2</sup>, contengono un orbitale p libero e sono potenti acidi di Lewis. La coppia di elettroni solitari della trimetilammina è contenuta in un orbitale ibrido sp<sup>3</sup> che la rende una base di Lewis. Questi due orbitali si sovrappongono, creando un legame covalente in un complesso trifluoruro di boro-trimetilammina. Il movimento degli elettroni durante questa interazione è indicato da una freccia. [[File:Immagine_wikibooks_3.svg|centro|senza_cornice|423x423px|Immagine wikibooks 3]] Gli ioni positivi sono spesso acidi di Lewis perché hanno un'attrazione elettrostatica per i donatori di elettroni. Ne sono un esempio i metalli alcalini e alcalino-terrosi nelle colonne del gruppo IA e IIA. K+, Mg2+ e Ca2+ sono talvolta considerati acidi di Lewis in biologia, ad esempio. Questi ioni sono forme molto stabili di questi elementi grazie ai loro bassi potenziali di ionizzazione degli elettroni. L'interazione tra un catione di magnesio (Mg+2) e un ossigeno carbonilico è un esempio comune di reazione acido-base di Lewis. L'ossigeno carbonilico (la base di Lewis) dona una coppia di elettroni al catione di magnesio (l'acido di Lewis). Come vedremo nel Capitolo 19, quando inizieremo lo studio delle reazioni che coinvolgono i gruppi carbonilici, questa interazione ha l'effetto molto importante di aumentare la polarità del doppio legame carbonio-ossigeno. [[File:Immagine wikibooks 2.svg|centro|senza_cornice|293x293px|Immagine wikibooks 4]] La regola degli otto elettroni non vale per tutta la tavola periodica. Per ottenere le configurazioni dei gas nobili, alcuni atomi possono avere bisogno di diciotto elettroni nel loro guscio di valenza. I metalli di transizione come il titanio, il ferro e il nichel possono avere fino a diciotto elettroni e possono spesso accettare coppie di elettroni dalle basi di Lewis. I metalli di transizione sono spesso acidi di Lewis. Ad esempio, il titanio ha quattro elettroni di valenza e può formare quattro legami in composti come il tetrachide di titanio (isopropossido), qui sotto, o il tetracloruro di titanio, TiCl4. Tuttavia, l'atomo di titanio in questo composto ha solo otto elettroni di valenza, non diciotto. Può facilmente accettare elettroni da donatori. [[File:Immagine wikibooks 5.svg|centro|senza_cornice|160x160px]] [[File:Lewis_structure_of_cerium_tris(dimethylamide).svg|centro|senza_cornice|187x187px|Lewis structure of cerium tris(dimethylamide)]] ''Figura 2.10.1: Sebbene il titanio abbia otto elettroni in questa molecola, il tetrakis(isopropossido) di titanio, può ospitarne fino a diciotto. È un acido di Lewis. L'atomo di cerio nel tris(dimetilammide) di cerio proviene da una parte simile della tavola periodica ed è anch'esso un acido di Lewis.'' === Il protone come comune acido di Lewis === Forse l'esempio più comune di acido di Lewis è anche il più semplice. È il catione idrogeno (H+) o protone. Si chiama protone perché, nella maggior parte degli atomi di idrogeno, l'unica particella del nucleo è un protone. Se un elettrone viene rimosso per creare un catione, rimane solo un protone. Il protone è un acido di Lewis per una serie di motivi. Ha una carica positiva e quindi attira gli elettroni, che sono negativi. Inoltre, non ha la configurazione elettronica del suo vicino di gas nobile, l'elio. L'elio ha due elettroni. Se una base di Lewis o un nucleofilo dona una coppia di elettroni a un protone, quest'ultimo otterrà la configurazione di gas nobile dell'elio. [[File:Immagine_wikibooks_7.svg|centro|senza_cornice|Immagine wikibooks 7]] ''Figura 2.10.3: Protone che reagisce come un acido di Lewis'' Tuttavia, i cationi idrogeno non sono così semplici. In realtà non sono così comuni. Al contrario, i protoni sono generalmente sempre legati a una base di Lewis. L'idrogeno è quasi sempre legato covalentemente (o coordinatamente) a un altro atomo. Molti degli altri elementi che si trovano comunemente nei composti con l'idrogeno sono più elettronegativi dell'idrogeno. Di conseguenza, l'idrogeno ha spesso una carica positiva parziale che lo fa agire ancora come un acido di Lewis. Una reazione acido-base che coinvolge i protoni può essere meglio espressa come: [[File:Immagine_wikibooks_8.svg|centro|senza_cornice|492x492px|Immagine wikibooks 8]] ''Figura 2.10.4 : Trasferimento di protoni da un sito all'altro.'' Le interazioni acido-base di Lewis che abbiamo visto finora sono leggermente diverse. Invece di due composti che si uniscono e formano un legame, abbiamo una base di Lewis che sostituisce un'altra a un protone. Nella reazione si verificano due movimenti specifici di elettroni, entrambi indicati dalle frecce. Gli elettroni della coppia solitaria sull'ossigeno attaccano l'idrogeno per formare un legame O-H nel prodotto. Inoltre, gli elettroni del legame H-Cl si spostano per diventare una coppia solitaria sul cloro quando il legame H-Cl si rompe. Queste due frecce insieme rappresentano il meccanismo di questa reazione acido-base. === '''Basi di Lewis''' === Cosa rende una molecola (o un atomo o uno ione) una base di Lewis? Deve avere una coppia di elettroni disponibili da condividere con un altro atomo per formare un legame. Gli elettroni più facilmente disponibili sono quelli che non sono già in legami. Gli elettroni di legame hanno una bassa energia. Gli elettroni non di legame hanno un'energia più alta e possono essere stabilizzati quando vengono delocalizzati in un nuovo legame. Le basi di Lewis hanno solitamente elettroni non leganti o coppie solitarie, il che rende i composti di ossigeno e azoto delle comuni basi di Lewis. Le basi di Lewis possono essere anioniche o neutre. Il requisito fondamentale è che abbiano una coppia di elettroni da donare. [[File:Immagine_wikibooks_9.svg|centro|senza_cornice|385x385px|Immagine wikibooks 9]]''Figura 2.10.5: Alcuni comuni esempi organici di basi di Lewis. La maggior parte dei composti contenenti ossigeno, azoto e zolfo può agire come basi di Lewis.'' ==== Nota 1: Ammoniaca ==== L'ammoniaca, NH3, ha una coppia solitaria ed è una base di Lewis. Può donare a composti che accettano elettroni. [[File:Immagine_wikibooks_10.svg|centro|senza_cornice|313x313px|Immagine wikibooks 10]] ''Ammoniaca che dona a un accettore di elettroni o a un acido di Lewis.'' Non tutti i composti possono agire come basi di Lewis. Ad esempio, il metano, CH4, ha tutti gli elettroni di valenza in coppie di legame. Queste coppie di legame sono troppo stabili per essere donate in condizioni normali, quindi il metano non è una base di Lewis. Anche i composti neutri del boro hanno tutti gli elettroni in coppie di legame. Ad esempio, il borano, BH3, non ha coppie solitarie; tutti i suoi elettroni di valenza sono in legami. I composti del boro non sono tipicamente basi di Lewis. [[File:Immagine_wikibooks_11.svg|centro|senza_cornice|Immagine wikibooks 11]]''Figura 2.10.6 : I composti di carbonio e boro con tutti i legami sigma non hanno coppie solitarie e non agiscono come basi di Lewis.'' ==== Esercizio 2.10.1 ==== Quali dei seguenti composti vi aspettereste siano basi di Lewis? a) SiH4 b) AlH3 c) PH3 d) SH2 e) -SH === Complessi acido-base di Lewis === Cosa succede quando una base di Lewis dona una coppia di elettroni a un acido di Lewis? Il formalismo di spinta degli elettroni (frecce) che abbiamo utilizzato per illustrare il comportamento degli acidi e delle basi di Lewis ha lo scopo di mostrare la direzione del movimento degli elettroni dal donatore all'accettore. Tuttavia, poiché un legame può essere considerato come una coppia di elettroni condivisi tra due atomi (in questo caso, tra il donatore e l'accettore), queste frecce mostrano anche dove si formano i legami. [[File:Immagine_wikibooks_12.svg|centro|senza_cornice|335x335px|Immagine wikibooks 12]] ''Figura 2.10.7: Donazione di elettroni da una base di Lewis a un acido di Lewis.'' Gli elettroni donati da una base di Lewis a un acido di Lewis formano un nuovo legame. Dall'acido e dalla base di Lewis più piccoli si forma un nuovo composto più grande. Questo composto è chiamato complesso acido-base di Lewis. Un semplice esempio di complessazione acido-base di Lewis riguarda l'ammoniaca e il trifluoruro di boro. L'atomo di azoto ha una coppia solitaria ed è un donatore di elettroni. Il boro non ha un ottetto ed è un accettore di elettroni. I due composti possono formare un complesso acido-base di Lewis o un complesso di coordinazione. [[File:Immagine_wikibooks_13.svg|centro|senza_cornice|416x416px|Immagine wikibooks 13]] ''Figura 2.10.8: Formazione di un complesso acido-base di Lewis da ammoniaca e trifluoruro di boro.'' Quando l'azoto dona una coppia di elettroni da condividere con il boro, il legame che si forma è talvolta chiamato legame di coordinazione. Un legame di coordinazione è qualsiasi legame covalente che si forma quando un atomo porta una coppia dei suoi elettroni e li dona a un altro. Nella terminologia della chimica organica, il donatore di elettroni è chiamato '''nucleofilo''' e l'accettore di elettroni è chiamato '''elettrofilo''' . L'ammoniaca è un nucleofilo e il trifluoruro di boro è un elettrofilo. * Poiché le basi di Lewis sono attratte dagli atomi con carenza di elettroni e poiché la carica positiva è generalmente associata al nucleo di un atomo, le basi di Lewis sono talvolta chiamate "nucleofili". Nucleofilo significa amante del nucleo. * Poiché gli acidi di Lewis attraggono le coppie di elettroni, a volte vengono chiamati "elettrofili". Elettrofilo significa che ama gli elettroni. ===== Esercizio ===== Per la seguente reazione, aggiungere frecce curve (formalismo di spinta degli elettroni) per indicare il flusso di elettroni. [[File:Immagine_wikibooks_14.png|centro|senza_cornice|451x451px|Immagine wikibooks 14]] ===== Esercizio ===== Si forma un complesso acido-base di Lewis tra THF (tetraidrofurano) e borano, BH 3 . a) Quale composto è l'acido di Lewis? Quale è la base di Lewis? b) Quale atomo nell'acido di Lewis è il sito acido? Perché? c) Quale atomo nella base di Lewis è il sito basico? Perché? d) Quanti donatori sarebbero necessari per soddisfare il sito acido? e) Mostrare, utilizzando la notazione a freccia, la reazione per formare un complesso acido-base di Lewis. f) Il borano è altamente piroforico; reagisce violentemente con l'aria, incendiandosi. Mostra, usando la notazione a freccia, cosa potrebbe accadere quando il borano entra in contatto con l'aria. g) Il complesso borano-THF è molto meno piroforico del borano. Perché, secondo te, è così? Aggiungi qui il testo degli esercizi. == Interazioni non covalenti tra molecole == ==== Obiettivi ==== Dopo aver completato questa sezione, dovresti essere in grado di # identificare le varie forze intermolecolari che possono essere in gioco in un dato composto organico. # descrivere come le forze intermolecolari influenzano le proprietà fisiche, la forma tridimensionale e la struttura dei composti. ==== Termini chiave ==== Assicurati di saper definire e utilizzare nel contesto i termini chiave riportati di seguito. * forze dipolo-dipolo * Forze di dispersione di Londra * legame idrogeno * forze intermolecolari * interazione non covalente * forze di van der Waals === Introduzione === Le proprietà dei liquidi sono intermedie tra quelle dei gas e dei solidi, ma sono più simili a quelle dei solidi. A differenza delle forze ''intramolecolari'' , come i legami covalenti che tengono insieme gli atomi nelle molecole e negli ioni poliatomici, le forze ''intermolecolari'' tengono insieme le molecole in un liquido o in un solido. Le forze intermolecolari sono generalmente molto più deboli dei legami covalenti. Ad esempio, sono necessari 927 kJ per vincere le forze intramolecolari e rompere entrambi i legami O–H in 1 mole di acqua, ma ne bastano solo circa 41 kJ per vincere le attrazioni intermolecolari e convertire 1 mole di acqua liquida in vapore acqueo a 100 °C. (Nonostante questo valore apparentemente basso, le forze intermolecolari nell'acqua liquida sono tra le più intense conosciute!) Data la grande differenza nell'intensità delle forze intra- e intermolecolari, i cambiamenti tra lo stato solido, liquido e gassoso si verificano quasi invariabilmente per le sostanze molecolari ''senza rompere i legami covalenti'' . ==== Nota ==== ''Le proprietà dei liquidi sono intermedie tra quelle dei gas e dei solidi, ma sono più simili a quelle dei solid''i. Le forze intermolecolari determinano le proprietà della massa, come i punti di fusione dei solidi e i punti di ebollizione dei liquidi. I liquidi bollono quando le molecole hanno abbastanza energia termica per superare le forze attrattive intermolecolari che le tengono insieme, formando così bolle di vapore all'interno del liquido. Allo stesso modo, i solidi si sciolgono quando le molecole acquisiscono sufficiente energia termica per superare le forze intermolecolari che le bloccano nel solido. Una reazione che avviene all'interno della stessa molecola è intramolecolare; una reazione che avviene tra due molecole è intermolecolare. Le forze intermolecolari sono di natura elettrostatica, cioè derivano dall'interazione tra specie con carica positiva e negativa. Come i legami covalenti e ionici, le interazioni intermolecolari sono la somma di componenti attrattive e repulsive. Poiché le interazioni elettrostatiche diminuiscono rapidamente con l'aumentare della distanza tra le molecole, le interazioni intermolecolari sono più importanti per i solidi e i liquidi, dove le molecole sono vicine. Queste interazioni diventano importanti per i gas solo a pressioni molto elevate, dove sono responsabili delle deviazioni osservate dalla legge dei gas ideali. In questa sezione consideriamo esplicitamente tre tipi di interazioni intermolecolari: forze dipolo-dipolo, forze di dispersione e legami a idrogeno. Queste interazioni intermolecolari sono chiamate anche forze di van der Waals o interazioni non covalenti. === Interazioni dipolo-dipolo === I legami covalenti polari si comportano come se gli atomi legati avessero cariche frazionali localizzate uguali ma opposte (cioè, i due atomi legati generano un dipolo). Se la struttura di una molecola è tale che i singoli dipoli di legame non si annullano a vicenda, allora la molecola ha un momento di dipolo netto. Le molecole con momento di dipolo netto tendono ad allinearsi in modo che l'estremità positiva di un dipolo sia vicina all'estremità negativa di un altro e viceversa, come mostrato nella Figura 2.12.1 parti (a e b). Le disposizioni in cui due estremità positive o due negative sono adiacenti (parti (c e d) della Figura 2.12.1) sono a più alta energia, poiché le cariche simili si respingono. Quindi le interazioni dipolo-dipolo, come quelle nelle parti (a e b) della Figura 2.12.1, sono interazioni intermolecolari attrattive interazioni intermolecolari repulsive. [[File:Figura2.12.1.jpg|centro|miniatura|Figura 2.12.1 Interazioni dipolo-dipolo attrattive e repulsive. (a e b) Gli orientamenti molecolari in cui l'estremità positiva di un dipolo (δ + ) è vicina all'estremità negativa di un altro (δ − ) (e viceversa) producono interazioni attrattive. (c e d) Gli orientamenti molecolari che giustappongono le estremità positive o negative dei dipoli su molecole adiacenti producono interazioni repulsive.]] Poiché le molecole in un liquido si muovono liberamente e continuamente, le molecole sperimentano sempre simultaneamente interazioni dipolo-dipolo sia attrattive che repulsive, come mostrato nella Figura 2.12.2. In media, tuttavia, dominano le interazioni attrattive. [[File:Figura2.12.2.jpg|centro|miniatura|Figura 2.12.2 Sia le interazioni dipolo-dipolo attrattive che quelle repulsive si verificano in un campione liquido con molte molecole]] Il clorometano è un esempio di molecola polare. Una mappa del potenziale elettrostatico mostra un'alta densità di elettroni (in rosso) intorno al cloro elettronegativo, che gli conferisce una parziale carica negativa. L'altra estremità della molecola ha una densità di elettroni che la allontana, conferendole una carica positiva parziale, visibile in blu. Le estremità positive e negative di diverse molecole di clorometano sono attratte l'una dall'altra attraverso questa interazione elettrostatica. [[File:Clorometano.svg|centro|miniatura|clorometano]] Poiché ogni estremità di un dipolo possiede solo una frazione della carica di un elettrone, le interazioni dipolo-dipolo sono sostanzialmente più deboli delle interazioni tra due ioni, ciascuno dei quali ha una carica di almeno ±1, o tra un dipolo e uno ione, in cui una delle specie ha almeno una carica positiva o negativa completa. Inoltre, l'interazione attrattiva tra dipoli diminuisce molto più rapidamente con l'aumentare della distanza rispetto alle interazioni ione-ione. Ricordiamo che l'energia attrattiva tra due ioni è proporzionale a 1/rrrrr, ovvero 64 volte. Pertanto, una sostanza come l'HCl, che è parzialmente tenuta insieme da interazioni dipolo-dipolo, è un gas a temperatura ambiente e a 1 atm di pressione, mentre il NaCl, che è tenuto insieme da interazioni ioniche, è un solido ad alto punto di fusione. All'interno di una serie di composti di massa molare simile, la forza delle interazioni intermolecolari aumenta con l'aumentare del momento di dipolo delle molecole, come mostrato nella Tabella 2.12.1. Utilizzando quanto appreso sulla previsione delle polarità relative dei legami a partire dalle elettronegatività degli atomi legati, si possono fare delle ipotesi istruttive sui punti di ebollizione relativi di molecole simili. {| class="wikitable" |+Tabella 2.12.1: Relazioni tra Momento di dipolo e il punto di ebollizione per composti organici di massa molare simile !Composto !Massa molare (g/mol) !Momento di dipolo (D) !Punto di ebollizione (K) |- |C 3 H 6 (ciclopropano) |42 |0 |240 |- |CH 3 OCH 3 (dimetil etere) |46 |1.30 |248 |- |CH 3 CN (acetonitrile) |41 |3.9 |355 |} ==== Nota ==== L'energia attrattiva tra due ioni è proporzionale a 1/r, mentre l'energia attrattiva tra due dipoli è proporzionale a 1/r6. ==== Esempio 2.12.1 ==== [[File:Figura esempio.jpg|centro|miniatura]] Disporre l'etil metil etere (CH3OCH2CH3), il 2-metilpropano [isobutano, (CH3)2CHCH3] e l'acetone (CH3COCH3) in ordine crescente di punto di ebollizione. Le loro strutture sono le seguenti: ===== Strategia: ===== Confrontate le masse molari e le polarità dei composti. I composti con masse molari più elevate e che sono polari avranno i punti di ebollizione più alti. ===== Soluzione: ===== I tre composti hanno essenzialmente la stessa massa molare (58-60 g/mol), quindi dobbiamo considerare le differenze di polarità per prevedere la forza delle interazioni intermolecolari dipolo-dipolo e quindi i punti di ebollizione dei composti. Il primo composto, il 2-metilpropano, contiene solo legami C-H, che non sono molto polari perché C e H hanno valori di elettronegatività simili. Dovrebbe quindi avere un momento di dipolo molto piccolo (ma non nullo) e un punto di ebollizione molto basso. L'etere etilico metilico ha una struttura simile a quella dell'H2O; contiene due legami singoli polari C-O orientati con un angolo di circa 109° l'uno rispetto all'altro, oltre a legami C-H relativamente non polari. Di conseguenza, i dipoli dei legami C-O si rafforzano parzialmente l'un l'altro e generano un momento di dipolo significativo che dovrebbe dare un punto di ebollizione moderatamente alto. L'acetone contiene un doppio legame C=O polare orientato a circa 120° rispetto a due gruppi metilici con legami C-H non polari. Il dipolo del legame C-O corrisponde quindi al dipolo molecolare, il che dovrebbe comportare un momento di dipolo piuttosto grande e un punto di ebollizione elevato. Si prevede quindi il seguente ordine di punti di ebollizione: 2-metilpropano < etil-metil-etere < acetone. Questo risultato è in buon accordo con i dati reali: 2-metilpropano, punto di ebollizione = -11,7°C, e momento di dipolo (μ) = 0,13 D; metiletere, punto di ebollizione = 7,4°C e μ = 1,17 D; acetone, punto di ebollizione = 56,1°C e μ = 2,88 D. ===== Esercizio 2.11.1 ===== Disporre il tetrafluoruro di carbonio (CF4), il solfuro di etile e metile (CH3SC2H5), il dimetilsolfossido [(CH3)2S=O] e il 2-metilbutano [isopentano, (CH3)2CHCH2CH3] in ordine decrescente di punto di ebollizione. === Forze di Dispersione di London === Finora abbiamo considerato solo le interazioni tra molecole polari, ma è necessario considerare altri fattori per spiegare perché molte molecole non polari, come il bromo, il benzene e l'esano, sono liquide a temperatura ambiente e altre, come lo iodio e il naftalene, sono solide. Anche i gas nobili possono essere liquefatti o solidificati a basse temperature, ad alte pressioni o in entrambi i casi. Che tipo di forze attrattive possono esistere tra molecole o atomi non polari? A questa domanda ha risposto Fritz London (1900-1954), un fisico tedesco che in seguito ha lavorato negli Stati Uniti. Nel 1930, London propose che le fluttuazioni temporanee nella distribuzione degli elettroni all'interno degli atomi e delle molecole non polari possono portare alla formazione di momenti di dipolo istantanei di breve durata, che producono forze attrattive chiamate forze di dispersione di London tra sostanze altrimenti non polari. {| class="wikitable" |+Tabella 2.12.2: Punti di fusione e di ebollizione normali di alcuni elementi e composti non polari !Sostanza !Massa molare (g/mol) !Punto di fusione (°C) !Punto di ebollizione (°C) |- |Ar |40 | -189,4 | -185,9 |- |Xe |131 | -111,8 | -108,1 |- |Numero 2 |28 | -210 | -195,8 |- |O 2 |32 | -218,8 | -183,0 |- |F 2 |38 | -219,7 | -188,1 |- |Io 2 |254 |113.7 |184,4 |- |Capitolo 4 |16 | -182,5 | -161,5 |} Consideriamo ad esempio una coppia di atomi di He adiacenti. In media, i due elettroni di ciascun atomo di He sono distribuiti uniformemente intorno al nucleo. Tuttavia, poiché gli elettroni sono in costante movimento, è probabile che la loro distribuzione in un atomo sia asimmetrica in un dato istante, dando luogo a un momento di dipolo istantaneo. Come mostrato nella parte (a) della Figura 2.12.3, il momento di dipolo istantaneo di un atomo può interagire con gli elettroni di un atomo adiacente, attirandoli verso l'estremità positiva del dipolo istantaneo o respingendoli dall'estremità negativa. L'effetto netto è che il primo atomo causa la formazione temporanea di un dipolo, detto indotto, nel secondo. Le interazioni tra questi dipoli temporanei fanno sì che gli atomi siano attratti l'uno dall'altro. Queste interazioni attrattive sono deboli e diminuiscono rapidamente con l'aumentare della distanza. London è riuscito a dimostrare con la meccanica quantistica che l'energia attrattiva tra le molecole dovuta alle interazioni tra dipoli temporanei e dipoli indotti diminuisce come 1/r6. Raddoppiando la distanza, quindi, l'energia attrattiva diminuisce di 26 volte, ovvero di 64 volte. [[File:Fig_2.12.3.jpg|centro|miniatura|Figura 2.12.3 Momenti di dipolo istantanei. La formazione di un momento di dipolo istantaneo su un atomo di He (a) o su una molecola di H2 (b) provoca la formazione di un dipolo indotto su un atomo o una molecola adiacente.]] Le interazioni dipolo-dipolo istantanee indotte tra molecole non polari possono produrre attrazioni intermolecolari così come producono attrazioni interatomiche in sostanze monoatomiche come lo Xe. Questo effetto, illustrato per due molecole di H2 nella parte (b) della Figura 2.12.3, tende a diventare più pronunciato all'aumentare delle masse atomiche e molecolari (Tabella 2.12.3). Per esempio, lo Xe bolle a -108,1°C, mentre l'He bolle a -269°C. La ragione di questa tendenza è che la forza di dispersione di Londra è legata alla facilità con cui la distribuzione degli elettroni in un dato atomo può essere perturbata. In atomi piccoli come l'He, i due elettroni 1s sono tenuti vicino al nucleo in un volume molto piccolo e le repulsioni elettrone-elettrone sono abbastanza forti da impedire una significativa asimmetria nella loro distribuzione. Negli atomi più grandi, come lo Xe, invece, gli elettroni esterni sono attratti molto meno fortemente dal nucleo a causa dei gusci intermedi pieni. Di conseguenza, è relativamente facile deformare temporaneamente la distribuzione degli elettroni per generare un dipolo istantaneo o indotto. La facilità di deformazione della distribuzione degli elettroni in un atomo o in una molecola è chiamata polarizzabilità. Poiché la distribuzione degli elettroni è più facilmente perturbabile nelle specie grandi e pesanti che in quelle piccole e leggere, si dice che le sostanze più pesanti tendono a essere molto più polarizzabili di quelle più leggere. La polarizzabilità di una sostanza determina anche il modo in cui interagisce con ioni e specie che possiedono dipoli permanenti. Le forze di dispersione di London sono quindi responsabili della tendenza generale verso punti di ebollizione più elevati con l'aumento della massa molecolare e della superficie in una serie omologa di composti, come gli alcani (parte (a) della Figura 2.12.4). L'intensità delle forze di dispersione di Londra dipende anche in modo significativo dalla forma molecolare, perché la forma determina la quantità di una molecola che può interagire con le molecole vicine in qualsiasi momento. Ad esempio, la parte (b) della Figura 2.12.4 mostra il 2,2-dimetilpropano (neopentano) e l'n-pentano, entrambi con formula empirica C5H12. Il neopentano è quasi sferico, con una piccola superficie per le interazioni intermolecolari, mentre l'n-pentano ha una conformazione allungata che gli consente di entrare in stretto contatto con altre molecole di n-pentano. Di conseguenza, il punto di ebollizione del neopentano (9,5°C) è inferiore di oltre 25°C rispetto a quello del n-pentano (36,1°C). (immagine 2.12.4) Tutte le molecole, polari o non polari, sono attratte l'una dall'altra dalle forze di dispersione di London, oltre che da altre forze attrattive eventualmente presenti. In generale, tuttavia, le interazioni dipolo-dipolo nelle piccole molecole polari sono significativamente più forti delle forze di dispersione di London, per cui le prime predominano. ==== Esempio 2.12.2 ==== Disporre n-butano, propano, 2-metilpropano [isobutano] e n-pentano in ordine crescente di punto di ebollizione. ===== Strategia: ===== Determinare le forze intermolecolari nei composti e quindi disporre i composti in base alla forza di tali forze. La sostanza con le forze più deboli avrà il punto di ebollizione più basso. ===== Soluzione: ===== I quattro composti sono alcani e non polari, quindi le forze di dispersione di Londra sono le uniche forze intermolecolari importanti. Queste forze sono generalmente più forti con l'aumentare della massa molecolare, quindi il propano dovrebbe avere il punto di ebollizione più basso e il n-pentano quello più alto, con i due isomeri del butano che si collocano nel mezzo. Dei due isomeri del butano, il 2-metilpropano è più compatto, mentre il n-butano ha una forma più allungata. Di conseguenza, ci aspettiamo che le interazioni intermolecolari per il n-butano siano più forti a causa della sua maggiore area superficiale, con un conseguente punto di ebollizione più alto. L'ordine complessivo è quindi il seguente, con i punti di ebollizione effettivi tra parentesi: propano (-42,1°C) < 2-metilpropano (-11,7°C) < n-butano (-0,5°C) < n-pentano (36,1°C). ==== Esercizio 2.11.2 ==== Disporre GeH4, SiCl4, SiH4, CH4 e GeCl4 in ordine decrescente di punto di ebollizione. === Legami a idrogeno === Le molecole con atomi di idrogeno legati ad atomi elettronegativi come O, N e F (e in misura molto minore Cl e S) tendono a presentare interazioni intermolecolari insolitamente forti. Queste determinano punti di ebollizione molto più elevati rispetto a quelli osservati per le sostanze in cui dominano le forze di dispersione di Londra, come illustrato per gli idruri covalenti degli elementi dei gruppi 14-17 nella Figura 2.12.5. Il metano e i suoi congeneri più pesanti del gruppo 14 formano una serie i cui punti di ebollizione aumentano dolcemente all'aumentare della massa molare. Questa è la tendenza prevista per le molecole non polari, per le quali le forze di dispersione di Londra sono le forze intermolecolari esclusive. Al contrario, gli idruri dei membri più leggeri dei gruppi 15-17 hanno punti di ebollizione superiori di oltre 100°C rispetto a quanto previsto sulla base delle loro masse molari. L'effetto è più drammatico per l'acqua: se estendiamo la retta che collega i punti per H2Te e H2Se alla retta per il periodo 2, otteniamo un punto di ebollizione stimato di -130°C per l'acqua! Immaginate le implicazioni per la vita sulla Terra se l'acqua bollisse a -130°C anziché a 100°C. [[File:Fig_2.12.5.jpg|centro|miniatura|Grafici dei punti di ebollizione degli idruri covalenti]] Perché le forti forze intermolecolari producono punti di ebollizione così anomali e altre proprietà insolite, come alte entalpie di vaporizzazione e alti punti di fusione? La risposta risiede nella natura altamente polare dei legami tra l'idrogeno e gli elementi molto elettronegativi come O, N e F. La grande differenza di elettronegatività si traduce in una grande carica parziale positiva sull'idrogeno e in una corrispondente grande carica parziale negativa sull'atomo di O, N o F. Di conseguenza, i legami H-O, H-N e H-F hanno dipoli di legame molto grandi che possono interagire fortemente tra loro. Poiché l'atomo di idrogeno è così piccolo, questi dipoli possono anche avvicinarsi l'uno all'altro più della maggior parte degli altri dipoli. La combinazione di grandi dipoli di legame e di brevi distanze dipolo-dipolo dà luogo a interazioni dipolo-dipolo molto forti, chiamate legami a idrogeno, come mostrato nella Figura 2.12.6 per il ghiaccio. Un legame a idrogeno è solitamente indicato da una linea tratteggiata tra l'atomo di idrogeno attaccato a O, N o F (il donatore del legame a idrogeno) e l'atomo che possiede la coppia solitaria di elettroni (l'accettore del legame a idrogeno). Poiché ogni molecola d'acqua contiene due atomi di idrogeno e due coppie solitarie, una disposizione tetraedrica massimizza il numero di legami idrogeno che si possono formare. Nella struttura del ghiaccio, ogni atomo di ossigeno è circondato da un tetraedro distorto di atomi di idrogeno che formano ponti con gli atomi di ossigeno delle molecole d'acqua adiacenti. Tuttavia, gli atomi di idrogeno a ponte non sono equidistanti dai due atomi di ossigeno che collegano. Al contrario, ogni atomo di idrogeno dista 101 pm da un ossigeno e 174 pm dall'altro. Al contrario, ogni atomo di ossigeno è legato a due atomi di H alla distanza minore e a due alla distanza maggiore, corrispondenti rispettivamente a due legami covalenti O-H e a due legami idrogeno O⋅⋅⋅H da molecole d'acqua adiacenti. La risultante struttura aperta e simile a una gabbia del ghiaccio significa che il solido è in realtà leggermente meno denso del liquido, il che spiega perché il ghiaccio galleggia sull'acqua anziché affondare. [[File:Fig_2.12.6.jpg|centro|miniatura|La struttura del ghiaccio legata all'idrogeno]] Ogni molecola d'acqua accetta due legami idrogeno da altre due molecole d'acqua e dona due atomi di idrogeno per formare legami idrogeno con altre due molecole d'acqua, producendo una struttura aperta, simile a una gabbia. La struttura dell'acqua liquida è molto simile, ma nel liquido i legami idrogeno vengono continuamente spezzati e formati a causa del rapido movimento molecolare. Poiché il ghiaccio è meno denso dell'acqua liquida, i fiumi, i laghi e gli oceani si congelano dall'alto verso il basso. Infatti, il ghiaccio forma uno strato superficiale protettivo che isola il resto dell'acqua, permettendo a pesci e altri organismi di sopravvivere nei livelli inferiori di un lago o di un mare ghiacciato. Se il ghiaccio fosse più denso del liquido, il ghiaccio che si forma in superficie con il freddo affonderebbe con la stessa velocità con cui si è formato. I corpi idrici si congelerebbero dal basso verso l'alto, il che sarebbe letale per la maggior parte delle creature acquatiche. L'espansione dell'acqua quando si congela spiega anche perché i motori delle automobili o delle imbarcazioni devono essere protetti da “antigelo” e perché le tubature non protette delle case si rompono se si lasciano congelare. Sebbene i legami a idrogeno siano molto più deboli dei legami covalenti, con energie di dissociazione tipiche di soli 15-25 kJ/mol, hanno un'influenza significativa sulle proprietà fisiche di un composto. Composti come l'HF possono formare solo due legami idrogeno alla volta, così come, in media, l'NH3 liquido puro. Di conseguenza, anche se le loro masse molecolari sono simili a quelle dell'acqua, i loro punti di ebollizione sono significativamente inferiori a quello dell'acqua, che forma quattro legami idrogeno alla volta. ==== Esempio 2.12.3 ==== Considerando CH3OH, C2H6, Xe e (CH3)3N, quali possono formare legami idrogeno con se stessi? Disegnate le strutture con legami a idrogeno. ===== Strategia: ===== Identificare i composti con un atomo di idrogeno attaccato a O, N o F. È probabile che questi siano in grado di agire come donatori di legami a idrogeno. Tra i composti che possono agire come donatori di legami a idrogeno, identificare quelli che contengono anche coppie di elettroni solitari, che consentono loro di essere accettori di legami a idrogeno. Se una sostanza è sia un donatore di idrogeno che un accettore di legami a idrogeno, disegnate una struttura che mostri il legame a idrogeno. ===== Soluzione: ===== A Tra le specie elencate, lo xeno (Xe), l'etano (C2H6) e la trimetilammina [(CH3)3N] non contengono un atomo di idrogeno legato a O, N o F; pertanto non possono agire come donatori di legami a idrogeno. B L'unico composto che può agire come donatore di legami a idrogeno, il metanolo (CH3OH), contiene sia un atomo di idrogeno attaccato all'O (che lo rende un donatore di legami a idrogeno) sia due coppie di elettroni solitari sull'O (che lo rendono un accettore di legami a idrogeno); il metanolo può quindi formare legami a idrogeno agendo sia come donatore che come accettore di legami a idrogeno. La struttura a legami idrogeno del metanolo è la seguente: (immagine) ==== Esercizio 2.12.3 ==== Considerando CH3CO2H, (CH3)3N, NH3 e CH3F, quali possono formare legami a idrogeno con se stessi? Disegnare le strutture con legami a idrogeno. ===== Risposta: CH3CO2H e NH3; ===== Legami a idrogeno nell'acido acetico.  Legami a idrogeno nell'ammoniaca. ==== Esempio 2.12.4 ==== Disporre C60 (buckminsterfullerene, che ha una struttura a gabbia), NaCl, He, Ar e N2O in ordine crescente di punto di ebollizione. Dato: composti Richiesto: ordine dei punti di ebollizione crescenti ===== Strategia: ===== Individuare le forze intermolecolari in ciascun composto e quindi disporre i composti in base alla forza di tali forze. La sostanza con le forze più deboli avrà il punto di ebollizione più basso. ===== Soluzione: ===== Le interazioni elettrostatiche sono più forti per un composto ionico, quindi ci aspettiamo che NaCl abbia il punto di ebollizione più alto. Per prevedere i punti di ebollizione relativi degli altri composti, dobbiamo considerare la loro polarità (per le interazioni dipolo-dipolo), la loro capacità di formare legami a idrogeno e la loro massa molare (per le forze di dispersione di Londra). L'elio non è polare ed è di gran lunga il più leggero, quindi dovrebbe avere il punto di ebollizione più basso. L'argon e l'N2O hanno masse molari molto simili (rispettivamente 40 e 44 g/mol), ma l'N2O è polare mentre l'Ar no. Di conseguenza, N2O dovrebbe avere un punto di ebollizione più alto. Una molecola di C60 non è polare, ma la sua massa molare è di 720 g/mol, molto più grande di quella di Ar o N2O. Poiché i punti di ebollizione delle sostanze non polari aumentano rapidamente con la massa molecolare, il C60 dovrebbe bollire a una temperatura più alta rispetto alle altre sostanze non ioniche. L'ordine previsto è quindi il seguente, con i punti di ebollizione effettivi tra parentesi: He (-269°C) < Ar (-185,7°C) < N2O (-88,5°C) < C60 (>280°C) < NaCl (1465°C). ==== Esercizio 2.12.4 ==== Disporre 2,4-dimetileptano, Ne, CS2, Cl2 e KBr in ordine decrescente di punto di ebollizione. ===== Risposta: ===== KBr (1435°C) > 2,4-dimetileptano (132,9°C) > CS2 (46,6°C) > Cl2 (-34,6°C) > Ne (-246°C) === Sintesi === Le molecole nei liquidi sono legate ad altre molecole da interazioni intermolecolari, che sono più deboli delle interazioni intramolecolari che tengono uniti gli atomi all'interno delle molecole e degli ioni poliatomici. Le transizioni tra le fasi solida e liquida o liquida e gassosa sono dovute a cambiamenti nelle interazioni intermolecolari, ma non riguardano le interazioni intramolecolari. I tre tipi principali di interazioni intermolecolari sono le interazioni dipolo-dipolo, le forze di dispersione di Londra (queste due sono spesso indicate collettivamente come forze di van der Waals) e i legami idrogeno. Le interazioni dipolo-dipolo derivano dalle interazioni elettrostatiche delle estremità positive e negative delle molecole con momenti di dipolo permanenti; la loro forza è proporzionale alla grandezza del momento di dipolo e a 1/r6, dove r è la distanza tra i dipoli. Le forze di dispersione di London sono dovute alla formazione di momenti di dipolo istantanei in molecole polari o non polari come risultato di fluttuazioni di breve durata della distribuzione della carica elettronica, che a loro volta causano la formazione temporanea di un dipolo indotto nelle molecole adiacenti. Come le interazioni dipolo-dipolo, la loro energia diminuisce con 1/r6. Gli atomi più grandi tendono a essere più polarizzabili di quelli più piccoli perché i loro elettroni esterni sono meno legati e quindi più facilmente perturbabili. I legami a idrogeno sono interazioni dipolo-dipolo particolarmente forti tra molecole che hanno legato l'idrogeno a un atomo altamente elettronegativo, come l'O, l'N o l'F. L'atomo H parzialmente carico di una molecola (donatore di legami a idrogeno) può interagire fortemente con una coppia di elettroni solitari di un atomo di O, N o F parzialmente carico negativamente su molecole adiacenti (accettore di legami a idrogeno). A causa del forte legame O⋅⋅⋅Hidrogeno tra le molecole d'acqua, l'acqua ha un punto di ebollizione insolitamente alto e il ghiaccio ha una struttura aperta, simile a una gabbia, meno densa dell'acqua liquida. === Key Takeaway === Le forze intermolecolari sono di natura elettrostatica e comprendono le forze di van der Waals e i legami a idrogeno. === Problemi === Quali sono più forti le interazioni dipolo-dipolo o le forze di dispersione di Londra? Quali sono più importanti in una molecola con atomi pesanti? Spiegate le vostre risposte. L'acqua liquida è essenziale per la vita come la conosciamo, ma in base alla sua massa molecolare, l'acqua dovrebbe essere un gas in condizioni standard. Perché l'acqua è un liquido e non un gas in condizioni standard? Perché le interazioni intermolecolari sono più importanti per i liquidi e i solidi che per i gas? In quali condizioni bisogna considerare queste interazioni per i gas? Nel gruppo 17, il fluoro e il cloro elementari sono gas, mentre il bromo è un liquido e lo iodio è un solido. Perché? Identificare l'interazione intermolecolare più importante in ciascuno dei seguenti elementi. a) SO2 b) HF c) CO2 d) CCl4 e) CH2Cl2 Sia l'acqua che il metanolo hanno punti di ebollizione anomalamente elevati a causa del legame a idrogeno, ma il punto di ebollizione dell'acqua è maggiore di quello del metanolo nonostante la sua massa molecolare inferiore. Perché? Disegnate le strutture di questi due composti, includendo eventuali coppie solitarie e indicando i potenziali legami a idrogeno. Vi aspettate che il punto di ebollizione dell'H2S sia più alto o più basso di quello dell'H2O? Giustificate la vostra risposta. Alcune ricette prevedono un'ebollizione vigorosa, mentre altre prevedono una cottura a fuoco lento. Qual è la differenza di temperatura del liquido di cottura tra l'ebollizione e la cottura a fuoco lento? Qual è la differenza di energia assorbita? 738j75ugwp6zgz8e1weui4u728egevj Connessioni/Capitolo 3 0 57668 477852 477849 2025-06-15T13:20:15Z Monozigote 19063 /* Rivelazione durante l'esilio */ testo 477852 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. === La devastazione dell'anima === === La desolazione che è l'esilio === === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] co8pnyh4zuzxdb2kehs7e28l5asrf3z 477853 477852 2025-06-15T13:32:51Z Monozigote 19063 /* Rivelazione durante l'esilio */ testo 477853 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''[https://catalog.loc.gov/vwebv/search?searchCode=LCCN&searchArg=94031951&searchType=1&permalink=y On Being Free]'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === === La desolazione che è l'esilio === === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] 9ky2f588p7q9tm0p6d66vwstjk9wync 477854 477853 2025-06-15T13:33:48Z Monozigote 19063 /* Rivelazione durante l'esilio */ 477854 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === === La desolazione che è l'esilio === === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] 5g7wxpmx6nrormmbbbggjy9c9j4051c 477857 477854 2025-06-15T18:08:41Z Monozigote 19063 /* La devastazione dell'anima */ testo 477857 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nell'informarsi/tradirsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato la lingua della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] mnjz5nhvhi18w1hmobtmatr5kltsysq 477858 477857 2025-06-15T18:44:57Z Monozigote 19063 /* La devastazione dell'anima */ 477858 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nel tradirsi e ingannarsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato il linguaggio della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] 7a2iqbu16aw1l3f7gorcz1tvn6t9hor 477860 477858 2025-06-15T20:02:32Z Monozigote 19063 /* La desolazione che è l'esilio */ testo 477860 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nel tradirsi e ingannarsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato il linguaggio della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === La parola ebraica per "desolazione", ''shemamah'', significa anche "orrore". L'orrore desolato dell'esilio non sta nel fatto che ci sia così tanto male nel mondo; al contrario, l'orrore è che non c'è alcun male nel mondo. Né c'è alcun bene; il mondo è semplicemente lì, muto, neutrale e indifferente. La desolazione e l'orrore dell'esilio risiedono in questo stato di essere vuoto di ogni valore, di ogni sostanza, di ogni significato. Nell'esilio c'è una perdita non solo dei propri punti di riferimento, ma anche del proprio senso della realtà, dei propri sensi in quanto tali. Nell'esilio impazziamo, senza nemmeno accorgercene. "Qui nel Lager", scrive [[Primo Levi]], "non ci sono criminali né pazzi".<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Da qui un altro affine a ''shamam'', l'aggettivo ''shimem'', che significa "pazzo", "demente" o "folle". Quante volte qualcuno di noi ha guardato il mondo e lo ha scambiato per follia? La follia dell'esilio, come ogni follia, sta nello scambiare l'irreale per reale, l'oscurità per luce, la miseria per abbondanza, il bene per il male e il male per il bene. Ciò che è più folle nella follia dell'esilio è che viene spacciata per normalità, eppure è una normalità ossessionata da un panico latente. Così l'orrore e la follia, la ''shemamah'' e lo ''shimem'', dell'esilio ribollono in uno stato di ''behalah'', che è "paura", "panico" o "confusione". Ma la paura, il panico e la confusione non sono solo nelle strade fuori casa: ci perseguitano dentro le nostre case, nei nostri soggiorni e nei nostri salotti, luoghi di esilio a sé stanti. Il verbo ebraico ''nivhal'' – "essere terrorizzati" o "turbati" – si applica molto bene a questo stato di disperazione. In questo stato siamo costantemente ''bahul'', "preoccupati" o "perplessi". Un altro termine per "preoccupati" o "turbati" esprime perfettamente questa condizione di esilio. È ''mutrad'', che significa anche "banditi", dal verbo ''tarad'', che significa "scacciare" o "espellere". In esilio siamo ''bahul'' e ''mutrad'', preoccupati e banditi, tanto da subire vuoti di memoria, come quando ci voltiamo e non riusciamo a ricordare dove siano andati a finire tutti gli anni trascorsi perché sono finiti nel nulla. Incapaci di guardare indietro, ci tuffiamo a capofitto nel vuoto, per sempre "di fretta", che è un altro significato di ''bahul''. Seguendo ogni moda e capriccio, fingiamo di essere più di quello che siamo e così facendo diventiamo sempre meno. Perché nel nostro affaccendarci e affannarci ci estraniamo da noi stessi, così che un estraneo ci guarda attraverso il riflesso irreale nello specchio. E per un attimo rimaniamo paralizzati. Se la vita si manifesta attraverso il movimento, l'esilio si rivela come una "paralisi", che in ebraico è ''shituk''. Questa parola è affine a ''shtikah'', la parola che significa "silenzio". Proprio come una paralisi oscura la nostra corsa senza meta, così un silenzio sottende il nostro rumore incessante. "Il mondo è diventato sempre più rumoroso", lamenta Wiesel. "La società non ha mai usato così tanti mezzi per raccontare, riferire, indagare, spiegare, commentare, articolare, rivelare, esporre e criticare; nessuna generazione è mai stata più loquace – e nessuna generazione è riuscita a dire meno".<ref>Elie Wiesel, ''Somewhere a Master: Hasidic Portraits and Legends'', trad. Marion Wiesel (New York: Summit Books, 1982), 179.</ref> È una generazione post-Olocausto. Dal momento in cui ci alziamo al mattino e accendiamo la radio o la televisione, ci ritiriamo in questo rumore. Non possiamo sopportare la muta neutralità di ciò che è semplicemente "lì", di ciò che Levinas chiama il "c'è". Con l'apparire del "c'è", spiega, "the absence of everything returns to us as a presence, as the place where the bottom has dropped out of everything, an atmospheric density, a plenitude of the void, or the murmur of silence".<ref>Emmanuel Levinas, ''Time and the Other'', trad. Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1987), 46.</ref> Il ''mormorio'' del silenzio? Forse meglio: il grido del silenzio che ci rimane in gola, mentre ci avvolge. Questa è la desolazione: è il silenzio terrificante dell'abisso insondabile sottostante e dello spazio vuoto superiore, il "silenzio degli spazi infiniti" che terrorizzava [[w:Blaise Pascal|Pascal]] (1623-1662).<ref>Blaise Pascal, ''Pensées'', ''ad loc.''.</ref> Così terrorizzata dalla muta "pienezza del vuoto", la voce che vorrebbe parlare e quindi violare il silenzio viene resa muta. E il silenzio stesso? Rimbomba. Il [[w:rumore bianco|rumore bianco]] che è il rimbombo del silenzio, il rumore che copriamo con il nostro stesso rumore, è piuttosto simile a ciò che suggerisce la parola ebraica per "rumore", ''raash'', che significa anche "frastuono" o "rombo". Altrettanto significativamente, significa "terremoto" e richiama alla mente il "tremore" che sperimentiamo quando il terreno si muove sotto i nostri piedi. Come in un terremoto, in esilio non c'è posto dove nascondersi, nessun "rifugio" o "riparo", nessuna ''miklat''; il suo affine ''klitah'' può anche significare "comprensione". Come mai in esilio la perdita del rifugio è legata a una perdita di comprensione? Perché un senso di orientamento, dove ci orientiamo, è di per sé una sorta di rifugio, dove non ci sentiamo più persi. Altrimenti, avendo smarrito la strada nel reame dell'esilio, siamo come i personaggi della poesia "[[:en:w:September 1, 1939|September 1, 1939]]" di [[w:Wystan Hugh Auden|W. H. Auden]] (1907-1973): <blockquote><poem style=> Faces along the bar Cling to their average day: The lights must never go out, The music must always play, All the conventions conspire To make this fort assume The furniture of a home; Lest we should see where we are, Lost in a haunted wood, Children afraid of the night Who have never been happy or good.<ref>W. H. Auden, “September 1, 1939,” in W. H. Auden, ''Selected Poems'', ed. Edward Mendelson (New York: Random House, 2007), 96.</ref></poem></blockquote> Il 1° settembre 1939, naturalmente, è la data in cui un'oscurità e una desolazione senza precedenti scesero sulla creazione. Gli ebrei furono gettati in un esilio mai prima verificatosi, e il mondo chiuse loro le porte: come agli ebrei sulla ''[[w:St. Louis (transatlantico)|MS St. Louis]]'' nel maggio del 1939, fu loro negato ogni rifugio.<ref>Cfr. Sarah A. Ogilvie e Scott Miller, ''Refuge Denied: The St. Louis Passengers and the Holocaust'' (Madison: University of Wisconsin Press, 2006).</ref> Rifiutando rifugio agli ebrei, l'umanità stessa fu gettata in esilio. Ancora una volta ci rendiamo conto che, più che una condizione geografica, l'esilio è una condizione spirituale, persino etica, una condizione priva di etica. In questa assenza di rifugio che caratterizza la desolazione dell'esilio, dice Levinas, "qualsiasi cosa può contare per qualsiasi altra", così che nulla ha alcun significato e ogni comprensione è perduta.<ref>Emmanuel Levinas, ''Existence and Existents'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1978), 49.</ref> Invece di vivere in relazione con il Senza Nome, annaspiamo nella nostra assenza di nome. In effetti, nell'esilio tutto l'essere è "anonimo" o "senza nome", entrambi significati della parola ebraica ''almoni''. Se non c'è un ''Chi'' ma semplicemente un ''Esso'' che pervade e sottende l'essere – se l'essere non ''comanda'' ma semplicemente ''è'' – allora non c'è un autentico ''Chi'' nell'essere umano; invece, l'essere umano è mera materia prima, un ''Esso'' perennemente intrappolato in una catena di causa ed effetto, una merce da comprare e vendere su un mercato di scambio. E non c'è deserto più desolato del mercato di scambio. Così il corpo di Israele fu trasformato in mera materia grezza, con i capelli degli ebrei trasformati in tessuti, le ossa in fertilizzante e la pelle in paralumi. Si sapeva persino che parti del corpo finivano nella zuppa distribuita agli ebrei, mentre questi morivano comunque di fame.<ref>Cfr. Sara Nomberg-Przytyk, ''Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land'', trad. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 60.</ref> Il mercato è segnato dal disperato "desiderio" o "brama" che è ''shuk'', che significa anche "mercato". Lì, nel mercato, la violenza non solo viene commessa, ma viene anche giustificata. Così ''almoni'' conduce ad ''alimut'', che significa sia "violenza" che "terrore", sempre perpetrato all'interno dell’''elem'', il "silenzio" o il "mutismo" dell'esilio. Perché la violenza si verifica quando le parole si esauriscono, e le parole si esauriscono quando diventiamo sordi al ''Chi''. Questa sordità conduce infine all'isolamento dell'abisso, e assume la sua forma più radicale nel XX secolo. Intraprendendo il loro movimento di ritorno alla loro antica patria, la Terra Santa, gli ebrei partirono non solo dall'Europa e da altrove, ma dall'orlo dell'abisso. === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] ec5wlcsvi3bu76kai5t3ujac7oj7poz 477861 477860 2025-06-15T20:43:36Z Monozigote 19063 /* Il ritorno dall'abisso dell'esilio */ testo 477861 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nel tradirsi e ingannarsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato il linguaggio della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === La parola ebraica per "desolazione", ''shemamah'', significa anche "orrore". L'orrore desolato dell'esilio non sta nel fatto che ci sia così tanto male nel mondo; al contrario, l'orrore è che non c'è alcun male nel mondo. Né c'è alcun bene; il mondo è semplicemente lì, muto, neutrale e indifferente. La desolazione e l'orrore dell'esilio risiedono in questo stato di essere vuoto di ogni valore, di ogni sostanza, di ogni significato. Nell'esilio c'è una perdita non solo dei propri punti di riferimento, ma anche del proprio senso della realtà, dei propri sensi in quanto tali. Nell'esilio impazziamo, senza nemmeno accorgercene. "Qui nel Lager", scrive [[Primo Levi]], "non ci sono criminali né pazzi".<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Da qui un altro affine a ''shamam'', l'aggettivo ''shimem'', che significa "pazzo", "demente" o "folle". Quante volte qualcuno di noi ha guardato il mondo e lo ha scambiato per follia? La follia dell'esilio, come ogni follia, sta nello scambiare l'irreale per reale, l'oscurità per luce, la miseria per abbondanza, il bene per il male e il male per il bene. Ciò che è più folle nella follia dell'esilio è che viene spacciata per normalità, eppure è una normalità ossessionata da un panico latente. Così l'orrore e la follia, la ''shemamah'' e lo ''shimem'', dell'esilio ribollono in uno stato di ''behalah'', che è "paura", "panico" o "confusione". Ma la paura, il panico e la confusione non sono solo nelle strade fuori casa: ci perseguitano dentro le nostre case, nei nostri soggiorni e nei nostri salotti, luoghi di esilio a sé stanti. Il verbo ebraico ''nivhal'' – "essere terrorizzati" o "turbati" – si applica molto bene a questo stato di disperazione. In questo stato siamo costantemente ''bahul'', "preoccupati" o "perplessi". Un altro termine per "preoccupati" o "turbati" esprime perfettamente questa condizione di esilio. È ''mutrad'', che significa anche "banditi", dal verbo ''tarad'', che significa "scacciare" o "espellere". In esilio siamo ''bahul'' e ''mutrad'', preoccupati e banditi, tanto da subire vuoti di memoria, come quando ci voltiamo e non riusciamo a ricordare dove siano andati a finire tutti gli anni trascorsi perché sono finiti nel nulla. Incapaci di guardare indietro, ci tuffiamo a capofitto nel vuoto, per sempre "di fretta", che è un altro significato di ''bahul''. Seguendo ogni moda e capriccio, fingiamo di essere più di quello che siamo e così facendo diventiamo sempre meno. Perché nel nostro affaccendarci e affannarci ci estraniamo da noi stessi, così che un estraneo ci guarda attraverso il riflesso irreale nello specchio. E per un attimo rimaniamo paralizzati. Se la vita si manifesta attraverso il movimento, l'esilio si rivela come una "paralisi", che in ebraico è ''shituk''. Questa parola è affine a ''shtikah'', la parola che significa "silenzio". Proprio come una paralisi oscura la nostra corsa senza meta, così un silenzio sottende il nostro rumore incessante. "Il mondo è diventato sempre più rumoroso", lamenta Wiesel. "La società non ha mai usato così tanti mezzi per raccontare, riferire, indagare, spiegare, commentare, articolare, rivelare, esporre e criticare; nessuna generazione è mai stata più loquace – e nessuna generazione è riuscita a dire meno".<ref>Elie Wiesel, ''Somewhere a Master: Hasidic Portraits and Legends'', trad. Marion Wiesel (New York: Summit Books, 1982), 179.</ref> È una generazione post-Olocausto. Dal momento in cui ci alziamo al mattino e accendiamo la radio o la televisione, ci ritiriamo in questo rumore. Non possiamo sopportare la muta neutralità di ciò che è semplicemente "lì", di ciò che Levinas chiama il "c'è". Con l'apparire del "c'è", spiega, "the absence of everything returns to us as a presence, as the place where the bottom has dropped out of everything, an atmospheric density, a plenitude of the void, or the murmur of silence".<ref>Emmanuel Levinas, ''Time and the Other'', trad. Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1987), 46.</ref> Il ''mormorio'' del silenzio? Forse meglio: il grido del silenzio che ci rimane in gola, mentre ci avvolge. Questa è la desolazione: è il silenzio terrificante dell'abisso insondabile sottostante e dello spazio vuoto superiore, il "silenzio degli spazi infiniti" che terrorizzava [[w:Blaise Pascal|Pascal]] (1623-1662).<ref>Blaise Pascal, ''Pensées'', ''ad loc.''.</ref> Così terrorizzata dalla muta "pienezza del vuoto", la voce che vorrebbe parlare e quindi violare il silenzio viene resa muta. E il silenzio stesso? Rimbomba. Il [[w:rumore bianco|rumore bianco]] che è il rimbombo del silenzio, il rumore che copriamo con il nostro stesso rumore, è piuttosto simile a ciò che suggerisce la parola ebraica per "rumore", ''raash'', che significa anche "frastuono" o "rombo". Altrettanto significativamente, significa "terremoto" e richiama alla mente il "tremore" che sperimentiamo quando il terreno si muove sotto i nostri piedi. Come in un terremoto, in esilio non c'è posto dove nascondersi, nessun "rifugio" o "riparo", nessuna ''miklat''; il suo affine ''klitah'' può anche significare "comprensione". Come mai in esilio la perdita del rifugio è legata a una perdita di comprensione? Perché un senso di orientamento, dove ci orientiamo, è di per sé una sorta di rifugio, dove non ci sentiamo più persi. Altrimenti, avendo smarrito la strada nel reame dell'esilio, siamo come i personaggi della poesia "[[:en:w:September 1, 1939|September 1, 1939]]" di [[w:Wystan Hugh Auden|W. H. Auden]] (1907-1973): <blockquote><poem style=> Faces along the bar Cling to their average day: The lights must never go out, The music must always play, All the conventions conspire To make this fort assume The furniture of a home; Lest we should see where we are, Lost in a haunted wood, Children afraid of the night Who have never been happy or good.<ref>W. H. Auden, “September 1, 1939,” in W. H. Auden, ''Selected Poems'', ed. Edward Mendelson (New York: Random House, 2007), 96.</ref></poem></blockquote> Il 1° settembre 1939, naturalmente, è la data in cui un'oscurità e una desolazione senza precedenti scesero sulla creazione. Gli ebrei furono gettati in un esilio mai prima verificatosi, e il mondo chiuse loro le porte: come agli ebrei sulla ''[[w:St. Louis (transatlantico)|MS St. Louis]]'' nel maggio del 1939, fu loro negato ogni rifugio.<ref>Cfr. Sarah A. Ogilvie e Scott Miller, ''Refuge Denied: The St. Louis Passengers and the Holocaust'' (Madison: University of Wisconsin Press, 2006).</ref> Rifiutando rifugio agli ebrei, l'umanità stessa fu gettata in esilio. Ancora una volta ci rendiamo conto che, più che una condizione geografica, l'esilio è una condizione spirituale, persino etica, una condizione priva di etica. In questa assenza di rifugio che caratterizza la desolazione dell'esilio, dice Levinas, "qualsiasi cosa può contare per qualsiasi altra", così che nulla ha alcun significato e ogni comprensione è perduta.<ref>Emmanuel Levinas, ''Existence and Existents'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1978), 49.</ref> Invece di vivere in relazione con il Senza Nome, annaspiamo nella nostra assenza di nome. In effetti, nell'esilio tutto l'essere è "anonimo" o "senza nome", entrambi significati della parola ebraica ''almoni''. Se non c'è un ''Chi'' ma semplicemente un ''Esso'' che pervade e sottende l'essere – se l'essere non ''comanda'' ma semplicemente ''è'' – allora non c'è un autentico ''Chi'' nell'essere umano; invece, l'essere umano è mera materia prima, un ''Esso'' perennemente intrappolato in una catena di causa ed effetto, una merce da comprare e vendere su un mercato di scambio. E non c'è deserto più desolato del mercato di scambio. Così il corpo di Israele fu trasformato in mera materia grezza, con i capelli degli ebrei trasformati in tessuti, le ossa in fertilizzante e la pelle in paralumi. Si sapeva persino che parti del corpo finivano nella zuppa distribuita agli ebrei, mentre questi morivano comunque di fame.<ref>Cfr. Sara Nomberg-Przytyk, ''Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land'', trad. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 60.</ref> Il mercato è segnato dal disperato "desiderio" o "brama" che è ''shuk'', che significa anche "mercato". Lì, nel mercato, la violenza non solo viene commessa, ma viene anche giustificata. Così ''almoni'' conduce ad ''alimut'', che significa sia "violenza" che "terrore", sempre perpetrato all'interno dell’''elem'', il "silenzio" o il "mutismo" dell'esilio. Perché la violenza si verifica quando le parole si esauriscono, e le parole si esauriscono quando diventiamo sordi al ''Chi''. Questa sordità conduce infine all'isolamento dell'abisso, e assume la sua forma più radicale nel XX secolo. Intraprendendo il loro movimento di ritorno alla loro antica patria, la Terra Santa, gli ebrei partirono non solo dall'Europa e da altrove, ma dall'orlo dell'abisso. === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === Uno sguardo a due parole ebraiche per indicare l'Olocausto servirà da esempio di ciò che la lingua ebraica può rivelare sull'Olocausto e sull'esempio più radicale dell'abisso dell'esilio. La prima è una parola che in realtà ha un uso yiddish: è ''[[:en:w:Churban|Churban]]''. Nell'antichità, gli eventi più traumatizzanti che precipitarono gli ebrei nell'abisso dell'esilio furono le distruzioni dei due Templi, prima nel 586 AEV e poi nel 70 EV. Nella lingua sacra questa "distruzione" è conosciuta come ''Churban'', dal verbo ''charav'', che significa "distruggere" o "devastare". Riferendosi alla devastazione provocata dalla distruzione del Tempio, ''Churban'' si riferisce alla perdita della Presenza Divina, alla perdita del Nome, che definisce il reame dell'esilio. Significa un attacco radicale a HaShem, al "Nome", attraverso un attacco radicale al Suo Prescelto. Pertanto, basandosi sull’ebraico, la lingua yiddish usa la stessa parola per riferirsi all’attacco più devastante a Dio nella storia attraverso lo sterminio degli ebrei: l’Olocausto. Nell'uso ebraico c'è un'altra parola che si riferisce all'abisso che dal 1945 caratterizza l'esilio del mondo e dell'umanità: ''[[Shoah]]''. ''Shoah'' significa "abisso". Significa anche "fossa", "distruzione" e "rovina". E significa "Olocausto". Collegato a questo orrendo sostantivo c'è un altro sostantivo, ''shav'', che si traduce come "menzogna" o "nulla". E il verbo ''shaah'' significa "diventare desolati" o "essere devastati"; nella sua forma ''hitpael'' o riflessiva, ''hishtaah'', significa "meravigliarsi", "essere stupiti" o "guardare con stupore o timore reverenziale". Cos'è l'Olocausto? Superando i parametri del genocidio, è l'imposizione calcolata e attentamente attuata dell'abisso dell'esilio che è la ''Shoah'' sul mondo. È una devastazione e una desolazione spirituale che ci perseguita fino alla nostra affluenza. È la menzogna fatta verità, il ritorno del mondo al nulla dell'esilio, allo ''shav'', che gli ebrei lottano per superare in un movimento di ritorno. È lo stupore non per l'inimmaginabile, ma per tutto l'immaginabile, ed è esattamente ciò che i nazisti fecero nel processo di disfacimento dell'immagine dell'essere umano: non l'inimmaginabile, ma tutto l'immaginabile. Perché non c'era alcun principio limitante all'opera nelle loro azioni, quindi nessuna possibilità di andare troppo oltre. Al contrario, non potevano mai andare abbastanza oltre, e lì risiede la dimensione dell'infinito nel loro assalto all'Infinito, a HaShem, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che fu mandato in esilio con il Suo popolo. Sì: Dio stesso è in esilio, solo, perché Egli ha mandato la Sua Shekhinah in esilio con i Suoi figli. Scrive Wiesel: "''Shekhina'' [sic] in exile, ''Shekhina'' exiled from itself. God abandons Himself. This is a very beautiful, poignant, and tragic theme: ''Shekhina'' forsakes God so as to return to us . . . . Once the world has been created, and men are suffering, God wants to suffer with us. That is why He allows His ''Shekhina'' to leave Him, so as to suffer in His name, with Him and His creatures".<ref>Wiesel, ''Evil and Exile'', 93–94.</ref> L'esilio, quindi, è un reame non solo di sofferenza umana, ma anche di sofferenza divina, persino – o soprattutto – sulla scia del ''Churban'', dopodiché, dice il Talmud, la Shekhinah gridò: "Oh guai, Mio ​​capo! Oh guai, Mie braccia!" (''Sanhedrin'' 46a; ''Chagigah'' 15b). La sofferenza divina, nelle parole di Levinas, è la sofferenza del "Dio che soffre sia per la trasgressione dell’uomo sia per la sofferenza con cui questa trasgressione può essere espiata",<ref>Emmanuel Levinas, “Prayer Without Demand,” trad. Sarah Richmond, in Sean Hand, ed. ''The Levinas Reader'' (Oxford: Basil Blackwell, 1989), 234.</ref> sia per l’esilio sia per la rivelazione, sia per l’esilio sia per il movimento del ritorno. Nel corso dei secoli, l'odio di Amalek verso gli ebrei per la loro devozione a Dio ha assunto forme diverse. Lo si può osservare nell'esilio tra gli Egiziani e i Babilonesi, tra i Greci e i Romani, tutti artefici di grandi civiltà. E tutti quanti, in un modo o nell'altro, tentarono di eliminare Dio dal mondo, eliminando la testimonianza ebraica che è l'ebraismo. Lo stato di esilio che culmina nell'abisso dell'Olocausto, tuttavia, affonda le sue radici nella dottrina cristiana del [[w:teologia della sostituzione|supersessionismo]], che dichiara gli ebrei e l'ebraismo teologicamente superflui. Una volta dichiarati gli ebrei superflui e l'ebraismo arcaico, entrambi diventano oggetto di odio. E nulla spinge un popolo all'esilio come l'odio. Tuttavia, derivando da qualcosa di più dell'odio cristiano, questo evento che ha radicalmente consegnato gli ebrei all'abisso dell'esilio è stato anche il risultato di una certa tradizione filosofica, come vedremo più in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 9|Capitolo 9]]. È la tradizione ontologica a rendere irrilevanti sia Dio che gli ebrei, cosicché gli ebrei si trovano di fronte a un movimento di ritorno non solo dall'esilio, ma anche da un modo di pensare che rende irrilevanti gli ebrei e l'ebraismo. E, come abbiamo visto nel Capitolo precedente, quando gli ebrei e la loro testimonianza millenaria – quando gli ebrei e l'ebraismo – vengono resi irrilevanti, lo diventa anche l’''altro'' essere umano. Emblema del nostro esilio, l'Olocausto nasce non solo dalla rivolta filosofica, ma anche dal silenzio cristiano, entrambi fattori che gettarono gli ebrei in un isolamento assoluto, imposto da un'insidiosa menzogna. In effetti, il termine per "isolamento", ''bedidut'', suggerisce un legame tra la menzogna che caratterizza l'esilio e l'isolamento dell'abisso. Infatti, un termine affine a ''bedidut'', il sostantivo ''bedayah'', significa anche "menzogna". La "menzogna" che è ''bedayah'' affonda le sue radici nello strappo della parola dal significato. La parola che esprime questo strappo è ''badud'': significa sia "solitario" che "strappato". Il vuoto dell'abisso è il vuoto che rimane quando il significato è stato strappato dalla parola. E ovunque il significato venga strappato dalla parola, gli esseri umani vengono strappati gli uni dagli altri in un assalto fondamentale all'anima, poiché l'anima, la ''neshamah'', trae il suo respiro, la sua ''neshimah'', dallo spazio intermedio delle relazioni umane. Così, dapprima isolate, le persone vengono poi assassinate – "legalmente", "legittimamente" e in massa. Se il comandamento più fondamentale per le relazioni umane, così come articolato nei Dieci Parole del Sinai, è "Non uccidere", l'abisso dell'esilio, ancora una volta, è fatto di omicidio. Pertanto, il movimento di ritorno dall'abisso dell'esilio è un movimento di ritorno nell'ovile del comandamento divino, assoluto: "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Questo comandamento è il primo baluardo che si frappone tra un'umanità esiliata e l'apertura di un luogo in cui l'altro essere umano – e ogni essere umano – possa dimorare. === Essenza e ritorno nell'ebraismo === {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] s48ja8iz3dyvd8zbjsvl6rk06sflj9f 477862 477861 2025-06-15T21:05:41Z Monozigote 19063 /* Essenza e ritorno nell'ebraismo */ testo 477862 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nel tradirsi e ingannarsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato il linguaggio della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === La parola ebraica per "desolazione", ''shemamah'', significa anche "orrore". L'orrore desolato dell'esilio non sta nel fatto che ci sia così tanto male nel mondo; al contrario, l'orrore è che non c'è alcun male nel mondo. Né c'è alcun bene; il mondo è semplicemente lì, muto, neutrale e indifferente. La desolazione e l'orrore dell'esilio risiedono in questo stato di essere vuoto di ogni valore, di ogni sostanza, di ogni significato. Nell'esilio c'è una perdita non solo dei propri punti di riferimento, ma anche del proprio senso della realtà, dei propri sensi in quanto tali. Nell'esilio impazziamo, senza nemmeno accorgercene. "Qui nel Lager", scrive [[Primo Levi]], "non ci sono criminali né pazzi".<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Da qui un altro affine a ''shamam'', l'aggettivo ''shimem'', che significa "pazzo", "demente" o "folle". Quante volte qualcuno di noi ha guardato il mondo e lo ha scambiato per follia? La follia dell'esilio, come ogni follia, sta nello scambiare l'irreale per reale, l'oscurità per luce, la miseria per abbondanza, il bene per il male e il male per il bene. Ciò che è più folle nella follia dell'esilio è che viene spacciata per normalità, eppure è una normalità ossessionata da un panico latente. Così l'orrore e la follia, la ''shemamah'' e lo ''shimem'', dell'esilio ribollono in uno stato di ''behalah'', che è "paura", "panico" o "confusione". Ma la paura, il panico e la confusione non sono solo nelle strade fuori casa: ci perseguitano dentro le nostre case, nei nostri soggiorni e nei nostri salotti, luoghi di esilio a sé stanti. Il verbo ebraico ''nivhal'' – "essere terrorizzati" o "turbati" – si applica molto bene a questo stato di disperazione. In questo stato siamo costantemente ''bahul'', "preoccupati" o "perplessi". Un altro termine per "preoccupati" o "turbati" esprime perfettamente questa condizione di esilio. È ''mutrad'', che significa anche "banditi", dal verbo ''tarad'', che significa "scacciare" o "espellere". In esilio siamo ''bahul'' e ''mutrad'', preoccupati e banditi, tanto da subire vuoti di memoria, come quando ci voltiamo e non riusciamo a ricordare dove siano andati a finire tutti gli anni trascorsi perché sono finiti nel nulla. Incapaci di guardare indietro, ci tuffiamo a capofitto nel vuoto, per sempre "di fretta", che è un altro significato di ''bahul''. Seguendo ogni moda e capriccio, fingiamo di essere più di quello che siamo e così facendo diventiamo sempre meno. Perché nel nostro affaccendarci e affannarci ci estraniamo da noi stessi, così che un estraneo ci guarda attraverso il riflesso irreale nello specchio. E per un attimo rimaniamo paralizzati. Se la vita si manifesta attraverso il movimento, l'esilio si rivela come una "paralisi", che in ebraico è ''shituk''. Questa parola è affine a ''shtikah'', la parola che significa "silenzio". Proprio come una paralisi oscura la nostra corsa senza meta, così un silenzio sottende il nostro rumore incessante. "Il mondo è diventato sempre più rumoroso", lamenta Wiesel. "La società non ha mai usato così tanti mezzi per raccontare, riferire, indagare, spiegare, commentare, articolare, rivelare, esporre e criticare; nessuna generazione è mai stata più loquace – e nessuna generazione è riuscita a dire meno".<ref>Elie Wiesel, ''Somewhere a Master: Hasidic Portraits and Legends'', trad. Marion Wiesel (New York: Summit Books, 1982), 179.</ref> È una generazione post-Olocausto. Dal momento in cui ci alziamo al mattino e accendiamo la radio o la televisione, ci ritiriamo in questo rumore. Non possiamo sopportare la muta neutralità di ciò che è semplicemente "lì", di ciò che Levinas chiama il "c'è". Con l'apparire del "c'è", spiega, "the absence of everything returns to us as a presence, as the place where the bottom has dropped out of everything, an atmospheric density, a plenitude of the void, or the murmur of silence".<ref>Emmanuel Levinas, ''Time and the Other'', trad. Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1987), 46.</ref> Il ''mormorio'' del silenzio? Forse meglio: il grido del silenzio che ci rimane in gola, mentre ci avvolge. Questa è la desolazione: è il silenzio terrificante dell'abisso insondabile sottostante e dello spazio vuoto superiore, il "silenzio degli spazi infiniti" che terrorizzava [[w:Blaise Pascal|Pascal]] (1623-1662).<ref>Blaise Pascal, ''Pensées'', ''ad loc.''.</ref> Così terrorizzata dalla muta "pienezza del vuoto", la voce che vorrebbe parlare e quindi violare il silenzio viene resa muta. E il silenzio stesso? Rimbomba. Il [[w:rumore bianco|rumore bianco]] che è il rimbombo del silenzio, il rumore che copriamo con il nostro stesso rumore, è piuttosto simile a ciò che suggerisce la parola ebraica per "rumore", ''raash'', che significa anche "frastuono" o "rombo". Altrettanto significativamente, significa "terremoto" e richiama alla mente il "tremore" che sperimentiamo quando il terreno si muove sotto i nostri piedi. Come in un terremoto, in esilio non c'è posto dove nascondersi, nessun "rifugio" o "riparo", nessuna ''miklat''; il suo affine ''klitah'' può anche significare "comprensione". Come mai in esilio la perdita del rifugio è legata a una perdita di comprensione? Perché un senso di orientamento, dove ci orientiamo, è di per sé una sorta di rifugio, dove non ci sentiamo più persi. Altrimenti, avendo smarrito la strada nel reame dell'esilio, siamo come i personaggi della poesia "[[:en:w:September 1, 1939|September 1, 1939]]" di [[w:Wystan Hugh Auden|W. H. Auden]] (1907-1973): <blockquote><poem style=> Faces along the bar Cling to their average day: The lights must never go out, The music must always play, All the conventions conspire To make this fort assume The furniture of a home; Lest we should see where we are, Lost in a haunted wood, Children afraid of the night Who have never been happy or good.<ref>W. H. Auden, “September 1, 1939,” in W. H. Auden, ''Selected Poems'', ed. Edward Mendelson (New York: Random House, 2007), 96.</ref></poem></blockquote> Il 1° settembre 1939, naturalmente, è la data in cui un'oscurità e una desolazione senza precedenti scesero sulla creazione. Gli ebrei furono gettati in un esilio mai prima verificatosi, e il mondo chiuse loro le porte: come agli ebrei sulla ''[[w:St. Louis (transatlantico)|MS St. Louis]]'' nel maggio del 1939, fu loro negato ogni rifugio.<ref>Cfr. Sarah A. Ogilvie e Scott Miller, ''Refuge Denied: The St. Louis Passengers and the Holocaust'' (Madison: University of Wisconsin Press, 2006).</ref> Rifiutando rifugio agli ebrei, l'umanità stessa fu gettata in esilio. Ancora una volta ci rendiamo conto che, più che una condizione geografica, l'esilio è una condizione spirituale, persino etica, una condizione priva di etica. In questa assenza di rifugio che caratterizza la desolazione dell'esilio, dice Levinas, "qualsiasi cosa può contare per qualsiasi altra", così che nulla ha alcun significato e ogni comprensione è perduta.<ref>Emmanuel Levinas, ''Existence and Existents'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1978), 49.</ref> Invece di vivere in relazione con il Senza Nome, annaspiamo nella nostra assenza di nome. In effetti, nell'esilio tutto l'essere è "anonimo" o "senza nome", entrambi significati della parola ebraica ''almoni''. Se non c'è un ''Chi'' ma semplicemente un ''Esso'' che pervade e sottende l'essere – se l'essere non ''comanda'' ma semplicemente ''è'' – allora non c'è un autentico ''Chi'' nell'essere umano; invece, l'essere umano è mera materia prima, un ''Esso'' perennemente intrappolato in una catena di causa ed effetto, una merce da comprare e vendere su un mercato di scambio. E non c'è deserto più desolato del mercato di scambio. Così il corpo di Israele fu trasformato in mera materia grezza, con i capelli degli ebrei trasformati in tessuti, le ossa in fertilizzante e la pelle in paralumi. Si sapeva persino che parti del corpo finivano nella zuppa distribuita agli ebrei, mentre questi morivano comunque di fame.<ref>Cfr. Sara Nomberg-Przytyk, ''Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land'', trad. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 60.</ref> Il mercato è segnato dal disperato "desiderio" o "brama" che è ''shuk'', che significa anche "mercato". Lì, nel mercato, la violenza non solo viene commessa, ma viene anche giustificata. Così ''almoni'' conduce ad ''alimut'', che significa sia "violenza" che "terrore", sempre perpetrato all'interno dell’''elem'', il "silenzio" o il "mutismo" dell'esilio. Perché la violenza si verifica quando le parole si esauriscono, e le parole si esauriscono quando diventiamo sordi al ''Chi''. Questa sordità conduce infine all'isolamento dell'abisso, e assume la sua forma più radicale nel XX secolo. Intraprendendo il loro movimento di ritorno alla loro antica patria, la Terra Santa, gli ebrei partirono non solo dall'Europa e da altrove, ma dall'orlo dell'abisso. === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === Uno sguardo a due parole ebraiche per indicare l'Olocausto servirà da esempio di ciò che la lingua ebraica può rivelare sull'Olocausto e sull'esempio più radicale dell'abisso dell'esilio. La prima è una parola che in realtà ha un uso yiddish: è ''[[:en:w:Churban|Churban]]''. Nell'antichità, gli eventi più traumatizzanti che precipitarono gli ebrei nell'abisso dell'esilio furono le distruzioni dei due Templi, prima nel 586 AEV e poi nel 70 EV. Nella lingua sacra questa "distruzione" è conosciuta come ''Churban'', dal verbo ''charav'', che significa "distruggere" o "devastare". Riferendosi alla devastazione provocata dalla distruzione del Tempio, ''Churban'' si riferisce alla perdita della Presenza Divina, alla perdita del Nome, che definisce il reame dell'esilio. Significa un attacco radicale a HaShem, al "Nome", attraverso un attacco radicale al Suo Prescelto. Pertanto, basandosi sull’ebraico, la lingua yiddish usa la stessa parola per riferirsi all’attacco più devastante a Dio nella storia attraverso lo sterminio degli ebrei: l’Olocausto. Nell'uso ebraico c'è un'altra parola che si riferisce all'abisso che dal 1945 caratterizza l'esilio del mondo e dell'umanità: ''[[Shoah]]''. ''Shoah'' significa "abisso". Significa anche "fossa", "distruzione" e "rovina". E significa "Olocausto". Collegato a questo orrendo sostantivo c'è un altro sostantivo, ''shav'', che si traduce come "menzogna" o "nulla". E il verbo ''shaah'' significa "diventare desolati" o "essere devastati"; nella sua forma ''hitpael'' o riflessiva, ''hishtaah'', significa "meravigliarsi", "essere stupiti" o "guardare con stupore o timore reverenziale". Cos'è l'Olocausto? Superando i parametri del genocidio, è l'imposizione calcolata e attentamente attuata dell'abisso dell'esilio che è la ''Shoah'' sul mondo. È una devastazione e una desolazione spirituale che ci perseguita fino alla nostra affluenza. È la menzogna fatta verità, il ritorno del mondo al nulla dell'esilio, allo ''shav'', che gli ebrei lottano per superare in un movimento di ritorno. È lo stupore non per l'inimmaginabile, ma per tutto l'immaginabile, ed è esattamente ciò che i nazisti fecero nel processo di disfacimento dell'immagine dell'essere umano: non l'inimmaginabile, ma tutto l'immaginabile. Perché non c'era alcun principio limitante all'opera nelle loro azioni, quindi nessuna possibilità di andare troppo oltre. Al contrario, non potevano mai andare abbastanza oltre, e lì risiede la dimensione dell'infinito nel loro assalto all'Infinito, a HaShem, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che fu mandato in esilio con il Suo popolo. Sì: Dio stesso è in esilio, solo, perché Egli ha mandato la Sua Shekhinah in esilio con i Suoi figli. Scrive Wiesel: "''Shekhina'' [sic] in exile, ''Shekhina'' exiled from itself. God abandons Himself. This is a very beautiful, poignant, and tragic theme: ''Shekhina'' forsakes God so as to return to us . . . . Once the world has been created, and men are suffering, God wants to suffer with us. That is why He allows His ''Shekhina'' to leave Him, so as to suffer in His name, with Him and His creatures".<ref>Wiesel, ''Evil and Exile'', 93–94.</ref> L'esilio, quindi, è un reame non solo di sofferenza umana, ma anche di sofferenza divina, persino – o soprattutto – sulla scia del ''Churban'', dopodiché, dice il Talmud, la Shekhinah gridò: "Oh guai, Mio ​​capo! Oh guai, Mie braccia!" (''Sanhedrin'' 46a; ''Chagigah'' 15b). La sofferenza divina, nelle parole di Levinas, è la sofferenza del "Dio che soffre sia per la trasgressione dell’uomo sia per la sofferenza con cui questa trasgressione può essere espiata",<ref>Emmanuel Levinas, “Prayer Without Demand,” trad. Sarah Richmond, in Sean Hand, ed. ''The Levinas Reader'' (Oxford: Basil Blackwell, 1989), 234.</ref> sia per l’esilio sia per la rivelazione, sia per l’esilio sia per il movimento del ritorno. Nel corso dei secoli, l'odio di Amalek verso gli ebrei per la loro devozione a Dio ha assunto forme diverse. Lo si può osservare nell'esilio tra gli Egiziani e i Babilonesi, tra i Greci e i Romani, tutti artefici di grandi civiltà. E tutti quanti, in un modo o nell'altro, tentarono di eliminare Dio dal mondo, eliminando la testimonianza ebraica che è l'ebraismo. Lo stato di esilio che culmina nell'abisso dell'Olocausto, tuttavia, affonda le sue radici nella dottrina cristiana del [[w:teologia della sostituzione|supersessionismo]], che dichiara gli ebrei e l'ebraismo teologicamente superflui. Una volta dichiarati gli ebrei superflui e l'ebraismo arcaico, entrambi diventano oggetto di odio. E nulla spinge un popolo all'esilio come l'odio. Tuttavia, derivando da qualcosa di più dell'odio cristiano, questo evento che ha radicalmente consegnato gli ebrei all'abisso dell'esilio è stato anche il risultato di una certa tradizione filosofica, come vedremo più in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 9|Capitolo 9]]. È la tradizione ontologica a rendere irrilevanti sia Dio che gli ebrei, cosicché gli ebrei si trovano di fronte a un movimento di ritorno non solo dall'esilio, ma anche da un modo di pensare che rende irrilevanti gli ebrei e l'ebraismo. E, come abbiamo visto nel Capitolo precedente, quando gli ebrei e la loro testimonianza millenaria – quando gli ebrei e l'ebraismo – vengono resi irrilevanti, lo diventa anche l’''altro'' essere umano. Emblema del nostro esilio, l'Olocausto nasce non solo dalla rivolta filosofica, ma anche dal silenzio cristiano, entrambi fattori che gettarono gli ebrei in un isolamento assoluto, imposto da un'insidiosa menzogna. In effetti, il termine per "isolamento", ''bedidut'', suggerisce un legame tra la menzogna che caratterizza l'esilio e l'isolamento dell'abisso. Infatti, un termine affine a ''bedidut'', il sostantivo ''bedayah'', significa anche "menzogna". La "menzogna" che è ''bedayah'' affonda le sue radici nello strappo della parola dal significato. La parola che esprime questo strappo è ''badud'': significa sia "solitario" che "strappato". Il vuoto dell'abisso è il vuoto che rimane quando il significato è stato strappato dalla parola. E ovunque il significato venga strappato dalla parola, gli esseri umani vengono strappati gli uni dagli altri in un assalto fondamentale all'anima, poiché l'anima, la ''neshamah'', trae il suo respiro, la sua ''neshimah'', dallo spazio intermedio delle relazioni umane. Così, dapprima isolate, le persone vengono poi assassinate – "legalmente", "legittimamente" e in massa. Se il comandamento più fondamentale per le relazioni umane, così come articolato nei Dieci Parole del Sinai, è "Non uccidere", l'abisso dell'esilio, ancora una volta, è fatto di omicidio. Pertanto, il movimento di ritorno dall'abisso dell'esilio è un movimento di ritorno nell'ovile del comandamento divino, assoluto: "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Questo comandamento è il primo baluardo che si frappone tra un'umanità esiliata e l'apertura di un luogo in cui l'altro essere umano – e ogni essere umano – possa dimorare. === Essenza e ritorno nell'ebraismo === [[w:Albert Camus|Albert Camus]] apre ''[[w:Il mito di Sisifo|Le mythe de Sisyphe]]'' con una delle frasi più celebri della filosofia moderna: "C'è un solo problema filosofico veramente serio, ed è il suicidio".<ref>Albert Camus, ''[[w:Il mito di Sisifo|Le mythe de Sisyphe]]'', mia trad.</ref> Per l'ebraismo in un'epoca di esilio, come ha affermato [[Abraham Joshua Heschel]] contro Camus, l'unico problema filosofico veramente serio è il martirio,<ref>Abraham Joshua Heschel, ''I Asked for Wonder'' (New York: Crossroad, 1983), 45.</ref> che, nella sua determinazione a morire in un ''Kiddush HaShem'' piuttosto che uccidere, è l'opposto dell'autoomicidio. Mentre l'imperativo categorico kantiano può proibire l'omicidio per impedire ad altri di uccidersi, non può comandare il martirio, come fa il Talmud (cfr. ''Sanhedrin'' 74a). Cosa comanda il Talmud? Scegliere di essere assassinati in un atto di martirio – in un atto di ''Kiddush HaShem'', la "Santificazione del Nome" – piuttosto che commettere omicidio, adulterio o idolatria. La ''Mishnah'' insegna che queste tre trasgressioni sono la causa dell'esilio (''Avot'' 5:9). Se omicidio, adulterio e idolatria sono la causa dell'esilio, allora il movimento del ritorno implica il rifiuto di omicidio, adulterio e idolatria. Dove regnano questi tre, regna l'abisso dell'esilio. Regna l'insensatezza. Regna l'assurdo. ''Kiddush HaShem'', spiega [[w:André Neher|André Neher]], "è la negazione dell'assurdo. Tutto riceve un significato attraverso la testimonianza ultima dell'uomo che accetta quel significato fino in fondo. Tutto è orientato in relazione a quella testimonianza. Tutto viene ''santificato'' attraverso di essa"<ref>André Neher, ''The Prophetic Existence'', trad. William Wolf (New York: A. S. Barnes, 1969), 338.</ref> – e non attraverso le elucubrazioni dei filosofi o dei teologi, i mediatori dell'esilio. Ciò che è in gioco in ''Kiddush HaShem'' non è la vita della mia anima nell'aldilà, ma la vita di Dio in questo mondo: ciò che è in gioco è il ritorno di Dio dall'esilio per abbracciare la Sua Shekhinah. Contrariamente alla tradizione ontologica occidentale, ''Kiddush HaShem'' non riguarda me. Radicato non nella paura della mia morte, ma nella paura della morte dell'altro – non nella paura di morire, ma nella paura di commettere un omicidio – ''Kiddush HaShem'' è l'opposto della teleologia che cerca la salvezza personale e dell'ontologia che cerca l'autenticità personale. Come si è sviluppata nel corso dei secoli, la missione cristiana è stata una fissazione sulla mia salvezza, spesso trasmutata nel mio tentativo maldestro di salvare l'anima di un altro, anche se ciò significava bruciare il corpo dell'ebreo per salvare l'anima dell'ebreo, come ai tempi dell'Inquisizione spagnola. Secondo un racconto di un testimone oculare di [[w:Logroño|Logroño]], mentre un ebreo veniva legato al rogo, il boia gli sputò addosso e lo chiamò cane. Quando la torcia gli fu passata davanti agli occhi, tuttavia, colui che stava per essere bruciato vivo urlò e dichiarò la sua fede in Gesù Cristo come suo Salvatore. Poi chiese al boia: "Perché mi hai chiamato cane?". La figura incappucciata rispose: "Perché hai rinnegato la fede in Gesù Cristo: ma ora che hai confessato, siamo fratelli, e se ti ho offeso con quello che ho detto, ti chiedo perdono in ginocchio". Il condannato lo perdonò e si abbracciarono, dopodiché il boia strangolò il suo nuovo fratello.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 211.</ref> Così un'anima fu salvata. ''Kiddush HaShem'' è l'unica questione veramente seria, come ha affermato Heschel, perché solo attraverso questo essere-per-l'altro, per cui scegliamo la morte anziché infliggerla, possiamo affermare la santità del Santo e quindi tornare da una condizione di esilio. Perché questa scelta della propria morte è la testimonianza ultima a Colui che ci comanda di scegliere la vita ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:19}}). Scegliendo la vita, non scegliamo semplicemente di rimanere in vita; piuttosto, scegliamo di non "morire di morte", come è scritto: optando per la vita, ci opponiamo al ''mot tamut'', il "morire sicuramente", o il "morire di morte", di cui il primo essere umano è avvertito fin dall'inizio ({{passo biblico2|Genesi|2:17}}). Questo è ciò che lo rende "martirio" o "testimonianza". Ancora una volta, ciò che è essenziale comprendere è questo: il martirio ''non è'' suicidio, è il contrario. Questo è ciò che lo rende il primo passo nel movimento di ritorno dall'esilio. {{clear}} === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] dj0fnpopziqt7muqzldergquu7w3aau 477864 477862 2025-06-15T21:32:25Z Monozigote 19063 /* Essenza e ritorno nell'ebraismo */ testo+compl. 477864 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nel tradirsi e ingannarsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato il linguaggio della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === La parola ebraica per "desolazione", ''shemamah'', significa anche "orrore". L'orrore desolato dell'esilio non sta nel fatto che ci sia così tanto male nel mondo; al contrario, l'orrore è che non c'è alcun male nel mondo. Né c'è alcun bene; il mondo è semplicemente lì, muto, neutrale e indifferente. La desolazione e l'orrore dell'esilio risiedono in questo stato di essere vuoto di ogni valore, di ogni sostanza, di ogni significato. Nell'esilio c'è una perdita non solo dei propri punti di riferimento, ma anche del proprio senso della realtà, dei propri sensi in quanto tali. Nell'esilio impazziamo, senza nemmeno accorgercene. "Qui nel Lager", scrive [[Primo Levi]], "non ci sono criminali né pazzi".<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Da qui un altro affine a ''shamam'', l'aggettivo ''shimem'', che significa "pazzo", "demente" o "folle". Quante volte qualcuno di noi ha guardato il mondo e lo ha scambiato per follia? La follia dell'esilio, come ogni follia, sta nello scambiare l'irreale per reale, l'oscurità per luce, la miseria per abbondanza, il bene per il male e il male per il bene. Ciò che è più folle nella follia dell'esilio è che viene spacciata per normalità, eppure è una normalità ossessionata da un panico latente. Così l'orrore e la follia, la ''shemamah'' e lo ''shimem'', dell'esilio ribollono in uno stato di ''behalah'', che è "paura", "panico" o "confusione". Ma la paura, il panico e la confusione non sono solo nelle strade fuori casa: ci perseguitano dentro le nostre case, nei nostri soggiorni e nei nostri salotti, luoghi di esilio a sé stanti. Il verbo ebraico ''nivhal'' – "essere terrorizzati" o "turbati" – si applica molto bene a questo stato di disperazione. In questo stato siamo costantemente ''bahul'', "preoccupati" o "perplessi". Un altro termine per "preoccupati" o "turbati" esprime perfettamente questa condizione di esilio. È ''mutrad'', che significa anche "banditi", dal verbo ''tarad'', che significa "scacciare" o "espellere". In esilio siamo ''bahul'' e ''mutrad'', preoccupati e banditi, tanto da subire vuoti di memoria, come quando ci voltiamo e non riusciamo a ricordare dove siano andati a finire tutti gli anni trascorsi perché sono finiti nel nulla. Incapaci di guardare indietro, ci tuffiamo a capofitto nel vuoto, per sempre "di fretta", che è un altro significato di ''bahul''. Seguendo ogni moda e capriccio, fingiamo di essere più di quello che siamo e così facendo diventiamo sempre meno. Perché nel nostro affaccendarci e affannarci ci estraniamo da noi stessi, così che un estraneo ci guarda attraverso il riflesso irreale nello specchio. E per un attimo rimaniamo paralizzati. Se la vita si manifesta attraverso il movimento, l'esilio si rivela come una "paralisi", che in ebraico è ''shituk''. Questa parola è affine a ''shtikah'', la parola che significa "silenzio". Proprio come una paralisi oscura la nostra corsa senza meta, così un silenzio sottende il nostro rumore incessante. "Il mondo è diventato sempre più rumoroso", lamenta Wiesel. "La società non ha mai usato così tanti mezzi per raccontare, riferire, indagare, spiegare, commentare, articolare, rivelare, esporre e criticare; nessuna generazione è mai stata più loquace – e nessuna generazione è riuscita a dire meno".<ref>Elie Wiesel, ''Somewhere a Master: Hasidic Portraits and Legends'', trad. Marion Wiesel (New York: Summit Books, 1982), 179.</ref> È una generazione post-Olocausto. Dal momento in cui ci alziamo al mattino e accendiamo la radio o la televisione, ci ritiriamo in questo rumore. Non possiamo sopportare la muta neutralità di ciò che è semplicemente "lì", di ciò che Levinas chiama il "c'è". Con l'apparire del "c'è", spiega, "the absence of everything returns to us as a presence, as the place where the bottom has dropped out of everything, an atmospheric density, a plenitude of the void, or the murmur of silence".<ref>Emmanuel Levinas, ''Time and the Other'', trad. Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1987), 46.</ref> Il ''mormorio'' del silenzio? Forse meglio: il grido del silenzio che ci rimane in gola, mentre ci avvolge. Questa è la desolazione: è il silenzio terrificante dell'abisso insondabile sottostante e dello spazio vuoto superiore, il "silenzio degli spazi infiniti" che terrorizzava [[w:Blaise Pascal|Pascal]] (1623-1662).<ref>Blaise Pascal, ''Pensées'', ''ad loc.''.</ref> Così terrorizzata dalla muta "pienezza del vuoto", la voce che vorrebbe parlare e quindi violare il silenzio viene resa muta. E il silenzio stesso? Rimbomba. Il [[w:rumore bianco|rumore bianco]] che è il rimbombo del silenzio, il rumore che copriamo con il nostro stesso rumore, è piuttosto simile a ciò che suggerisce la parola ebraica per "rumore", ''raash'', che significa anche "frastuono" o "rombo". Altrettanto significativamente, significa "terremoto" e richiama alla mente il "tremore" che sperimentiamo quando il terreno si muove sotto i nostri piedi. Come in un terremoto, in esilio non c'è posto dove nascondersi, nessun "rifugio" o "riparo", nessuna ''miklat''; il suo affine ''klitah'' può anche significare "comprensione". Come mai in esilio la perdita del rifugio è legata a una perdita di comprensione? Perché un senso di orientamento, dove ci orientiamo, è di per sé una sorta di rifugio, dove non ci sentiamo più persi. Altrimenti, avendo smarrito la strada nel reame dell'esilio, siamo come i personaggi della poesia "[[:en:w:September 1, 1939|September 1, 1939]]" di [[w:Wystan Hugh Auden|W. H. Auden]] (1907-1973): <blockquote><poem style=> Faces along the bar Cling to their average day: The lights must never go out, The music must always play, All the conventions conspire To make this fort assume The furniture of a home; Lest we should see where we are, Lost in a haunted wood, Children afraid of the night Who have never been happy or good.<ref>W. H. Auden, “September 1, 1939,” in W. H. Auden, ''Selected Poems'', ed. Edward Mendelson (New York: Random House, 2007), 96.</ref></poem></blockquote> Il 1° settembre 1939, naturalmente, è la data in cui un'oscurità e una desolazione senza precedenti scesero sulla creazione. Gli ebrei furono gettati in un esilio mai prima verificatosi, e il mondo chiuse loro le porte: come agli ebrei sulla ''[[w:St. Louis (transatlantico)|MS St. Louis]]'' nel maggio del 1939, fu loro negato ogni rifugio.<ref>Cfr. Sarah A. Ogilvie e Scott Miller, ''Refuge Denied: The St. Louis Passengers and the Holocaust'' (Madison: University of Wisconsin Press, 2006).</ref> Rifiutando rifugio agli ebrei, l'umanità stessa fu gettata in esilio. Ancora una volta ci rendiamo conto che, più che una condizione geografica, l'esilio è una condizione spirituale, persino etica, una condizione priva di etica. In questa assenza di rifugio che caratterizza la desolazione dell'esilio, dice Levinas, "qualsiasi cosa può contare per qualsiasi altra", così che nulla ha alcun significato e ogni comprensione è perduta.<ref>Emmanuel Levinas, ''Existence and Existents'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1978), 49.</ref> Invece di vivere in relazione con il Senza Nome, annaspiamo nella nostra assenza di nome. In effetti, nell'esilio tutto l'essere è "anonimo" o "senza nome", entrambi significati della parola ebraica ''almoni''. Se non c'è un ''Chi'' ma semplicemente un ''Esso'' che pervade e sottende l'essere – se l'essere non ''comanda'' ma semplicemente ''è'' – allora non c'è un autentico ''Chi'' nell'essere umano; invece, l'essere umano è mera materia prima, un ''Esso'' perennemente intrappolato in una catena di causa ed effetto, una merce da comprare e vendere su un mercato di scambio. E non c'è deserto più desolato del mercato di scambio. Così il corpo di Israele fu trasformato in mera materia grezza, con i capelli degli ebrei trasformati in tessuti, le ossa in fertilizzante e la pelle in paralumi. Si sapeva persino che parti del corpo finivano nella zuppa distribuita agli ebrei, mentre questi morivano comunque di fame.<ref>Cfr. Sara Nomberg-Przytyk, ''Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land'', trad. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 60.</ref> Il mercato è segnato dal disperato "desiderio" o "brama" che è ''shuk'', che significa anche "mercato". Lì, nel mercato, la violenza non solo viene commessa, ma viene anche giustificata. Così ''almoni'' conduce ad ''alimut'', che significa sia "violenza" che "terrore", sempre perpetrato all'interno dell’''elem'', il "silenzio" o il "mutismo" dell'esilio. Perché la violenza si verifica quando le parole si esauriscono, e le parole si esauriscono quando diventiamo sordi al ''Chi''. Questa sordità conduce infine all'isolamento dell'abisso, e assume la sua forma più radicale nel XX secolo. Intraprendendo il loro movimento di ritorno alla loro antica patria, la Terra Santa, gli ebrei partirono non solo dall'Europa e da altrove, ma dall'orlo dell'abisso. === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === Uno sguardo a due parole ebraiche per indicare l'Olocausto servirà da esempio di ciò che la lingua ebraica può rivelare sull'Olocausto e sull'esempio più radicale dell'abisso dell'esilio. La prima è una parola che in realtà ha un uso yiddish: è ''[[:en:w:Churban|Churban]]''. Nell'antichità, gli eventi più traumatizzanti che precipitarono gli ebrei nell'abisso dell'esilio furono le distruzioni dei due Templi, prima nel 586 AEV e poi nel 70 EV. Nella lingua sacra questa "distruzione" è conosciuta come ''Churban'', dal verbo ''charav'', che significa "distruggere" o "devastare". Riferendosi alla devastazione provocata dalla distruzione del Tempio, ''Churban'' si riferisce alla perdita della Presenza Divina, alla perdita del Nome, che definisce il reame dell'esilio. Significa un attacco radicale a HaShem, al "Nome", attraverso un attacco radicale al Suo Prescelto. Pertanto, basandosi sull’ebraico, la lingua yiddish usa la stessa parola per riferirsi all’attacco più devastante a Dio nella storia attraverso lo sterminio degli ebrei: l’Olocausto. Nell'uso ebraico c'è un'altra parola che si riferisce all'abisso che dal 1945 caratterizza l'esilio del mondo e dell'umanità: ''[[Shoah]]''. ''Shoah'' significa "abisso". Significa anche "fossa", "distruzione" e "rovina". E significa "Olocausto". Collegato a questo orrendo sostantivo c'è un altro sostantivo, ''shav'', che si traduce come "menzogna" o "nulla". E il verbo ''shaah'' significa "diventare desolati" o "essere devastati"; nella sua forma ''hitpael'' o riflessiva, ''hishtaah'', significa "meravigliarsi", "essere stupiti" o "guardare con stupore o timore reverenziale". Cos'è l'Olocausto? Superando i parametri del genocidio, è l'imposizione calcolata e attentamente attuata dell'abisso dell'esilio che è la ''Shoah'' sul mondo. È una devastazione e una desolazione spirituale che ci perseguita fino alla nostra affluenza. È la menzogna fatta verità, il ritorno del mondo al nulla dell'esilio, allo ''shav'', che gli ebrei lottano per superare in un movimento di ritorno. È lo stupore non per l'inimmaginabile, ma per tutto l'immaginabile, ed è esattamente ciò che i nazisti fecero nel processo di disfacimento dell'immagine dell'essere umano: non l'inimmaginabile, ma tutto l'immaginabile. Perché non c'era alcun principio limitante all'opera nelle loro azioni, quindi nessuna possibilità di andare troppo oltre. Al contrario, non potevano mai andare abbastanza oltre, e lì risiede la dimensione dell'infinito nel loro assalto all'Infinito, a HaShem, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che fu mandato in esilio con il Suo popolo. Sì: Dio stesso è in esilio, solo, perché Egli ha mandato la Sua Shekhinah in esilio con i Suoi figli. Scrive Wiesel: "''Shekhina'' [sic] in exile, ''Shekhina'' exiled from itself. God abandons Himself. This is a very beautiful, poignant, and tragic theme: ''Shekhina'' forsakes God so as to return to us . . . . Once the world has been created, and men are suffering, God wants to suffer with us. That is why He allows His ''Shekhina'' to leave Him, so as to suffer in His name, with Him and His creatures".<ref>Wiesel, ''Evil and Exile'', 93–94.</ref> L'esilio, quindi, è un reame non solo di sofferenza umana, ma anche di sofferenza divina, persino – o soprattutto – sulla scia del ''Churban'', dopodiché, dice il Talmud, la Shekhinah gridò: "Oh guai, Mio ​​capo! Oh guai, Mie braccia!" (''Sanhedrin'' 46a; ''Chagigah'' 15b). La sofferenza divina, nelle parole di Levinas, è la sofferenza del "Dio che soffre sia per la trasgressione dell’uomo sia per la sofferenza con cui questa trasgressione può essere espiata",<ref>Emmanuel Levinas, “Prayer Without Demand,” trad. Sarah Richmond, in Sean Hand, ed. ''The Levinas Reader'' (Oxford: Basil Blackwell, 1989), 234.</ref> sia per l’esilio sia per la rivelazione, sia per l’esilio sia per il movimento del ritorno. Nel corso dei secoli, l'odio di Amalek verso gli ebrei per la loro devozione a Dio ha assunto forme diverse. Lo si può osservare nell'esilio tra gli Egiziani e i Babilonesi, tra i Greci e i Romani, tutti artefici di grandi civiltà. E tutti quanti, in un modo o nell'altro, tentarono di eliminare Dio dal mondo, eliminando la testimonianza ebraica che è l'ebraismo. Lo stato di esilio che culmina nell'abisso dell'Olocausto, tuttavia, affonda le sue radici nella dottrina cristiana del [[w:teologia della sostituzione|supersessionismo]], che dichiara gli ebrei e l'ebraismo teologicamente superflui. Una volta dichiarati gli ebrei superflui e l'ebraismo arcaico, entrambi diventano oggetto di odio. E nulla spinge un popolo all'esilio come l'odio. Tuttavia, derivando da qualcosa di più dell'odio cristiano, questo evento che ha radicalmente consegnato gli ebrei all'abisso dell'esilio è stato anche il risultato di una certa tradizione filosofica, come vedremo più in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 9|Capitolo 9]]. È la tradizione ontologica a rendere irrilevanti sia Dio che gli ebrei, cosicché gli ebrei si trovano di fronte a un movimento di ritorno non solo dall'esilio, ma anche da un modo di pensare che rende irrilevanti gli ebrei e l'ebraismo. E, come abbiamo visto nel Capitolo precedente, quando gli ebrei e la loro testimonianza millenaria – quando gli ebrei e l'ebraismo – vengono resi irrilevanti, lo diventa anche l’''altro'' essere umano. Emblema del nostro esilio, l'Olocausto nasce non solo dalla rivolta filosofica, ma anche dal silenzio cristiano, entrambi fattori che gettarono gli ebrei in un isolamento assoluto, imposto da un'insidiosa menzogna. In effetti, il termine per "isolamento", ''bedidut'', suggerisce un legame tra la menzogna che caratterizza l'esilio e l'isolamento dell'abisso. Infatti, un termine affine a ''bedidut'', il sostantivo ''bedayah'', significa anche "menzogna". La "menzogna" che è ''bedayah'' affonda le sue radici nello strappo della parola dal significato. La parola che esprime questo strappo è ''badud'': significa sia "solitario" che "strappato". Il vuoto dell'abisso è il vuoto che rimane quando il significato è stato strappato dalla parola. E ovunque il significato venga strappato dalla parola, gli esseri umani vengono strappati gli uni dagli altri in un assalto fondamentale all'anima, poiché l'anima, la ''neshamah'', trae il suo respiro, la sua ''neshimah'', dallo spazio intermedio delle relazioni umane. Così, dapprima isolate, le persone vengono poi assassinate – "legalmente", "legittimamente" e in massa. Se il comandamento più fondamentale per le relazioni umane, così come articolato nei Dieci Parole del Sinai, è "Non uccidere", l'abisso dell'esilio, ancora una volta, è fatto di omicidio. Pertanto, il movimento di ritorno dall'abisso dell'esilio è un movimento di ritorno nell'ovile del comandamento divino, assoluto: "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Questo comandamento è il primo baluardo che si frappone tra un'umanità esiliata e l'apertura di un luogo in cui l'altro essere umano – e ogni essere umano – possa dimorare. === Essenza e ritorno nell'ebraismo === [[w:Albert Camus|Albert Camus]] apre ''[[w:Il mito di Sisifo|Le mythe de Sisyphe]]'' con una delle frasi più celebri della filosofia moderna: "C'è un solo problema filosofico veramente serio, ed è il suicidio".<ref>Albert Camus, ''[[w:Il mito di Sisifo|Le mythe de Sisyphe]]'', mia trad.</ref> Per l'ebraismo in un'epoca di esilio, come ha affermato [[Abraham Joshua Heschel]] contro Camus, l'unico problema filosofico veramente serio è il martirio,<ref>Abraham Joshua Heschel, ''I Asked for Wonder'' (New York: Crossroad, 1983), 45.</ref> che, nella sua determinazione a morire in un ''Kiddush HaShem'' piuttosto che uccidere, è l'opposto dell'autoomicidio. Mentre l'imperativo categorico kantiano può proibire l'omicidio per impedire ad altri di uccidersi, non può comandare il martirio, come fa il Talmud (cfr. ''Sanhedrin'' 74a). Cosa comanda il Talmud? Scegliere di essere assassinati in un atto di martirio – in un atto di ''Kiddush HaShem'', la "Santificazione del Nome" – piuttosto che commettere omicidio, adulterio o idolatria. La ''Mishnah'' insegna che queste tre trasgressioni sono la causa dell'esilio (''Avot'' 5:9). Se omicidio, adulterio e idolatria sono la causa dell'esilio, allora il movimento del ritorno implica il rifiuto di omicidio, adulterio e idolatria. Dove regnano questi tre, regna l'abisso dell'esilio. Regna l'insensatezza. Regna l'assurdo. ''Kiddush HaShem'', spiega [[w:André Neher|André Neher]], "è la negazione dell'assurdo. Tutto riceve un significato attraverso la testimonianza ultima dell'uomo che accetta quel significato fino in fondo. Tutto è orientato in relazione a quella testimonianza. Tutto viene ''santificato'' attraverso di essa"<ref>André Neher, ''The Prophetic Existence'', trad. William Wolf (New York: A. S. Barnes, 1969), 338.</ref> – e non attraverso le elucubrazioni dei filosofi o dei teologi, i mediatori dell'esilio. Ciò che è in gioco in ''Kiddush HaShem'' non è la vita della mia anima nell'aldilà, ma la vita di Dio in questo mondo: ciò che è in gioco è il ritorno di Dio dall'esilio per abbracciare la Sua Shekhinah. Contrariamente alla tradizione ontologica occidentale, ''Kiddush HaShem'' non riguarda me. Radicato non nella paura della mia morte, ma nella paura della morte dell'altro – non nella paura di morire, ma nella paura di commettere un omicidio – ''Kiddush HaShem'' è l'opposto della teleologia che cerca la salvezza personale e dell'ontologia che cerca l'autenticità personale. Come si è sviluppata nel corso dei secoli, la missione cristiana è stata una fissazione sulla mia salvezza, spesso trasmutata nel mio tentativo maldestro di salvare l'anima di un altro, anche se ciò significava bruciare il corpo dell'ebreo per salvare l'anima dell'ebreo, come ai tempi dell'Inquisizione spagnola. Secondo un racconto di un testimone oculare di [[w:Logroño|Logroño]], mentre un ebreo veniva legato al rogo, il boia gli sputò addosso e lo chiamò cane. Quando la torcia gli fu passata davanti agli occhi, tuttavia, colui che stava per essere bruciato vivo urlò e dichiarò la sua fede in Gesù Cristo come suo Salvatore. Poi chiese al boia: "Perché mi hai chiamato cane?". La figura incappucciata rispose: "Perché hai rinnegato la fede in Gesù Cristo: ma ora che hai confessato, siamo fratelli, e se ti ho offeso con quello che ho detto, ti chiedo perdono in ginocchio". Il condannato lo perdonò e si abbracciarono, dopodiché il boia strangolò il suo nuovo fratello.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 211.</ref> Così un'anima fu salvata. ''Kiddush HaShem'' è l'unica questione veramente seria, come ha affermato Heschel, perché solo attraverso questo essere-per-l'altro, per cui scegliamo la morte anziché infliggerla, possiamo affermare la santità del Santo e quindi tornare da una condizione di esilio. Perché questa scelta della propria morte è la testimonianza ultima a Colui che ci comanda di scegliere la vita ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:19}}). Scegliendo la vita, non scegliamo semplicemente di rimanere in vita; piuttosto, scegliamo di non "morire di morte", come è scritto: optando per la vita, ci opponiamo al ''mot tamut'', il "morire sicuramente", o il "morire di morte", di cui il primo essere umano è avvertito fin dall'inizio ({{passo biblico2|Genesi|2:17}}). Questo è ciò che lo rende "martirio" o "testimonianza". Ancora una volta, ciò che è essenziale comprendere è questo: il martirio ''non è'' suicidio, è il contrario. Questo è ciò che lo rende il primo passo nel movimento di ritorno dall'esilio. Contrariamente ai temi del suicidio che perseguitano la letteratura moderna, in ebraico non esiste un equivalente preciso per "suicidio". Sebbene esista il termine ebraico moderno ''hitratzach'', che, come il termine latino suicidio, significa "uccidersi", questo verbo non compare nell'ebraico biblico. Ciononostante, esistono termini ebraici per indicare il suicidio che sono piuttosto rivelatori. Nel ''Kitzur Shulchan Arukh'', ad esempio, l'espressione che significa "commettere suicidio" è ''ibed atzmo'' (201:3), letteralmente "perdere se stessi", o perdere la propria "essenza", la propria "sostanza", la propria "forza" o ''otzem'', la vera "ossatura" del proprio essere. E qual è l'"essenza" dell'essere umano? È l'immagine divina, che è un'emanazione del Santo. Non esiste l'auto-omicidio perché non esiste un "sé" autonomo e indipendente. Piuttosto, chi e cosa siamo risiede nell'immagine divina in cui siamo stati creati. Il suicidio è quindi un attentato all'immagine divina: questo è ciò che il suicidio uccide. Un'altra espressione per "suicidio" nel ''Kitzur Shulchan Arukh'' è ''ibed atzmo ladaat'' (201:1), che letteralmente significa "perdere la conoscenza di sé stessi" o "perdere la conoscenza della propria essenza", come se una persona potesse togliersi la vita solo se avesse perso ogni conoscenza della sostanza della vita e di chi è. Qual è la sostanza della vita, il ''chi'' dell'essere umano? È HaShem. Quando siamo più vicini all'orlo del suicidio, siamo più lontani da HaShem, ed è questo che rende il suicidio l'espressione più estrema dell'esilio. Notando, quindi, che la radice del verbo per ''commettere'' suicidio è ''avad'', che significa "perdersi" o "smarrirsi", comprendiamo che il suicidio è più che togliersi la vita: in quanto distruzione dell'immagine divina, il suicidio è il massimo smarrimento e una manifestazione radicale dell'esilio. È proprio ''taraf nafsho'', che si traduce anche come "suicidio", ma che letteralmente significa "fare a pezzi la propria anima". Questo spezzare è la manifestazione più estrema dell'esilio, la forma più estrema di ribellione. Risiede nell'odio verso se stessi e, come ha scritto Wiesel, "L'odio verso se stessi è più dannoso dell'odio verso gli altri. Quest'ultimo mette in discussione il rapporto dell'uomo con l'uomo; il primo implica il rapporto dell'uomo con Dio".<ref>Elie Wiesel, ''The Oath'' (New York: Avon, 1973), 88.</ref> L'odio verso se stessi del suicidio è lo strappo della Shekhinah da HaMakom, della Presenza Divina dal Luogo della Dimora. Il movimento del ritorno è una riparazione di quello strappo. La perdita di comprensione che caratterizza il suicidio è la follia della modernità, una follia per cui iniziamo uccidendo Dio, passiamo poi a uccidere il prossimo e finiamo uccidendo noi stessi. Così leggiamo di tanti che commettono omicidi e poi si uccidono. Il suicidio, come l'omicidio, è intriso di odio. Alla fine giungiamo a una conclusione: l'esilio risiede nell'odio e il movimento del ritorno risiede nell'amore. È tanto semplice quanto complicato. Nel nostro esilio siamo abituati all'omicidio. Siamo abituati al suicidio. Ci allontaniamo da esso, sbadigliamo su di esso e lo liquidiamo come un'altra notizia insignificante del telegiornale della sera. "La vera tragedia dell'esilio in Egitto", come ha detto Rabbi Steinsaltz, "fu che gli schiavi divennero gradualmente sempre più simili ai loro padroni, pensando come loro e persino sognando gli stessi sogni. Il loro più grande dolore, infatti, era che i loro padroni non permettessero loro di realizzare il sogno egiziano".<ref>Steinsaltz, ''On Being Free'', 22.</ref> E la loro più grande miseria, come la nostra, era che non vedevano alcun peccato nel sognare il sogno egiziano, un sogno di potere e possesso, di piacere e prestigio. Tuttavia, per quanto la nostra fortezza assuma le sembianze di una casa, ci sono momenti in cui i baluardi si incrinano e intravediamo chi e dove siamo: bambini persi in un bosco infestato, che non sono mai stati felici o buoni. Allora abbiamo paura; poi tremiamo. Eppure in quella paura e in quel tremore si cela una traccia di Colui che è tanto vicino quanto remoto. Perfino nella radicale lontananza di HaShem nella [[Shoah]], qualcosa di sacro si manifesta nel grido stesso che sale al cielo, dal diario tenuto da Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]] ai diari del ''[[w:Rivolta del Sonderkommando di Auschwitz|Sonderkommando]]'' sepolti a [[w:Campo di sterminio di Birkenau|Birkenau]]. Tenendo queste testimonianze nelle nostre mani, abbiamo la chiave del movimento del ritorno. E ci è molto vicino. === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|50%|14 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] d3wgvv9vlggg6bbt7a5z3rmrvquqvcf 477865 477864 2025-06-15T21:35:40Z Monozigote 19063 /* Note */ avanz. 477865 wikitext text/x-wiki {{Connessioni}} {{Immagine grande|David Roberts-IsraelitesLeavingEgypt 1828.jpg|740px|''Gli Israeliti lasciano l'Egitto'', dipinto di [[w:David Roberts (pittore)|David Roberts]] (1829) }} == L'esilio e il movimento del ritorno == L'esilio e il movimento del ritorno sono centrali non solo per l'ebraismo, ma anche per la vita dell'anima di ogni essere umano. Se dovessimo identificare una singola condizione che cerchiamo di superare nella nostra ricerca di redenzione, sia essa religiosa o ideologica, è la condizione di mancanza di una dimora. L'esilio e il movimento del ritorno, l'alienazione e la redenzione, sono tra i temi della poesia epica di tutte le epoche, dall’''[[w:Odissea|Odissea]]'' di [[w:Omero|Omero]] (VIII secolo AEV) all’''[[w:Eneide|Eneide]]'' di [[w:Publio Virgilio Marone|Virgilio]] (70-21 AEV), dalla ''[[Divina Commedia]]'' di Dante (1265-1321) al ''[[w:Paradiso perduto|Paradise Lost]]'' e ''[[w:Paradiso riconquistato|Paradise Regained]]'' di [[w:John Milton|John Milton]] (1608-1674). Disse una volta [[Elie Wiesel]]: "The ultimate mystery of the Holocaust is that whatever happened took place in the soul".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Against Silence: The Voice and Vision of Elie Wiesel'', Vol. 1, ed. Irving Abrahamson (New York: Holocaust Library, 1985), 239.</ref> Lo stesso vale per la dinamica dell'esilio e il movimento del ritorno: avviene nell'anima. E la mancanza di una casa che l'antisemita infliggerebbe agli ebrei avviene nell'anima, come aveva capito [[Emmanuel Levinas]]. Per l'antisemita, scrive, gli ebrei sono "beings entrapped in their species; despite all their vocabulary, beings without language. Racism is not a biological concept; anti-Semitism is the archetype of all internment. Social aggression, itself, merely imitates this model. It shuts people away in a class, deprives them of expression and condemns them to being ‘signifiers without a signified’ and from there to violence and fighting".<ref>[[Emmanuel Levinas]], ''Difficult Freedom: Essays on Judaism'', trad. Sean Hand (Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990), 153.</ref> Ostilità e violenza, esposizione al male, consegna agli elementi: tutto questo rientra nell'archetipo dell'internamento che è mancanza di una casa ed esilio. Da quando Adamo ed Eva furono cacciati dal Giardino, la storia dell'umanità è stata la storia dell'esilio e del movimento del ritorno. L'esilio e il movimento del ritorno, naturalmente, non riguardano solo la geografia, sebbene per il popolo ebraico, per il quale questo reame è il reame della redenzione, la geografia sia di fondamentale importanza. Ecco perché, nelle parole di Katriel nel romanzo di [[Elie Wiesel]] ''A Beggar in Jerusalem'', "one doesn’t go to Jerusalem, one returns to it. That’s one of its mysteries".<ref>[[Elie Wiesel]], ''A Beggar in Jerusalem'', trad. Lily Edelman e Elie Wiesel (New York: Random House, 1970), 186.</ref> Più che un luogo in cui abitare, Gerusalemme è una ''relazione'', un ''Chi'', e non un ''Cosa''. Così nel Talmud sta scritto: "Rabbi Shmuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: ‘Tre sono chiamati con il Nome del Santo, benedetto Egli sia, e sono i giusti, il Messia e Gerusalemme’" (''Bava Batra'' 75b). Esiste una Terra dell'Alleanza, una Città Santa e un Monte del Tempio che sono allo stesso tempo luoghi geografici e realtà trascendenti nella geografia dell'anima, geografici e trascendenti perché "la Torah esce da Sion e la Parola di HaShem da Gerusalemme" ({{passo biblico2|Michea|4:2}}). Il Talmud paragona la geografia fisica e metafisica di questo mondo a un occhio: "Il bianco dell'occhio [corrisponde all'] oceano che circonda il mondo intero; l'iride al mondo [abitato]; la pupilla dell'occhio a Gerusalemme; il volto nella pupilla al Tempio" (''Derekh Eretz Rabbah'' 9:13). Il bianco dell'occhio è un reame di peregrinazioni. L'iride corrisponde a un luogo in cui iniziamo a trovare il nostro equilibrio. La pupilla dell'occhio è il cerchio di un'infinità oscura che incontriamo negli occhi dell'altro essere umano, la presenza umana attraverso la quale la Presenza Divina che è Gerusalemme ci chiama: "''Ayekah?!'' - Dove sei?!" E il volto nella pupilla corrisponde al volto di Colui il cui volto è nascosto negli occhi, nel volto, dell'altro essere umano, il volto che subì un attacco radicale durante l'Olocausto. L’''Ayekah'' che incontriamo quando ci avviciniamo a quel volto è la convocazione al ritorno dall'esilio. Nell'ebraismo l'esilio è l'esilio da una relazione, e il movimento di ritorno, una ''[[w:teshuvah|teshuvah]]'' {{lang|he|תשובה}}, è un ritorno a una relazione. Non a caso l'Esodo dall'Egitto al tempo di Mosè è così centrale per l'ebraismo e la coscienza ebraica. Invochiamo il ricordo dell'Esodo più volte al giorno nelle nostre preghiere quotidiane. Lo ricordiamo ogni venerdì sera quando introduciamo lo [[w:Shabbat|Shabbat]], perché lo Shabbat stesso ci chiama a un movimento di ritorno dall'esilio – dalla follia – degli altri sei giorni della settimana. Il che significa: l'esilio comporta non solo un esilio nello spazio, ma anche un esilio nel tempo. Ecco perché le preghiere del mattino dello Shabbat includono il [[w:Salmi|Salmo]] {{passo biblico|Salmi|34}}, "Salmo di Davide, quando si finse pazzo". Davide si finse pazzo per essere risparmiato dalla minaccia di essere intrappolato e assassinato dai Filistei. Capita che anche noi fingiamo pazzia per farci strada in un mondo impazzito. Di Shabbat ricordiamo la finta follia di Re Davide per ricordarci che le vie del mondo sono davvero folli. Ci sono momenti, tuttavia, in cui siamo impazziti senza rendercene conto – questa è la differenza tra Re Davide e noi: siamo arrivati ​​a pensare come gli Egiziani, i Filistei, i Greci e i Romani senza accorgercene. E così, come tutti i folli, non ci rendiamo nemmeno conto di essere impazziti. Anzi, consideriamo la devozione allo Shabbat, alla Torah e alle ''mitzvot'' come una follia. Ma, nella sua rettitudine, Re Davide sapeva quando stava fingendo di essere pazzo. La tradizione ebraica insegna che, come "Gerusalemme", Shabbat, o "Sabbath", è uno dei nomi di Dio (cfr. ''Sefer HaIkkarim'', Prefazione: 64-65 e ''[[Zohar]]'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' su {{passo biblico2|Esodo|20:8}}).<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer HaIkkarim: Book of Principles'', trad. Isaac Huzik (Philadelphia: Jewish Publication Society), ''Foreword'': 64–65 e ''Zohar'' II 88b; cfr. anche l’''Or HaChayim'' (Chavim ben Attar, ''Or HaChayim'', trad. Eliyahu Munk (Jerusalem: Munk, 1995), su Esodo 20:8.</ref> Non è quindi un caso che, quando i nazisti invasero la Polonia, tra i primi decreti ci fu il divieto di osservare lo Shabbat.<ref>Cfr. Shimon Huberband, ''Kiddush Hashem: Jewish Religious and Cultural Life in Poland during the Holocaust'', trad. David E. Fishman, ed. Jeffrey S. Gurock & Robert S. Hirt (Hoboken, NJ: Ktav and Yeshiva University Press, 1987), 40.</ref> L'osservanza dello Shabbat implica l'ingresso in uno stato di "pace" e "riposo", di "tregua" e "tranquillità", uno stato di ''menuchah'', attraverso l'affermazione dell'unicità e della santità del Nome. Significativamente, la radice di ''menuchah'' è ''nach'', un verbo che significa non solo "riposare", ma anche "dimorare". Il riposo sabbatico è l’opposto della radicale condizione di senzatetto descritta, ad esempio, da [[Primo Levi]] quando afferma che tutto ciò che circondava il detenuto nel campo di concentramento era "ostile".<ref>Primo Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''</ref> ''Tutto''. Vivendo – o languendo – in un campo, in un ghetto o in clandestinità, ''ogni ebreo nell'Europa nazista era senza dimora''. Qui abbiamo la chiave del divieto nazista del riposo sabbatico: era un divieto di dimora per gli ebrei. Perché la dimora ebraica è l'apertura attraverso la quale il Santo trova un luogo in cui dimorare. Secondo il ''Midrash'' sui Salmi, ecco perché Dio è chiamato ''HaMakom'', o "il Luogo": Egli è la ''dimora'' del mondo, perché è Lui che rende possibile dimorare nel mondo (''Midrash Tehillim'' 4:90:10). E nel ''Pirke de Rabbi Eliezer'', sta scritto che Dio è conosciuto come ''HaMakom'' perché, nelle parole della Torah, "In ogni luogo [''Makom''] dove vorrò ricordare il Mio Nome, verrò a te e ti benedirò" ({{passo biblico2|Esodo|20:24}}; cfr. ''Pirke de Rabbi Eliezer'' 35). Strappando gli ebrei via dalla santità, i nazisti li strappano dal Sabbath; strappandoli dal Sabbath, li strappano da ''HaMakom'' e li abbandonano a una condizione di esilio estremamente radicale. In un modo o nell'altro, quasi ogni osservanza ebraica di un giorno sacro è legata alle questioni dell'esilio e della dimora. Un luogo di dimora è fondamentalmente definito dalla tavola su cui viene apparecchiato il cibo per la famiglia e gli ospiti; questo è il vero ''Shulchan Arukh'', la "tavola ordinata", preparata per condividere il pane con gli altri e per affermare il rapporto con il Santo. Pertanto, dimorare è associato al mangiare, ovvero all'offrire agli altri qualcosa da mangiare. Afferma [[Emmanuel Levinas]]: "Giving has meaning only as a tearing away from oneself despite oneself. And to be torn from oneself despite oneself has meaning only as a being torn from the complacency in oneself characteristic of enjoyment, snatching the bread from one’s own mouth. Only a subject that eats can be for-the-other, or can signify. Signification, the one-for-the-other, has meaning only among beings of flesh and blood".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 74.</ref> Quando Abramo invitò i tre stranieri nella sua tenda, dichiarò ''vesaadu libkhem'', dicendo che avrebbe portato soddisfazione anche "alla fame nel loro cuore" ({{passo biblico2|Genesi|18:5}}). Soddisfare la fame del cuore significa offrire non solo pane, ma anche compagnia, dire all'altro: "Eccomi per te", l'unica espressione che può superare la mancanza di una casa sia per l'altro che per se stessi. In effetti, i saggi talmudici ci ricordano che, dalla distruzione del Tempio, la tavola dove ci sediamo con gli ospiti in casa nostra e offriamo agli altri qualcosa da mangiare prende il posto dell'altare (''Chagigah'' 27a). Il Tempio stesso è conosciuto come una casa o un'abitazione: il Monte del Tempio è l’''Har HaBayit'', o "Monte della Dimora". È la destinazione del movimento di ritorno che intraprendiamo, corpo e anima. Il digiuno di [[w:Tisha b'Av|Tisha B’Av]], il nono giorno del mese ebraico di Av, celebrato in ricordo della distruzione della Dimora sull’''Har HaBayit'', è espressione della perdita di un altare che definisce una dimora. La distruzione del Primo Tempio fu seguita dall'esilio babilonese, e la distruzione del Secondo Tempio portò all'esilio attuale, la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]], quando i Romani repressero la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] nel 135 EV. Se la condizione di esilio si esprime attraverso i digiuni, è perché l'esilio è un certo tipo di fame. I digiuni, inoltre, sono spesso parte di un processo di purificazione che può, a sua volta, permetterci di avviare un movimento di ritorno alla dimora. Poiché il popolo ebraico vive in una condizione di esilio, il modo in cui comprendiamo tale condizione è di particolare importanza per qualsiasi movimento di ritorno. In che modo, dunque, il pensiero ebraico, così come informato dalla lingua ebraica, considera la condizione di esilio? Poiché una casa è caratterizzata dalle relazioni umane, l'esilio è una condizione di isolamento, ciò che Levinas definisce "internamento" che caratterizza l'antisemitismo. È uno stato di smarrimento nell'isolamento, infinitamente distante sia dal sacro che dall'umano. E cosa comprende quella distanza e frammentazione che appartengono alla nostra disperazione? Secondo il maestro chassidico Yehiel Michal di Zlotchov (1721-1786), è l’''ani'' o "ego".<ref>Martin Buber, ''Tales of the Hasidim: The Early Masters'', trad. Olga Marx (New York: Schocken Books, 1947), 149.</ref> Pertanto, il reame dell'esilio è, ancora una volta, non riducibile alla geografia: il reame dell'esilio è il reame dell'ego. Persi nell'illusione del nostro ''ani'', gridiamo nel "lamento" o nell’''aniyah'' che annuncia il nostro esilio: "Dove andiamo da qui?" – ''anah?'' Il nostro radicamento nel nostro ''ani'' è il nostro dolore, la nostra disperazione e il nostro lamento, la nostra ''aniyah''. Alla base del nostro grido di ''anah'' – "Dove andiamo?" – è la paura di non avere un posto dove andare. In attesa di un messaggio che non arriva, non viviamo – speriamo solo di vivere. Non ci soffermiamo – soffriamo. E sappiamo che ''non è un bene''. Si capisce perché [[w:Martin Buber|Martin Buber]] dichiari che "il ‘Bene’ è il movimento verso casa",<ref>Martin Buber, ''Between Man and Man'', trad. Ronald Gregor-Smith (New York: Macmillan, 1965), 78.</ref> così che emergiamo dall'esilio attraverso un movimento di ritorno al Bene. Questo Bene non deve essere inteso come un concetto o un principio, ma come una Voce viva e autorevole, come la vita stessa, che dichiara: "In questo giorno pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:15}}); quando ci chiama a scegliere la vita, ci chiama a tornare al Bene. Se il Bene è il movimento verso casa, allora lo è anche la ''vita''. "Nessun posto è come casa" perché la casa non è un luogo tra i tanti sulla mappa ontologica; piuttosto, la casa è una categoria trascendente e metafisica; la casa è migliore dell'essere. Non è esattamente la stessa cosa di un luogo di nascita o di un luogo di origine; piuttosto, è precedente all'origine. È il Bene che santifica l'origine con la pronuncia del ''ki tov'', "è Bene" ({{passo biblico2|Genesi|1:4}}). Qual è la direzione verso casa? Verso l'interno. E verso l'alto. Quindi non "andiamo" nella nostra patria, Israele; no, "ascendiamo", ''alah'', a Israele, e all'interno di Israele "ascendiamo" a Gerusalemme – non semplicemente perché è incastonata tra le colline della Giudea, ma perché è la fonte di vita dell'anima. L'ebraismo, quindi, considera la morte spirituale che è l'esilio come una disconnessione, e non come una condizione di caduta. La chiave per superare quell'esilio risiede nella ''mitzvah'', o "comandamento", che, come abbiamo visto, deriva dalla parola aramaica ''tzavta'' {{lang|he|צוותא}}, che significa "connessione". Eppure, anche in esilio, il desiderio stesso di una connessione annuncia la connessione. Perché la realtà del Santo si manifesta nel nostro infinito desiderio di santità dalle profondità di una barcollante irrealtà. Il che significa: anche in esilio c'è rivelazione. === Rivelazione durante l'esilio === Chi di noi non ha mai provato la sensazione inquietante che qualcosa non vada? Viviamo in un deserto di paura e odio, di ansia e alienazione. Dai ''reality show'' totalmente irreali agli assassini che passano per martiri, dai ''talk show'' che non dicono nulla all'orrore che non terrorizza più, le nostre vite sono immerse in una disperazione non proprio silenziosa. Corriamo da un'emozione all'altra, da una droga all'altra, da un sonno all'altro. Ma il nostro sonno è turbato da sogni ricorrenti di vagabondaggio senza meta e di frenetici intrappolamenti, di appuntamenti mancati e tentativi falliti, di luoghi e volti familiari e sconosciuti al tempo stesso. Incapaci di trovare sollievo, cerchiamo la parola che denomini questo desiderio terrificante, mentre strappiamo il significato dalle parole. Cerchiamo risposte, mentre temiamo la verità. Incapaci di trovare pace, aneliamo alla quiete. Eppure non riusciamo a sopportare la quiete. La Rivelazione sul Monte Sinai non ebbe luogo in Terra Santa, ma ''[[w:Bamidbar (parashah)|bamidbar]]'' {{lang|he|בְּמִדְבַּר}}, "nel deserto". Poiché la Terra Santa ''è essa stessa'' parte della Rivelazione, non c'è rivelazione ''in'' Terra Santa; solo nel deserto del nostro esilio la rivelazione è un problema. Perché nel cuore del "deserto", del ''midbar'', sorge il ''davar'', la "parola", che cerchiamo. Certo, un altro significato di ''midbar'' è "discorso". Proprio come non c'è discorso senza silenzio, non c'è parola senza deserto, non c'è ''davar'' senza ''midbar''. La Rivelazione penetra il deserto nella rottura del silenzio da parte della parola, proprio mentre la parola stessa sembra essere scivolata in esilio. Se la parola è in esilio, allora il movimento di ritorno implica il ritorno di significato alla parola. Commenta [[Elie Wiesel]]: "The exile of the word, ''galut hadibur'', is also part of mysticism, as is the existence of exile. On the divine and universal scale, the cosmic scale, everything is in exile. Including speech. Which means that it no longer conveys the meaning it hopes to communicate".<ref>[[Elie Wiesel]], ''Evil and Exile'', trad. Jon Rothschild (Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 1990), 93–94.</ref> La rivelazione che si dispiega nel deserto è una rivelazione e un ripristino del legame tra parola e significato. La Torah racconta che la Rivelazione sul Monte Sinai avvenne tra forti squilli dello [[w:shofar|shofar]], tra il ''kol shofar'', o "voce dello shofar" ({{passo biblico2|Esodo|19:16}}): lo shofar ''parla'', e parla più forte nella modalità del silenzio. Come sottolinea Wiesel, secondo la tradizione ebraica, un profondo silenzio accompagnò la Rivelazione sul Monte Sinai, un silenzio interiore in cui Dio non solo parla, ma anche ''ascolta'': "Dio ascolta sempre nel silenzio... Anche al Sinai, dopo un iniziale tumulto, Dio parlò dal silenzio. Abbiamo testi che dicono che il mondo intero tacque: gli animali tacquero, gli uccelli smisero di cinguettare, il vento si fermò".<ref>Elie Wiesel e Josy Eisenberg, ''Job ou Dieu dans la tempête'' (Parigi: Fayard-Verdier, 1986), 364; mia trad.</ref> Anche l'Olocausto fu un periodo di esilio radicale, in cui gli animali tacquero e gli uccelli smisero di cinguettare. L'umanità rimase in silenzio. Anche lì Dio ascolta, e il Suo ascolto è una forma di rivelazione. Quando sembra che Dio abbia taciuto, Egli sta ascoltando, e da quelle profondità proviene quello che Emil Fackenheim chiama il 614° Comandamento,<ref>1Cfr. per esempio, Emil L. Fackenheim, ''To Mend the World: Foundations of Post-Holocaust Jewish Thought'' (New York: Schocken Books, 1989), 10.</ref> un comandamento che riecheggia dalle profondità dell'assordante Luogo del Silenzio, il luogo o l'anti-luogo dell'esilio più radicale. La parola ebraica per "[[w:Diaspora ebraica|esilio]]" è ''galut'' {{lang|he|גָּלוּת}}, un sostantivo derivato dal verbo ''galah'', che significa "vagare" o "andare in esilio". Significa anche "scoprire" o "rivelare" ed è affine al sostantivo ''gilui'' o "rivelazione". Come affermato da Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]] (1847-1905), il vero significato di ''galut'' è ''hitgalut'' o "rivelazione", affinché "la gloria del regno di Dio [possa] essere rivelata in ogni luogo".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 86. Mia trad.</ref> Buber fa un'osservazione simile: "Le potenti rivelazioni invocate dalle religioni sono essenzialmente le stesse di quella silenziosa che avviene ovunque e in ogni momento".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 165–166.</ref> E: "Tutta la rivelazione è una chiamata e una missione".<ref>''Ibid.'', 164.</ref> La Rivelazione non è solo una parola che riceviamo: è un invito a un movimento di ritorno, una chiamata a tornare a casa impegnandosi nell'opera di affrettare l'avvento del Messia, colui che ci mostrerà la via verso il movimento ultimo del ritorno. Nella misura in cui siamo consapevoli della nostra condizione di esilio, giungiamo a una certa consapevolezza della necessità di emergere da quella condizione: vivendo nel ''galut'', non viviamo semplicemente ''da qualche altra parte'', viviamo ''lontano da casa''. In questa consapevolezza risiedono i semi della redenzione. "What is the difference between ''golah'' and ''geulah'', exile and redemption?”" chiede Rabbi [[:en:w:Benjamin Blech|Benjamin Blech]] (n. 1933). E risponde: "The letter ''alef'' of ''Anokhi'', the One representing God",<ref>Benjamin Blech, ''More Secrets of Hebrew Words: Holy Days and Happy Days'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 213.</ref> che è la fonte della rivelazione – la cui espressione di ''Anokhi'', o "Io" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}) – la prima espressione sul Monte Sinai – ''è'' la Rivelazione. Infatti, la ''geulah'' si forma inserendo la lettera ''alef'' – la prima lettera di ''Anokhi'' e significante del Santo – nel mezzo della parola ''golah''. Ciechi al nostro esilio, siamo sordi alla rivelazione che riverbera dalle profondità di quell'esilio, sordi al ''davar'', al ''kol demamah dakah'', la "voce sottile del silenzio", che risuona in tutto il ''midbar'' (cfr. {{passo biblico2|1Re|19:12}}). In tale stato, il dire-io dell'ego eclissa il divino dire-io, l’''Anokhi'', del Santo, cosicché il compito che ci attende è trasformare l’''ani'' dell'"io" nell’''ain'' del divenire come "nulla". In caso contrario, in tale eclissi scivoliamo nell'esilio più insidioso, dove i nostri occhi si abituano così tanto all'oscurità da non accorgercene più. In quell'oscurità, come cavernicoli resi ciechi dall'assenza di luce, diventiamo ciechi alla [[Torah]]. Il Talmud insegna che la pronuncia di ''Anokhi'' da parte di Dio dovrebbe essere letta come un acronimo di ''Ana nafshi ketavit vehavit'', ovvero "Ti darò la mia anima per iscritto" (''Shabbat'' 105a). E cosa riceviamo quando riceviamo l'anima del Santo per iscritto? Il divieto di omicidio. L'esilio diventa troppo facilmente un luogo in cui nascondersi dalla responsabilità che costituisce la nostra soggettività. Nascosti nei confini dell'ego, rinunciamo alla prima parola dal Monte Sinai, "Io sono Dio" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), che equivale a un'abrogazione del comandamento "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}). Infatti sta scritto che dobbiamo leggere i comandamenti non dall'alto in basso, ma da destra a sinistra (in [[w:lingua ebraica|ebraico]]): "Io sono Dio" significa "Non uccidere" (cfr., ad esempio, ''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh'' 8; ''Pesikta Rabbati'' 21:19; ''[[Zohar]]'' I 90a), così che "chiunque sparga sangue umano rinuncia alla Somiglianza", come è scritto nella ''Tosefta'' (''Tosefta Yevamot'' 8:4), la "Somiglianza" non solo nella propria anima ma anche nell'anima dell'altro. Peggio di un reame di alienazione e disperazione, l'esilio è un reame di omicidio. Il paradigma dell'esilio è, naturalmente, l'esilio egiziano, un esilio nella terra la cui linfa vitale, il fiume Nilo, fu a sua volta trasformata in sangue, come segno dell'assassinio dei bambini israeliti gettati nel Nilo, i bambini che furono anche i primi bersagli dei nazisti. Esaminando la parola ebraica per "Egitto", ''Mitzraim'', Rabbi [[w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]] nota che è un affine di ''metzar'', che significa "angustia" o "angoscia". Dice Rabbi Steinsaltz: {{citazione|Egypt symbolizes narrow-mindedness. Ancient Egypt and its paganism are the model for the individual who fabricates an entire system to refute real knowledge. The system upholds its false reality in the face of Divine reality. Egypt is the prototype of a world that proclaims itself to be autonomous and announces that it owes nothing to others because it is self-sufficient.|[[:en:w:Adin Steinsaltz|Adin Steinsaltz]], ''On Being Free'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1995), 126}} Sia a livello sociale che personale, l'esilio è l'illusione di libertà e il sogno di autonomia, un sogno che caratterizza il nostro mondo postmoderno, dove chiunque può essere sostituito da chiunque altro e tutti sono sacrificabili. In questa confusione, l'anima in esilio è devastata. === La devastazione dell'anima === L'esilio è una ''pirtzah'', ovvero una "breccia" nel nostro essere. Da qui l'espressione ''pirtzah shel galut'', che è la "calamità dell'esilio", la calamità della devastazione dell'anima. Le ramificazioni di questa calamità diventano chiare quando consideriamo alcuni significati aggiuntivi di ''paratz''. Questo verbo, ad esempio, può significare "demolire", così come "supplicare", "implorare" o "invocare". Chi viene gettato in esilio viene demolito nella misura in cui viene ridotto a uno stato di mendicità; perciò il Messia, che teniamo in esilio finché stiamo lontani dalla [[Torah]], è spesso travestito da mendicante, da affamato e assetato. In effetti, il luogo o il non-luogo dell'esilio più radicale dell'umanità, il Lager o campo di concentramento nazista, "è la fame", come ha detto [[Primo Levi]].<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Il Lager è fame perché il Lager è il "Luogo del Silenzio", come lo descrive [[w:Yehiel De-Nur|Ka-tzetnik 135633]] (1909-2001);<ref>Ka-tzetnik 135633, ''Shivitti: A Vision'', trad. Eliyah De-Nur e Lisa Herman (New York: Harper & Row, 1989), 158.</ref> il luogo di un’"Assenza Imposta", dice [[:en:w:Alvin Hirsch Rosenfeld|Alvin Rosenfeld]],<ref>Alvin Rosenfeld, ''A Double Dying: Reflections on Holocaust Literature'' (Bloomington: Indiana University Press, 1980), 14–15.</ref> calcolata per spezzare, demolire e cancellare l’anima attraverso la sete e la fame. Mi viene in mente una storia su [[w:Madre Teresa di Calcutta|Madre Teresa]] (1910-1997), la storia di come fu spinta a lasciare il convento in India. Era in gita con un gruppo di suore in partenza per un ritiro di preghiera, quando incontrò un mendicante che gridava: "Ho sete". Il grido del mendicante le sprofondò nell'anima. Al ritorno dal ritiro, andò dal sacerdote responsabile dei conventi e chiese di poter lasciare la clausura, ma non voleva lasciare l'ordine. All'epoca una cosa del genere era inaudita. Il sacerdote le disse di prendersi del tempo per rifletterci, e anche lui ci avrebbe riflettuto. Un anno dopo tornò da lui e ripeté la sua richiesta. Lui espresse i suoi dubbi, quando finalmente lei lo implorò: "Ma non capisci? Dio mi ha parlato". Colto di sorpresa, il sacerdote rispose: "Oh? Dio ''ti'' ha parlato? E ti prego, cosa ti ha detto?". E lei rispose: "Ho sete". La sete e la fame che devastano l’anima dell’esilio devastano l’anima di Dio stesso, di Colui che ci ha donato la Sua anima nella Torah. Nel nostro esilio, tuttavia, gli stracci di un mendicante assumono spesso la forma di completi a tre pezzi, e la fame del mendicante è più insidiosa perché mascherata da una pancia piena. È abbastanza ovvio che per chi è costretto a vagare nel deserto, senza casa e indigente, l'esilio sia davvero una fame e una devastazione dell'anima. Ciò che non è così ovvio è la natura schiacciante del nostro esilio spirituale, dove stringiamo al petto la stessa "vipera" – l’''efeh'', che è l’'''efah'' o "nulla" – che ci preda. In questa mancanza di casa che passa per casa, godiamo di una vita agiata ma siamo incapaci di gioire. Pesiamo, misuriamo e contiamo tutto ciò che abbiamo, eppure siamo mendicanti della nostra abbondanza, alla deriva nella confusione tra essere e avere, dove di più è meglio ma non è mai abbastanza. Da qui l'intricata connessione tra ''kesef'' e ''kosef'', tra "denaro" e "desiderio". Mentre i due si intersecano nella nostra confusione tra essere e avere, un giorno ci svegliamo e scopriamo che il mondo e le persone intorno a noi sono diventati improvvisamente strani, proprio come noi siamo diventati strani ed estranei a noi stessi. Qui la prima reazione dell'anima devastata dall'esilio è spesso quella di ribellarsi; l'esilio è un reame di corruzione, e il ribelle insiste sulla purezza laddove la purezza è impossibile. Non a caso l'antisemitismo è spesso radicato in un desiderio di purezza, di una ''limpieza de sangre'', una "purezza di sangue", come veniva chiamata durante l'Inquisizione spagnola.<ref>Cfr. per esempio, Benzion Netanyahu, ''The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain'', 2a ed. (New York: Random House, 1995), 1104.</ref> Qui la ribellione per il bene del mondo si trasforma in una vendetta contro di esso. È allora che una persona può diventare ''pritz'' o "violento"; ''pritz'' significa anche "tiranno" o "oppressore". Qui l'anima esiliata, l'anima devastata, sogna il sogno del pensiero ontologico occidentale, che è sia totalizzante che totalitario. Si manifesta nei movimenti totalizzanti e totalitari, siano essi teologici o ideologici. L'esilio che devasta l'anima è proprio uno stato di tirannia e di pensiero tiranneggiante, che è il contrario del pensiero ebraico e dell'ebraismo. Perché l'obiettivo più alto della prospettiva totalitaria, come ha dimostrato la storia moderna, è quello di pensare che il Santo sia escluso dal quadro e condotto al Suo esilio, così che un sé contraffatto possa regnare sovrano nella pericolosa illusione della propria autonomia. Da qui l'odio degli antisemiti verso gli ebrei, che sono i testimoni perenni del Dio di Abramo, portatori di una testimonianza che sola può aprire la strada dall'esilio intriso di totalitarismo al movimento del ritorno. Nella condizione di esilio, quindi, l'autorità e la santità di Dio, così come rivelate nella Torah, sono in esilio. La casa del popolo d'Israele non è solo la Terra d'Israele, sebbene quella sottile striscia di terra sia in effetti la loro dimora santa e il loro rifugio. Al di là dei confini geografici, tuttavia, la casa di Israele è la [[Torah]], che nella sua interezza è il Nome del Senza Nome, come insegna [[Nahmanide]].<ref>{{en}}Nachmanides, ''Writings and Discourses'', Vol. 1, trad. Charles B. Chavel (New York: Shilo, 1978), 112.</ref> In esilio le lettere del Nome si disfano, finché perdiamo i nostri stessi nomi; si disfano ''perché'' abbiamo perso i nostri nomi, avendoli trasformati in nomi egiziani. Assumendo nomi egiziani – identificandoci secondo gli standard egiziani di prestigio, popolarità e potere – scivoliamo nella desolazione dell'anima che è l'esilio. Il ''Midrash'' insegna che sostenere la propria identità era essenziale per uscire dall'esilio che era l'Egitto: è scritto che quegli Israeliti che furono in grado di ascendere dall'Egitto poterono farlo per quattro ragioni: (1) non cambiarono la loro lingua, (2) non cambiarono i loro nomi, (3) non fecero matrimoni misti ([[w:endogamia|endogamia]]) e (4) non si tradirono a vicenda (''Mekilta de-Rabbi Ishmael, Pischa'' (5)). Nel nostro esilio, siamo caduti preda di una "cultura di annullamento" che insiste nel tradirsi e ingannarsi a vicenda, una cultura in cui abbiamo dimenticato il linguaggio della Lingua Santa, come anche chi siamo. === La desolazione che è l'esilio === La parola ebraica per "desolazione", ''shemamah'', significa anche "orrore". L'orrore desolato dell'esilio non sta nel fatto che ci sia così tanto male nel mondo; al contrario, l'orrore è che non c'è alcun male nel mondo. Né c'è alcun bene; il mondo è semplicemente lì, muto, neutrale e indifferente. La desolazione e l'orrore dell'esilio risiedono in questo stato di essere vuoto di ogni valore, di ogni sostanza, di ogni significato. Nell'esilio c'è una perdita non solo dei propri punti di riferimento, ma anche del proprio senso della realtà, dei propri sensi in quanto tali. Nell'esilio impazziamo, senza nemmeno accorgercene. "Qui nel Lager", scrive [[Primo Levi]], "non ci sono criminali né pazzi".<ref>Levi, ''Se questo è un uomo'', ''ad loc.''.</ref> Da qui un altro affine a ''shamam'', l'aggettivo ''shimem'', che significa "pazzo", "demente" o "folle". Quante volte qualcuno di noi ha guardato il mondo e lo ha scambiato per follia? La follia dell'esilio, come ogni follia, sta nello scambiare l'irreale per reale, l'oscurità per luce, la miseria per abbondanza, il bene per il male e il male per il bene. Ciò che è più folle nella follia dell'esilio è che viene spacciata per normalità, eppure è una normalità ossessionata da un panico latente. Così l'orrore e la follia, la ''shemamah'' e lo ''shimem'', dell'esilio ribollono in uno stato di ''behalah'', che è "paura", "panico" o "confusione". Ma la paura, il panico e la confusione non sono solo nelle strade fuori casa: ci perseguitano dentro le nostre case, nei nostri soggiorni e nei nostri salotti, luoghi di esilio a sé stanti. Il verbo ebraico ''nivhal'' – "essere terrorizzati" o "turbati" – si applica molto bene a questo stato di disperazione. In questo stato siamo costantemente ''bahul'', "preoccupati" o "perplessi". Un altro termine per "preoccupati" o "turbati" esprime perfettamente questa condizione di esilio. È ''mutrad'', che significa anche "banditi", dal verbo ''tarad'', che significa "scacciare" o "espellere". In esilio siamo ''bahul'' e ''mutrad'', preoccupati e banditi, tanto da subire vuoti di memoria, come quando ci voltiamo e non riusciamo a ricordare dove siano andati a finire tutti gli anni trascorsi perché sono finiti nel nulla. Incapaci di guardare indietro, ci tuffiamo a capofitto nel vuoto, per sempre "di fretta", che è un altro significato di ''bahul''. Seguendo ogni moda e capriccio, fingiamo di essere più di quello che siamo e così facendo diventiamo sempre meno. Perché nel nostro affaccendarci e affannarci ci estraniamo da noi stessi, così che un estraneo ci guarda attraverso il riflesso irreale nello specchio. E per un attimo rimaniamo paralizzati. Se la vita si manifesta attraverso il movimento, l'esilio si rivela come una "paralisi", che in ebraico è ''shituk''. Questa parola è affine a ''shtikah'', la parola che significa "silenzio". Proprio come una paralisi oscura la nostra corsa senza meta, così un silenzio sottende il nostro rumore incessante. "Il mondo è diventato sempre più rumoroso", lamenta Wiesel. "La società non ha mai usato così tanti mezzi per raccontare, riferire, indagare, spiegare, commentare, articolare, rivelare, esporre e criticare; nessuna generazione è mai stata più loquace – e nessuna generazione è riuscita a dire meno".<ref>Elie Wiesel, ''Somewhere a Master: Hasidic Portraits and Legends'', trad. Marion Wiesel (New York: Summit Books, 1982), 179.</ref> È una generazione post-Olocausto. Dal momento in cui ci alziamo al mattino e accendiamo la radio o la televisione, ci ritiriamo in questo rumore. Non possiamo sopportare la muta neutralità di ciò che è semplicemente "lì", di ciò che Levinas chiama il "c'è". Con l'apparire del "c'è", spiega, "the absence of everything returns to us as a presence, as the place where the bottom has dropped out of everything, an atmospheric density, a plenitude of the void, or the murmur of silence".<ref>Emmanuel Levinas, ''Time and the Other'', trad. Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1987), 46.</ref> Il ''mormorio'' del silenzio? Forse meglio: il grido del silenzio che ci rimane in gola, mentre ci avvolge. Questa è la desolazione: è il silenzio terrificante dell'abisso insondabile sottostante e dello spazio vuoto superiore, il "silenzio degli spazi infiniti" che terrorizzava [[w:Blaise Pascal|Pascal]] (1623-1662).<ref>Blaise Pascal, ''Pensées'', ''ad loc.''.</ref> Così terrorizzata dalla muta "pienezza del vuoto", la voce che vorrebbe parlare e quindi violare il silenzio viene resa muta. E il silenzio stesso? Rimbomba. Il [[w:rumore bianco|rumore bianco]] che è il rimbombo del silenzio, il rumore che copriamo con il nostro stesso rumore, è piuttosto simile a ciò che suggerisce la parola ebraica per "rumore", ''raash'', che significa anche "frastuono" o "rombo". Altrettanto significativamente, significa "terremoto" e richiama alla mente il "tremore" che sperimentiamo quando il terreno si muove sotto i nostri piedi. Come in un terremoto, in esilio non c'è posto dove nascondersi, nessun "rifugio" o "riparo", nessuna ''miklat''; il suo affine ''klitah'' può anche significare "comprensione". Come mai in esilio la perdita del rifugio è legata a una perdita di comprensione? Perché un senso di orientamento, dove ci orientiamo, è di per sé una sorta di rifugio, dove non ci sentiamo più persi. Altrimenti, avendo smarrito la strada nel reame dell'esilio, siamo come i personaggi della poesia "[[:en:w:September 1, 1939|September 1, 1939]]" di [[w:Wystan Hugh Auden|W. H. Auden]] (1907-1973): <blockquote><poem style=> Faces along the bar Cling to their average day: The lights must never go out, The music must always play, All the conventions conspire To make this fort assume The furniture of a home; Lest we should see where we are, Lost in a haunted wood, Children afraid of the night Who have never been happy or good.<ref>W. H. Auden, “September 1, 1939,” in W. H. Auden, ''Selected Poems'', ed. Edward Mendelson (New York: Random House, 2007), 96.</ref></poem></blockquote> Il 1° settembre 1939, naturalmente, è la data in cui un'oscurità e una desolazione senza precedenti scesero sulla creazione. Gli ebrei furono gettati in un esilio mai prima verificatosi, e il mondo chiuse loro le porte: come agli ebrei sulla ''[[w:St. Louis (transatlantico)|MS St. Louis]]'' nel maggio del 1939, fu loro negato ogni rifugio.<ref>Cfr. Sarah A. Ogilvie e Scott Miller, ''Refuge Denied: The St. Louis Passengers and the Holocaust'' (Madison: University of Wisconsin Press, 2006).</ref> Rifiutando rifugio agli ebrei, l'umanità stessa fu gettata in esilio. Ancora una volta ci rendiamo conto che, più che una condizione geografica, l'esilio è una condizione spirituale, persino etica, una condizione priva di etica. In questa assenza di rifugio che caratterizza la desolazione dell'esilio, dice Levinas, "qualsiasi cosa può contare per qualsiasi altra", così che nulla ha alcun significato e ogni comprensione è perduta.<ref>Emmanuel Levinas, ''Existence and Existents'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1978), 49.</ref> Invece di vivere in relazione con il Senza Nome, annaspiamo nella nostra assenza di nome. In effetti, nell'esilio tutto l'essere è "anonimo" o "senza nome", entrambi significati della parola ebraica ''almoni''. Se non c'è un ''Chi'' ma semplicemente un ''Esso'' che pervade e sottende l'essere – se l'essere non ''comanda'' ma semplicemente ''è'' – allora non c'è un autentico ''Chi'' nell'essere umano; invece, l'essere umano è mera materia prima, un ''Esso'' perennemente intrappolato in una catena di causa ed effetto, una merce da comprare e vendere su un mercato di scambio. E non c'è deserto più desolato del mercato di scambio. Così il corpo di Israele fu trasformato in mera materia grezza, con i capelli degli ebrei trasformati in tessuti, le ossa in fertilizzante e la pelle in paralumi. Si sapeva persino che parti del corpo finivano nella zuppa distribuita agli ebrei, mentre questi morivano comunque di fame.<ref>Cfr. Sara Nomberg-Przytyk, ''Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land'', trad. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 60.</ref> Il mercato è segnato dal disperato "desiderio" o "brama" che è ''shuk'', che significa anche "mercato". Lì, nel mercato, la violenza non solo viene commessa, ma viene anche giustificata. Così ''almoni'' conduce ad ''alimut'', che significa sia "violenza" che "terrore", sempre perpetrato all'interno dell’''elem'', il "silenzio" o il "mutismo" dell'esilio. Perché la violenza si verifica quando le parole si esauriscono, e le parole si esauriscono quando diventiamo sordi al ''Chi''. Questa sordità conduce infine all'isolamento dell'abisso, e assume la sua forma più radicale nel XX secolo. Intraprendendo il loro movimento di ritorno alla loro antica patria, la Terra Santa, gli ebrei partirono non solo dall'Europa e da altrove, ma dall'orlo dell'abisso. === Il ritorno dall'abisso dell'esilio === Uno sguardo a due parole ebraiche per indicare l'Olocausto servirà da esempio di ciò che la lingua ebraica può rivelare sull'Olocausto e sull'esempio più radicale dell'abisso dell'esilio. La prima è una parola che in realtà ha un uso yiddish: è ''[[:en:w:Churban|Churban]]''. Nell'antichità, gli eventi più traumatizzanti che precipitarono gli ebrei nell'abisso dell'esilio furono le distruzioni dei due Templi, prima nel 586 AEV e poi nel 70 EV. Nella lingua sacra questa "distruzione" è conosciuta come ''Churban'', dal verbo ''charav'', che significa "distruggere" o "devastare". Riferendosi alla devastazione provocata dalla distruzione del Tempio, ''Churban'' si riferisce alla perdita della Presenza Divina, alla perdita del Nome, che definisce il reame dell'esilio. Significa un attacco radicale a HaShem, al "Nome", attraverso un attacco radicale al Suo Prescelto. Pertanto, basandosi sull’ebraico, la lingua yiddish usa la stessa parola per riferirsi all’attacco più devastante a Dio nella storia attraverso lo sterminio degli ebrei: l’Olocausto. Nell'uso ebraico c'è un'altra parola che si riferisce all'abisso che dal 1945 caratterizza l'esilio del mondo e dell'umanità: ''[[Shoah]]''. ''Shoah'' significa "abisso". Significa anche "fossa", "distruzione" e "rovina". E significa "Olocausto". Collegato a questo orrendo sostantivo c'è un altro sostantivo, ''shav'', che si traduce come "menzogna" o "nulla". E il verbo ''shaah'' significa "diventare desolati" o "essere devastati"; nella sua forma ''hitpael'' o riflessiva, ''hishtaah'', significa "meravigliarsi", "essere stupiti" o "guardare con stupore o timore reverenziale". Cos'è l'Olocausto? Superando i parametri del genocidio, è l'imposizione calcolata e attentamente attuata dell'abisso dell'esilio che è la ''Shoah'' sul mondo. È una devastazione e una desolazione spirituale che ci perseguita fino alla nostra affluenza. È la menzogna fatta verità, il ritorno del mondo al nulla dell'esilio, allo ''shav'', che gli ebrei lottano per superare in un movimento di ritorno. È lo stupore non per l'inimmaginabile, ma per tutto l'immaginabile, ed è esattamente ciò che i nazisti fecero nel processo di disfacimento dell'immagine dell'essere umano: non l'inimmaginabile, ma tutto l'immaginabile. Perché non c'era alcun principio limitante all'opera nelle loro azioni, quindi nessuna possibilità di andare troppo oltre. Al contrario, non potevano mai andare abbastanza oltre, e lì risiede la dimensione dell'infinito nel loro assalto all'Infinito, a HaShem, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che fu mandato in esilio con il Suo popolo. Sì: Dio stesso è in esilio, solo, perché Egli ha mandato la Sua Shekhinah in esilio con i Suoi figli. Scrive Wiesel: "''Shekhina'' [sic] in exile, ''Shekhina'' exiled from itself. God abandons Himself. This is a very beautiful, poignant, and tragic theme: ''Shekhina'' forsakes God so as to return to us . . . . Once the world has been created, and men are suffering, God wants to suffer with us. That is why He allows His ''Shekhina'' to leave Him, so as to suffer in His name, with Him and His creatures".<ref>Wiesel, ''Evil and Exile'', 93–94.</ref> L'esilio, quindi, è un reame non solo di sofferenza umana, ma anche di sofferenza divina, persino – o soprattutto – sulla scia del ''Churban'', dopodiché, dice il Talmud, la Shekhinah gridò: "Oh guai, Mio ​​capo! Oh guai, Mie braccia!" (''Sanhedrin'' 46a; ''Chagigah'' 15b). La sofferenza divina, nelle parole di Levinas, è la sofferenza del "Dio che soffre sia per la trasgressione dell’uomo sia per la sofferenza con cui questa trasgressione può essere espiata",<ref>Emmanuel Levinas, “Prayer Without Demand,” trad. Sarah Richmond, in Sean Hand, ed. ''The Levinas Reader'' (Oxford: Basil Blackwell, 1989), 234.</ref> sia per l’esilio sia per la rivelazione, sia per l’esilio sia per il movimento del ritorno. Nel corso dei secoli, l'odio di Amalek verso gli ebrei per la loro devozione a Dio ha assunto forme diverse. Lo si può osservare nell'esilio tra gli Egiziani e i Babilonesi, tra i Greci e i Romani, tutti artefici di grandi civiltà. E tutti quanti, in un modo o nell'altro, tentarono di eliminare Dio dal mondo, eliminando la testimonianza ebraica che è l'ebraismo. Lo stato di esilio che culmina nell'abisso dell'Olocausto, tuttavia, affonda le sue radici nella dottrina cristiana del [[w:teologia della sostituzione|supersessionismo]], che dichiara gli ebrei e l'ebraismo teologicamente superflui. Una volta dichiarati gli ebrei superflui e l'ebraismo arcaico, entrambi diventano oggetto di odio. E nulla spinge un popolo all'esilio come l'odio. Tuttavia, derivando da qualcosa di più dell'odio cristiano, questo evento che ha radicalmente consegnato gli ebrei all'abisso dell'esilio è stato anche il risultato di una certa tradizione filosofica, come vedremo più in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 9|Capitolo 9]]. È la tradizione ontologica a rendere irrilevanti sia Dio che gli ebrei, cosicché gli ebrei si trovano di fronte a un movimento di ritorno non solo dall'esilio, ma anche da un modo di pensare che rende irrilevanti gli ebrei e l'ebraismo. E, come abbiamo visto nel Capitolo precedente, quando gli ebrei e la loro testimonianza millenaria – quando gli ebrei e l'ebraismo – vengono resi irrilevanti, lo diventa anche l’''altro'' essere umano. Emblema del nostro esilio, l'Olocausto nasce non solo dalla rivolta filosofica, ma anche dal silenzio cristiano, entrambi fattori che gettarono gli ebrei in un isolamento assoluto, imposto da un'insidiosa menzogna. In effetti, il termine per "isolamento", ''bedidut'', suggerisce un legame tra la menzogna che caratterizza l'esilio e l'isolamento dell'abisso. Infatti, un termine affine a ''bedidut'', il sostantivo ''bedayah'', significa anche "menzogna". La "menzogna" che è ''bedayah'' affonda le sue radici nello strappo della parola dal significato. La parola che esprime questo strappo è ''badud'': significa sia "solitario" che "strappato". Il vuoto dell'abisso è il vuoto che rimane quando il significato è stato strappato dalla parola. E ovunque il significato venga strappato dalla parola, gli esseri umani vengono strappati gli uni dagli altri in un assalto fondamentale all'anima, poiché l'anima, la ''neshamah'', trae il suo respiro, la sua ''neshimah'', dallo spazio intermedio delle relazioni umane. Così, dapprima isolate, le persone vengono poi assassinate – "legalmente", "legittimamente" e in massa. Se il comandamento più fondamentale per le relazioni umane, così come articolato nei Dieci Parole del Sinai, è "Non uccidere", l'abisso dell'esilio, ancora una volta, è fatto di omicidio. Pertanto, il movimento di ritorno dall'abisso dell'esilio è un movimento di ritorno nell'ovile del comandamento divino, assoluto: "Non uccidere" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Questo comandamento è il primo baluardo che si frappone tra un'umanità esiliata e l'apertura di un luogo in cui l'altro essere umano – e ogni essere umano – possa dimorare. === Essenza e ritorno nell'ebraismo === [[w:Albert Camus|Albert Camus]] apre ''[[w:Il mito di Sisifo|Le mythe de Sisyphe]]'' con una delle frasi più celebri della filosofia moderna: "C'è un solo problema filosofico veramente serio, ed è il suicidio".<ref>Albert Camus, ''[[w:Il mito di Sisifo|Le mythe de Sisyphe]]'', mia trad.</ref> Per l'ebraismo in un'epoca di esilio, come ha affermato [[Abraham Joshua Heschel]] contro Camus, l'unico problema filosofico veramente serio è il martirio,<ref>Abraham Joshua Heschel, ''I Asked for Wonder'' (New York: Crossroad, 1983), 45.</ref> che, nella sua determinazione a morire in un ''Kiddush HaShem'' piuttosto che uccidere, è l'opposto dell'autoomicidio. Mentre l'imperativo categorico kantiano può proibire l'omicidio per impedire ad altri di uccidersi, non può comandare il martirio, come fa il Talmud (cfr. ''Sanhedrin'' 74a). Cosa comanda il Talmud? Scegliere di essere assassinati in un atto di martirio – in un atto di ''Kiddush HaShem'', la "Santificazione del Nome" – piuttosto che commettere omicidio, adulterio o idolatria. La ''Mishnah'' insegna che queste tre trasgressioni sono la causa dell'esilio (''Avot'' 5:9). Se omicidio, adulterio e idolatria sono la causa dell'esilio, allora il movimento del ritorno implica il rifiuto di omicidio, adulterio e idolatria. Dove regnano questi tre, regna l'abisso dell'esilio. Regna l'insensatezza. Regna l'assurdo. ''Kiddush HaShem'', spiega [[w:André Neher|André Neher]], "è la negazione dell'assurdo. Tutto riceve un significato attraverso la testimonianza ultima dell'uomo che accetta quel significato fino in fondo. Tutto è orientato in relazione a quella testimonianza. Tutto viene ''santificato'' attraverso di essa"<ref>André Neher, ''The Prophetic Existence'', trad. William Wolf (New York: A. S. Barnes, 1969), 338.</ref> – e non attraverso le elucubrazioni dei filosofi o dei teologi, i mediatori dell'esilio. Ciò che è in gioco in ''Kiddush HaShem'' non è la vita della mia anima nell'aldilà, ma la vita di Dio in questo mondo: ciò che è in gioco è il ritorno di Dio dall'esilio per abbracciare la Sua Shekhinah. Contrariamente alla tradizione ontologica occidentale, ''Kiddush HaShem'' non riguarda me. Radicato non nella paura della mia morte, ma nella paura della morte dell'altro – non nella paura di morire, ma nella paura di commettere un omicidio – ''Kiddush HaShem'' è l'opposto della teleologia che cerca la salvezza personale e dell'ontologia che cerca l'autenticità personale. Come si è sviluppata nel corso dei secoli, la missione cristiana è stata una fissazione sulla mia salvezza, spesso trasmutata nel mio tentativo maldestro di salvare l'anima di un altro, anche se ciò significava bruciare il corpo dell'ebreo per salvare l'anima dell'ebreo, come ai tempi dell'Inquisizione spagnola. Secondo un racconto di un testimone oculare di [[w:Logroño|Logroño]], mentre un ebreo veniva legato al rogo, il boia gli sputò addosso e lo chiamò cane. Quando la torcia gli fu passata davanti agli occhi, tuttavia, colui che stava per essere bruciato vivo urlò e dichiarò la sua fede in Gesù Cristo come suo Salvatore. Poi chiese al boia: "Perché mi hai chiamato cane?". La figura incappucciata rispose: "Perché hai rinnegato la fede in Gesù Cristo: ma ora che hai confessato, siamo fratelli, e se ti ho offeso con quello che ho detto, ti chiedo perdono in ginocchio". Il condannato lo perdonò e si abbracciarono, dopodiché il boia strangolò il suo nuovo fratello.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 211.</ref> Così un'anima fu salvata. ''Kiddush HaShem'' è l'unica questione veramente seria, come ha affermato Heschel, perché solo attraverso questo essere-per-l'altro, per cui scegliamo la morte anziché infliggerla, possiamo affermare la santità del Santo e quindi tornare da una condizione di esilio. Perché questa scelta della propria morte è la testimonianza ultima a Colui che ci comanda di scegliere la vita ({{passo biblico2|Deuteronomio|30:19}}). Scegliendo la vita, non scegliamo semplicemente di rimanere in vita; piuttosto, scegliamo di non "morire di morte", come è scritto: optando per la vita, ci opponiamo al ''mot tamut'', il "morire sicuramente", o il "morire di morte", di cui il primo essere umano è avvertito fin dall'inizio ({{passo biblico2|Genesi|2:17}}). Questo è ciò che lo rende "martirio" o "testimonianza". Ancora una volta, ciò che è essenziale comprendere è questo: il martirio ''non è'' suicidio, è il contrario. Questo è ciò che lo rende il primo passo nel movimento di ritorno dall'esilio. Contrariamente ai temi del suicidio che perseguitano la letteratura moderna, in ebraico non esiste un equivalente preciso per "suicidio". Sebbene esista il termine ebraico moderno ''hitratzach'', che, come il termine latino suicidio, significa "uccidersi", questo verbo non compare nell'ebraico biblico. Ciononostante, esistono termini ebraici per indicare il suicidio che sono piuttosto rivelatori. Nel ''Kitzur Shulchan Arukh'', ad esempio, l'espressione che significa "commettere suicidio" è ''ibed atzmo'' (201:3), letteralmente "perdere se stessi", o perdere la propria "essenza", la propria "sostanza", la propria "forza" o ''otzem'', la vera "ossatura" del proprio essere. E qual è l'"essenza" dell'essere umano? È l'immagine divina, che è un'emanazione del Santo. Non esiste l'auto-omicidio perché non esiste un "sé" autonomo e indipendente. Piuttosto, chi e cosa siamo risiede nell'immagine divina in cui siamo stati creati. Il suicidio è quindi un attentato all'immagine divina: questo è ciò che il suicidio uccide. Un'altra espressione per "suicidio" nel ''Kitzur Shulchan Arukh'' è ''ibed atzmo ladaat'' (201:1), che letteralmente significa "perdere la conoscenza di sé stessi" o "perdere la conoscenza della propria essenza", come se una persona potesse togliersi la vita solo se avesse perso ogni conoscenza della sostanza della vita e di chi è. Qual è la sostanza della vita, il ''chi'' dell'essere umano? È HaShem. Quando siamo più vicini all'orlo del suicidio, siamo più lontani da HaShem, ed è questo che rende il suicidio l'espressione più estrema dell'esilio. Notando, quindi, che la radice del verbo per ''commettere'' suicidio è ''avad'', che significa "perdersi" o "smarrirsi", comprendiamo che il suicidio è più che togliersi la vita: in quanto distruzione dell'immagine divina, il suicidio è il massimo smarrimento e una manifestazione radicale dell'esilio. È proprio ''taraf nafsho'', che si traduce anche come "suicidio", ma che letteralmente significa "fare a pezzi la propria anima". Questo spezzare è la manifestazione più estrema dell'esilio, la forma più estrema di ribellione. Risiede nell'odio verso se stessi e, come ha scritto Wiesel, "L'odio verso se stessi è più dannoso dell'odio verso gli altri. Quest'ultimo mette in discussione il rapporto dell'uomo con l'uomo; il primo implica il rapporto dell'uomo con Dio".<ref>Elie Wiesel, ''The Oath'' (New York: Avon, 1973), 88.</ref> L'odio verso se stessi del suicidio è lo strappo della Shekhinah da HaMakom, della Presenza Divina dal Luogo della Dimora. Il movimento del ritorno è una riparazione di quello strappo. La perdita di comprensione che caratterizza il suicidio è la follia della modernità, una follia per cui iniziamo uccidendo Dio, passiamo poi a uccidere il prossimo e finiamo uccidendo noi stessi. Così leggiamo di tanti che commettono omicidi e poi si uccidono. Il suicidio, come l'omicidio, è intriso di odio. Alla fine giungiamo a una conclusione: l'esilio risiede nell'odio e il movimento del ritorno risiede nell'amore. È tanto semplice quanto complicato. Nel nostro esilio siamo abituati all'omicidio. Siamo abituati al suicidio. Ci allontaniamo da esso, sbadigliamo su di esso e lo liquidiamo come un'altra notizia insignificante del telegiornale della sera. "La vera tragedia dell'esilio in Egitto", come ha detto Rabbi Steinsaltz, "fu che gli schiavi divennero gradualmente sempre più simili ai loro padroni, pensando come loro e persino sognando gli stessi sogni. Il loro più grande dolore, infatti, era che i loro padroni non permettessero loro di realizzare il sogno egiziano".<ref>Steinsaltz, ''On Being Free'', 22.</ref> E la loro più grande miseria, come la nostra, era che non vedevano alcun peccato nel sognare il sogno egiziano, un sogno di potere e possesso, di piacere e prestigio. Tuttavia, per quanto la nostra fortezza assuma le sembianze di una casa, ci sono momenti in cui i baluardi si incrinano e intravediamo chi e dove siamo: bambini persi in un bosco infestato, che non sono mai stati felici o buoni. Allora abbiamo paura; poi tremiamo. Eppure in quella paura e in quel tremore si cela una traccia di Colui che è tanto vicino quanto remoto. Perfino nella radicale lontananza di HaShem nella [[Shoah]], qualcosa di sacro si manifesta nel grido stesso che sale al cielo, dal diario tenuto da Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]] ai diari del ''[[w:Rivolta del Sonderkommando di Auschwitz|Sonderkommando]]'' sepolti a [[w:Campo di sterminio di Birkenau|Birkenau]]. Tenendo queste testimonianze nelle nostre mani, abbiamo la chiave del movimento del ritorno. E ci è molto vicino. === ''Conta le stelle...'' === {{Immagine grande|Bright star Alpha Centauri and its surroundings.jpg|1000px|''"Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza"'' ({{passo biblico2|Genesi|15:5}})}} == Note == {{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}} <div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div> {{Avanzamento|100%|15 giugno 2025}} [[Categoria:Connessioni|Capitolo 3]] jz2v61oej2upcrfh5d1tdb261n3wun9