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Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Venezuela
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{{Forze armate mondiali}}
Essendo il sesto stato in superficie dell'intera America latina il Venezuela dovrebbe essere ben più popolato, ma così non è per via delle caratteristiche del territorio, ancora in gran parte pressoché disabitato, mentre la popolazione tende a concentrarsi in poche aree urbane. Essendo anche uno dei primi esportatori mondiali di petrolio (a metà anni '80 era il terzo) e il primo sudamericano, il Venezuela ha un introito notevole di denaro per le proprie casse statali, o almeno così dovrebbe essere. Vi sono altre risorse, che comprendono anche una produzione di frutta tra le più importanti del Sud America e i minerali del bacino dell'Orinoco. Ma tutto né il fatto che il Venezuela ha la più antica democrazia del Sud America non ha impedito che la maggior parte della popolazione vivesse in condizioni di povertà più o meno accentuata, non ha consentito in particolare la nascita di un ceto medio che ridistribuisse la ricchezza tra gli abitanti, caratteristica negativa anche di altre nazioni sudamericane, per esempio il Brasile, cosicché dei 24 milioni di venezuelani fino a non molti anni fa 19 erano in condizioni definibili di povertà. Le multinazionali del petrolio, inoltre, avevano buon gioco nel trarre enormi profitti dai giacimenti venezuelani senza troppa spesa. Inoltre, il problema posto dal diffondersi dei narcotrafficanti non ha fatto che aumentare la fuga della popolazione verso le bellissime coste venezuelane, ingrossando però il popolo dei poveri. L'avvento di Chavez al potere ha cambiato molte cose, in particolare il nuovo presidente venezuelano, arrivato al potere in una nazione afflitta da povertà e violenza ha nazionalizzato le industrie petrolifere e avviato programmi sociali per aiutare i più deboli e poveri. Accusato di essere un dittatore, Chavez ha risposto dando una serie di elezioni che lo hanno visto vincere la fiducia dei cittadini, e anche sopravvivere al tentativo di golpe del 2002, anche se ha perso il recente referendum che avrebbe comportato la revisione della costituzione venezuelana togliendo tra l'altro il limite di 3 legislature per il presidente. La sua posizione internazionale, con attacchi espliciti all'imperialismo americano e alle ingerenze di altre nazioni sul Sud America, inclusa la Spagna, il suo tentativo di creare una politica comune in Sud America per difendersi dalla speculazione degli enti internazionali, multinazionali, statali, lo ha gettato in cattiva luce e gli ha procurato molti nemici, ma anche alleati, da Castro alla Russia che ha fornito al Venezuela armi per miliardi di dollari. Un problema ulteriore sono i rapporti con la Colombia di Uribe, un politico di destra molto diverso da Chavez e potenzialmente un nemico da combattere. Anche non volendo, perché il narcotraffico tende a spostarsi anche in Venezuela causando ulteriori e inevitabili problemi di ordine interno. La sua affermazione sul 'prezzo equo' al riguardo del barile di petrolio di 100 dollari è stata presa invece molto seriamente dai mercati internazionali, visto l'approssimarsi delle quotazioni a tale barriera storica.
Quanto alle forze armate, quelle Venezuelane hanno avuto in effetti non pochi sistemi d'arma moderni ed efficaci, i cui migliori esempi sono la fornitura di F-16, per la prima volta assegnati ad un Paese sudamericano, e le sei fregate multiruolo 'Lupo'.
===F-86 in Venezuela===
4 jet rombarono su Caracas, si abbassarono e mitragliarono il Palazzo Presidenziale. Era il '58 ed era in atto un colpo di stato. Gli aerei erano F-86F Sabre.
Il Venezuela ha avuto gli F-16, ma non è la prima volta che un caccia americano 'di punta' ha equipaggiato la FAV. Di fatto, quasi tutto il sudamerica venne ad un certo punto riequipaggiato con caccia F-86. Vennero ricevuti anche 30 F-86F nel 1955-60, forniti di seconda mano dall'USAF. Servirono come caccia intercettori nel Grupo Aereo de Caza 12, precisamente con l'Escuadron 36 'Jaguares' e forse anche con gli Escuadrones 37 e 38, tutti con il Grupo Aereo de Caza n.12. Nell'insieme 6 apparecchi vennero persi in incidenti, la maggior parte messa a terra nel '69, per poi essere fermati del tutto nel '71, per poi essere forniti alla Bolivia in 9 esemplari. Ma questi aerei non erano né l'unica né la principale nella FAV.
74 apparecchi ex-Luftwaffe del modello K vennero venduti al Venezuela nel 1966, con altri 27 probabilmente utilizzati come parti di ricambio (o inclusi nel totale?). La maggior parte volò con l'Escuadron de Cazas 34 e 35 e forse anche il 36. Differentemente dai più semplici e leggeri F-86F, gli aerei del modello K erano caccia ognitempo, ed essendo di complessa manutenzione erano di difficile manutenzione, e 27 vennero cannibalizzati per ottenere parti di ricambio, fino a che anche loro non vennero messi a terra nel '69 e messi fuori servizio agli inizi degli anni '70. Questa non fu la fine della loro carriera, poiché 5 vennero ceduti all'Honduras. Due soltanto funzionavano e si può ben immaginare che tipo di efficienza avranno potuto dimostrare visto che nemmeno la flotta in carico alla FAV, ben più congrua, era particolarmente efficiente. Tuttavia è possibile che abbiano visto un certo livello di azione durante la Soccer War del '69.
==1985==
Il Venezuela aveva all'epoca le classiche 3 forze armate, di cui il presidente era anche leader supremo, mentre una meno convenzionale branca era costituita dalla Fuerza Armata de Cooperacion, una sorta di guardia nazionale.
===Esercito===
La più numerosa, anche se pur sempre relativamente piccola, delle tre forze armate era l'Esercito, con in sui 27500 uomini, suddivisi in 5 divisioni, una per ciascuna delle 5 regioni militari in cui il Venezuela era diviso:
* Brigata corazzata (su 4 battaglioni carri)
*1 reggimento di cavalleria (a cavallo)
*2 battaglioni di fanteria meccanizzata autonomi
*1 brigata paracadutisti (2 battaglioni)
*6 brigate di fanteria (11 battaglioni di fanteria di linea e 13 di fucilieri)
*5 gruppi di artiglieria trainata
*1 gruppo artiglieria semovente
*1 brigata ranger paracadutisti (6 battaglioni)
*1 gruppo artiglieria contraerei
*5 battaglioni del genio
Da notare che il Venezuela, dopo la fine della guerra, è stato il primo Paese sudamericano a chiedere agli USA forniture di armamenti, ma nondimeno la brigata corazzata è basata su un congruo numero di AMX-30 francesi, e il battaglione carri leggeri ha gli AMX-13FL e altri mezzi leggeri.
I materiali in dotazione sono nel loro complesso:
*Corazzati: 81 AMX-30, alcuni AMX-13, autoblindo AML-60 e 90, Dragoon americani, EE-9 Cascavel, EE-3 Jararaca, mezzi per la fanteria AMX-VCI, EE-11, Commando V-150
*Artiglierie: M116 da 75mm, M56 da 105mm, tutti obici someggiabili; obici M101 da 105mm; cacciacarri M18 Hellcat, semoventi F.Mk3 da 155mm, lanciarazzi multipli AMX-13 LARS da 160 mm.
*Armi controcarri: missili SS-11, cannoni SR M40A1 da 106mm.
*Armi contraerei: Bofors L60 e L70, Breda L70 anche nel modello Dardo terrestre; semoventi AML-S530 da 20 mm, M42 da 40 mm, Missili Roland.
*Armi per la fanteria: pistole Browning da 9mm, mitra UZI, Beretta M12, MPK, Ingram tutte da 9mm. Parabellum. Fucili FAL e mitragliatrici FN MAG da 7,62 mm, mortati da 60, 81 e 120 mm Brandt, M29 da 81mm.
Gli equipaggiamenti, inizialmente americani come già spiegato, erano stati sostituiti da ordinativi quasi esclusivamente francesi per quanto riguardava i carri medi, leggeri, autoblindo, mortai, SAM e missili controcarro. Le armi della fanteria erano belghe, i mitra della più varia provenienza, le artiglierie semoventi ancora una volta francesi, mentre un moderno equipaggiamento erano i cannoni Dardo da 40 mm Breda-Bofors, adattati all'uso da parte di sistemi terrestri.
Una piccola ma efficiente aviazione dell'Esercito aveva in carico diversi apparecchi: una ventina di Bell americani, e 18 apparecchi ad ala fissa tra cui 4 IAI Arava e soprattutto, 2 G.222, che nonostante la loro massa, erano assegnati all'Esercito.
===Marina===
Piccola ma ben equipaggiata, la Marina venezuelana era all'epoca dotat di due punti di forza: sottomarini tedeschi e fregate italiane.
La dotazione nell'insieme era:
*Sottomarini: 1 GUPPY, 2 Type 209
*Fregate: Tipo 'Lupo' e 2 classe 'Almirante Clemente'
*Navi missilistiche: 6 classe Constitution (2 OTOMAT e 1 cannone da 40 mm, ma solo su due unità)
*mezzi anfibi: 5 LST, 2 mezzi LCU, 12 LCVP
*Ausiliarie: 2 navi da trasporto, 1 nave rilevamento, 2 lance rilevamento, 2 rimorchiatori da pattugliamento, 1 rimorchiatore, 1 nave scuola a vela, 3 altre navi
'''Aviazione di marina''': in rapporto alle dimensioni, relativamente modeste, della marina venezuelana, la sua aviazione di marina è degna di nota, avendo una forza all'epoca di 3500 uomini, con un gruppo ASQ con 6 S-2E Tracker, un gruppo elicotteri ASW/ASV con 12 AB-212ASW, un gruppo da pattugliamento marittimo con 3 CASA C.212MP, un gruppo trasporto con 2 C.212 e 1 DHC-7.
'''Marines''': anche la marina venezuelana aveva un discreto potenziale in termini di fanti di marina, con una forza totale di 4250 uomini, su 4 battaglioni fucilieri, un gruppo artiglieria con 18 M101, una compagnia d'assalto con 11 LVPT-7 cingolati, una batteria contraerei su 6 M42 Duster. Tra gli equipaggiamenti anche 30 EE-11 e 10 Transportpanzer 1, questi ultimi una rarità essendo pesanti e moderni veicoli tedeschi, ma sempre 6x6, come i più comuni EE-11. Le armi portatili sono sempre quelle dell'esercito. Nell'insieme il corpo dei marines era ben equipaggiato e bilanciato, con una forza paragonabile a quella di una brigata di fanteria meccanizzata leggera.
'''Guardia costiera'''(GC) aveva una funzione ausiliaria con una serie di vecchie navi appartenute alla Marina: 2 fregate leggere, e sei navi da attacco leggero armate o di un cannone da 76 o di 1 da 40 e anche due missili. In effetti queste sono le stesse già menzionate sull'elenco generale. I missili OTOMAT erano dunque le armi standard della marina in tale settore, con un totale di armi imbarcate di 52, contro le modiche 8 tipo Exocet della ben più grande ed oceanica marina brasiliana, effettivamente mal equipaggiata per gli scontri in superficie e poco armata anche contro le minacce aeree.
===Guardia Nazionale===
Forte di 20.000 uomini, essa era suddivisa in distaccamenti fissi e mobili, ed ognuno di questi distaccamenti era equivalente ad un battaglione dell'esercito regolare. L'armamento di armi per la fanteria era il solito, vi erano mortai leggeri fino al 60 mm, 25 APC leggeri UR-416, 15 veicoli di sicurezza interna Shortland, 43 battelli per il pattugliamento fluviale fino a 70 t, infine vi erano anche 4 aerei e 6 elicotteri leggeri
===Aeronautica===
La Fuerza Aerea Venezoelana (FAV) era tra le più moderne della regione, con una forza piccola ma comprendente:
*un gruppo con 16 F-16A e 8 B, i veri 'gioielli di famiglia' del servizio aereo, e i più moderni caccia della regione fino all'arrivo dei Mirage 2000 Peruviani. Tale modernità era necessaria,anche perché il servizio aveva una forza di appena 4750 uomini in tutto, che dovevano far funzionare le seguenti unità principali (e le relative infrastrutture a terra):
*Un gruppo misto con 'vecchie glorie' era invece dotato dei superstiti di 10 Mirage IIIEV, 2 DV, 4 5V consegnati all'inizio degli anni '70.
*Un'altra presenza assai comune, assieme ai più costosi Mirage, erano gli F-5, in questo caso presenti due gruppi di 29 F-5A di costruzione canadese, assieme a 6 F-5B biposto, pure costruiti in Canada.
*I bombardieri leggeri erano costituiti da un'altra 'presenza fissa' del Sud America, ovvero i Canberra inglesi: due gruppi erano dotati di un totale di 12 Canberra B.Mk 82, 5 B(I)Mk 82, 1 PR Mk 83 ricognitore, 2 T Mk 84 per l'addestramento.
*Infine, la prima linea aveva anche un gruppo COIN (COunter INsurrency) basato su 15 OV-1E Bronco, aerei americani esportati solo in questa nazione. Essi erano stati pensati proprio per queste missioni, ed erano relativamente lenti e complessi per l'esigenza di trasportare anche un gruppetto di paracadutisti, cosa in pratica poco usata. L'altro aereo nato come COIN, ma senza capacità di trasporto e pertanto più veloce e armato, era il Pucarà: e il Venezuela aveva guardacaso ordinato 24 Pucarà per aggiungersi ai Bronco, mettendo insieme questi due apparecchi specializzati, gli unici due mai concepiti per compiti antiguerriglia-
*La seconda linea era data da due gruppi da trasporto, con 5 C-130H, 7 C-123A, 8 G.222, C-47, che consentiva anche il lancio di paracadutisti
*L'aeronautica venezuelana, nonostante la sua modesta forza disponeva anche di un battaglione paracadutisti.
*Una unità da trasporto VIP con 3 aerei jet, un Cessna 500, 2 UH-1H.
*Due gruppi di collegamento con 20 aerei e 17 elicotteri
*Un gruppo trasporto e SAR con 10 UH-1D/H, 2 Bell 214ST, 2 Bell 412.
*Infine le unità addestrative con la Scuola di aviazione militare con 23 T-34, e 20 T-2D Buckeye, metà dei quali armabili.
In sintesi:
* 1 gruppo con 24 F-16 da caccia/attacco
* 1 gruppo con una quindicina di Mirage III/5 caccia/attacco
* 2 con 35 F-5A/B cacciabombardieri
* 1 gruppo COIN con 15 OV-1 Bronco
* 1 gruppo bombardieri con 20 Canberra
* 2 gruppi trasporto tattico con oltre 20 aerei
* un gruppo VIP con 6 macchine
* 2 gruppi collegamento con 37 apparecchi
* 1 gruppo SAR con 14 apparecchi
* Unità addestrativa con 43 apparecchi
* un battaglione paracadutisti
Totale: 12 gruppi, una scuola, un battaglione, ciascuno con una forza media di non più di 400 uomini. La dotazione era in totale di circa 230 apparecchi di cui non meno di 117 jets armati, 107 dei quali armabili, e altri 15 apparecchi armati.
Tra i commenti possibili a questo variopinto organico: il Venezuela aveva ordinato una certa quantità di Mirage di prima generazione in un'epoca (anni ‘60-70) in cui era normale per una nazione sudamericana avere almeno una forza simbolica con questi prestigiosi caccia da mach 2. Gli F-5 erano meno costosi e più numerosi, adatti a compiti vari. Gli F-16, consegnati attorno al 1982-3 erano i caccia al momento più potenti del Sud America, consegnati forse in funzione anticubana, ma in ogni caso, pur essendo solo delle macchine leggere rispetto ai pesi massimi quali gli F-14 r 15, erano un asset importantissimo e il principale elemento di forza per la FAV al riguardo della prima linea. La loro capacità di combattimento in agilità, il moderno radar multimodale con possibilità Look Down, la lunga autonomia, l'elevata capacità di carico utile e i missili AAM moderni erano tutti argomenti che facevano dell'F-16 un eccellente caccia da combattimento. L'abitacolo ergonomico, con comandi HOTAS e HUD era un altro vantaggio. La posizione inclinata a 20 gradi del sedile consentiva di assorbire meglio le accelerazioni delle manovre, con l'F-16 capace di tirare continuativi fino a 9G. Infine, il tettuccio con una fantastica visibilità a 360 gradi che era un salto quantico rispetto ai vecchi caccia da mach 2. Le dimensioni dell'F-16 sono molto ridotte ed è difficile vederlo specie se con colori mimetici da superiorità aerea, mentre il pilota dell'F-16 facilmente vede ogni avversario in cielo. Avesse avuto uno specchietto retrovisore (non reputato necessario) sarebbe stato anche meglio, non potendo il pilota vedere all'indietro senza girare il tronco interamente.
La dotazione di macchine era anche quella di C-130 e di G.222. Con un totale di 10 macchine consegnate, il trasporto medio G.222 ha avuto nel Venezuela il terzo cliente per importanza dopo Italia e Libia, curiosamente due sono stati assegnati all'Esercito. Da notare la presenza di alcuni vecchi C-123 Provider. Essi erano i diretti antenati dei G.222 nel senso che di fatto, questi ultimi ricoprono la stessa fascia di 'lavoro' dei precedenti, con motori turboelica di maggiore potenza e leggerezza. La forma dei G.222 è straordinariamente simile a quella dei C-123, non si tratta di un clone o di un diretto derivato, ma la somiglianza fisica, in particolare la fusoliera, è straordinaria, probabilmente un C-123 con motori turboelica avrebbe avuto aspetto e prestazioni del tutto simili a quelle del G-222. In ogni caso, questa era l'unica forza aerea con entrambi gli aerei in servizio (in Italia, per esempio, sostituirono i C-119).
Infine, tra gli addestratori vi era il Buckeye, aereo insolito almeno quanto il Bronco, di cui si è già detto, in servizio in poche nazioni eccetto l'US Navy. Avrebbe dovuto essere sostituito dal BAe Hawk ma dopo la guerra delle Falklands l'accordo è andato in fumo. Le difese aeree delle basi della FAV erano presumibilmente assegnate all'Esercito, dato che il servizio aereo era davvero piccolo per avere anche una forza di difesa antiaerea, radar a parte. Tra le armi, i Dardo, binati da 40 mm con fuoco automatico, che ad un certo punto la Breda pensò bene di offrire in diverse configurazioni (a torretta chiusa o aperta) per l'export, ma come tutti i CIWS navali, ebbero poco successo essendo pesanti e costosi, ma potenti. Il Venezuela è stato uno dei pochi se non l'unico, a comprarne alcuni, in genere i sistemi terrestri come i cannoni GDL sono più che sufficienti quando aggiornati, per questo compito.IL radar, curiosamente, non era più l'ELSAG Orion, ma l'olandese Flycatcher.
==Tempi moderni==
Nel 1990 si videro le prime consegne dei Mirage 50 EV, 11 aerei ottenuti per conversione negli stabilimenti Dassault, di altrettanti III e 5. Con la sostituzione del motore con l'Atar 9 K50 del Mirage F.1 e alette canard dietro le prese d'aria, l'aereo è in grado di tenere 25 gradi AoA a 120 nodi senza perdere velocità (grazie al motore) né stallare (grazie ai canard, piuttosto lunghe e con una marcata freccia), migliori tempi d'accelerazione e salita, miglioramento del 25% nel rateo di virata sostenuto, e capacità di mantenere 7g di accelerazione virando alla velocità costante di 1010 km/h. Per giunta, anche la velocità e lo spazio di decollo e atterraggio sono minori, grazie alla maggiore potenza e alla capacità di restare controllabile a velocità molto inferiori a quelle solite dei normali Mirage. L'avionica è stata migliorata con un nuovo radar, sistema avionico, HUD, navigazione e contromisure elettroniche. Nell'insieme un degno contraltare dei caccia F-16, sia pure più moderni, e certamente un tipo di aereo valido per le esigenze sudamericane.
Con il recente avvento al potere di Chavez, che è dichiaratamente anti-americano e per la via dell'indipendenza dell'America latina, molte cose sono cambiate anche in termini di forniture militari, in particolare come aviazione. I Venezuelani hanno allungato il già incredibilmente lungo elenco di utilizzatori del Su-27, nonostante che esso sia una macchina da combattimento da 30 t paragonabile all F-15. Anzitutto sono stati ordinati caccia Su-30MKV, 24 macchine di cui otto consegnate già nel 2007 al Grup 4 da Caza. Le prime 2 arrivarono il 30 novembre 2006 nel corso di una cerimonia tenutasi sulla base aerea di Barcelona, a 230 km dalla capitale, dove è stato fornito il Grupo 13 da Caza. Esso sarà ripartito nei 2 Escuadrones 131 'Ases' e 132 'Pumas'. Già il giorno della consegna, essi diedero un assaggio delle loro capacità di agilità in una esibizione in cui volarono anche vicino all'aereo presidenziale di Chavez. Il contratto per i Su-30 e 53 elicotteri ha costituito un affare da 3 miliardi di dollari, firmato il 24 luglio 2006. Il personale è stato inizialmente addestrato in Russia, che ha addestrato un totale di 32 persone sulle sue basi.
Questi apparecchi saranno i sostituti pratici degli F-16, a cui gli USA negano ora assistenza tecnica. La fornitura di elicotteri è un'altra questione. Dalla Russia stanno arrivando 1 Mi-26T2, 6 Mi-17V5, 8 Mi-35M2 mentre un altro ordine comprenderà altri 2 Mi-26 altrimenti questa compera, sia pure per una macchina capace di portare 20 t o 86 uomini (a suo tempo è stata giustamente definita un C-130 ad ala rotante), nonché 17 Mi-17V5 e altri 2 Mi-35M2.
In campo navale, la maggior quantità di risorse sembra essere stata l'aggiornamento della flotta di 'Lupo', in almeno 2 sessioni, durante gli anni del loro servizio. Da pochi anni sono state superate da quelle peruviane, perché hanno comprato le 'Lupo' italiane di seconda mano.
Il Venezuela ordinò ai cantieri italiani sei fregate tipo Lupo il 24 ottobre 1975 impostate tra il 1976 e il 1979 ed entrarono in servizio tra il 1980 e il 1982. Sono simili alle unità peruviane eccetto qualche modifica all'elettronica. Le prime due unità della classe, Mariscal Sucre e Almirante Brión vennero rimodernate nel 1998-2002 presso gli stabilimenti Ingalls Shipbuilding di Pascagoula nel Mississippi, mentre le altre unità sono attualmente in fase di ammodernamento nei cantieri di Puerto Cabello in Venezuela.
L'accordo per la modernizzazione delle 2 unità venne sottoscritto con il cantiere americano nel luglio 1992, ma il contratto definitivo da 315 milioni di dollari venne firmato solo nel 1997.
Le prime due unità della classe, la Mariscal Sucre e la Almirante Brión sono state rimodernate tra il 1998 e il 2002 agli Ingalls Shipbuilding di Pascagoula, Mississippi, già importanti fornitori dell'US Navy, per esempio con 12 dei caccia Arleigh Burke.
Le modifiche hanno riguardato la totale revisione dello scafo, sostituzione dei motori diesel di propulsione, la modernizzazione delle turbine a gas, sostituzione del sistema di controllo dell'apparato propulsore, sostituzione dei gruppi elettrogeni, nuovo radar di navigazione, nuovo sonar a scafo, nuovi sistemi di comando e controllo con maggiore automazione consentendo di ridurre l'equipaggio da 185 ad appena 131 uomini. Le altre unità sono attualmente in fase di ammodernamento nei cantieri di Puerto Cabello in Venezuela.
Le unità sulle quali sono stati eseguiti i lavori sono ora dotate di motori diesel MTU 20V 1163, nuovo radar di sorveglianza e ricerca aerea Elta EL/M-2238 Star 3D, dei sistemi Elisra ESM NS 9003, ECM NS 9005, sistema di combattimento Elbit ENTCS 2000. I lanciatori SCLAR sono stati sostituiti dagli Mk 137 da 130 mm, cosi come il sonar che ora è il Northrop Grumman SQS-53C. Altri apparati sono il sistema di navigazione Sperry marine MK 39 e del sistema di comunicazione integrato DRS Technologies SHI NCOM 2100.
Le navi tipo Lupo, costituiscono nella marina del Venezuela la Classe Mariscal Sucre ed hanno la loro base operativa a Puerto Cabello nello stato di Carabobo.
Matricola Nome Cantiere Impostazione Varo Entrata in servizio
*F-21 ARV Mariscal Sucre, 14 luglio 1980
*F-22 ARV Almirante Brión, 7 marzo 1981
*F-23 ARV General Urdaneta Cantieri Navali Riuniti, 8 agosto 1981
*F-24 ARV General Soublette Cantiere navale, 4 dicembre 1981
*F-25 ARV General Salóm Cantieri Navali Riuniti, 3 aprile 1982
*F-26 ARV Almirante García, 30 luglio 1982
La sigla ARV indica Armada Republica de Venezuela, cioè la marina di appartenenza.
==La Fuerza Aerea Venezuelana nel 1990==
La FAV ha festeggiato il dicembre 1990 il suo 70imo anniversario, organizzando una esposizione sulla base aerea di Mariscal Sucre, alla periferia di Maracay, durata 3 giorni.
All'epoca come si presentava la FAV, Fuerza Aerea Venezuelana? Anzitutto il QG era basato sulla Base aerea 'Generalissimo Francisco De Miranda', di Carlotta/Caracas, e il capo della Forza aerea era all'epoca il gen. Louis Domingo Monserrat Lopez. Già su questa base erano presenti i Grupo 4 e 5, entrambi da trasporto, ma era il primo da trasporto presidenziale. La sua forza aerea ripartita su due squadron. Uno era l'Escuadron 41con 2 Gulfstream (un III e IV), un Learjet 24D, 2 King Air e infine il Boeing 737, per ragioni logistiche distaccato sulla base aerea di Libertador. L'Escuadron 42 era invece devoluto ai trasporti ad ala rotante con 3 grossi Bell 214ST, un tipo particolare di non grande successo con una fusoliera allungata rispetto ai normali 'Huey' e un'elica bipala di grande diametro, esportato soprattutto in Iran negli anni '70. Il Grupo 5 era invece organizzato nell’Escuadron 5 e 51. Il primo aveva una forza di 4 Cessna Citation di cui tre 550 e uno 500. Il '51 aveva invece 6 King Air 200. IL '51 svolgeva anche trasporti sanitari per la popolazione, mentre la maggior parte delle missioni a lungo raggio erano appannaggio del Grupo 4 con i suoi aerei a reazione.
Quanto ai reparti di prima linea, gli F-16 del Grupo 16, con i due Escuadron 161 e 162 erano la vera forza operativa venezuelana, e per quanto numericamente modesti potevano superare praticamente ogni avversario dei vicini Paesi sudamericani. L'unica squadriglia con aerei comparabili, di ultima generazione, era quella con i Mirage 2000 peruviani. I primi 6 piloti vennero addestrati nell'82 alla base aerea del 58 TFW di Luke, e uno di loro divenne poi anche il comandante del Grupo 16. I serial numbers di questi aerei, basati su 4 numeri non sono totalmente noti e la loro interpretazione è piuttosto difficile, ma per certo sono stati consegnati 18 F-16 A-15 e 6 F-16 B-15 a partire dal tardo '83 fino all'84 o forse l'85, con il 161 dichiarato operativo già il dicembre '83, quando i Mirage 2000 non erano ancora in servizio nemmeno in Francia. Il reparto logistico per questi sofisticati apparecchi era il 167 Escuadron, e il passaggio operativo dei piloti era fatto con un distaccamento di 6 aerei sulla base Teniente Vicente Landaeta Gil, di BAsqumento/Lara. La base è stata anche dotata di massicci shelter di protezione, altra rarità in Sud-America. Sempre in questa base vi erano anche i Mirage del Grupo 11, che tuttavia all'epoca erano all'epoca in fase di aggiornamento e pochi erano realmente presenti sulla base. L'addestramento era interessante, in quanto ogni giorno vi erano combattimenti aerei simulati tra F-16, Mirage e F-5. Peccato non conoscere l'esito di queste battaglie aeree tra questi autentici campioni nel campo dei caccia a reazione medio-leggeri. Anche aerei americani partecipavano alcune volte l'anno ad esercitazioni, sia dell'USAF che della Marina americana, spesso con tappe intermedie da Guantanamo Bay. L'addestramento con armi aria-superficie avveniva sul poligono El Sombrero, mentre i tiri aria-aria vi era il poligono di Isle de Margarita.
La forza di Mirage era originariamente del Grupo 12 di Basquimento, poi solo da pochi anni erano stati ceduti al Grupo 11, più precisamente all'Escuadron 33 'Halcones'. Questo Escuadron dev'essere stato fin dall'inizio equipaggiato con i Mirage, presumibilmente ha fatto armi e bagagli dal 12imo all'11imo. In effetti erano state volate oltre 23.000 ore sui Mirage, valore piuttosto rispettabile. La loro carriera iniziò nel 1973, ma diversi incidenti falcidiarono la flotta, anche se nessuno di questi mortale. Uno che era ufficialmente ammesso riguardò una spettacolare carambola, con tre aerei persi per una collisione multipla nell'agosto '86. Non si sa bene quanti e quali Mirage andarono alla FAV, per cui riuscire a ricostruirne l'organico effettivo non era possibile. La fornitura di 9 Mirage IIIEV del '72 fu seguita da un decimo aereo dello stesso tipo, poi nel '77 arrivarono 4 Mirage 5V e due DV, costituendo una piccola forza di aerei d'attacco a lungo raggio, d'altro canto all'epoca non c'era quasi Paese del Sud America che non schierasse almeno uno squadrone dei prestigiosi Mirage. Nel 1989 la loro forza era calata, pare a 6 IIIEV, 3 5V e 2 DV, Però il giornalista Peter Foster ha visto ben 10 Mirage IIIEV, 7 5V e 2 5DV per un totale di 19 Mirage! Per questo, una ricostruzione precisa della forza dei Mirage venezuelani è praticamente impossibile, anche se certamente la fornitura nota di 16 aerei è evidentemente stata integrata da altre. Inoltre, negli anni '80 la FAV ha ricevuto 7 Mirage 50 che in sostanza ritornano al radar di bordo omesso nei '5. In ogni caso, il loro aggiornamento era in corso con alette canard e altre modifiche, da eseguirsi in Francia. Nel Grupo 11 vi erano anche i 4 Pitts S.2B Special della pattuglia acrobatica 'Los Halcones', ma dopo la morte del capopattuglia nell'88 questa aveva cessato le esibizioni pubbliche. L'Escuadron de Caza 34, nonostante il nome, aveva solo i Dassault Falcon 20 DC da ricognizione e aerofotogrammetria.
Ad El Libertador era presente davvero una forza aerea completa se si considera che vi erano anche i G.222 del Grupo Aereo de Transporte N.6, con i C-130H e i G.222. Degli 8 Hercules ne restavano 6 nell'Escuadron T.1, consegnati a partire dal '71. Nel novembre del '90 arrivò anche un '737 aerocisterna. L'Escuadron T.2, formato nel '58 con 18 C-123B è stato poi equipaggiato con i G.222, per ironia della sorte aerei esteticamente e dimensionalmente molto simili, in sostanza con la differenza di essere potenziati da turboeliche e con maggiori ausili per le operazioni STOL. Originariamente 2 di questi erano in carico all'Aviazione dell'Esercito, ma poi molto più saggiamente sono stati ceduti all'Aeronautica, che così ha potuto schierare un reparto di dimensioni accettabili con intuibili vantaggi in termini di logistica.
Gli elicotteri erano invece assegnati, indovinate un pò.. sempre a El Libertador. Era no il Grupo Aereo de Operationes Especiales N.10 'Cobras' su due Escuadrones: il 101 e il 102, il primo dei quali ('Guerreros') con 4 UH-1D/H, 1 Bell 212 e un Bell 412, con altri 4 UH-1 in fase di revisione generale. Questo è tutto quello che restava di 20 elicotteri, e date le perdite si aspettavano altre forniture americane: dopotutto, ai Colombiani era stato fornito un gruppo di UH-60 Black Hawk per compiti 'anti-trafficanti'. L'Escuadron 102 'Piaros' aveva gli elicotteri francesi Alouette III e i primi di 15 Super Puma ordinati. Il supporto tecnico era compito dell'Escuadron 103. Sempre ad El Libertador esisteva l'Escuadron Legendario, con aerei storici di tutti i tipi e gusti: Caudron G.3, Stearma PT-17, T-6 Texan, Jet Provost T Mk 52, C-47 e MS.230. Per il Centro di Manutenzione passavano le pratiche per accertare le cause degli incidenti aerei, ma anche il recupero di macchine storiche, e non si può dire con precisione, in tal senso, se facessero più impressione i 4 B-25 Mitchell che Peter Foster trovò nell'occasione, o i 40 (almeno) F-86K superstiti di quelli forniti a suo tempo dalla Luftwaffe.
Ad El Libertador operava il grosso dei caccia, ma non tutti. Alla base aerea Teniente Luis Del Valle Garcia, di Barsquisimeto vi erano 13 VF-5 inquadrati nel Escuadron 36. Avevano urgente bisogno di lavori di aggiornamento e ricostruzione, e li avrebbe eseguiti la Singapore Defence Industries (dove, non si sapeva di preciso). Nel mentre arrivavano 7 NF-5 ex-olandesi. Anche per i caccia F-5 è necessario aprire una parentesi.
===VF-5===
La necessità di risparmiare denaro fece sì che circa 73 CF-5 canadesi venissero tenuti in riserva. Il Venezuela si dimostrò interessato a questi aerei, che erano fin troppo numerosi come rimpiazzi, tanto da ordinarne 20 esemplari nel '72. Tra l'11 febbraio e l'11 giugno i due lotti di F-5 presi in carico vennero inviati ai venezuelani, di cui 16 monoposto (116767, 116773/116783 e 116786/116789), e 2 biposto. Altri 2 biposto, nuovi di fabbrica, vennero direttamente consegnati ai venezuelani, portando il totale a 20 aerei. In ogni caso, con i soldi venezuelani venne finanziato un nuovo lotto di 18 CF-5D (strano modo di concepire l'economia: vendere aerei e comprarne poi di uguali: misura pro-occupazione alla Canadair?). I velivoli divennero, in Venezuela, i VH-5A e D. Ma due dei monoposto divennero RF-5A e quindi redesignati RVF-5A. Vennero messi in servizio col Grupo de Caza 12 di Barquisimeto. Tutto questo non fu però preso bene dalla Northrop, che fece causa al Canada in quanto non aveva autorizzato la Canadair a vendere per proprio conto gli F-5, ed esigeva il pagamento dei diritti, cosa che avvenne con un esborso di 9 milioni di dollari.
In tutto, 7 aerei vennero persi entro il 1900 mentre gli altri vennero messi a terra per affaticamento strutturale e poi fatti aggiornare dalla Singapore Aerospace. Con l'arrivo entro il '93 di 6 NF-5A e 1 NF-5B il piccolo contingente di Freedom Fighter venne aumentato al livello in cui era 18 anni prima. Ma a parte che i nuovi F-5 ex-olandesi erano migliori di quelli originali, l'aggiornamento del '90 incluse anche altri sistemi, come il GPS. Il programma venne alfine completato senza lasciare il Venezuela, ma con l'assistenza di tecnici di Singapore. La situazione sulla tempistica delle consegne e delle trasformazioni è piuttosto confusa. Quello che si sa è che uno di questi decollò su allarme per combattere i ribelli nel colpo di stato del '92, ma non tutti i reparti della FAV erano fedeli al governo: i Mirage e i Bronco combatterono a favore dei golpisti e attaccarono la base dei Freedom Fighter, distruggendone la suolo 3. Nonostante queste perdite abbiano portato a non meno di 10 il totale di F-5 distrutti, il Grupo 12 ancora operava con gli VF-5 all'inizio degli anni '2000, ma oramai, con gli F-16 consegnati, non vi erano più compiti di difesa aerea e d'attacco al suolo quanto piuttosto quelli di addestramento avanzato per i piloti dei Fighting Falcon e dei Mirage, che necessitavano di un aereo intermedio tra i Tucano e gli F-16B, aereo che con la radiazione dei T-2D non era più disponibile.
===Addestramento===
Nel Grupo de Caza N.12 operavano anche i rari T-2D Buckeye, a suo tempo consegnati come rimpiazzi per i Jet Provost T.Mk 52, anche se la sostituzione non era stata totale, in quanto alcuni di questi aerei erano ancora presenti, forse solo come macchine da collegamento veloce, in alcune basi aeree venezuelane. Il loro reparto era l'Escuadron 35 e in tutto ve n'erano circa 17 esemplari ancora efficienti o semplicemente superstiti del lotto iniziale. I primi 12 (Sn. 159330-341) avevano addirittura la livrea bianca e rossa dell'US Navy, ma gli altri erano muniti della mimetizzazione tipica della FAV, una combinazione a chiazze di verde medio, verde scuro e giallo sabbia scura. Questo aereo veniva utilizzato, nei tipi mimetici, anche come macchina d'attacco al suolo, ma solo come attività addestrativa il Grupo 12, inclusi i VF-5, riusciva a macinare 4500 ore di volo annue di cui 2000 con i Freedom Fighter, anche se questi erano all'epoca praticamente fermi o comunque meno attivi del normale per gli acciacchi strutturali. Gli allievi della piccola Aeronautica Venezuelana svolgevano 100 ore sui T-2D e 80 sugli VF-5.
Per quello che riguarda il 'bombardamento strategico', a suo tempo il Venezuela era decisamente una nazione ben equipaggiata con un totale consegnato di 30 Canberra, di cui però gli ultimi 5 Mk 82 e Mk 83 vennero radiati il 14 settembre 1990 sulla base aerea Luis de Garcia di Barcelona. Anche questi aerei erano accantonati a El Libertador: precisamente 7 Mk 8, un PR. 83 da ricognizione, 2 T 84 da addestramento e un B.(I) 88.
La prima linea delle forze venezuelane era completata dai reparti aerei COIN, ovvero il Grupo Aereo de Operaciones Especiales N.15 della Base General Jefe Rafael Urdaneta di Maracaibo/Zulia. In questo Grupo vi erano l'Escuadron 151 'Los Linces' (altro nome estremamente originale..) con 10 OV-10E Bronco, assieme agli addestratori armati T-27 Tucano dell'Esc. 152 'Los Avispones'. Gli aerei erano spesso rischierati, 3 per tipo, sulla base aerea Mayor Buenaventura Vivas di Santo Domingo. Originariamente la base dei Bronco era Basquisimeto, ma nel '74 vennero spostati a Maracaibo, la più occidentale delle basi aeree venezuelane. ALmeno 3 Bronco sono andati perduti col tempo. La loro capacità di volo lento, trasporto leggero e attacco al suolo li rende preziosi come macchine antiguerriglia, per la quale vennero pensati appositamente, ma per l'attacco al suolo velivoli più veloci e manovrieri sono forse più indicati. Per questo compito i Tucano, chiamati non casualmente A-27 e non T-27 erano muniti di 4 piloni subalari e potevano combattere e volare in un range di 0-10.000 m e 111-555 km/h senza problemi. Uno di questi aerei, consegnati a partire dall'87, andò perduto nell'88. Spesso sul Venezuela operavano anche Bronco americani come il 24 TASS dell'USAF, basato a Panama sempre con i Bronco, ma della versione OV-10A.
Quanto ai reparti addestrativi, oltre al Grupo 12 con i suoi VF-5 e T-2 vi erano anche altre importanti realtà da ricordare. In effetti, l'Escuela de Aviacion Militar o EAM è di antica origine: inizialmente si cominciò a far conto sul pilota americano Frank Boland che su Caracas effettuò una dimostrazione di volo. Era il lontano 1912 e la cosa era forse prematura. Fino al 1920 non vi furono altri eventi, nonostante i progressi in altre nazioni del sudamerica. Ma il 17 aprile 1920 il governo emanò un decreto per la creazione di una scuola d'aviazione militare e le attività iniziarono il 10 ottobre, con base su di un vecchio cascinale a Caracas. Fino al '36 non vi furono grandi novità, poi la scuola venne trasferita nell'Aeroporto di Caracas. Nel '60 si trasferì la scuola sulla base Mariscal Sucre di Bocha del Rio. 30 anni dopo si estendeva su di una vasta aerea con due complessi principali: l'Accademia aeronautica e l'aeroporto con due piste di volo, la sede del Gruppo aereo di volo strumentale, e la Scuola Tecnica.
Inizialmente chi vuole diventare aviatore deve essere in possesso di un titolo di studio superiore e al tempo stesso avere meno di 20 anni (due cose non sempre facili da ottenere nel contempo), oltre che di essere in forma psicofisica perfetta. Anche così doveva fa fronte alla selezione d'ammissione con prove di cultura generale varie, e alla fine un centinaio di ragazzi venivano ammessi ai corsi. Circa il 40% sarebbe rimasto nei reparti di supporto a terra. Gli allievi erano tenuti a farsi il 'mazzo' iniziando già alle 5 con due ore di ginnastica, poi lezione tra le 9 e le 13, 14-18 attività sportiva e extrascolastica (tra cui pittura, teatro, ceramica etc. etc.), cena e ripasso della lezione della mattina.
Dopo i primi 3 anni di attività uguale per tutti, gli altri 2 erano differenziati (un poco come i corsi universitari 3+2) a seconda della specializzazione.Per i piloti a quel punto si trattava di seguire corsi di specializzazione in aerodinamica, elettronica, addestramento su aerei etc. In termini di addestramento su aerei, si cominciava con il Grupo 14 'Escorpiones' che nonostante l'altisonante nome offriva solo il 141 Escuadron su VT-34 Mentor, e 142 Escuadron con i T-27 Tucano, ovvero la versione meno 'cattiva' dell'A-27 già visto. A tutta la necessità della logistica si occupava l'Esc. de Mantenimiento N.147.
Nel quarto anno gli allievi totalizzavano un totale di 80 ore sui Mentor imparando essenzialmente le procedure d'emergenza e il volo da solista. A proposito degli aerei di per sé, negli anni '60 la FAV ebbe un totale di 41 T-34A Mentor, anche se 7 andarono in carico all'Escuela de Aviacion Civil. Una ventina di aerei è stata aggiornata poi con alcune modifiche, come il molto sentito potenziamento del motore, cambiando quello da 225 con uno da 300 hp con elica tripala anziché bipala. I VT-34A che ne sono risultati hanno cominciato ad affluire già all'inizio degli anni '90. Nel quinto anno entrano in gioco i Tucano, ben più prestanti e a cui sono destinati gli allievi per familiarizzarsi con i futuri jets, con un corso di volo molto sostenuto di 150 ore. In seguito gli allievi prendevano il brevetto e poi venivano inviati a Palo Negro per gli elicotteri, oppure Caracas La Carlota o a Barquisimeto con i T-2D dell'Escuela de Combate. Il Grupo 14 comprendeva di suo anche una quarantina di piloti istruttori che volavano anche 400-500 ore l'anno.
Per quello che riguarda la Escuela Tecnica, questa era stata riformata riducendo il numero di anni necessari da tre a due, e aumentando il numero di prove pratiche su moderni laboratori recentemente inaugurati. In tutto vi erano ogni anno 300 studenti, tenuti anche a seguire corsi d'inglese e francese per capire i libretti d'istruzione dei vari aerei stranieri.
Infine il Grupo De Entrenamiento De Vuelo Instrumental N.7 aveva il compito di simulare il volo di vari tipi di apparecchi, tanto importante che i piloti erano tenuti a passare in questo Grupo 7-15 giorni all'anno. La sua fondazione avvenne nel '75, agli albori della simulazione aerea. Vi erano i simulatori GAT-1S per il Cessna 182, il GAT-2H per il T-2, e due del tipo GAT-3 per il T-40 Sabreliner. Poi, nel '78 arrivò anche il simulatore del C-130. Con questi simulatori,per quanto vecchiotti, i piloti di tutte le specialità si aggiornavano con 15-20 ore di volo per le emergenze. Il GRUEVI era una realtà più unica che rara nel Sud America e molte nazioni inviavano i loro piloti là: addirittura il simulatore del C-130 era utilizzato anche dall'Aviazione israeliana.
Capito tutto? Ricapitoliamo:
* Grupo Aereo de Caza 16, base El Libertador/Palo Negro, Aragua, con 24 F-16:
** Escuadron 161 'Caribes'
** Escuadron 162 'Gavilanes'
** Escuadron de Mantenimiento 167
* Grupo 11 Aereo de Caza 11, base El Libertador/Palo Negro, Aragua:
** Escuadron de Caza 33 'Halcones', con i superstiti di almeno 10 Mirage III, quattro 5, due 5DV, sette Mirage 50
** Escuadron de Caza 34 'Caciques' su Falcon 20DC
** Equipo de Vuela Acrobatico su Pitts S.2B
* Grupo Aereo de Trasporte N.6, stessa base:
** Escuadron T.1 con 6 C-130H e 1 B707
** Escuadron T.2 con 8 G.222
* Grupo Aereo de Operationes Especiales 10 'Cobras', base El Libertador/Palo Negro, Aragua:
** Escuadron 101 con 4 UH-1D/H, 1 Bell 212 e 1 Bell 412+4 UH-1 in manutenzione
** Escuadron 102 con 15 Super Puma in fornitura
* Grupo Aereo de Transporte 4, base Gen Francisco de Miranda, La Carlota /Caracas:
** Escuadron 41 con 1 Gulstream III e 1 IV, 1 Lerjet 24D, 2 Beech Kingair, 1 Boeing 737 (distaccato a El Libertador)
** Escuadron 42 con 3 Bell 214ST
* Grupo Aereo de Transporte 5, base Gen Francisco de Miranda, La Carlota /Caracas:
** Escuadron 51 con 6 Beech King Air 200
** Escuadron 52 con 4 Cessna Citation 500 e 550
** Escuadron Legendario, con vari apparecchi storici
** Centro di Manutenzione
* Grupo Aereo de Caza 12, base Ten. Luis del Valle Garcia, Barquisimeto:
** Escuadron 36, 13 VF-5
** Escuadron 35, 17 T-2D
* Grupo Aereo de Operaciones Especiales 15, base Gen. Jefe Rafael Urdaneta, Maracaibo:
** Escuadron 151 'Los Linces' con 10 OV-10E
** Escuadron 152 'Los Avispones' con A-27 Tucano
* Grupo Aereo de Entrenamiento Aereo N.14;
** Escuadron 141 con T-34
** Escuadron 142 con T-27
** Escuadron De Mantenimiento 147
* Servicio de Aviacion de la Marina Venezoelana, Bartolome Salom:
*S-2, C-212, AB-212AS
*La Carlota, escuadron TR-02 della Marina e sede dell'Aviazione dell'Esercito, con 47 apparecchi.
*Guardia Nacional
Per quello che riguarda la forza aerea della Marina e dell'Esercito, si trattava di realtà non di peso secondario per il Venezuela. La Marina aveva la base principale a Bartolome Salom, dove erano schierati ben 8 S-2B Tracker, 8 CASA C-212M-200, e oltre a questi pattugliatori marittimi, anche 12 elicotteri AB-212AS di moderna costruzione, oltre ad aerei da collegamento DASH-7, Cessna 310 e 402.
Sulla base di La Carlota ha sede lo suqdrone TR-02 del QG della Marina, ma anche il grosso della base dell'Aviazione dell'Esercito, che aveva una discreta forza di 47 apparecchi: vi erano aerei IAI 201 Arava, elicotteri S-61A, Bell UH-1H, 205A, 206L, 412 e infine alcuni elicotteri armati A.109. Altre installazioni dell'esercito erano a Caracas, Charrallave e San Felipe.
Infine la Guardia Nacional aveva compiti di supporto alle forze di polizia e pattugliamento dei confini, ed aveva aerei e elicotteri leggeri.
===Gli F-16===
Il Venezuela gode da decenni di un singolare primato relativo al Sud-America: quello di possedere una piccola flotta di moderni F-16. Fu nei primi anni '80 che gli Stati Uniti decisero contrastare l'espansione dei Cubani nell'area centro-americana e caraibica, oramai equipaggiati con i potenti MiG-23. Grenada in particolare era all'epoca comandata da consiglieri cubani e sovietici, e la costruzione di una base aerea con pista da 3000 m, distante appena 90 km dalle coste settentrionali del Venezuela, poneva dei problemi strategici obiettivi ('risolti' poi per le spiccie occupando manu militari l'isola, vedesi '[[w:Gunny|Gunny]]' per ulteriori informazioni..). La FAV venezuelana era all'epoca equipaggiata con pochi Mirage 5, F-5 e persino F-86, ma il presidente Carter aveva proibito nel 1977 la vendita di armi avanzate in Sud America per evitare corse agli armamenti locali e quindi non si poté fare molto per cambiare le cose. Ovviamente Reagan la pensò diversamente, proteso com'era ad ottenere un duplice risultato: quello di sfruttare le enormi potenzialità economiche americane (anche passando sopra ai sindacati americani: celebre il licenziamento di massa dei controllori aerei in sciopero) per uscire dalla depressione in cui gli USA versavano nel 'dopo-Vietnam' (anche qui Gunny è un buon testimone d'epoca) e al tempo stesso, fiaccare l'economia sovietica con una corsa agli armamenti che gli USA potevano permettersi spendendo il 6% del loro PIL ma che l'URSS seguì senza troppo riflettere arrivando a spendere anche il 20% della propria ricchezza in missili e cannoni, ritrovandosi poi a corto di pane e crollando miseramente nonostante le riforme di un leader ben più capace di Cernienko e Andropov, ovvero Michail Gorbachev.
Inizialmente si pensò di rispettare questo limite con l' 'F-16 dei poveri', ovvero l'F-16/79, dotato di motore G.E. J79. Esso era soprattutto figlio di un'operazione politica, voluta per limitare le vendite di armamenti moderni americani nel mondo (anche se questa avrebbe finito per essere controproducente: nazioni come Iran, Israele e varie europee avrebbero comunque avuto le macchine 'full power' se non 'extra-strong' con equipaggiamenti aggiuntivi..). Sebbene l'esercizio di unire la potenza di un robusto motore assiale ben noto e apprezzato con una cellula moderna e agile potesse fosse assai interessante, di fatto l'F-16/79 era molto meno potente dell'F-16 standard, e soprattutto la sua delicata cellula non era capace di sostenere il calore del turbogetto J79: così uno schermo termico d'acciaio di ben una tonnellata venne aggiunto nella baia del motore. La combinazione di 2-3 tonnellate di potenza in meno e una tonnellata e oltre (anche il motore pesava di più) di massa rese l'F-16/79 molto meno brillante, seppure di qualcosa più economico, del tipo standard. Furono proprio i venezuelani che si videro per primi offrire l'F-16/79, per poi essere seguiti da un'altra ventina di nazioni. L'aereo venne provato nel 1981, e non convinse. La questione degli F-16 venezuelani si dilungava da tempo, poi Reagan rimpiazzò ogni parvenza di 'limitazioni' dell'export degli armamenti: anzi, aumentare la produzione per i Paesi 'amici' era parte di fatto del suo programma strategico.
Con l'operazione 'Peace Delta' vennero forniti -tramite i soliti canali FMS- 18 F-16A e 6 B, per un ammontare di ben 600 milioni di dollari. Entrambi gli aerei erano dei sottotipi Block 15. La base per questi 'gioielli di famiglia', ovvero 'El Libertador' di Palo Negro, venne ricostruita appositamente e dotata di un simulatore di volo. I nuovi F-16 avrebbero equipaggiato il Grupo Aereo De Caza 16. I primi arrivarono due mesi dopo la consegna dei primi aerei negli USA, presso il 58th Tactical Fighter Wing di Luke AFB, Arizona. Nonostante la risoluzione del problema 'Grenada' tutti i caccia ordinati vennero comunque forniti con il primo squadrone considerato operativo il 10 dicembre 1983. Gli aerei vennero costruiti nel 1982-84 e le consegne si protrassero il 19 novembre 1985. Il 31 agosto del 1983 venne costituito il 16 Grupo, che era ed è basato sugli squadroni 161 'Caribes' e 162 'Faviles'. La Difesa aerea venezuelana venne potenziata con questi due escuadrones de caza e i pochi Mirage 5 e III vennero utilizzati come cacciabombardieri. I caccia F-16 del Block 15 sono macchine da difesa aerea compatibili con gli Sparrow, non comprati dalla FAV. Ma poco dopo la loro consegna venne istituito un OCU per l'aggiornamento delle capacità operative, iniziata nell '84 con l'acquisto dei ricevitori radar ALR-66 che molti anni dopo sarebbero stati sostituiti col apparati israeliani del tipo ELISRA SPS-2000. Gli F-16 venezuelani rappresentarono, tra l'accozzaglia di tipi vecchi o totalmente obsoleti delle aviazioni sudamericane un elemento di notevole deterrenza, anche se poi la loro carriera non li vide mai incrociare le armi con i MiG cubani, ma piuttosto intercettare aerei del tutto diversi, soprattutto quelli utilizzati dai narcotrafficanti in volo a bassa quota. La loro operatività fu confermata nel 1991 quando per la prima volta una forza aerea sudamericana, per l'appunto la FAV, venne invitata ad una Red Flag, la complessa esercitazione aerea che viene tenuta diverse volte l'anno negli USA. Nel frattempo gli F-16 divennero utili anche per un'altra esigenza, del tutto diversa dalla difesa aerea: i pochi Mirage erano in fase di aggiornamento e quindi indisponibili ai reparti, quindi i piloti e gli armieri dovettero fare confidenza con le bombe da esercitazione BDU-33 e reali Mk 82. Ma quello che poi confermò maggiormente la validità operativa degli F-16 venezuelani fu il loro ruolo durante il colpo di stato del '92. Restando fedeli al governo di Caracas dovettero affrontare altri colleghi della FAV che non lo erano e abbatterono 2 OV-10 Bronco più un Tucano dei 'ribelli'. Durante gli anni '90 la minaccia sovietica e cubana era solo un ricordo, ma un altro problema non meno insidioso si stagliava all'orizzonte: il proliferare dei narcotrafficanti. Per correre ai ripari le F.A. venezuelane furono costrette ad istituire dei reparti di intervento rapido e collaborare con Colombia e Brasile. Le macchine venezuelane utilizzate erano Super Puma, Bronco e per l'appunto, gli F-16 grazie al loro radar APG-66 e ad armamenti aria-aria e aria-superficie. I piloti degli F-16 hanno anche ricevuto NVG per vedere di notte i loro possibili bersagli, migliorando l'efficienza operativa, e fornire con apposite bombe illuminanti -le Natak- la visione notturna di quello che trovano anche per i reparti a terra. In ogni caso, non mancano le esercitazioni più complesse, come quelle con le 2 aerocisterne Boeing B-707-346C del Grupo de Transporto 6, sempre basato a Palo Negro. E dal momento che questi aerei vennero mandati in revisione generale nel 2001, nell'occasione gli F-16 venezuelani volarono con i serbatoi da 2271 litri israeliani, del 50% più grandi di quelli standard. Anche le esercitazioni navali e aeree combinate hanno fatto parte della carriera degli F-16 venezuelani, per esempio l'operazione Miranda 98 in cui tra l'altro hanno partecipato anche 4 Mirage 2000 francesi e si sono simulati attacchi contro le fregate Lupo della Marina venezuelana, che rappresentano l'altro punto di forza delle F.A. venezuelane. Quanto al profilo addestrativo, va detto che i piloti fino al '97 volavano inizialmente sui T-27 Tucano, poi 100 ore sui Buckeye dell'Esc- 36 e infine mandati ai due squadroni da caccia di Palo Negro. Ma nel '97 gli anziani Buckeye sono stati radiati e si è dovuto ricorrere agli F-5. Per questo problema si è pensato agli AMX-T, di cui 8 esemplari sono stati richiesti all'EMBRAER, ma le cose non sono andate per il verso giusto. Inoltre sono stati valutati l'MB-339C e il K-8 cino-pakistano, presentato nel '2000. Gli incidenti di volo sono stati pochi, ma in ogni caso sono andati persi almeno due F-16B con una prima perdita il 20 aprile del '92 'abbattuto' da un volatile, e un altro perso il 16 novembre '95 durante un airshow. Attualmente gli F-16 sono relativamente poco utilizzati, gli USA attualmente considerano il Venezuela sostanzialmente come un nemico e il futuro della FAV è il Flanker russo.
==Tempi attuali (2008)==
L'età per il servizio militare è di 18 anni, la disponibilità è di 6,236 milioni di uomini della fascia 15-49 anni (stime al 2005). 253 mila circa arrivano ogni anno all'età per il servizio militare. Il personale in qualche modo coinvolto o richiamabile arriverebbe a, teoricamente, 600.000. La spesa è di 7,7 mld di dollari (al 2004) pari al 2,5 del PIL. Le FAN (Fuerza Armada Nacional) è suddivisa in Esercito, Marina, Aviazione, Guardia Nazionale<ref>Per questo capitolo, dati provenienti da wiki.en</ref>.
I militari realmente in servizio al 2008 sono stati integrati da un'altra forza, la Riserva, una sorta di milizia nel 2008. In tutto vi sono sei branche, Marina, Aviazione, Esercito, Guardia Nazionale, Riserva Nazionale, Guardia Territoriale. Tranne le ultime due le altre sono sotto il controllo del Comando Estratégico Operacional, mentre le altre due sono state messe sotto controllo del Comando General de la Reserva Nacional y Movilizacion Nacional.
Tutto questo discende dalla vecchia Forjador de Libertades, le armate d'indipendenza bolivariane.
Forze:
*Esercito (Fuerzas Terrestres or Ejercito)
*Marina (Fuerzas Navales o Armada)
** Fanteria di marina (Infanteria Marina)
*Aviazione (Fuerzas Aereas or Aviacion)
*Guardia nazionale (Fuerzas Armadas de Cooperacion or Guardia Nacional)
* Reserva Nacional
I Gradi delle F.A. sono normali nel settore ufficiali, ma ben 18 gradi per i sottufficiali e i soldati semplici, contro i 9 NATO o i 6 britannici.
Recentemente sono stati iniziati grossi programmi di potenziamento dello strumento militare, anche per l'aumento del costo del petrolio, che secondo Chavez del resto sarebbe stato 'equo' con un costo di 100 dollari al barile. Come si sa, le cose sono state più dinamiche e i programmi sono pericolosamente legati alle variazioni del prezzo degli idrocarburi. Vi sono stati acquisti con navi spagnole, radar cinesi, anche armi leggere e blindati di progettazione locale. Ma in ogni caso, per via dell'embargo deciso dagli USA molti programmi -essenzialmente quelli europei- sono stati bloccati, tra cui l'interesse per i Leopard 2. Tra i vari contratti c'è stato uno di 1,5 mld almeno, relativo per la procura di 12 aerei da trasporto e ricognizione e 8 navi da pattugliamento. Ma gli aerei, avendo motori americani, sono stati cancellati (erano presumibilmente CN-295). Nel 2006 sono stati comprati anche 53 elicotteri russi e 100.000 AK-103, uno dei Kalashnikov più moderna. Sono anche in trattativa altri 36 elicotteri, tra cui 3 Mi-26, ma soprattutto sono stati ordinati 24 Su-30MK. Si tratta di un contratto complessivo di circa 5 mld di dollari. Sono state ordinate anche 3 batterie di SA-15 e possibilmente anche 600 blindati come il BMP-3 o il nuovo Iguana FV.4. Vi sono anche programmi con il Brasile e la collaborazione con l'Iran per un UAV. Nel 2007 sistemi NGV per 'ogni fucile dell'esercito' (disse Chavez) sono stati consegnati dalla Bielorussia; non è chiaro se si riferisse a tutti i fucili oppure, più precisamente a ben 5.000 fucili sniper Dragunov (molti per la loro 'nicchia' d'utilizzo, anche considerando che non si tratta di armi esclusive delle forze speciali). Lo scopo era dichiaratamente quello di difendersi da una possibile invasione americana. Nel giugno 2008 Chavez ha anche ordinato 10-22 Il-76 e 10 Mi-28 (finalmente un contratto export), e tre sottomarini 'Kilo', con un valore complessivo di circa 2 mld di dollari; si parla anche di possibili Su-35. Nel settembre si è avuto anche un credito russo per 1 mld. Tra le necessità identificate vi sono la protezione dei campi d'aviazione con i Su-30, soprattutto da ottenersi con i missili Tor-M1 (SA-15), missili Igla-S e Il-78, questi ultimi dal costo di circa 300 mln. Sempre nell'autunno del 2008, Chavez si diresse anche in Cina oltre che in Russia, e discusse piani d'investimento, tra cui l'acquisto di addestratori avanzati. Il 15 ottobre si è diffusa la notizia dell'acquisto di un lotto di armi tra cui parecchi BMP-3, il 17 ottobre si parlava di comprare MLR e T-90 (100-500 esemplari), il tutto ovviamente seguito con 'preoccupazione' dagli USA, che hanno accusato Chavez di iniziare una corsa degli armamenti nella regione, che loro invece hanno storicamente (almeno negli ultimi decenni) cercato di evitare nel Sud America. Il Venezuela è anche accusato di finanziare o rifornire le FARC e altre organizzazioni. Gli USA avevano a suo tempo venduto il famoso lotto di 24 F-16, gli unici fino a pochi anni fa in Sud America, e si erano rifiutati già negli anni '90 di fornire altri aerei di tipo più moderno, inclusi due di rimpiazzo per le perdite operative subite. Nel 2005 anche un contratto con gli Israeliani venne bloccato dagli USA, contratto che aveva per oggetto il loro ammodernamento. Chavez allora minacciò di vendere gli F-16 all'Iran o a chiunque li volesse, e gli USA accettarono di fornire le parti di ricambio, almeno per mantenere in servizio gli aerei. Ma poi il carico è stato ugualmente bloccato. Nel frattempo il Venezuela ha continuato a comprare armi dalla Russia, e dal 2005 pare che gli armamenti realmente forniti o per i quali vi è un contratto siano circa 4 mld di dollari.
L'embargo americano, deciso dal governo di Bush Jr., non ha causato problemi solo con le industrie USA, ma anche con altri fornitori. Per esempio, con la Repubblica Ceca che non ha potuto vendere gli L-159 con i sistemi originali, ma il governo, chiaramente filo-americano, ha proibito alla Aero di concepirne una versione tecnicamente 'libera' dal gioco statunitense, con motori ucraini e avionica francese. Anche la svedese Saab AB (del resto sotto controllo degli americani, almeno parzialmente) ha annunciato la sua adesione. Il Venezuela ha armi svedesi come gli AT4, RBS-70, Carl Gustav. La EADS-CASA ha dovuto fare lo stesso per via della tecnologia americana contenuta nei suoi aerei da trasporto, il Brasile ha dovuto cancellare la fornitura dei Super Tucano (e prima ancora, anche degli AMX-T, anche se questi non hanno che marginali contributi statunitensi di tecnologia: persino i cannoni dei tipi brasiliani sono i francesi DEFA e non i Vulcan), nonché aerei AEW (con radar svedesi). La Francia, che pure non era particolarmente coinvolta grazie alla sua autosufficienza, ha bloccato i sottomarini 'Scorpene'. Non contenti ancora, gli USA hanno intimidito anche i fornitori fuori dal loro controllo diretto, infliggendo sanzioni alle russe Rosobornexport e Sukhoi. Difficile capire come e perché il Venezuela, al di là delle antipatie politiche, sarebbe una minaccia per gli USA semplicemente ammodernando il suo strumento militare: quando lo fa il Cile o il Perù o ancora il Brasile, nessuno sembra farvi caso. Inoltre il Venezuela esporta grandi quantità di petrolio negli Stati Uniti, per cui tirare troppo la corda sarebbe potenzialmente pericoloso anche per la loro economia (specie quella della California, che ne è una cliente storica). Ma l'amministrazione Bush Jr non ha badato per il sottile nel suddividere il mondo tra 'amici' e 'Stati canaglia', con questo aumentando gli attriti e le ingerenze interne con le nazioni non allineate, si pensi solo alla campagna anti-francese allorché Parigi, nel 2002-03 fu trovata 'colpevole' di ostacolare l'approvazione in sede ONU dell'atto di forza in preparazione contro l'Irak di S.Hussein (le cui WMD non esistevano e lo si disse chiaramente anche allora per bocca del capo degli ispettori ONU H.Blix, ma gli USA 'tirarono dritto' ugualmente). Attualmente, con il recente incontro nel Summit del S.America tra Chavez e Obama, che si sono conosciuti personalmente: le cronache riportano che Obama si sia presentato a Chavez e che questo, ammirato dal presidente americano, gli abbia regalato un libro di Eduardo Caleano, 'Le vene aperte dell'America Latina'. Libro che nella classifica Amazon è passato da oltre il 50 millesimo posto ai primissimi nell'arco di qualche giorno. Dopo tante minacce e dichiarazioni bellicose, forse i rapporti tra Venezuela e gli USA potranno godere di un periodo di distensione? Il crollo del prezzo del greggio di questi ultimi 8 mesi, del resto, non è certo una buona novità per Chavez, il cui obiettivo, più che dotarsi di un'armata potente, è quello di investire in riforme sociali. Questo significa avere delle priorità nell'investimento dei denari disponibili che potrebbero risultare incompatibili con ulteriori rafforzamenti delle F.A. venezuelane. Il tempo dirà quale corso prenderanno gli eventi.
===Aviazione===
L'attuale aviazione Venezualana o Aviación Militar Venezolana, nata attorno al 1946, ha come antenati gli eventi che il 10 dicembre 1920 portarono alla nascita di una Scuola di aviazione militare con Farma, Caudron e poi una lista di aerei europei. Nel '46 l'aviazione fu formata come arma indipendente il 22 giugno 1946, con aerei e aiuti americani. La maggior parte delle attuali basi aeree sono state costruite negli anni '60. Aerei come i Venom, F86 e B-25 sono stati i tipici aerei per molti anni, poi negli anni '70 arrivarono i Mirage III e V, i T-2D, OV-1 e T-27. Nel 1983 arrivarono i prestigiosi caccia F-16, già reduci dai successi del Libano (e sull'Irak) negli anni precedenti, per il Grupo Aéreo de Caza 16 della base di El Libertador. Vi sono state varie esercitazioni come la Cruzex III che nel 2006 radunò in Brasile parecchie forze aeree come quelle cilene, argentine, francesi, peruviane e uruguage.
Attualmente il Venezuela ha comprato almeno 4 Mi-28 da rendere operativi nel 2009, 24 Su-30 e vari Il-76.
Organizzazione: 12 gruppi di volo, uno per ciascun tipo principale di aereo in uso:
*Grupo Aéreo 4, A-319CJ, B-737, Falcon-50 e Mi-171
* Grupo Aéreo 5, Beechcraft BE200
* Grupo Aéreo 6, C-130, Short 330 e B-707
* Grupo Aéreo 9, Cessna 206 e 208
* Grupo Aéreo 10, helicopters Super Puma e Cougar
* Grupo Aéreo 11 Mirage 50
* Grupo Aéreo 12, VF-5
* Grupo Aéreo 13, Su-30MK2
* Grupo Aéreo 14, SF-260, T-27 Tucano e Cessna 182
* Grupo Aéreo 15, OV-10 Bronco e T-27 Tucano
* Grupo Aéreo 16, F-16
* Grupo Aéreo 85 EW, (Falcon-20 e C-26B)
'''Inventario''':
* 24 Sukhoi Su-30MKV 'Flanker-G'
* 21 GD F-16A e B, di cui 12 operativi. (Block 15)
* 18 Canadair VF-5A e B
* 12 Dassault Mirage 5 (da ritirarsi prima del 2011)
* 10 NA OV-10
* 1 Airbus A.319
* 5 Beech Super King Air
* 2 Fairchild Swaringen Metroliner di cui uno ELINT
* 2 B-707-320C
* 1 B-737-2N1
* 5 Dassault Falcon 20 di cui uno EW
* 1 Dassault Falcon 50 VIP
* 8 Lockheed C-130H
* 2 Short 330
* 8 Cessna 208B Grand Caravan
* 16 Cessna 206 Stationair
* 2 Cessna 182N Skylane
* 18 (in ordine) Hongdu K-8 Karakorum
* 32 EMB-312 Tucano
* 12 SF-260
* 6 AS-332 Super Puma
* 8 AS-532 Cougar
* 2 Kazan Mi-171 VIP
===Esercito===
'''Armi''':
*Leggere: Zamora 9 mm (copia locale della cecoslovacca CZ-G 2000), FN-193, FN FAL, FNC, FAP, AK-103
*Supporto fanteria: FN MINIMI, FN MAG, FN-M2HB, M60, morati M-66, M-19, M-29A1
*C/c: AT4, Carl Gustav, 175 M40 da 106 mm, 24 lanciamissili IMI MAPATS-2.
*'''Corazzati''': 84 carri medi AMX-30V (di cui 4 in versione D), 36 carri leggeri AMX-13C.90, 78 Scorpion 90, 42 Dragoon 300 LFV2 (tutti mezzi con cannoni da 90 mm). APC: 75 AMX-13 VTT (di cui 25 VCI, 10 LT, 20 PM, 12 PC e 8 TB); 4 FV104 Samaritan ,2 FV105 Sultan, 4 FV106 Samson, 10 Transportpanzer Fuchs 6x6, 59 Dragoon (25 APC, 21 PM, 11 PC, 2 R); 80 V-100 e V-150 Commando (50 V-100 e 30 V-150). Fino a 260 BMP-3M (con sistemi di difesa ERA e Shtora-1) in trattativa.
*Trasporti: 300 Tiuna (di costruzione locale), 244 Pinzgauer (austriaci), 144 Jeep Wrangler, 244 Duro III, 412 CUCV, 144 M151, 800 Steyr L-80.
*'''Artiglieria campale''': 25 semoventi AMX-13 con lanciarazzi LAR-160 da 160 mm; 10 AMX-13 F.3 con armi da 155 mm, 24 obici M114 da 155 mm, 40 M101A1 da 105 mm, 40 OTO M-56 da 105 mm, 60 Thomson-Brandt MO-120 da 120 mm.
*Artiglieria a.a.: 10 AMX-13M51 semoventi; 6 M-35 Fénix, cannoni Bofors M-1, SAM SA-18 e RBS-70
*'''Velivoli''':
:Elicotteri: 20 Mi-17V-5, 3 Mi-16T-2 'Pemon', 10 Mi-35M-2 'Caribe', 10 Bell UH-1H, 2 Bell 412SP, 8 412HP, 4 Bell 206B, 3 AS-61D Sea King, 10 Mi-28 in ordine.
: Aerei: 8 Cessna 206, 6 Cessna 182, 4 Beech Super King, 12 PZL M28, 4 IAI Arava 201/202.
In totale 70 elicotteri e 34 aerei, una forza non indifferente rispetto all'aviazione, che a sua volta ha circa 216 velivoli, non tutti operativi.
===Marina===
Per quello che riguarda la '''Marina''', essa è nota come Armada Bolivariana de Venezuela. È definita come una marina di media grandezza moderna e con limitate capacità oceaniche. In tutto vi sono 18.300 persone, di cui però 7.800 sono marines e 500 dell'aviazione navale.
Nel settembre del 2008 ha fatto scalpore l'arrivo in zona dell'incrociatore nucleare Pietro il Grande, l'ammiraglia russa della Flotta del Nord, assieme ad altre 3 navi, direttamente da Severomorsk fino ai Caraibi. Era niente di meno che la maggiore 'forza di proiezione' dalla fine della Guerra fredda. In tutto c'era quest'incrociatore, un caccia ASW, un rimorchiatore oceanico e una nave logistica. L'esercitazione con le fregate Lupo venezuelane dev'essere stata molto interessante, ma non sono noti dettagli di come le cose si svolsero. Ovviamente gli americani non furono entusiasti dell'iniziativa, che era un visibile legame tra la Russia e il Venezuela.
La più importanti delle basi della Escuadra è la Base Naval Contralmirante Agustin Armario, presso Puerto Cabello, il QG da cui dipendono le 4 squadriglie di navi: fregate, sottomarini, navi pattuglia, navi anfibie e navi logistiche, nonché responsabile della Scuola sottomarini e del centro di addestramento tattico.
Ancorché il Venezuela non abbia importanti navi da molto tempo a questa parte, la sua flotta a suo tempo era una delle più moderne dell'America Latina e a tutt'oggi è altamente temibile per gli standard regionali. L'acquisto di ben 6 potenti fregate 'Lupo' è stato decisamente un grande passo in avanti per le loro capacità offensive come missili e velocità. In tutto vi sono 21 navi operative:
4 fregate classe 'Povzee' in ordine, e in consegna dal 2010: F-31 Guaicaipuro, F-32, F-33, F-34. Saranno basate a Puerto Cabello.
6 fregate '''Mariscal Sucre''':
*F-21 Mariscal Sucre (in servizio dal 07-14-1980)
*F-22 Almirante Brión, in servizio dal 03-07-1981
*F-23 General Urdaneta, in servizio dal 08-08-1981
*F-24 General Soublette, in servizio dal 12-04-1981
*F-25 General Salóm, in servizio dal 04-03-1982
*F-26 Almirante García, in servizio dal 07-30-1982
'''Sottomarini''' (sempre a P.Cabello): 2 Type 209/A-1300, ovvero classe Sábalo class.
*S-31 Sábalo, in servizio dal 08-06-1976
*S-32 Caribe, in servizio dal 03-11-1977
Navi pattuglia (a Punto Fijo, Falcon):
3 Type Vosper 37 m '''Federación''' da attacco missilistico
*PC-12 Federación, in servizio dal 03-25-1975
*PC-14 Libertad, in servizio dal 06-12-1975
*PC-16 Victoria, in servizio dal 09-22-1975
3 Vosper 37 m '''Constitución''' cannoniere:
*PC-11 Constitución, in servizio dal 03-25-1975
*PC-13 Independencia, in servizio dal 06-12-1975
*PC-15 Patria, in servizio dal 01-09-1975
Navi anfibie, a Puerto Cabello:
4 LST '''Capana'''
*T-61 Capana, in servizio dal 07-24-1984
*T-62 Esequibo, in servizio dal 07-24-1984
*T-63 Goajira, in servizio dal 11-01-1984
*T-64 Los Llanos, in servizio dal 11-01-1984
*1 'Ciudad Bolívar' da rifornimento: T-81 Ciudad Bolívar, in servizio dal 09-23-2001
*1 'Punta Brava' oceanografica: BO-11 Punta Brava, in servizio dal 03-24-1991
*1 nave addestrativa: BE-11 Simón Bolívar, in servizio dal 08-12-1980
Oltre a queste forze da battaglia, esiste anche la [[Guardia Costiera]] a La Guaira, Vargas, per controllo, sicurezza, protezione ambientale ecc.
Vi sono una compagnia da salvataggio navale, team di ispezione a bordo e le navi di pattuglia
4 OPV ordinati in Spagna, class BVL, consegna 2009-2010.
*CG-21 Guaicamacuto
*CG-22 Yavire
*CG-23 Naiguata
*CG-24 Tamanaco
2 fregate 'Almirante Clemente'
*CG-11 Almirante Clemente, in servizio dal 04-12-1956
*CG-12 General Morán, in servizio dal 10-01-1957
12 pattugliatori 'Gavión'
*PG-401 Gavión, in servizio dal 10-06-1999
*PG-402 Alca, in servizio dal 10-06-1999
*PG-403 Bernacia, in servizio dal 10-06-1999
*PG-404 Chamán, in servizio dal 10-06-1999
*PG-405 Cormorán, in servizio dal 06-09-2000
*PG-406 Colimbo, in servizio dal 06-09-2000
*PG-407 Fardela, in servizio dal 06-09-2000
*PG-408 Sumarela, in servizio dal 06-09-2000
*PG-409 Negrón, in servizio dal 06-09-2000
*PG-410 Picargo, in servizio dal 06-09-2000
*PG-411 Pagaza, in servizio dal 06-09-2000
*PG-412 Serreta, in servizio dal 06-09-2000
*PG-51 Págalo, in servizio dal 10-05-2008
Navi ex-guardia costiera americana:
*PG-31 Petrel, in servizio dal 06-26-1967, trasferito il 10-15-1991
*PG-32 Alcatraz, in servizio dal 07-26-1966, 01-15-1992
*PG-33 Albatros, in servizio dal 09-18-1962, 08-03-1999
*PG-34 Pelícano, in servizio dal 11-14-1966, 08-03-1999
2 navi logistiche 'Los Tanques':
*LG-11 Los Tanques, in servizio dal 05-15-1981
*LG-12 Los Cayos, in servizio dal 09-1984
Vi sono anche piani per costruire almeno 15 unità tipo P.698.
I '''Marines''', o meglio, DIVISIÓN DE INFANTERÍA DE MARINA, sono importanti per la piccola componente navale venezuelana, di cui sono una grossa percentuale in termini di effettivi. HQ a Meseta de Mamo, Vargas, circa 8.500 uomini e donne. Compiti come supporto anfibio, sbarco, SpecOps e partecipazione allo sviluppo nazionale. Vi sono 2 brigate Marines, 2 di sicurezza costiera, una ingegneri, una di Polizia Navale, una SF e una navale di riserva.
Nati anche loro, come tanti altri corpi analoghi in Sud America, nel XIX secolo per la guerra di indipendenza della Gran Colombia, vennero formati nel 1822 e sciolti nel 1829, ma poi rinacquero il 1 luglio 1938 con una prima compagnia per la protezione delle navi; una seconda apparve nel 1939 e una terza nel '43. Divennero poi un battaglione -Batallone de Infanteria de Marina -BIM- l'11 dicembre 1945, sempre a P.Cabello. Ne seguì un altro nel febbraio 1946, mentre il primo dei due venne ridenominato 1 BIM e spostato a Marquetia. Il QG venne istituito a Caracas. Infine arrivarono il terzo battaglione nel 1958 e il 4o nei primi anni '80. Nel frattempo però era anche successo che, nel giugno 1958, il 2° BIM si ammutinò e venne in seguito sciolto. Attualmente i Marines venezuelani sono al comando del contrammiraglio Armando Lopez Conde.
Unità divisionali:
*Btg supporti 'Almirante Luis Brion'; Gruppo Artiglieria VA Lino de CLemente; Btg comunicazioni CF Felipe Baptista; SpecOps commando 'Generalísimo Francisco de Miranda'; Rgt CA Armando Lopez Conte.
1a Brigata di fanteria di Marina: 'General Carlos Soublette':
*2° Btg Fanteria di Marina 'General Rafael Urdaneta'
*4° Btg 'Generalisimo Francisco de Miranda'
*? Btg 'Contraalmirante Renato Beluche'
* Btg veicoli anfibi: 'Capitán de Corbeta Manuel Ponce Lugo'
2a Brigata di Fanteria di Marina 'José Eugenio Hernández'
*1° Btg Fanteria di Marina 'Gral. Simón Bolívar'
*3° Btg Fanteria di Marina 'Mariscal Antonio José de Sucre'
*Btg Fanteria di Marina 'Gral. José Francisco Bermudez'
1a Brigata costiera di confine 'Gen José Antonio Páez'
* Commando costiero 'Teniente de Navío Jacinto Muñoz'
* Commando fluviale Orinoco-Apure 'General Manuel Piar'
2a Brigata costiera di confine 'General de Brigada Franz António Risques Irribarren'
* Commando fluviale 'CA Armando Medina'
* Commando fluviale 'CA Francisco Pérez Hernández'
Ogni Comando costiero o fluviale ha un comando, un battaglione di Fanti di marina, una cp di manutenzione e una di supporto, con non meno di 6 navi veloci di pattugliamento per ciascuno dei 5 posti di controllo su cui operano, con forze al livello di compagnia di fanti di marina.
Brigata Ingegneri 'CA José Ramón Yépez'
* 141 Btg di ingegneri di combattimento 'Teniento de Navío Jerónigo Rengifo'
* 142 btg manutenzione e costruzioni 'CA José María García'
* 143 btg manutenzione e costruzioni 'Capital de Navíos Nicolás Jolly'
* 144 btg manutenzione e costruzioni 'General Ezequiel Zamora'
Brigata di Polizia Navale:
* 1º Battaglione di Polizia Navale 'Capitán de Navío Alejo Sánchez Navarro'
* 2º,3º, 4º Battaglione di Polizia Navale
Brigata della Riserva Navale:
* Btg della Riserva Navale 'Batalla de Chichiriviche'
* Btg della Riserva Navale 'Batalla de Punta Brava'
* Btg della Riserva Navale 'Expedición de la Vela de Coro'
* Btg della Riserva Navale 'Expedición de Los Cayos'
===Guardia nazionale===
La '''Guardia Nazionale''', o Fuerzas Armadas de Cooperación, è la 'quarta' F.A. venezuelana, simile alla gendarmeria e per difesa civile o combattimento come fanteria leggera. Venne fondata il 4 agosto 1937 dal Presidente della repubblica Contreras. I suoi compiti, in base all'art. 329 della Costituzione, sono di collaborazione con le altre F.A. e mantenimento dell'ordine e della sovranità nazionale. Il presidente Chavez ha adattato la G.N. a collaborare con la cittadinanza per compiti simili a quelli della Protezione Civile, in accordo con la Costituzione del 1999.
QG: Caracas. Vi sono comandi Operazioni aeree, logistico, operazioni; vi sono 8 o più distaccamenti mobili della forza di un battaglione in grado di essere spediti in ogni parte della nazione in breve tempo, in caso di necessità. Vi sono 3 comandi regionali che controllano ciascuno un distaccamento per la difesa statica di obiettivi importanti. Inoltre la GN è anche deputata di ispezionare le autostrade. È una forza fatta di soli volontari, con un totale di oltre 25.000 effettivi, che sostengono un anno di addestramento basico alla Scuola di Ramo Verde, Los Teques, mentre gli ufficiali devono studiare altri 4 a Caracas, nell'apposita scuola. Esistono anche corsi di perfezionamento a Caricuao, sempre vicino alla capitale.
Le uniformi sono le stesse dell'esercito, così come i gradi, le armi sono le stesse e comprendono FAL, AK-103, mitragliatrici leggere e mortai fino a quelli da 81 mm. Inoltre vi è, come spesso accade in forze di polizia con strutture 'complesse' e semi-operative, anche una forza corazzata, sia pure limitata. Si tratta di circa 40 vecchi ma robusti UR-416 su base dell'autocarro Unimog. Vi sono poi una piccola forza di 8 battelli costieri e soprattutto, una forte aviazione. Si tratta di oltre 50 velivoli, sia elicotteri sia aerei leggeri.
===FAV, 2008<ref>Modola, Pino: ''Le ali di Chavez'', RID giugno 2008</ref>===
Il Venezuela è una nazione 'non grata per il punto di vista americano, come del resto accade ad altri Paesi quali l'Iran e Cuba. L'embargo americano che l'amministrazione Bush ha deciso di imbastire contro Chavez ha comportato vari effetti. Per esempio, l'impossibilità pratica di ammodernare gli F-16, di cui ancora esistono 21 esemplari dei 24 consegnati, essendo andati persi solo 2 monoposto e un biposto in oltre 20 anni di servizio. Era possibile anche comprare i Gripen, che venivano appena dopo (per i costi, non certo per l'efficacia) l'ammodernamento degli F-16 nella scala delle scelte venezuelane. Ma ovviamente, con il motore derivato da quello americano non se n'é fatto niente. E così nel 2006 sono arrivati niente di meno che 24 Su-30Mk 2, come parte di un programma di riarmo massiccio. Questi sono chiaramente gli aerei più potenti di tutto il Sud America, ma del resto l'alternativa era, al più comprare i MiG-29 o i Mirage 2000. Difficile dire perché non si sia fatto un ragionamento del genere visto che piacevano tanto i caccia leggeri stile F-5 ed F-16; ma forse i Mirage costavano troppo, e i MiG-29 avevano un più basso livello di efficienza rispetto al costo? In ogni caso ci si potrebbe chiedere chi minaccia il Venezuela. La nazione sudamericana, che tra l'altro è il quinto esportatore mondiale di petrolio, petrolio che Chavez considerava 'equo' se si vendeva a 100 dollari al barile (e un anno fa sembrava quasi un pazzo visionario..), ha grandi risorse naturali ma grandissimi problemi di redistribuzione della ricchezza (in mano per lo più ad un’agguerrita minoranza di circa 4 milioni di ricchi), anche se con il suo estroverso presidente sta cercando di dare ai poveri finalmente la loro parte. Il problema è che in Venezuela non c'è una classe media sufficientemente sviluppata tra i ricchissimi e la massa dei poveri. Come è noto, poi, molti degli imprenditori attivi non sono venezuelani, e di questo i mass- media di quando in quando se ne accorgono visto che della folta rappresentanza di italiani spesso accade che qualcuno sia ucciso o rapito. Il Venezuela continua ad avere problemi di ordine pubblico e di criminalità molto gravi, insomma. In ogni modo il Venezuela non ha nemici naturali in Sud America a parte la Colombia, specie considerando come Uribe sia rimasto l'unico bastione chiaramente filo-americano del continente sudamericano. Ma si tratta di problemi di poco conto rispetto alla minaccia di una vera e propria guerra. E poi le FARC, che peraltro sembrano sul punto di cedere le armi, controllano circa un terzo della Colombia, soprattutto per il traffico e produzione di cocaina. L'unica nazione confinante con il Venezuela, a parte l'ex-sorella Colombia, è il Brasile. Nazione fondamentale dell'America latina, è però in ottimi rapporti con il governo di Caracas e quindi non c'è davvero molto di cui preoccuparsi. Piuttosto, è strano che il Venezuela non abbia seguito la via brasiliana e comprato dei Mirage 2000, che di americano non hanno molto davvero, e certo non il motore. Ma evidentemente ci devono essere state considerazioni 'trasversali' anche da parte francese. Però era possibile comprare l'EADS C-295, che aveva, di americano, solo i motori. Niente da fare, il sostituto dei vecchi G-222 non si è trovato nemmeno in questo caso per via dell'intransigenza americana. Del C-27J, per gli stessi motivi, nemmeno a parlarne, anche perché come è noto non è che le posizioni dell'Italia siano, specie con i governi di centro-destra, particolarmente indipendenti rispetto a quelle americane.
In ogni caso, tornando all'Aeronautica militare, essa nacque il 10 dicembre 1920 con la Scuola dell'Aviazione Militare che venne creata dal Col. David Lopez Enriques, grazie agli accordi con la Francia che videro, in quell'anno, l'arrivo di un Caudron G-3 monomotore e l'anno dopo, un G-4 bimotore e idrovolante. Seguirono commissioni di varie nazioni europee, l'ultima delle quali fu l'Italia. Nondimeno, il Venezuela dichiarò guerra all'Asse nel '41, una cosa essenzialmente platonica, data la deficienza di mezzi bellici moderni e la mancanza di assistenza da parte dei contendenti, tutti concentrati sui propri sforzi bellici. Segue il dopoguerra e il 22 giugno del '46 ennesimo golpe militare, che qui è importante perché creò l'Aviacion Nacional de Venezuela, cosa non di poco conto perché prima i pochi reparti aerei erano o sotto il controllo dell'esercito o di quello della Marina. Niente paura, anche in Giappone e negli USA era così. E come negli USA, l'Aviazione intesa in senso compiuto e moderno nacque nel '47, il 10 ottobre, per decreto ministeriale di quella data. Nel periodo anni 60-70 vennero costruite 9 basi aeree. I soldi che il Venezuela incassava grazie soprattutto al petrolio sono stati riutilizzati per tante iniziative, dalle infrastrutture all'industria locale; purtroppo si è trattato per lo più di fallimenti. Le F.A. venezuelane hanno ricevuto a loro volta una buona fetta di questi soldi: come altro definire la compera di ben 6 fregate Lupo, vari U-209, e i 24 F-16 (più 8 costosi G-222)?
Ma attualmente, il materiale è vecchio e sostituirlo costa caro. Con 42 modelli diversi di aerei la FAV, che numericamente non è nemmeno tanto grande, è chiaramente in difficoltà gestionale. Con il contratto firmato nel 2006 per 24 Su-20MK 2, Mi-35 e anche 3 colossali Mi-26 è stato possibile contribuire ad ammodernare parte della componente, ma spendendo 3,5 miliardi di dollari. Inoltre non è che i Mi-26, pur con grandi capacità di carico, siano la risposta migliore per i trasporti tattici. Però i costi di gestione, soprattutto come consumi, non pare abbiano invogliato a comprare gli An-32 né i grossi e nuovi An-70. Peccato che i primi non vengano offerti in versione rimotorizzata e che i secondi costino troppo o abbiano problemi di funzionamento affidabile. Dalla Cina sono arrivati dei radar mobili. I Su-30 sono certo costosi, ma anche potenti aerei da combattimento. Persino eccessivi per le necessità venezuelane, sono soprattutto un ammonimento politico, forse diretto più alla Colombia che agli USA. Contro questi ultimi sarebbe comunque impossibile resistere, anche se ovviamente un conto è fare una 'passeggiata' tipo Grenada, un conto battersi contro un avversario che segnala la sua capacità di combattimento schierando aerei da caccia di ultima o quasi generazione.
Ad ogni buon conto, la FAV deve controllare un territorio di oltre 900.000 km2 confinante con Brasile, Colombia, Guyana, infestato da contrabbandieri di droga e anche pirati. Con un territorio che passa dalle montagne delle Ande, alte in zona anche 5.000 m, paludi a settentrione (che hanno dato il nome al Paese, per via delle palafitte degli indigeni che ricordavano Venezia), il bacino dell'Orinoco che passa attraverso tutta la nazione tagliandola in due. Non stupisce che in questo contesto geografico, e nonostante il decentramento attuato che sopra si ricordava, ancora la maggior parte delle basi aeree sia concentrata attorno alla capitale dove del resto vive gran parte degli oltre 25 milioni di abitanti. Eccetto queste vi è solo una fascia di 4 basi che sono S.Fernando, Valle da la Pasqua, Barcelona e Porlamar, si trovano nella parte orientale del Paese; infine alcune piccole basi aeree sono disperse nel resto del Venezuela. Comanda la FAV il Comando Generale dell'Aeronautica, al quale è soggetto l'S.M. dell'aeronautica, e a sua volta comanda i Comandi Operativi che sono poi: Operazioni Personale, Aeree, Logistiche e Difesa Aerea. Il più importante è il Comando Operazioni Aeree, con sede sulla base Francisco de Miranda de la Corda, che naturalmente è a Caracas. La FAV controlla il Venezuela in 5 zone Aeree, con almeno un Gruppo Aereo. Questo ha diverse squadriglie. Per il Comando Personale vi è una struttura identica, ma con un unico gruppo su 5 squadriglie, a cui si aggiungono le basi didattiche: 3 scuole. Non ha, pare, una zona aerea in cui ha sede il comando. Idem per il Comando Operazioni di Difesa Aerea, che ha 2 gruppi con 9 squadriglie (3 e 6).
E veniamo alle zone aeree vere e proprie, il 'sale' della FAV perché come si è detto, comprendono i reparti operativi:
*I '''Zona Aérea''': Base principale Rafael Urdaneta, Maracaibo. Si trova nel settore più occidentale del Venezuela con responsabilità sugli Stati di Zulia, Tachira, Merida e il distretto Paez di Apure. È confinante con la Colombia, quindi non stupirà che la sua missione principale sia la lotta antidroga. Così ha il Grupo Aéreo de Operacione Especiale 15 su l'Escuadron de Operaciones Especiales 151 'Linces' dotato di OV-10 Bronco sia in versione A che E; a questo si aggiunge il 152, con gli Embraer T-27 Tucano, e l'Esc. 157, la squadriglia tecnica di manutenzione.
*'''II Z.A'''.: BA Vicente Landaeta Gil, Barquisimeto. Esso ha come forza principale il Grupo 12 'Grifos', ovvero gli esc. 35 'Pantheras' e 36 'Jaguares' sui circa 20 preistorici F-5, anche se hanno ricevuto, almeno i più consunti, un aggiornamento da parte della Singapore Aerospace Industries. Completa l'Esc. 127 per la manutenzione
*'''III Z.A'''.: BA 'El Libertador', Palo Negro zona centro-settentrionale. Copre Aragua, Carabobo, Guarico e Apure ed è una base davvero grande, tanto che ospita ben 4 Grupos, per non parlare di quello Elettronico e quello addestrativo, che però potrebbe essere basato a Boca del Rio:
**Grupo Aéreo de Transporte 6 'Pegasos': Esc. de Transporte T1 'Pegasos' con 6 C-130H, 2 Boeing 707-320C, capaci anche di usare le sonde per il rifornimento in volo, l'Esc. T2 con quanto resta di 7 C-123, 8 G.222 (i loro 'fratellini' almeno come estetica e categoria), Shorts 360; e al solito, l'Escuadron de Mantenimiento, il 67.
**G.A: de Operacione Especiales 10 'Cobras' per SAR, CSAR, anch'esso su 3 Escuadrons: quello de O.E. 101 'Guerreros' con i Bell UH-1B, d e H; il 102 'Piaroas' su AS-332B1 Super Puma e EC-532C Cougar; l'Escuadron O.E. 103 'CASR' con gli AS-332 Super Puma; l'Esc. de Mantenimiento 107
**G.A. de Caza 11 'Diablos' con l'Esc. de Caza 22 'Halcones' e il 34 'Caciques' con 16 Mirage IIIEV e DV convertiti allo standard 50EV e DV ai primi anni '90, più l'Esc. Mant. 117.
**G.A. de IVRE 85 ovvero la Guerra Elettronica, con l'Escuadron de Combate Electronico 851 'Cuervos', che in tutto ha 1 Falcon 20EW, forse con un Fairchild C-26 METRO
**G.A. de Caza 16 'Dragones' che ha il 'pezzo forte' della FAV: gli Esc. 161 'Caribes' e il 162 'Gavilanes' su 16 F-16A e 5 B, che danno certamente un grosso da fare all'Esc. de mantenimiento 167
*'''IV Z.A''': BA 'Luis del Valle Garcia', Barcelona, zona NE, che riguarda le zone orientali, isole, Guyana, stati del Sucre, Bolivar, Nueva Esparta, Delta Amacuro. Ha il Grupo Aéreo de Caza 13 'Libertador Simon Bolivar'. Questo reparto doveva diventare utente degli AMX, ma questa lunga trattativa per usare gli aerei come addestratori avanzati non ha portato niente. Forse anche qui lo zampino americano? Eppure gli AMX non hanno molto di statunitense, o almeno, non il motore. In ogni caso questo gruppo, inizialmente sciolto sarebbe stato destinato agli Esc. 131 'Ases' e il 132 'Pumas' per i 24 Su-30Mk 2 da consegnare entro il 2009, con tempi record di consegna, con l'Esc. de Mantenimiento 137.
*'''V Z.A.''': BA 'Francisco de Miranda' di Caracas, comprende la zona centro-settentrionale, costa e Sud al tempo stesso, specie il distretto della capitale e lo stato di Mirando. Ha solo gruppi di trasporti, ma essi sono ben 3, incluso uno distaccato nella regione amazzonica orientale:
**G.A. de Transporte 4 per compiti VIP: Escuadron de Vuelo 41 con un A.319CJ, un B.737-200, un Falcon 50; Esc. d. V. 42 con un 1 EC-532UL e un raro Bell 214ST; infine l'E. de Mantenimiento 147
**G.A. de Transporte 5 per compiti VIP e collegamenti: Esc. de vuelo 51 con Beech 200 S.King Air e Queen Air; Fairchild C-26B Metro; L'esc. d. V. 52 con Falcon 20F e 20 DF, Cessna Citationi I 500 e altri tipi, Learjet 35; Escuadron de Mantenimiento 157
** G.A. de Transporte 9 della BA José Antonio Paez, Puerto Ayacucho, Amazzonia: avrebbe 4 Escuadron de Transporte, il 91 'Pemone's, 92 'Guajibos', 93 'Maruhuaca', Esc. 94 e infine l'Esc. 197 per la manutenzione. I velivoli sono vari, essenzialmente Cessna 206H, T206H, 208B Turbo Caravan, 750.
Detto dei reparti aerei, parliamo brevemente delle scuole di volo. Sulla B.A. 'Mariscal Sucre', Boca del Rio vi è il G.A. de Entratenimiento 14 dipendente dal Comando del Personale, con 5 squadriglie e 3 scuole specifiche: Escuadron de Vuelo Primario 141 'Aguilochos' che ha 12 SF-260EU (freschi sostituti dei vecchi e gloriosi T-34); E. d V. Basico 142 su T-27 Tucano, E. d. V. Tàctico 143 su EMB. AT-27, E.d.V. Instrumental 144 con i simulatori di volo; infine il solito reparto '7' di manutenzione, il 147.
Oltre al grande gruppo d'addestramento vi sono la Scuola Superiore di Guerra Aerea di Caracas. Fuerte Tiuna, e la Scuola Tecnica della AMV che ha basate sulla 'Mariscal Sucre', che si trova a Bocha del Rio. Completa il tutto la Scuola per le Truppe Aviotrasportate che è sulla BA 'El Libertador' di Palo Negro.
Quanto al Comando delle Operazioni di Difesa Aerea, esso ha 3 Escuadrones armati di artiglieria contraerea, i 25, 35 e 45 che hanno ricevuto di recente i missili Barak VLS, i Matra Mistral (anche sui Toyota Land Cruiser), i più anziani Roland 2, e i cannoni binati Guardian, la versione terrestre del CIWS Dardo, più i cannoni mobili israeliani IMI RAM V-2, TCM-20 binati da 20 mm della versione Mk 5. Quanto all'altra componente, gli Escuadrones de Vigilancia y Control sono gli 11, 21, 22, 31, 41 e 42, Questi hanno la competenza della copertura dell'immenso territorio venezuelano, che come si è visto, in tutto ha solo 6 Escuadrones con decotti F-5, 16 e Mirage 50 (in attesa di altri due con i Su-30) oltre -contro le minacce 'lente'- macchine come i T-27 e gli OV-10. Non vi sono sistemi antiaerei a medio raggio. La dotazione di radar dev'essere quantomeno apprezzabile: sistemi fissi o mobili Westinghouse TPS-70, 43 e 63; Elisra 2100H israeliani, Thales-Nederland Flycatcher Mk 1 e 2, Reporter e MIRADOR. E infine come non dimenticare i 3 sistemi cinesi JVL-1 in banda E/F.
===Note===
<references/>
[[Categoria:Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo|Venezuela]] [[Categoria:F.A. America Latina]]
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Biografie cristologiche/Stereotipi giudaici
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{{q|'''''Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.'''''|Matteo 11:25-30}}
La ricerca neotestamentaria corrente sta sempre più separando Gesù dall'Ebraismo. Mediante un'elegante apologetica che cerca di rendere Gesù particolarmente pertinente al ventunesimo secolo, i cristiani trovano in Gesù la risposta di quello che affligge il corpo politico, che sia guerra, etnocentrismo, una religione istituzionale intrecciata allo stato, o misoginia. Affinché Gesù possa asserire questo ruolo liberazionista, egli deve avere qualcosa di concreto da contestare. Il "sistema" cattivo allora viene assegnato, dalla ricerca e dal pulpito, all'Ebraismo del primo secolo.<ref name="Stereo">Questo capitolo si basa soprattutto sui concetti presentati dalle seguenti opere: [[w:Amy-Jill Levine|Amy-Jill Levine]], ''The Misunderstood Jew. The Church and the Scandal of the Jewish Jesus'', HarperOne, 2006, pp. 119-166; [[w:E.P. Sanders|E.P. Sanders]], ''Jesus and Judaism'', Fortress, 1987; [[w:Geza Vermes|Géza Vermès]], ''Jesus the Jew'', Fortress, 1973; ''id.'', ''The Gospel of Jesus the Jew'', University of Newcastle upon Tyne, 1983; ''id.'', ''Jesus and the World of Judaism'', SCM, 1983; ''id.'', ''The Religion of Jesus the Jew'', Fortress, 1993; James H. Charlesworth, ''Jesus within Judaism'', Doubleday, 1988; James H. Charlesworth (cur.), ''Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism'', Crossroads, 1991; [[w:John Meier|John Meier]], ''A Marginal Jew'', 5 voll., 1991/2007 (trad. ital. ''Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico'', Queriniana, 2001/2009); Bernard Lee, ''The Galilean Jewishness of Jesus'', Paulist, 1988; Géza Vermès, ''Jesus in His Jewish Context'', Fortress, 2003; Donald A. Hagner, ''The Jewish Reclamation of Jesus'', Zondervan, 1984; [[w:Jacob Neusner|Jacob Neusner]], ''Judaism in the New Testament: Practices and Beliefs'', Routledge, 1995, pp. 4-9, 98-128; 129-158; Terence L. Donaldson, ''Jews and Anti-Judaism in the New Testament: Decision Points and Divergent Interpretations'', SPCK Publishing, 2010, pp. 12-29, 144-159 & ''passim''.</ref> Omelie e sermoni in chiesa, studio quotidiano della Bibbia, e persino monografie accademiche, raffigurano, sia esplicitamente che implicitamente, un Ebraismo monolitico, impantanato in minuzie legali, senza profondità spirituale, e comunque tutto ciò che (sperano) non è Cristianesimo. Pastori, sacerdoti ed educatori religiosi, cristiani ben consapevoli che il Nuovo Testamento è stato interpretato in una maniera antiebraica, finiscono ciononostante per perpetuare insegnamenti antiebraici.<ref name="Stereo"/>
==Il problema teologico==
Tale caricatura dell'Ebraismo risponde a diverse necessità. Al livello più grossolano, permette che Gesùù risalti, se non addirittura sia unico, nel suo contesto sociale. Fintanto che i cristiani possono credere che Gesù sia stato completamente divino, non c'era nessun bisogno di distinguerlo esplicitamente dagli ebrei: era già distinto. Nessun altro aveva una madre vergine o fu risorto dai morti. Ma una volta che la chiesa si incontrò con l'[[w:Illuminismo|Illuminismo]] e l'accademia secolare, Gesù non pareva più così originale o distinto. Appariva paragonabile ad altri personaggi dell'antichità, da [[w:Bacco|Baccoi]] ad [[w:Apollonio di Tiana|Apollonio di Tiana]], le cui biografie narravano di nascite divine, poteri guaritori, insegnamenti saggi, e sopravvivenza dopo la morte.<ref>G.R.S. Mead, ''Apollonio di Tiana. Profeta e taumaturgo'', I Dioscuri, 1988; Miska Ruggeri, ''Apollonio di Tiana. Il Gesù pagano'', Mursia, 2014. Cfr. anche ''Mythology'' di Lady Hestia Evans, Candlewick Press, 2009, ''s.v.'' "Bacchus".</ref> Inoltre, la concentrazione dell'Illuminismo sulla "scienza" in contrapposizione alla "superstizione" provocò per molti di scartare interamente i resoconti biblici dei mericoli.Gesù pertanto venne visto, al meglio, come un essere umano provocatorio con molte splendide idee. Tuttavia, e affinché le affermazioni cristiane rimanessero forti, Gesùùù doveva essere ben di più di un galileo carismatico, saggio cinico, abile insegnante, o critico culturale. Doveva riacquistare la sua identità "unica" e le sue vedute "distintive".<ref name="Stereo"/>
Se Gesù è soltanto un rabbino molto in gamba — cioè, uno i cui consigli si possono seguire senza compromettere le proprie convinzioni etiche, ed il cui messaggio e abilità nel raccontare parabole si può risontrare anche nei testi ebraici — allora nella migliore delle ipotesi egli è un bravo insegnante. Ma tale raffigurazione è insufficiente per coloro che si voglioni chiamare "cristiani". Se Gesù non è il Messia, "la via, la verità e la vita", o il "Figlio di Dio", allora non c'è ragione di seguirlo invece di, per esempio, [[w:Gandhi|Gandhi]], [[w:Buddha|Buddha]], [[w:Hillel|Hillel]] o qualsiasi altro grande maestro. Una volta che Gesù viene spogliato dal soprannaturale e dal trascendente, allora non c'è più ragione di recitare il credo, celebrare il Natale o la Pasqua, o affermare la remissione dei peccati mediante il battesimo o la risurrezione dei morti. Come Paolo dice alla sua congregazione di Corinto: "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati" (1 Cor. 14:14, 17).
Gli scettici cristiani hanno quindi un problema enorme. Perché rimanere cristiani se Gesù è uno dei tanti saggi individui con buone idee per il miglioramento sociale? La risposta più facile è sostenere che Gesù fa ciò che nessun altro ha mai fatto o potrebbe fare; è distinto, speciale, migliore. Questo processo significa raffigurare un Gesù che risalta come unico nel suo contesto ebraico; significa anche accrescere la sua distinzione, e ciò viene fatto dipingendo tale contesto ebraico con colori odiosi. Pertanto, oggigiorno una quantità di stereotipi dell'Ebraismo, basati molto tentativamente su un'indagine storica, sostituisce una ricerca storica rigorosa. Il loro valore è utilitario, poiché permettono a Gesù di emergere come un insegnante etico speciale, che è in grado di troncare qualsiasi cosa che impedisca ad altri di vivere la vita al massimo.<ref name="Stereo"/> Questa necessità religiosa è ciò che, in gran parte, provoca la descrizione corrente dell'Ebraismo del primo secolo come insabbiata in minuzie legali che soffocano le esigenze individuali, promulgando una teologia bellicosa che non ha posto per la pace, ed è ossessionata da un sistema di purezza che mrginalizza le donne e promuove l'odio degli stranieri. Nell'ambito di tale contesto Gesù emerge quindi come un sindacalista, o membro di [[w:Greenpeace|Greenpeace]], dell'[[w:National Organization of Women|Organizzazione Nazionale delle Donne]], e delle [[w:Nazioni Unite|Nazioni Unite]], a dir poco.
Il Gesù della giustizia sociale che promuove una sana interpretazione della [[w:Torah|Torah]], una risposta pacifica all'oppressione, la guarigione dei corpi delle donne, ed il riconoscimento che il Dio di Israele è il Dio dei Gentili, è grandemente attraente ed enormemente utile. L'immagine potrebbe anche essere sostanzialmente vera. Il problema emerge, tuttavia, quando queste osservazioni sono intensificate da una raffigurazione dell'Ebraismo che rigetta tali questioni. Gesù non fu l'unico ebreo a preoccuparsi di questi problemi; i suoi interessi di giustizia sociale lo fanno ebreo piuttosto che separarlo dall'Ebraismo. Oggi purtroppo, data la generale ignoranza dell'Ebraismo del I secolo, ci sono scarsi mezzi con cui il pastore o il prete possa venire a conoscerlo.<ref>[[w:Amy-Jill Levine|Amy-Jill Levine]], ''The Misunderstood Jew. The Church and the Scandal of the Jewish Jesus'', HarperOne, 2006, pp. 119-121.</ref>
==Il fallimento didattico==
Per la perpetuazione degli insegnamenti antiebraici, con peccati di commissione ed omissione, si devono biasimare principalmente i dipartimenti di religione, i seminari e le scuole di teologia presso università. Il clero cristiano ed i professori dei seminari in materie come l'Antico e Nuovo Testamento o storia della chiesa, teologia, etica e cura pastorale, non sono tipicamente formati in ''Judaica''. Quello che sanno dell'"Ebraismo" diventa pertanto un senso intuitivo derivante da letture selettive dei due Testamenti. La situazione è particolarmente problematica per i programmi di dottorato di ricerca ([[w:Ph.D.|Ph.D.]]) sul potocristianesimo o il Nuovo Testamento. Non tutti questi programmi richiedono ai candidati di studiare fonti ebraiche come [[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]] e [[w:Filone di Alessandria|Filone d'Alessandria]], i [[w:Rotoli del Mar Morto|i Rotoli del Mar Morto]], le opere [[w:Pseudoepigrafia|pseudoepigrafiche]] (libri che datano a ca. 300 [[w:e.v.|p.e.v.]]-100 [[w:e.v.|e.v.]], scritti usualmente sotto il nome di notabili antichi, come per es. [[w:Libro di Baruc|2 ''Baruc'']] o [[w:Libro di Enoch|1 ''Enoch'']]), o i testi rabbinici. Invece sono oggi popolari letture di metodologia. Piuttosto che introdurre gli studenti alle fonti primarie, la facoltà istruisce i propri accoliti su "come" leggerle. Il risultato è un candidato al dottorato che può applicare qualsiasi tipo di teoria critica (dal poststrutturale, postmoderno, postcoloniale, femminista, mujerista, Min-Jung, lettura ''queer'', e critica autobiografica, a quello che possa essere di più grande interesse alle riunioni delle facoltà. Indubbiamente queste e altre strategie di lettura sono importanti, ma non hanno valore se lo studente non ha idea del contenuto della [[w:Lettera agli Efesini|Lettera agli Efesini]], o delle ''[[w:Filone_di_Alessandria#Sulla_legge|Leggi Speciali]]'' di Filone, delle ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità giudaiche]]'' di Flavio Giuseppe, o del Trattato ''[[w:Sanhedrin|Sanhedrin]]'' della [[w:Mishnah|Mishnah]]. L'aspetto triste di questa concentrazione sulla metodologia è che fra dieci anni la teoria critica-letteraria sarà sorpassata, come sarà sorpassato anche l'accademico che si concentra primariamente sulla teoria. Ancor peggio, una quantità di queste strategie, che cercano di dar voce a vedute che erano state precedentemente sconosciute agli studi accademici, preclude qualsiasi critica. La voce dai margini afferma la la superiorità morale, e tutti coloro che non appartengono al gruppo emarginato devono ascoltarla e, di solito, sentirsi colpevoli. Pertanto, la ricerca cade nel solipsismo, la collocazione sociale dell'interprete è l'unico fattore che determina il significato del testo, e la storia diventa irrilevante.<ref name="Stereo"/>
Confessioni cristiane che obbligano il proprio clero ad una formazione formale richiedono ai candidati al ministero di frequentare corsi sull'Antico Testamento. Con queste incursioni introduttorie, gli studenti iniziano a colmare la loro conoscenza dell'"Ebraismo" con ciò che apprendono riguardo ad Abramo o Davide. Spesso, le narrazioni sui patriarchi e la monarchia servono poi a fornire un quadro di ciò che facevano gli ebrei nel I secolo. Un sistema paragonabile sarebbe quello di un ebreo che leggesse la Lettera ai Galati di Paolo o il Vangelo di Marco e affermasse, su tale base, di conoscere ciò che fanno quotidianamente i membri della parrocchia cattolica locale. La Legge del [[w:Pentateuco|Pentateuco]], a parte i [[w:Dieci Comandamenti|Dieci Comandamenti]], tipicamente viene ignorata nella classi sull'Antico Testamento, poiché ingiunzioni riguardo a come si piantano i raccolti o si costruisce un tempio sono generalmente irrilevanti per la chiesa moderna e noiose per gli studenti cristiani. Tuttavia, questo materiale giuridico viene citato, selettivamente, in classi sul ''Nuovo Testamento'' e in libri sul Nuovo Testamento come fonte principale per comprendere il contesto ebraico di Gesù. Invece di esaminare gli scritti di Flavio Giuseppe o Filone, i Rotoli del Mar Morto, qualsiasi dei documenti non canonici scritti da ebrei nel primo secolo [[w:e.v.|p.e.v. ed e.v.]], o anche ricercare attentamente i testi rabbinici per trovare informazioni sulle pratiche del primo secolo, la scelta si dirige verso ciò che gli studenti hanno sottomano, cioè la propria copia dell'Antico Testamento. Che sia citato esplicitamente o ipotizzato implicitamente, i candidati al ministero suppongono che gli ebrei del I secolo seguissero la Legge biblica nella sua totalità. L'interpretazione normativa è che, se uno legge il [[w:Levitico|Levitico]], si presume di capire ciò che stessero facendo Pietro e tutti i suoi vicini di Cafarnao. Una volta che questa interpretazione levitica viene consolidata, i lettori cristiani arrivano al Nuovo Testamento aspettandosi che il contesto ebraico di Gesù sia demarcato dalle pratiche del codice legale. I lettori quindi, avendo implicitamente dissociato Gesù e Paolo dagli "ebrei", considerano gli "ebrei" come neurotici ossessivi che pagano "la decima della menta, dell'anèto e del cumìno", e trasgrediscono "le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà." (Mt 23:23) oppure come elitisti legalisti compiacenti che "si gloriano nella Legge" (Rom. 2:23).<ref name="Stereo"/>
Durante le classi del Nuovo Testamento, molti studenti frequentano una sola lezione, o anche mezza lezione, sui quattro partiti ebraici maggiori citati dallo storico ebreo Flavio Giuseppe: Farisei, Sadducei, Esseni, e Zeloti. Con poco più di un paragrafo per ciascuno di questi movimenti, lo studente può continuare e andare a studiare i Vangeli, fiduciosi di sapere tutto ciò che serve dell'Ebraismo del primo secolo. L'analogia moderna potrebbe essere credere che, su uno sa un po' di particolari sui [[w:Cavalieri di Colombo|Cavalieri di Colombo]], il [[w:Kiwanis|Club Kiwanis]], i [[w:Massoni|Massoni]], ed i [[w:Scautismo|Boy Scout]], uno capisca la società anglo-americana. A rendere questa situazione ancor peggiore, l'argomento del "contesto" nei libri accademici sul Nuovo Testamento raramente viene preso in considerazione quando lo studio passa ai libri stessi del Nuovo testamento. L'Ebraismo è quindi il "contesto" del Nuovo Testamento, piuttosto che parte del terreno comune di Gesù e di Giacomo.<ref name="Contesto">Sull'argomento si vedano [http://www.oxfordbiblicalstudies.com/resource/ReferenceWorks/guide_16.xhtml ''The Oxford Encyclopedia of the Bible and Gender Studies''], curato da Julia M. O'Brien, Oxford University Press, 2014; Luigi Mattioli, ''Curricula negli studi esegetici moderni'', Zanichelli, 1993; Robert W. Funk, ''Parables and Presence: Forms of the New Testament Tradition'', Fortress, 1982; Norman Perrin, ''Rediscovering the Teaching of Jesus'', Harper & Row, 1967; Amos N. Wilder, ''The Language of the Gospel: Early Christian Rhetoric'', Harper & Row, 1964.</ref>
Un altro contributo sfortunato al pensiero antiebraico proviene dalla focalizzazione del Nuovo Testamento su Gesù, Paolo, Giacomo e altri grandi personaggi neotestamentari. Il professore ed il libro di testo non hanno né tempo né propensione ad enfatizzare ripetutamente la diversità delle credenze ebraiche del primo secolo. Nelle chiese, tali dettagli storici riguardo alle diverse prospettive ebraiche, che siano o meno accurati, non hanno posto nel sermone già ripieno di commenti su Gesù e giustizia. È più facile, specialmente dal pulpito, parlare degli "ebrei", con frasi del tipo "Gli ebrei aspettavano il messia" o "Gli ebrei volevano la distruzione dell'Impero Romano." È improbabile che pastori e preti si soffermino a ciascun uso del termine, offrano una breve sinopsi storica, e poi istruiscano la congregazione sulla diversità ebraica; il Nuovo Testamento ha altre lezioni da insegnare, e le congregazioni si stancano di sentire lo stesso punto settimana dopo settimana. È più facile, come anche più efficace retoricamente, parlare di come Gesù contestò "gli ebrei" piuttosto che "alcuni Farisei di Gerusalemme". Inoltre, anche se il sermone indica che gli oppositori fossero alcuni mebri di una particolare scuola ebraica di pensiero, la congregazione cristiana continua ad interpretare "gli ebrei". Lo stesso punto vale nel contesto delle sinagoghe: le congregazioni ebree spesso interpretano riferimenti ad iniziative dei "[[w:Battismo|Battisti]]" o dei "[[w:Valdismo|Valdesi]]" per convertire gli ebrei come iniziative "cristiane" e non di una confessione particolare.<ref name="Contesto"/>
Questa carenza di attenzione diretta al contesto ebraico di Gesù e alle fonti ebraiche che assistono nel ricostruire tale contesto, è particolarmente ironica, dato lo stato corrente dei curricula accademici. L'ala liberale della formazione teologica richiede agli studenti di frequentare corsi su "un'altra religione"; sono ora popolari il Buddhismo, l'Induismo e crescentemente l'Islam. Tuttavia, mentre gli ebrei sono menzionati direttamente negli scritti neotestamentari, Gesù non esclama mai "Guai a voi, buddisti!" né chiama gruppi di hindu "razza di vipere." Alcuni seminari più conservatori hanno curricula che richiedono corsi in Ebraismo, ma questi sono strutturati per assistere missionari cristiani a convertire ebrei, e tendono a non essere molto più accurati della lezione ordinaria sul "contesto di Gesù che introduce i corsi neotestamentari. Conoscenza delle religioni è cosa lodevole, come anche l'espansione della consapevolezza clericale. Tuttavi, la conoscenza dell'Ebraismo nei suoi propri termini, e non solo (se avviene) come mezzo per evangelizzare, dovrebbe avere una posizione speciale in qualsiasi studio serio di Gesù e del Nuovo Testamento, non solo perché Gesù ed i suoi primi seguaci erano ebrei, ma anche perché il Nuovo Testamento è stato letto ed insegnato in una maniera che perpetua l'odio degli ebrei.<ref name="Contesto"/>
Delle numerose esagerazioni, travisamenti, e diffamazioni contro l'Ebraismo del primo secolo che appaiono consistentemente nei corsi accademici e nelle chiese, sette sono endemici nell'immaginazione popolare cristiana:
# L'opinione che la Legge ebraica fosse impossibile da seguire, un peso che nessuno poteva sopportare. In tale idea, le ingiunzioni sono sempre identificate come "Legge ebraica" e molto raramente come "Legge biblica" o "le istruzioni date da Dio a Mosè" o "Legge divina" nonostante il fatto che le Leggi siano nella Bibbia che la chiesa considera sacra.
# La tesi che tutti gli ebrei volevano un messia guerriero che avrebbe sconfitto Roma; pertanto, "gli ebrei" rifiutarono Gesù perché insegnava la via della pace.
# La proclamazione che Gesù era un femminista in una cultura ebraica che odiava le donne.
# La conclusione che gli ebrei fossero ossessionati dal mantenersi puri dalla contaminazione di estranei, mentre Gesù, specialmente mediante la sua [[w:Parabola del buon samaritano|parabola del buon samaritano]], spezzò tali barriere basate sulla purezza.
# L'insistenza che l'Ebraismo del I secolo fosse dominato dal sistema del Tempio, che opprimeva i poveri e le donne e promuoveva divisioni sociali tra membri e reietti.
# L'asserzione che gli ebrei fossero gretti, elitari, particolaristi e [[w:Xenofobia|xenofobici]]; mentre Gesù e la chiesa sono impegnati in una fede divulgativa universale.
#L'argomentazione crescentemente popolare e diffusa che il Nuovo Testamento non parli affatto di ebrei, ma di "giudei" (=cittadini della Giudea).
Ciascuna teoria ha un valore strumentale. Insinuando che Gesù redime i suoi seguaci da un sistema legale ingiurioso, i cristiani hanno una motivazione più grande per ignorare la prima parte del loro canone e disenfatizzare il punto inequivocabile dichiarato nella [[w:Lettera di Giacomo|Lettera di Giacomo]]: "La fede ''senza le opere'' è morta" (2:26). Descrivendo gli ebrei come bellicosi, i cristiani possono ignorare gli aspetti guerreschi della loro propria tradizione canonica, incluse le dichiarazioni fatte da Gesù stesso, e quindi affermare la sua superiorità pacifica. Rendendo Gesù un femminista, i cristiani possono affrontare la misoginia che ancora affligge la chiesa e la società. Focalizzarsi sulla purezza e xenophobia degli ebrei permette ai cristiani di dichiararsi ''leader'' nell'impegno multiculturale, anche se tale impegno decreta che una cultura indegna di essere celebrata sia quella degli ebrei. Il dominio del Tempio permette di lamentarsi della religione istituzionale in un modo che protegge la chiesa. L'interpretazione dell'Ebraismo come particolarista deflette dalla chiesa l'affermazione che, insistendo che la salvezza si ottiene solo tramite Gesù, essa abbia una visione ristretta e poco universale. Il caso dei "giudei" fornisce una soluzione svelta a coloro che cercano di eliminare dal testo impressioni antiebraiche. In tutti questi casi, Gesù è reso pertinente sia proiettando uno stereotipo negativo dell'Ebraismo sia cancellando completamente l'Ebraismo. La proclamazione della chiesa può, e dovrebbe, reggersi da sola; non necessita di un avversario artificiale, o di una base antiebraica, o di una distinzione iperbolica.<ref name="Contesto"/>
==La Legge come giogo insopportabile==
La visione che gli ebrei insistano a seguire la Legge che non è soltanto difficile da seguire, ma è, come la mette Pietro in [[w:Atti degli Apostoli|Atti]] 15:10, "un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare", è uno stereotipo di molti insegnamenti cristiani (specialmente protestanti). In contrasto con questo sistema ebraico, Gesù invita: "'Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11:25-30).
L'affermazione di Pietro circa la Legge ha senso se uno è al di fuori del sistema — esistono numerose pratiche da imparare, e persone che non hanno dimestichezza con la tradizione ebraica potrebbero aver trovato il sistema arduo e scoraggiante. Tuttavia, gli ebrei in generale non trovavano la "Legge" affatto più onerosa di quanto noi cittadini italiani, che abbiamo più leggi nei codici di quanto non ne abbia l'intero Talmud, non troviamo le nostre leggi particolarmente onerose. Gli italiani riescono a prendersi la patente di guida dimostrando di conoscere il codice della strada; i cibi italiani sono controllati dal Ministero della Salute; gli italiani sanno di non dover rubare o uccidere. Oppure, cercando un'altra analogia, i vegetariani non considerano la propria dieta un "onere" o un giogo impossibile più di quanto gli ebrei di oggi che osservano il [[w:Kasherut|Kasherut]] trovino una pretesa impossibile le restrizioni contro un panino alla porchetta. Le pratiche ebraiche della decima esistenti nel primo secolo sono paragonabili alle pratiche della decima nelle chiese contemporanee o, aggiornando l'analogia, a pagare le proprie tasse. Se la Legge fosse stata un tale insopportabile peso, è incomprensibile pensare che gli ebrei scegliessero di rimanere ebrei e che numerosi gentili decidessero di convertirsi all'Ebraismo.<ref>Marshall J. Breger, ''Public policy and social issues: Jewish sources and perspective'', Greenwood Publishing Group, 2003, pp. 133-138; Joseph Francis Kelly, ''The World of the early Christians'', Liturgical Press, 1997, pp. 166-170.</ref>
Quanto al "carico leggero" di Gesù, l'esegeta neozelandese Warren Carter dimostra chiaramente che Gesù non sta parlando del "giogo della Legge" come interpretato dai Farisei; piuttosto, egli parla del giogo del sistema politico romano. Come scrive nel suo ''Matthew and Empire'' (2001), la connessione tra un'immagine di "giogo" e la Legge è estremamente rara; la maggior parte dei riferimenti nella prima letteratura biblica riguarda una qualche forma di controllo (degli schiavi, della propria lingua, il giogo della saggezza, ecc.). Carter nota inoltre che un'alta percentuale di linguaggio riferentesi a gioghi riguarda "il controllo politico, particolarmente l'imposizione del rigido potere imperiale." Il problema a cui Gesù si riferisce, il problema che confronta il popolo, non è l'interpretazione farisaica della Torah; è l'interpretazione romana del potere.<ref name="Warren">[[:en:w:Warren Carter|Warren Carter]], ''Matthew and Empire: Initial Explorations'', Trinity Press International, 2001, p. 122.</ref>
L'idea che Gesù invalidò lo [[w:Shabbat|Shabbat]], dichiarò puri tutti i cibi, e comunque destituisse la Torah, è un'invenzione che risponde ai bisogni della crescente chiesa gentile, una chiesa che non si definì secondo le pratiche che mantennero l'identità distinta degli ebrei. Nel [[w:Discorso della Montagna|Sermone della Montagna]], Gesù afferma: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento" (Mt 5:1-12). Che queste parole provenissero dalla bocca di Gesù o che Matteo o una fonte precedente gliele mise sulla bocca, il fatto sussiste validamente: Gesù sostenne la Legge, e si aspettava che i propri seguaci facessero lo stesso. Avrebbero dissentito da altri ebrei sul significato preciso in cui la Legge dovesse essere rispettata, ma facendolo avrebbero espresso la propria ebraicità, e non l'opposto.<ref name="Warren"/>
==Il Messia guerriero==
La speculazione messianica ebraica era così diversa quanto lo era la teologia ebraica e la sua pratica. Alcuni ebrei si aspettavano un messia re, altri un sacerdote, altri un arcangelo o figura celeste come Enoch, e altri ancora la venuta dell'altro mondo per ''fiat'' divino; altri poi erano già felici del modo in cui stavano le cose al momento. Né c'era consistenza nel particolari dei ruoli del messia. Alcuni ebrei anelavano la rimozione della presenza romana dalla Giudea e dalla galilea, se non adirittura dalla terra; altri ebrei si preoccupavano maggiormente dei propri correligionari che non seguivano particolari credenze e pratiche, cercando di "correggerli" verso l'escatologia (spesso in modo malizioso); altri ancora desideravano soprattutto la fine della povertà, delle malattie, e della morte. Non esisteva una sola interpretazione del messia, se non nel senso che la sua venuta avrebbe palesemente cambiato il mondo.<ref name="Boff">Leonardo Boff, ''Passions of Christ, Passions of the World'', Orbis Books, 1987, pp. 16, 13.</ref>
Né fu il caso che tutti gli ebrei, anche coloro che opponevano il dominio romano, prendessero la via del militarismo. Sebbene [[w:Giuda il Galileo|Giuda il Galileo]] ed un fariseo di nome Zadok capeggiassero una rivolta in Galilea nel 6 [[w:e.v.|e.v.]] per protestare il censimento iniziato dal prefetto romano Caponio — censimento proclamato col proposito di determinare la tassazione — ad una più vasta rivolta contro Roma avesse luogo nel 66-70, la maggioranza delle proteste contro il governo erano pacifiche.<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Guerra giudaica|Guerra giudaiche]]'' 2.117-118; ''[[w:Antichità giudaiche |Antichità giudaiche]]'' 18.1-10.</ref> Per esempio, nel 26 Ponzio Pilato tentò di portare a Gerusalemme gli stendardi che raffiguravano un'immagine dell'imperatore. Considerando questa mossa provocativa come una violazione diretta dell'ingiunzione biblica contro "immagini scolpite", la popolazione reagì mandando una delegazione da Pilato e proclamando una sciopero in pubblico di cinque giorni.<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Guerra giudaica|Guerra giudaiche]]'' 2.169-174; ''[[w:Antichità giudaiche |Antichità giudaiche]]'' 18.55-59.</ref> Quando Pilato fece un'incursione nel Tempio per impossessarsi del tesoro in modo da finanziare la costruzione di un acquedotto, numerosi ebrei circondarono il suo tribunale, ma non attaccarono. Pilato, meno interessato alla pace che non alla pacificazione, rispose facendo giustiziare tutti i protestatari.<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Guerra giudaica|Guerra giudaiche]]'' 2.175-177; ''[[w:Antichità giudaiche |Antichità giudaiche]]'' 18.60-62.</ref> Nel 41, quando [[w:Caligola|Caligola]] approntò il suo piano di far porre la propria statua nel [[w:Tempio di Gerusalemme|Tempio di Gerusalemme]], gli ebrei si appellarono al legato siriano Petronio piuttosto che sollevare una rivolta.<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Antichità giudaiche |Antichità giudaiche]]'' 18.261-272, 305-309.</ref>
L'idea del "messia guerriero" deriva da svariati fattori. Alla base dell'idea sta la fandonia antica che asserisce una distinzione tra il "Dio della guerra dell'Antico Testamento" ed il "Dio della pace del Nuovo Testamento", e poi associa quel Dio veterotestamentario col Dio degli ebrei. Chiaro? La divinità presentata dal [[w:Deuteronomio|Deuteronomio]] e da [[w:Libro di Giosuè|Giosuè]] ha in verità una vena bellicosa. I seguenti versetti dal Deuteronomio non sono certo bene accolti da gruppi pacifisti:
:''Farò vendetta dei miei avversari''<br/>
:''e ripagherò quelli che mi odiano.''<br/>
:''Inebrierò di sangue le mie frecce,''<br/>
:''si pascerà di carne la mia spada.'' <small>(Deut. 32:41-42)</small><br/>
Giosuè contiene la descrizione di un genocidio: "Quando Israele ebbe finito di uccidere tutti gli abitanti di Ai nella campagna e nel deserto dove essi lo avevano inseguito, e furono tutti passati a fil di spada finché furono tutti sterminati, tutto Israele tornò verso Ai e la mise a fil di spada. Tutti i caduti in quel giorno, uomini e donne, furono dodicimila, tutta la gente di Ai" (8:24-25).
Ciononostante, non solo è errato ma anche eretico per i cristiani distinguere tra il Dio dell'Antico Testamento ed il Dio del Nuovo. Ciò che deve essere notato in primo luogo è che, secondo l'insegnamento cristiano, entrambi i Testamenti raffigurano lo stesso Dio. Non c'è cambiamento di personalità quando il testo si sposta da Malachia a Matteo, poiché la stessa divinità bellicosa appare in testi esplicitamente cristiani. Il [[w:Apocalisse di Giovanni|Libro della Rivelazione]], colmo di immagini militari, offre un'immagine spiacevole dell'angelo che "gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l'uva nel grande tino dell'ira di Dio. Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì sangue fino al morso dei cavalli, per una distanza di duecento miglia" (14:19-20). Gesù stesso parla di coloro che verranno gettati "nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 13:50) o "nelle tenebre di fuori" (Mt 25:30). Riguardo a Gesù e militarismo, secondo il Vangelo di Luca, Gesù dice ai suoi seguaci: "Ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una... Ed essi [discepoli] dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!»" (22:36-38). La loro risposta indica che essi erano già armati.<ref name="Boff"/>
Insieme alle idee del "Dio dell'ira" nel Nuovo Testamento, si può trovare anche l'immagine del "Dio dell'amore" nell'Antico Testamento. Il presunto Dio dell'ira è anche Colui al quale Davide canta: "Il Signore è il mio pastore" (Salmi 23:1). Secondo Isaia, Dio dice: "Come una madre consola il proprio figlio, cosí io vi consolerò" (66:13). Asserire che un Testamento ha un Dio "migliore" o "più buono" o "più pacifico" dell'altro vuol dire travisare il testo madornalmente.<ref name="Stereo"/>
La seconda fonte maggiore che produce l'idea che tutti gli ebrei aspettassero un messia guerriero è la rivolta di [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] del 132-135. La [[w:Terza guerra giudaica|rivolta]] fu forse provocata dal divieto di castrazione promulgato dall'imperatore [[w:Adriano|Adriano]], che veniva interpretato ad includere la circoncisione, come anche dal tentativo di Adriano di ricostruire Gerusalemme come città romana col nome di Aelia Capitolina, oppure da una combinazione di questi e altri eventi. Come Giuda Maccabeo secoli prima di lui, Simon Bar Kokheba si rifiutò di accettare la profanazione e proscrizione delle proprie tradizioni, e quindi diede inizio ad una campagna di resistenza armata. Inizialmente le sue tattiche di guerriglia furono efficaci, e più correligionari vennero in suo sostegno. Alcuni, compreso l'autorevole [[w:Rabbi Akiva|Rabbi Akiva]], lo credettero il messia. [[w:Giustino martire|Giustino martire]], scrivendo dopo la rivolta nella metà del secondo secolo, riporta che il generale si facesse chiamare "bar Kokhba", in [[w:lingua aramaica|aramaico]] "figlio della stella".<ref>[[w:Giustino martire|Giustino martire]], ''Apologia'' 1.31.6.</ref> Il soprannome fa pensare a pretese messianiche. Tuttavia non è chiaro se bar Kosiba si credesse il messia o incoraggiasse negli altri tale credenza. Le sue lettere non fanno affermazioni messianiche; le iscrizioni sulle monete sono nella migliore delle ipotesi difficili da interpretare.<ref name="Grabbe">Lester A. Grabbe, ''Judaism from Cyrus to Hadrian'', 2 voll., Fortress, 1992, 2:580-581.</ref>
La tradizione rabbinica, sviluppatasi dopo la disastrosa sconfitta di bar Kosiba e l'espulsione di tutti gli ebrei da Gerusalemme, lo dissocia completamente da qualsiasi ruolo messianico. Secondo il Talmud palestinese (''[[w:Ta'anit|Taanit]]'' 68d): "Rabbi Akiva, quando vide bar Kosiba, disse, «Costui è il re Messia!» Rabbi Jochanan ben Torta gli rispose, «Akiva, erba crescerà sulle tue guance e tuttavia il figlio di Davide non verrà.»"<ref>Una variante appare in ''Lamentazioni Rabbah'' 2.2.4.</ref> La versione moderna di questa espressione sarebbe: "Aspetta e spera, Akiva, sarai morto ed il Messia dovrà ancora arrivare!"
La terza fonte dell'immagine del "messia guerriero" deriva non da fonti ebraiche ma dagli [[w:Atti degli Apostoli|Atti degli Apostoli]]. Secondo Atti 1:6, i discepoli domandano al Gesù risorto: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?" "Ricostituzione" in questo senso può significare il ritorno della sovranità indipendente, e la domanda ha una giustificazione scritturale. [[w:Libro di Geremia|Geremia]] afferma: "Ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora" (23:5-6). [[w:Libro di Ezechiele|Ezechiele]] presenta un oracolo in cui Dio promette alla comunità dell'alleanza che "essi abiteranno in piena sicurezza nella loro terra. Sapranno che io sono il Signore, quando avrò spezzato le spranghe del loro giogo e li avrò liberati dalle mani di coloro che li tiranneggiano. Non saranno più preda delle genti, né li divoreranno le fiere selvatiche, ma saranno al sicuro e nessuno li spaventerà" (34:27-28). In ciascun caso il regno è "ricostituito". Tuttavia, in nessuno dei due casi la ricostituzione avviene per mezzo di un'operazione militare.<ref name="Grabbe"/>
Alternativamente, la domanda dei discepoli potrebbe anche evocare la ricostituzione di tutte quelle cose associate col [[w:Elia|profeta Elia]]. L'ultimo libro del canone profetico [[w:Libro di Malachia|Libro di Malachia]] predice la venuta di Elia, "perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri" (3:23-24), passo al quale allude [https://www.biblegateway.com/passage/?search=luca+1%3A17&version=CEI;LND Luca 1:17].<ref name="Luke">Luke Timothy Johnson, ''The Acts of the Apostles'', Sacra Pagina 5, Liturgical Press, 1992, p26 e segg. ''passim''.</ref>
Infine, gli studiosi a volte citano o fanno riferimento ad un testo ebraico non canonico, risalente al 63 [[w:e.v.|p.e.v.]] circa, intitolato ''[[w:Salmi di Salomone|Salmi di Salomone]]'' (specialmente Cap. 17), quale prova dell'interesse ebraico generale per un messia guerriero. Se preso fuori contesto, certi versetti sembrano indicare un "messia guerriero" ideale. I ''Salmi di Salomone'' implora Dio: "Per [il popolo] venga il loro re, il figlio di Davide, a governare il tuo servo Israele nel tempo da Te conosciuto, O Dio. Cingilo di forza a distruggere dominatori ingiusti, liberando Gerusalemme dai Gentili che la calpestano fino a distruggerla, in saggezza e giustizia scaccia i peccatori dal retaggio, spezza l'arroganza dei peccatori come un vaso del vasaio; frantuma tutta la loro sostanza con una verga di ferro" (17:21-24). Tuttavia, la riga successiva retrocede dal massacro e riporta: "distrugge le nazioni illecite con la parola della Sua bocca; col suo ammonimento le nazioni fuggiranno la Sua presenza, ed Egli condannerà i peccatori per i pensieri dei loro cuori."<ref>Dal testo greco[http://www.sacred-texts.com/bib/sep/pss017.htm#021]; cfr. {{en}} [https://archive.org/stream/odesandpsalmsso00unkngoog#page/n200/mode/2up/search/Psalm+17 ''The Odes and Psalms of Solomon: published from the Syriac version'']. Si veda anche "Psalms of Solomon", trad. R.B. Wright, in James H. Charlesworth (cur.), ''The Old Testament Pseudepigrapha'', 2 Voll., Doubleday, 1985, 2:639-670 (667).</ref>
Pertanto, gli "ebrei" non rifiutarono Gesù perché Gesù non fosse un messia militaristico, ed il Dio che Gesù proclama è lo stesso Dio che incontrò Noè, Abramo, Mosè e Davide. Finché gli insegnanti ed i predicatori cristiani continueranno ad indicare che l'Ebraismo è un sistema militaristico e guerrafondaio senza interesse per ''[[w:shalom|shalom]]'', e che il Cristianesimo è il sistema per la pace, senza alcun senso di militarismo, di violenza o vendetta, gli insegnamenti antiebraici continueranno. Fintanto che il Dio dell'Antico Testamento vien visto come distinto dal Dio del Nuovo Testamento, gli insegnamenti antiebraici ne saranno rinforzati. Fino a che le chiese si rifiutano di riconoscere il proprio coinvolgimento in un testo ed una storia segnati sia da violenza che da pace, nessuna religione è al sicuro.<ref name="Stereo"/>
==Stereotipi misogini==
Più di trent'anni fa, la seconda ondata del pensiero femminista iniziò ad avere un impatto sugli studi biblici.<ref name="Miso">Questa sezione ha beneficiato soprattutto delle seguenti fonti secondarie: [[w:Amy-Jill Levine|Amy-Jill Levine]], ''The Misunderstood Jew. The Church and the Scandal of the Jewish Jesus'', HarperOne, 2006, pp. 131-143; [[w:Amy-Jill Levine|Amy-Jill Levine]] (cur.), ''A Feminist Companion to John'', Vol. I (di 2 voll.), Feminist Companion to the New Testament and Early Christian Writings, 4, Sheffield Academic Press, 2003, pp.98-125 (123-124); Charlotte Elisheva Fonrobert, "When Women Walk in the Ways of Their Fathers: On Gendering Rabbinic Claims for Authority", ''Journal of the History of Sexuality'' 10, 2001, pp. 398-415; [[w:E.P. Sanders|E.P. Sanders]], ''Jesus and Judaism'', Fortress, 1987; [[w:Geza Vermes|Géza Vermès]], ''Jesus and the World of Judaism'', SCM, 1983; ''id.'', ''The Religion of Jesus the Jew'', Fortress, 1993; James H. Charlesworth, ''Jesus within Judaism'', Doubleday, 1988; James H. Charlesworth (cur.), ''Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism'', Crossroads, 1991.</ref> Cercando un Gesù che fornisse "immagini molto più positive per le donne di quanto la nostra formazione presso le varie chiese o i nostri studi accademici non ci avesse fatto credere",<ref>Joanna Dewey, "'Let them renounce themselves and take up their cross': A Feminist Reading of Mark 8:34 in Mark's Social and Narrative World", in Amy-Jill Levine (cur.), ''A Feminist Companion to Mark, cit.'', pp. 22-36.</ref> le donne cristiane cominciarono a guardare i Vangeli con nuove prospettive. Il problema qui era che mancavano prove dirette delle vedute speciali e progressiste di Gesù sulle donne. Invece le prove contrarie sembravano abbondare. Dalle pagine dei Vangeli Gesù emerge come un uomo del primo secolo che, in gran parte, sostiene i ruoli normativi dei sessi presenti nei contesti ebraici e pagani del suo tempo. Secondo lui, uomini e donne hanno ruoli separati da interpretare. Non nomina nessuna donna a far parte del suo stretto gruppo di dodici discepoli; colloca uomini e donne in ruoli determinati dal rispettivo sesso, di "fratello e sorella e madre" (Mc 3:34); parla della notte in cui "due si troveranno in un letto [o triclinio, divano del pasto]: l'uno verrà preso e l'altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata" (Lc 17:35-36). Finché gli uomini mangiano e le donne cucinano, la liberazione è ancora lontana.<ref name="Miso"/>
Ciononostante, questi primi movimenti femministi avevano un meccanismo preconfezionato per rendere Gesù uno dei loro: abbassare la barra del suo contesto ebraico. Peggio appariva l'Ebraismo e meglio sembrava Gesù al confronto. Se l'Ebraismo poteva esser visto come un sistema completamente repressivo, allora ogniqualvolta Gesù è descritto che parla ad una donna, guarisce il di lei corpo, o riceve il di lei supporto, egli diventa un portavoce della liberazione delle donne. Per esempio, commentatori insistono frequentemente che Gesù trasgredì la Legge Ebraica parlando alle donne, poiché "i rabbini" proibivano le conversazioni tra i sessi. Ancor più irregolare, permise a Maria di Betania di sedersi ai suoi piedi e ricevere ammaestramenti, mentre "i rabbini" proibivano alle donne di imparare la Torah. "Gesù è il solo rabbino che..." diventò una litania nei primi corsi di studio neotestamentari femministi, e rimane tuttora un luogo comune in sermoni e insegnamenti. L'argomento, al di là dall'assistere le donne nel ricoprire nuovi ruoli in chiesa, si basa su una ricerca storica superficiale e travisata. I commentatori cristiani interessati a promuovere un Gesù progressista sulle problematiche della donna fanno riferimento amateriali rabbinici selettivi per dimostrare come il loro Messia rifiutasse il misoginismo ebraico. Tra le citazioni preferite c'è ''[[w:Pirkei Avot|Pirkei Avot]]'' 1:5, in cui Rabbi Jose ben Jochanan di Gerusalemme afferma: "Che la tua porta stia spalancata, e lascia che i bisognosi siano la tua famiglia; e non prolungare la tua conversazione con la donna." La [[w:Mishnah|Mishnah]] poi aggiunge la glossa: "Significavano la propria moglie, ancor di meno la moglie del vicino. Pertanto i saggi dicono «Ogni volta che l'uomo prolunga la sua conversazione con la donna, egli si fa del male e abbandona le parole della Torah, e alla fine si prepara per la [[w:Geenna|Geenna]]»". È difficile affermare che i testi rabbinici siano uniformemente un tesoro di argomentazioni a favore dell'uguaglianza delle donne; ciò nondimeno, un accostamento selettivo di citazioni rabbiniche negative con materiale estratto dai Vangeli distorce la discussione. "I rabbini" rappresentano centinaia di persone che scrissero nel corso di svariati secoli, ed i documenti che riportano i loro scritti postdatano il tempo di Gesù. Alcuni rabbini avevano tendenze misogine, come le avevano alcuni padri della chiesa contemporanei (per esempio, [[w:Tertulliano|Tertulliano]] [160-225 ca.], che afferma "Voi siete la porta del Diavolo!")<ref>''De cultu feminarum'' 1.1.2.</ref> Altre asserzioni rabbiniche sono progressiste riguardo alle donne, come lo sono altre dei padri della chiesa. Paragonare Gesù ai "rabbini" è come paragonare il grande maestro ebreo [[w:Hillel|Hillel]] ai "padri della chiesa".<ref name="Miso"/>
Né Gesù è un "rabbino" nel senso che gli autori della Mishnah e del Talmud sono rabbini. Gesù non passò il suo tempo a studiare l'interpretazione sistematica della Torah o a sviluppare un piano per la santificazione della vita quotidiana mediante la pratica e la preghiera. Piuttosto, affrontò i problemi quando gli si presentarono o quando gli venne chiesto specificamente. Egli è meglio raffigurato come un insegnante carismatico, un guaritore, un predicatore di saggezza tradizionale, piuttosto che come un rabbino che, nelle case di studio si concentrava a comprendere le parole della Torah e a determinare come potessero essere meglio applicate. Il paragone può soltanto peggiorare perché, come già detto, gli esperti neotestamentari usualmente mancano di formazione sulle fonti rabbiniche; è necessaria una formazione specialistica, poiché tali documenti sono spesso oscuri agli inesperti. Come succede oggigiorno per i documenti legali, le fonti rabbiniche presuppongono una conoscenza della storia dell'interpretazione e adottano un gergo "interno" frequentemente incomprensibile agli "esterni". Ancor peggio per gli inesperti dei testi, questi passano da materia a materia, inseriscono lunghe digressioni, e rifiutano di fornire date per le proprie affermazioni. Un passo mette insieme conversazioni di rabbini che sono vissuti centinaia di anni e centinaia di chilometri l'uno dall'altro. E per rendere la cosa più complicata, esistono due maggiori raccolte di materiale rabbinico, il [[w:Talmud palestinese|Talmud palestinese]] ed il [[w:Talmud babilonese|Talmud babilonese]], e non sempre sono d'accordo. Cosa deve quindi fare il povero studioso o predicatore che cerca di trovare un contesto per Gesù? La maggioranza si basa su fonti secondarie precedenti, che a loro volta si basano su studi ancor più precedenti. In una versione accademica del gioco infantile del telefono, gli studiosi citano altri studiosi che citano altri studiosi che ad un certo punto fanno riferimento a fonti rabbiniche. Pochi vanno a controllare l'originale. Ancor più pochi si sforzano di controllare il contesto della citazione. Pochissimi cercano controprove.<ref name="Miso"/>
Se gli studiosi si sforzassero veramente di controllare se "i rabbini" parlano con le donne, troverebbero una certo numero di conversazioni, poiché le fonti descrivono donne che vanno dai rabbini per chiedere decisioni giuridiche e consigli personali. La talmudista Judith Hauptman fornisce il seguente esempio estratto dal Talmud babilonese:
{{q|Judah e Hezekiah erano gemelli. Uno era completamente formato alla fine dei nove mesi [di gestazione] ed uno all'inizio dei sette [e quindi la madre li diede alla luce separatamente]. Judith, la moglie di Rabbi Hiyya [e madre dei gemelli], soffrì di doglie [dolorosissime, e a causa di questa nascita insolita di gemelli, desiderava non aver più figli]. Si travestì, si presentò a suo marito Rabbi Hiyya, e chiese, "La donna è obbligata a procreare?" Egli rispose "No". [Judith] se ne andò e bevve una pozione sterilizzante. Col passare del tempo si seppe [che ella stava evitando la gravidanza]. Suo marito le disse, "Se solo tu avessi dato alla luce un altro fagotto!"|''[[w:Nashim|Yevamot]]'' 65b<ref>[[:en:w:Judith Hauptman|Judith Hauptman]], ''Reading the Rabbis: A Woman's Voice'', Westview Press, 1998, partic. pp. 82-90.</ref>}}
In questa storia, non solo una donna "strana" (la moglie camuffata) accosta Rabbi Hiyya, ma riesce anche ad ottenere da lui il permesso di controllare le nascite. Qui il punto non è tanto che l'aneddoto ci dice qualcosa del tempo di Gesù, quanto il fatto che un testo che afferma di non parlare troppo alle donne non è sintomatico di tutta l'intera letteratura rabbinica.<ref name="Miso"/>
L'unica donna le cui decisioni legali sono riconosciute dal Talmud sembra persino canzonare i suoi colleghi rabbini in merito ai comportamenti a volte maschilisti. Sempre dal Talmud babilonese, ''[[w:Eruvin|Eruvin]]'' 53b, si registra come [[w:Jose il Galileo|Rabbi Yose il Galileo]], mentre viaggiava, incontrasse la famosa saggia [[w:Bruriah|Bruriah]]. Le chiede: "Che strada devo prendere per andare a [[w:Lod (Israele)|Lod]]?" Bruriah risponde: "Sciocco galileo, non dissero forse i rabbini «Non metterti a parlar troppo con le donne»? Potevi invece chiedere «Dov'è Lod?»" E così, continuando a parlargli, lo costringe ad impegnarsi in una conversazione con lei.<ref>Si veda il libro di Midrashim attribuito a Rabenu Nissim di Kairouan, [http://www.hebrewbooks.org/pdfpager.aspx?req=32282&st=%D7%91%D7%A8%D7%95%D7%A8%D7%99%D7%94&pgnum=1&hilite=61c9718f-a1d2-47cd-87e2-77212305c113 ''Chibur Yafe Min Hayeshua''] {{he}} (sfogliabile)</ref>
===La donna samaritana===
Gesù parla con le donne in pubblico, come hanno fatto altri uomini ebrei: la cosa non è affatto anomala. Il Nuovo Testamento stesso descrive uomini e donne che parlano insieme. Secondo Luca, un ebreo anziano di nome Simeone parla direttamente a Maria nel Tempio di Gerusalemme (Lc 2:34); nessuno studioso se ne meraviglia. Ci furono certamente uomini tra gli ebrei che andarono a consolare Maria e Marta (Gv 11:19) alla notizia che Lazzaro era morto; non sarebbero stati fuori posto. Pietro parla a Saffira (Atti 5:8), e Paolo parla a Lidia (Atti 16:14-15). L'idea che Gesù sia anomalo nel parlare alle donne deriva da diversi fattori. Primo, poiché secondo il Vangelo di Giovanni i discepoli di Gesù "si meravigliarono che parlasse con una donna" (4:27), i commentatori presumono che i discepoli fossero ritornati alle loro basi ebraiche in cui gli uomini non parlavano con le donne. Si ignora l'altrettanto probabile idea che fossero meravigliati di trovare ''Gesù'' che parlava con una donna: egli era infatti stato meno che loquace con sua madre alle nozze di Cana, e inoltre non aveva designato nessuna donna a stare con lui come parte dei Dodici. Ulteriormente, i discepoli potevano essersi sorpresi anche del fatto che stesse parlando proprio con ''questa'' donna, una samaritana. Gesù non li aveva destinati a nessuna missione samaritana, ed i Vangeli Sinottici escludono una qualsiasi missione samaritana. Marco non cita samaritani; Luca riserva la missione samaritana ad un evento postpasquale (Atti 8); ed in Matteo Gesù istruisce i Dodici: "Non andate tra i gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele" (10:5-6).<ref name="Miso"/>
Il resoconto di Gesù e della donna samaritana da parte di Giovanni si presta a letture che offrono il modo interpretativo dell'"Ebraismo cattivo" verso il "Gesù buono", poiché si adatta alla veduta che Gesù abbatta le barriere tra uomini e donne, ebrei e gentili. In questo scenario, l'"Ebraismo" di nuovo diventa il sistema che erige e cerca di mantenere tali barriere, e la donna samaritana rappresenta l'"esterno" ultimo che trova, con Gesù, il proprio posto all'interno. Il biblista Jerome Neyrey riassume l'opinione prevalente: "Giovanni ha concentrato in questa figura particolare molte delle caratteristiche di persone marginali con cui Gesù tratta nei Vangeli Sinottici. Ella è un amalgama di devianza culturale. In termini di stereotipi, è una non-ebrea, che è ritualmente impura; è una ''peccatrice'', una persona riconosciuta pubblicamente come ''spudorata''... Come donna spudorata, incorpora la maggior parte delle responsabilità sociali che la emarginerebbero dalla propria società."<ref>Jerome H. Neyrey, "What's Wrong with This Picture? John 4, Cultural Stereotypes of Women, and Public and Private Space", in Amy-Jill Levine (cur.), ''A Feminist Companion to John'', Vol. I, Feminist Companion to the New Testament and Early Christian Writings, 4, Sheffield Academic Press, 2003, pp. 98-125 (123-124). L'articolo è apparso originalmente in ''Biblical Theology Bulletin'' 24, 1994, pp. 77-91.</ref> Neyrey poi afferma che la donna samaritana "rappresenta l'inclusività del gruppo cristiano in una maniera del tutto radicale."<ref>Neyrey, "What's Wrong with This Picture? ''cit.''", p. 124.</ref>
Nella narrazione stessa, tuttavia, la donna non è un'"esterna" (estranea, quindi), ritualmente impura, una peccatrice, spudorata, o marginale. Nel contesto di Giovanni 4, è Gesù, l'ebreo nella zona samaritana, che è il vero "esterno", che si comporta in maniera spudorata, e che è al margine della comunità.<ref name="Feminist">Amy-Jill Levine (cur.), ''A Feminist Companion to John'', Vol. I, Feminist Companion to the New Testament and Early Christian Writings, 4, Sheffield Academic Press, 2003, pp. 98-125.</ref>
L'argomento che l'arrivo della donna al pozzo a mezzogiorno indichi il suo ostracismo sociale, poiché le altre donne del villaggio avrebbero aspettato fino al fresco della sera, vacilla perché ignora l'arte letteraria di Giovanni. Il capo fariseo Nicodemo, introdotto nel precedente capitolo, viene da Gesù nel cuore della mezzanotte. La donna samaritana, a mezzogiorno, comprende la "luce" portata da Gesù;<ref name="Samaritana">Si vedano i vari articoli sulla donna samaritana, nel libro di Amy-Jill Levine (cur.), ''A Feminist Companion to the Gospel of John'', 2 Voll., Sheffield Academic Press, 2002.</ref> il fariseo rimane al buio. L'ambientazione è simbolica dell'interpretazione teologica, e non di un ostracismo sociale. Nicodemo, che aveva avuto una conversazione molto frustrante con Gesù sul "rinascere" (Gv 3:2-8), non otterrà mai veramente la fede. Piuttosto, secondo il Vangelo di Giovanni, egli e Giuseppe d'Arimatea seppelliranno Gesù sotto cento libbre di spezie (Gv 19:38-40) — che sono una grande quantità per un corpo che ci si aspetta risorga. La donna invece, è così ben integrata e accettata dal proprio villaggio samaritano che, come afferma Giovanni, "Molti Samaritani di quella città credettero in lui [Gesù] per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto»" (Gv 4:39). Gli abitanti della città non avrebbero certo creduto alla testimonianza di una peccatrice emarginata e spudorata!<ref name="Samaritana"/>
Comportamenti culturali generali separavano comunque ebrei e samaritani, un punto che Giovanni rinforza con l'osservazione che "i Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani" (Gv 4:9). La frase è, come nella maggioranza degli stereotipi, esaggerata. Sebben di certo non uno degli ebrei più osservanti, Erode il Grande aveva sposato una samaritana, [[w:Maltace|Maltace]]; era la madre di Erode Antipa ed Erode Archelao. Più problematica è l'impressione che gli studiosi neotestamentari danno in merito ai meccanismi con cui si sviluppava questa antipatia culturale. Seguendo il linguaggio giovanneo che "gli ebrei" sono quelli che non condividono le cose in comune con i samaritani, non afferrano l'inimicizia esistente tra i due gruppi — i samaritani nel complesso preferivano non avere a che fare con gli ebrei. Per esempio, durante il governatorato di Cumano (48-52), un samaritano uccise dei pellegrini ebrei che viaggiavano dalla Galilea a Gerusalemme. Quando Eliezer, un leader ebreo locale (o "bandito", a seconda di chi raccontava la storia), radunò un gruppo di galilei per un contrattacco, Cumano fece uscire le sue truppe. Intervenendo, il legato siriano Quadrato tentò di ripristinare la pace e mandò a Roma i capi ebrei e samaritani, e l'imperatore Claudio diede ragione agli ebrei.<ref name="Samaritana"/>
Né il Vangelo di Giovanni dice niente della donna samaritana che sia "ritualmente impura" o di Gesù che ignora le leggi della purezza. Alcuni studiosi neotestamentari citano la Mishnah, ''[[w:Niddah|Niddah]]'' 4:1, quale prova che Gesù, parlando alla samaritana, stia ignorando e quindi annullando le interpretazioni ebraiche sulla purezza femminile. Il versetto dice: "Le figlie dei Samaritani sono [riconosciute impure come] mestruanti sin dalla culla." Ciò che questi studiosi mancano di citare è quello che segue nella Mishnah: "Le figlie dei sadducei, se seguono le vie dei padri, vengono considerate come le donne dei samaritani" (''Niddah'' 4:2). I passi riflettono la visione del mondo dei rispettivi compositori e non i sentimenti di tutti gli ebrei, e certamente non le opinioni dei sadducei. Gli studiosi inoltre evitano di fare un secondo passo e vedere come le fonti successive interpretano le affermazioni mishnaiche. Poiché la Mishnah prosegue poi a descrivere come le donne samaritane ''osservino'' le leggi della purezza famigliare, i rabbini si chiedono come possano esse essere impure (Talmud babilonese ''Niddah'' 31b). La [[w:Tosefta|Tosefta]] (''Terumah'' 4:12) specifica: "Un samaritano è come un non-ebreo, secondo l'opinione di Rabbi [cioè, [[w:Judah haNasi|Judah haNasi]], il codificatore della Mishnah, ca. 200]. Rabbi Shimeon ben Gamliel [suo padre] dice «Un samaritano è come Israele in tutti i rispetti.»"<ref>Charlotte Elisheva Fonrobert, "When Women Walk in the Ways of Their Fathers: On Gendering Rabbinic Claims for Authority", ''Journal of the History of Sexuality'' 10, 2001, pp. 398-415 (404).</ref> Alla fine, gli studiosi neotestamentari riducono l''ambivalenza'' rabbinica sui samaritani ad un odio singolare, xenofobico, misogino degli ebrei e poi riportano tale immagine al contesto del primo secolo, al tempo di Gesù. E l'unico ebreo che sfugge alla trasposizione è Gesù, naturalmente. Lo stereotipo è molto più facile da ripetere dell'andare a scartabellare tra testi legali arcani ebraici.
Continuando. Nonostante la conclusione erudita che la donna samaritana sia "peccatrice", il Vangelo di Giovanni manca di dirci qualcosa di specifico sullo stato peccaminoso della donna stessa. Sebbene essersi sposate con cinque successivi mariti e vivere correntemente con un uomo non proprio marito non sia cosa convenzionale, non deve comunque essere necessariamente considerata cosa peccaminosa. Sara, l'eroina del [[w:Libro di Tobia|Libro di Tobit]], testo che fa parte della raccolta deuterocanonica (Apocrifi dell'Antico Testamento), era stata sposata molteplici volte, poiché i suoi mariti erano stati tutti uccisi nella prima notte di matrimonio da un [[w:Asmodai|demone innamorato]]. Nella tradizione sinottica, i sadducei fanno una domanda a Gesù circa una donna sposata molte volte:
{{q|Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che se muore il fratello di uno e lascia la moglie senza figli, il fratello ne prenda la moglie per dare discendenti al fratello [cfr. Deut. 25:5]. C'erano sette fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare discendenza; allora la prese il secondo, ma morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Infine, dopo tutti, morì anche la donna. Nella risurrezione, quando risorgeranno, a chi di loro apparterrà la donna? Poiché in sette l'hanno avuta come moglie.|Marco 12:18-27}}
La povera donna è sfortunata, ma non peccatrice. Riguardo poi alla samaritana sposata molte volte, vivere con un uomo che non è suo marito non trasgredisce nessun codice legale. Gesù non le dice mai nulla in merito ad un presunto comportamento peccaminoso, e nessuno nella storia cerca di lapidarla. Gli unici a condannarla sono i biblisti.<ref name="Amy3">[[w:Amy-Jill Levine|Amy-Jill Levine]], ''The Misunderstood Jew, cit.'', 2006, pp. 131-138.</ref>
Gli interessi letterari giovannei, e non la preoccupazione del peccato, producono la storia sessuale particolare della donna. L'incontro tra Gesù e la samaritana al pozzo segue la convenzione ben stabilita della Scrittuta: il servitore di Abramo parla a Rebecca al pozzo (Gen. 24); Giacobbe parla a Rachele al pozzo (Gen. 29); Mosè parla alle sette figlie del sacerdote midianita al pozzo (Es. 2). La convenzione della "donna al pozzo" è così fermemente stabilita che l'autore di 1 Samuele può lasciare che il lettero stesso riconosca l'allusione nella storia di Saul, futuro re, che incontra "alcune ragazze che uscivano ad attingere acqua" (1 Sam. 9:11). Per adempiere alla convenzione, Saul dovrebbe sposare una di queste donne e pertanto stringere un'alleanza con la rispettiva famiglia. Invece, egli chiede un'informazione in merito a dove trovare un veggente cosicché possa indicargli dove siano le asine smarrite del padre. Saul non adempie alla convenzione, proprio come non adempierà ai fini della monarchia; la scena, come la sua monarchia, rimane incompiuta. Se Gesù e la donna avessero mancato di avere una conversazione, la connessione con la convenzione similmente sarebbe mancata e l'allusione alla fine prevista dalla convenzione, cioè l'unione di due famiglie, sarebbe andata persa.
Inoltre, Giovanni evidenzia la sua abilità artistica nel dipingere la scena mediante l'uso di un modo arguto di parlare, speziato da ciò che i lettori del Vangelo possono facilmente riconoscere come sessualmente evocativo: riferimenti a pozzi e cisterne, fontane e acqua viva, specialmente quando fatte da un uomo ed una donna presso un pozzo, sono traboccanti di insinuazioni ed allusioni. [[w:Libro dei Proverbi|Proverbi]] consiglia ai giovani: "Bevi l'acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo. Dovrebbero le tue sorgenti spargersi al di fuori, come ruscelli d'acqua per le strade?" (5:15-16); il [[w:Cantico dei Cantici|Cantico dei Cantici]] fa riferimento ad una donna quale "pozzo d'acque vive" (4:15). Sebbene oggigiorno i lettori possano avere gusti più raffinati, in antichità un umorismo grossolano, anche nelle Sacre Scritture, era ben riconosciuto ed apprezzato.<ref>[[w:Jacob Neusner|Jacob Neusner]], ''Judaism in the New Testament: Practices and Beliefs'', Routledge, 1995, pp. 129-158 e ''passim''.</ref>
E per finire, l'"esterno spudorato" in questa storia è proprio Gesù. Egli è un estraneo in territorio samaritano; è quello che ordina alla donna "Dammi da bere" (Gv 4:7) e quindi inizia la conversazione; è quello che inizia la questione della situazione sessuale della donna ordinandole "Và a chiamare tuo marito" e poi ne espone la sua storia sessuale. Tuttavia, a riguardo della sua "inclusività nel gruppo cristiano in una maniera del tutto radicale", come afferma Neyrey, in verità alla fine della storia la donna viene esclusa piuttosto che inclusa. I samaritani le dicono: "Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo" (4:42).<ref name="Samaritana"/>
C'è molto di rilevante nella storia della donna samaritana, se non altro la rappresentazione di una donna evangelista di successo. Giovanni offre una narrazione interessante di una convenziane letteraria antica e facendolo fornisce uno splendido insegnamento di ciò che il suo Cristo può offrire all'umanità. La donna samaritana anonima capisce Gesù, mentre Nicodemo, l'insegnante d'elite, non riesce a capire, ed il risultato inaspettato dà soddisfazione a coloro che stanno al di fuori dell'accademia e della chiesa istituzionale. Con tutto questo materiale da celebrare, l'imposizione di confronti distorti con un Ebraismo monolitico non solo è d'ostacolo ma promuove una positura antiebraica piuttosto che una favorevole alle donne. E quindi tutti ci rimettono.<ref name="Amy3"/>
===La proibizione del divorzio===
Un secondo esempio della scuola che afferma il "Gesù femminista che liberò le donne dall'Ebraismo misogino" riguarda le affermazioni dei Vangeli sul divorzio. In questo esempio, gli interessi apologetici sono maggiormente evidenti, poiché le donne cristiane intrappolate in matrimoni senza amore ed ingiuriosi spesso cercano un qualche mezzo per rimanere fedeli sia alla Bibbia che alla propria esperienza. La risposta a tale situazione segue lo stesso meccanismo visto sopra: identificare come ebraico quale che sia il problema, e poi mostrare Gesù che si rivolta contro il cattivo insegnamento ebraico. In questa specifica manifestazione dell'argomento antiebraico, l'ingiunzione di Gesù contro il divorzio viene considerata non come una condanna delle donne ad una vita di violenza, ma come una protezione contro la vergogna e la povertà. Questa interpretazione alla fine provoca sia sofferenza per le donne e un comportamento antiebraico da parte di coloro che ne prendono atto.<ref name="Divorzio">James H. Charlesworth, ''Jesus within Judaism'', Doubleday, 1988; James H. Charlesworth (cur.), ''Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism'', Crossroads, 1991; Amy-Jill Levine, ''op. cit.'', pp.139-143.</ref>
Secondo Marco 10:2, i farisei cercano di mettere alla prova Gesù chiedendogli: "È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?" La domanda è bizzarra in un contesto del primo secolo. La capacità di divorziarsi non era contestata, poiché è contemplata nel [https://www.biblegateway.com/passage/?search=Deuteronomio+24%3A1-4&version=CEI;LND Deuteronomio 24:1-4]. Il punto deuteronomico viene confermato nei successivi due versetti, quando Gesù chiede ai suoi interlocutori: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?" e loro rispondono "Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla" (Marco 10:3-4). Gesù poi contravviene il permesso di garantire il divorzio da parte del Deuteronomio: "Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione ''Dio li creò maschio e femmina''; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (10:5-9). Gesù pertanto proibisce il divorzio.
Paolo conferma tale punto. Scrivendo ai Corinzi, afferma: "Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - [qui Paolo aggiunge il suo commento pastorale che qualora ella si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito] - e il marito non ripudi la moglie" (1 Cor. 7:10-11). Il fatto che Paolo includa l'aggiunta in merito alle separazioni dimostra sia l'autenticità dell'affermazione di Gesù e la necessità della chiesa di rivolgersi a coloro che, per ragioni religiose o personali non potevano osservare l'ingiunzione. Gesù disse "niente divorzio" e Paolo adattò tale affermazione ai bisogni della propria congregazione.<ref name="Divorzio"/>
Come Paolo, Matteo ripete l'ingiunzione contro il divorzio e poi l'allenta. In tale reiterazione, Gesù afferma: "Chiunque divorzi la propria moglie, se non in caso di fornicazione [''porneia'', comportamento sessuale non sancito], e ne sposa un'altra commette adulterio; e chi sposa colei che è divorziata, commette adulterio" (Matt. 5:31; 19:9). Pertanto, Gesù di Nazaret proibì il divorzio, e parimenti proibì un nuovo matrimonio dopo il divorzio.<ref name="Divorzio"/>
Forse per i primi seguaci di Gesù le ingiunzioni non furono onerose. Se credevano che il regno dei cieli stesse per arrivare in terra e, una volta successo, essi sarebbero tutti stati come "angeli nei cieli" che "né si ammoglieranno né si mariteranno" (Marco 12:25), allora non ci sarebbe stato bisogno di intraprendere il procedimento legale per ottenere il divorzio. Avevano inoltre l'opzione di restare sposati ma vivere separatamente. La moglie di Zebedeo segue i suoi figli che si associano al movimento, ma Zebedeo rimane presso il Mare di Galilea con le sue barche (Matt. 20:20-22; 27:56); Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, entra nella comunità, ma Cusa non si presenta (Lc 8:3); Pietro certamente ha una moglie, poiché Gesù guarisce sua suocera (Mc 1:30-31), ma la moglie non appare nei Vangeli.
L'opzione di rimanere sposato ma separato, senza opportunità di risposarsi, potrebbe aver soddisfatto un certo numero dei seguaci immediati di Gesù, e potrebbe esser stata cosa gradita per coloro che nella prima chiesa promuovevano il celibato. Ma per molti cristiani d'oggi l'opzione è spesso impossibile economicamente, spiritualmente e personalmente. In circoli cristiani molto conservatori, mogli maltrattate vengono tuttora consigliate di "sottomettersi benignamente" ai propri mariti e di esser loro obbedienti. Efesini comanda: "Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore, poiché il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa" (5:22-23); Colossesi esorta: "Mogli, siate sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore" (3:18), 1 Pietro ordina alle mogli di "accettare l'autorità" dei propri mariti, "affinché, anche se ve ne sono alcuni che non ubbidiscono alla parola, siano guadagnati senza parola dalla condotta delle loro mogli" (3:1). Queste ingiunzioni ''non dovrebbero'' essere lette come se garantissero ai mariti un ruolo dispotico in famiglia; al contrario, il marito deve servire la moglie e amarla. Ma quando il marito rifiuta di adempiere alla propria parte dell'ingiunzione, la moglie soffre. Per le donne che si trovano in rapporti ingiuriosi, è disperatamente necessaria una via d'uscita. Il modo più facile di sovvertire il comando di Gesù contro il divorzio è di far ricorso alla vecchia modalità, lo "sfondo misogino ebraico". Secondo questa argomentazione, Gesù non condanna le donne a situazioni coniugali impossibili, ma si adopera in ristrutturazioni sociali per il loro bene. Un'introduzione protestante evangelica popolare afferma, per esempio, che Gesù "condannò le pratiche di divorzio casuali in cui gli uomini sfruttavano le proprie mogli (Mt 19:4-6)"<ref>Walter A. Elwell & Robert W. Yarbrough, ''Encountering the New Testament: A Historical and Theological Survey'', Baker, 1998, p. 341.</ref> Sebbene né Matteo né Marco dicano nulla circa "pratiche di divorzio casuali" o uomini che sfruttano le proprie mogli, l'argomento evangelico ha un valore pratico: se si riesce a dimostrare che Gesù proibì il divorzio per poter proteggere le mogli dall'essere sbattute fuori di casa, in situazioni che l'avrebbero costrette a prostituirsi o a mendicare, allora il suo comandamento oggi potrebbe essere ignorato, date le leggi che proteggono le donne. Nuovamente, citazioni rabbiniche selettive supportano l'apologia. La citazione standard è nella Mishnah, ''[[w:Gittin|Gittin]]'' 9:10: "La Casa di Hillel dice [che egli può divorziare sua moglie] anche se ella ha soltanto rovinato il suo pranzo... Rabbi Akiva dice, [egli può divorziarla] anche se egli trova un'altra donna più bella di lei." Pertanto, concludono gli studiosi, le ingiunzioni di Gesù contro il divorzio proteggono i diritti delle donne limitando il privilegio patriarcale ebraico.<ref name="Divorzio"/>
Nel primo secolo non c'era però nessuna regola generale riguardo alle motivazioni per cui uno poteva ottenere il divorzio. Le affermazioni della Mishnah sono prescrittive piuttosto che descrittive: propongono quello che, in un mondo ideale immaginato dai rabbini, la gente dovrebbe e potrebbe fare piuttosto che descrivere quello che la gente faceva veramente. Nel caso del divorzio, l'argomento di ''Gittin'' 9 riguarda ciò che alcuni rabbini riscontravano fosse legalmente possibile, e non necessariamente ciò che consideravano fosse desiderabile o anche sancito socialmente. Inoltre, questa citazione mishnaica particolare è tanto troncata e quindi parimenti distorta quanto quella usata a dimostrare come gli "ebrei" considerassero impure le donne samaritane. Il passo mishnaico in verità inizia con una citazione della scuola di [[w:Shammai|Shammai]], [[w:Dispute talmudiche tra Bet Shammai e Bet Hillel|rivale di quella di Hillel]], e che inequivocabilmente afferma: "Un uomo non deve divorziare sua moglie a meno che l'abbia trovata colpevole di condotta indecorosa". Questa versione della Legge deriva dal Deuteronomio 24:1: "Quando un uomo prende una donna e la sposa, se poi avviene che essa non gli è piú gradita perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di divorzio." Quasi mai viene menzionato in contesti di apologetica cristiana il commentario talmudico della Mishnah, ''Gittin'' 90b, che cita Rabbi Eleazar: "Se un uomo divorzia sua moglie, anche l'altare versa lacrime." Parimenti taciute sono le pratiche rabbiniche e persino prerabbiniche che riguardano la [[w:Ketubah|''ketubah'' (ebr. כְּתוּבָּה - "documento")]], il contratto di matrimonio, che garantiva alle donne una qualche stabilità finanziaria in caso di divorzio.<ref name="Divorzio"/>
Il ricorso selettivo a fonti ebraiche per supportare le proprie teorie interpretative pregiudiziali è indicato anche da ciò che i commentatori non esaminano, cioè che anche le donne potevano divorziare i loro mariti. In tal caso, l'idea di proteggere i diritti delle donne diventa insignificante. Secondo la versione marciane dell'ingiunzione, Gesù proibisce alle donne di divorziare i propri mariti (come facevano alcune donne ebree, come nel caso della famiglia erodiana). [[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]] riporta, certamente per informare i suoi lettori patrizi romani, che "da noi solo all'uomo è permesso di divorziare" (''[[w:Antichità giudaiche|Antichità]]'' 15.529; Deut. 24:1 suppone il privilegio maschile ed i testi rabbinici seguono questa supposizione), nonostante prova del contrario che lo storico fornisce dalla famiglia erodiana: i divorzi di [[w:Salomè I|Salomè]], figlia di [[w:Erode Antipatro|Erode]], da Costóbaro,<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità]]'' 15.259.</ref> di [[w:Berenice di Cilicia|Berenice]], figlia di [[w:Erode Agrippa I|Re Agrippa I]], da [[w:Polemone II del Ponto|Polemone di Cilicia]], e della figlia [[w:Drusilla (figlia di Agrippa I)|Drusilla]] da [[w:Aziz|Aziz]] di [[w:Emesa|Emesa]].<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità]]'' 20.143-147.</ref> Flavio Giuseppe indica che [[w:Erodiade|Erodiade]] partecipò attivamente nella dissoluzione del suo primo matrimonio e la sua successiva relazione con [[w:Erode Antipa|Erode Antipa]].<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità]]'' 18.110.</ref> Nella sua autobiografia, lo storico menziona persino che la propria moglie lo abbandonò.<ref>[[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''Autobiografia'' 415; cfr. anche {{en}} [[:en:s:The_Life_of_Flavius_Josephus|''Vita'']] 75.</ref> Tuttavia gli studiosi che commentano sui pronunciamenti di Gesù in merito al divorzio, non affermano certo che proibendo il divorzio Gesù si preoccupasse di questi poveri, abbandonati mariti dei casati reali, forzati a prostituirsi o a mendicare!
Nonostante gli sforzi benintenzionati di commentatori biblici contemporanei, i commenti di Gesù sul divorzio non erano tentativi per proteggere le mogli economicamente. Tale motivazione non è una scusa affinché i lettori moderni possano ignorare quello che egli ha veramente detto. Gesù non proibisce il divorzio per proteggere le donne; spiega il suo comandamento non citando una moglie disperata ma, come detto sopra, citando Genesi. I discepoli certamente riconoscono la durezza del giudizio, poiché osservano correttamente che se il divorzio è proibito, allora "non conviene sposarsi" (Mt 19:10).
Tutto ciò non implica che Gesù richiedesse a mariti e mogli di rimanere insieme. Secondo Luca 18:29-30, Gesù asserisce: "In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà." Sebbene sia stato argomentato che il versetto sia un contributo redazionale proprio di Luca — l;inclusione della moglie nel detto è assente dai riferimenti paralleli in Marco 10:29-30 e Matteo 19:29 — il punto è coerente con quello che i Vangeli indicano circa coloro che seguono Gesù: nessuno degli uomini è accompagnato esplicitamente da una moglie; nessuna delle donne è esplicitamente accompagnata da un marito.<ref name="Divorzio"/>
Quest'ultimo punto conferma il fatto che Gesù non stia in qualche modo liberando le donne da un Ebraismo oppressivo e misogino. Maria Maddalena, Giovanna, Susanna, e molte altre donne che accompagnarono Gesù (si veda [https://www.biblegateway.com/passage/?search=Luca+8%3A1-3&version=CEI;LND Luca 8:1-3]) avevano tutte libertà di movimento e accesso ai propri fondi. Le donne che gli fornivano supporto, come Maria e Marta (cfr. Luca 10:38-42; Giovanni 11-12), non solo avevano accesso ai propri fondi ma potevano anche possedere le loro proprie abitazioni. Donne frequentavano i raduni delle sinagoghe ed il Tempio di Gerusalemme, e nessuno dei due luoghi aveva balconi dove venivano relegate le donne.<ref>Cfr. ''int. al.'', [http://books.google.co.uk/books/about/The_Gate_of_Heaven.html?id=kHoMAQAAMAAJ&redir_esc=y Margaret Barker, ''The Gate of Heaven: The History and Symbolism of the Temple in Jerusalem''], Sheffield Phoenix Press, 2008, ''s.v.''; [http://books.google.co.uk/books/about/The_synagogue.html?id=IjVUAAAAMAAJ&redir_esc=y H.A. Meek, ''The Synagogue: The Complete History of the Art and Architecture of the Synagogue''], Phaidon Press, 1995, ''s.v.'' "Synagogue Architecture, Interior".</ref>
Donne seguivano Gesù allora, e donne seguono Gesù desso, per le stesse ragioni degli uomini: perché trovarono qualcosa in lui e nel suo messaggio che parlava ai loro cuori. Forse le donne sole erano specialmente attratta dalla nuova famiglia di Gesù, poiché le donne che lo accompagnano non son o impegnate in sistemi famigliari. Maria e Marta, Maria Maddalena, la donna samaritana, l'adultera, Anna, la sirofenicia, Giovanna, Susanna, la Sig.ra Zebedeo — nessuna è accompagnata dal marito. Nella famiglia di Gesù, il rapporto era determinato non dal matrimonio o dalla biologia ma dalla fede: sua "madre e fratelli e sorelle" sono coloro che compiono la volontà di Dio (Mc 3:31-35).
Le donne cristiane possono riscontrare molti aspetti ispiratori nella storia di Gesù, ma non devono per questo costruire una visione negativa dell'Ebraismo per farlo. Affermare che Gesù "liberò" le donne da un Ebraismo repressivo proibendo il divorzio e pertanto proteggendo i loro diritti è futile, errato e bigotto. Uno potrebbe allora, ma non dovrebbe, fare pari affermazione riguardo a Gesù, cioè, che fosse misogino nel non nominare nessuna donna ad entrare nel suo circolo più stretto; che invece le apprezzasse solo quando gli pagano i conti (Lc 8:1-3), o gli puliscono il corpo ungendolo (Mc 14:3-9; Mt 26:6-13; Gv 12:1-8; cfr. Lc 7:36-50), o gli si siedono ai piedi silenziose (Lc 10:38-49), e stanno a casa quando i rispettivi mariti lo seguono (Lc 18:29). Insomma, sarebbe ora che ebrei e cristiani la smettessero di "portare falsa testimonianza" alle tradizioni opposte.<ref name="Divorzio"/>
==Samaritani buoni, ebrei cattivi, cadaveri impuri==
La [[w:parabola del buon samaritano|parabola del buon samaritano]], presente solo nel Vangelo di Luca ([https://www.biblegateway.com/passage/?search=luca+10%3A25-37&version=CEI;LND 10:25-37]), inizia con un dottore della legge che, cercando di mettere alla prova Gesù, gli chiede: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?" In un modo meravigliosamente ebraico, Gesù risponde con un'altra domanda: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?" Il dottore della legge dà la giusta risposta. Citando il Deuteronomio 6:5, risponde: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente." Poi citando Levitico 19:18, aggiunge: "e il prossimo tuo come te stesso." Gesù accetta la risposta: "Hai risposto bene; fà questo e vivrai."
Se il dottore della legge fosse stato furbo, a quel punto se ne sarebbe andato. Invece, "volendo giustificarsi," chiede a Gesù: "E chi è il mio prossimo?" Gesù allora gli narra la parabola del buon samaritano:
{{q|Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.}}
Gesù poi chiede al dottore: "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?" Il dottore, incapace di pronunciare l'odiato nome "samaritano", risponde: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli dice quindi: "Và e anche tu fà lo stesso."
Nel mondo cristiano, un'interpretazione sempre più comune della parabola suona così: Il sacerdote ed il levita evitano l'uomo al ciglio della strada perché hanno paura di contaminarsi con un cadavere. Se toccassero il corpo, diverrebbero ritualmente impuri, e a loro era proibito ciò dalla Legge. La parabola presenta pertanto una visione del sistema ebraico che darebbe la precedenza alla purezza piuttosto che alla compassione, al rituale piuttosto che alla responsabilità. L'impressione data dell'Ebraismo è terribile.<ref name="parabola">Amy-Jill Levine, ''The Misunderstood Jew, cit.'', pp.144-149; [[w:Jacob Neusner|Jacob Neusner]], ''Judaism in the New Testament: Practices and Beliefs'', Routledge, 1995, pp. 98-158; Terence L. Donaldson, ''Jews and Anti-Judaism in the New Testament: Decision Points and Divergent Interpretations'', SPCK Publishing, 2010, 144-159.</ref>
Raramente vengono citate fonti a sostegno di questa affermazione, sebbene alcuni commentatori occasionalmente riportino Levitico 21:1-3 e Numeri 19:11. Il primo insegna: "Il Signore disse ancora a Mosè, «Parla ai sacerdoti, i figli di Aronne, e di' loro: Nessun sacerdote si contaminerà per un morto in mezzo al suo popolo, a meno che si tratti di un suo parente stretto: di sua madre, di suo padre, di suo figlio, di sua figlia, di suo fratello e di sua sorella ancora vergine che vive con lui, e che non sia ancora maritata; per lei può contaminarsi.»" I problemi nell'applicare citare Levitico alla parabole cominciano col fatto che l'uomo sulla strada non è morto. Inoltre, la Legge levitica è per i "figli di Aronne", e non per i "figli di Levi", quindi l'applicazione del versetto al secondo passante, il levita, non è diretta. In terzo luogo, a volte le Leggi sono in tensione tra loro. Per esempio, la gente non deve lavorare durante lo [[w:Shabbat|Shabbat]], ma i sacerdoti devono lavorare di Shabbat. Se uno deve amare il prossimo come se stesso, allora il sacerdote ed il levita sono obbligati, legalmente, ad aiutare l'uomo al ciglio della strada. La sollecitudine verso il prossimo si estende anche al suo cadavere; la Mishnah riporta: "Un sommo sacerdote o un [[w:Nazireato|nazireo]] non contraggono impurità a causa di un cadavere loro [imparentato], ma potrebbero contrarre impurità a causa di un cadavere trascurato" (''[[w:Nazir|Nazir]]'' 7:1). Tuttavia, la Mishnah è posteriore alla parabola, ed il sacerdote ed il levita non potevano aver seguito l'insegnamento mishnaico.<ref name="parabola"/>
Quanto all'asserzione comune che il sacerdote ed il levita evitano e sorpassano l'uomo al ciglio della strada poiché, a causa dell'impurità da cadavere, non avrebbero potuto svolgere i propri compiti al Tempio, anche qui le prove mancano. Numeri 19:11 afferma che "coloro che toccano il corpo deceduto di un qualsiasi essere umano saranno impuri per sette giorni", ma tale apprensione specifica non sarebbe applicabile al sacerdote o, probabilmente, al levita della parabole: il sacerdote non sta certamente andando al Tempio; il [[w:lingua greca|greco]] rende chiaro che egli sta "scendendo" (''katabaino'') da Gerusalemme a Gerico.<ref name="parabola"/>
Il ricorso alle Leggi di purezza per capire la parabola — un ricorso che la parabola non menziona mai e non viene mai addotto dal Vangelo di Luca — in realtà maschera le implicazioni sorprendenti della narrazione. Tutti i commentatori sono d'accordo che la compassione del samaritano sia una sorpresa. Ma non sembrano trovare sorprendente anche il comportamento del sacerdote e del levita. È altrettanto probabile che gli ascoltatori ebrei di Gesù si aspettassero che il sacerdote ed il levita fossero compassionevoli verso l'uomo sulla strada. Quelli che ci si ''aspetta'' diano aiuto non lo danno; quelli che ci si aspetta non lo diano, lo danno.
Seppellire i morti era e rimane una ''[[w:mitzvah|mitzvah]]'' importante per l'Ebraismo.<ref>''Mitzvah'' letteralmente significa "comandamento", ma il termine ha anche il senso di "buona azione". Cfr. Ronald H. Isaacs, ''Mitzvot: A Sourcebook for the 613 Commandments'', Jason Aronson, 1996, Introduzione.</ref> È l'unico servizio che una persona può offrire ad un'altra senza alcuna anticipazione di ricambio. Il [[w:Libro di Tobia|Libro di Tobit]], parte degli Scritti Deuterocanonici (Apocrifi dell'Antico Testamento), enfatizza il rischio di morte dell'eroe eponimo da parte degli Assiri per il suo volere seppellire i cadaveri (1:18-19; Tobit sembra una versione ebraica di ''[[w:Antigone (Sofocle)|Antigone]]''). Quando, secondo Giovanni 19, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo prepararono la salma di Gesù, sarebbero diventati impuri ritualmente, sebbene i commentatori tendano ad ignorare questo particolare. Alla tomba di Lazzaro, i visitatori sarebbero diventati impuri. Di nuovo, i commentatori ignorano il particolare. E fanno bene, poiché l'impurità era una realtà della vita. Il Talmud babilonese, ''Gittin'' 61a afferma: "I nostri rabbini insegnarono, «Dai sostentamento ai poveri dei non ebrei insieme ai poveri di Israele. Visita i malati dei non ebrei insieme ai malati di Israele. Seppellisci i morti dei non ebrei insieme ai morti di Israele. [Fai tutte queste cose] per le vie della pace.»"
L'enfasi sulla contaminazione da cadavere per interpretare la parabola del buon samaritano non consegue dal ricorso a Lavitico o a Numeri da parte di Luca, poiché Luca non fa tale ricorso. Non consegue neanche dai riferimenti di Luca alla purezza, poiché il testo non fa tale riferimento. Proviene invece dall'argomento accademico popolare che Gesù offre "una sfida al sistema di purezza del mondo sociale ebraico del primo secolo" e supporta "la politica di compassione in un mondo sociale dominato da politiche di purezza."<ref>Marcus J. Borg, ''Meeting Jesus Again for the First Time'', HarperSanFrancisco, 1994, p. 13.</ref> L'idea è già difettosa, poiché purezza e compassione non si escludono affatto a vicenda: l'opposto di compassione non è purezza, ma mancanza di compassione. Né gli stessi Vangeli indicano che il "mondo sociale" di Gesù fosse "dominato da politiche di purezza". Proprio l'introduzione del termine "politica", termine oggigiorno etichettato negativamente (come nell'espressione "politicamente corretto"), già falsa il concetto di "purezza". Pertanto, le pratiche rituali ebraiche che sono designate a santificare il corpo ed il suo ambiente diventano, per l'interprete cristiano, un sistema di emarginazione, ostracismo e oppressione.<ref name="parabola"/>
La raffigurazione negativa della pratica ebraica continua nell'interpretazione della parabola. La mossa successiva è quella di asserire che la purezza è determinata dalla nascita: "Secondo una tradizione di purezza dell'epoca, i sacerdoti ed i leviti (entrambe classi ereditarie) vengono per primi, seguiti da «israeliti» e poi da «convertiti»" e così via.<ref name="Borg1">Marcus Borg, ''Meeting Jesus, cit.'', p. 51.</ref> Il punto è giusto secondo i termini delle funzioni basate sul Tempio. Tuttavia, questa è solo una parte della storia. Sacerdoti e leviti potevano essere, e spesso lo erano, ritualmente impuri (così infatti diventavano quando procreavano, poiché l'eiaculazione rende impuri, e poiché il lignaggio sacerdotale e levita viene trasmesso dal padre e non dalla madre).<ref name="parabola"/> Al contrario, i convertiti potevano facilmente essere in stato di purezza rituale: dovevano esserlo per poter offrire sacrifici al Tempio.
Poi, estendendo questa cattiva argomentazione ancor di più, gli studiosi definiscono la purezza secondo la classe sociale affermando che il "peggiore degli inosservanti" sono "reietti". Tra questi "reietti" vengono inclusi "gruppi professionali del tipo i pubblicani/esattori della tasse".<ref name="Borg1"/> Nei sermoni neotestamentari, come anche in pubblicazioni varie, la frase "reietti ed emarginati" diventa frase costante, sebbene quasi mai ne vengano articolati i dettagli. Da cosa vengono emarginati questi individui? Chi li espelle? Per quale motivo vengono allontanati? Ancora una volta, il modello manca di supporto probatorio. Per entrare nel Tempio di Gerusalemme, in verità per entrare in qualsiasi tempio dell'antichità, uno doveva essere in uno stato di purezza rituale. Il pubblicano di Luca 18 che si batte il petto e chiede pietà sarà certamente stato un peccatore, ma un peccatore in stato di purezza rituale. I Vangeli stessi dimostrano l'artificiosità delle categorie. Se donne, bambini, pubblicani, poveri e peccatori sono "reietti", allora la loro presenza al Tempio è inspiegabile. Infine, questa configurazione distorce le sue stesse categorie. La gente sceglie se essere osservante o meno; gli inosservanti quindi non sono "reietti" ma piuttosto sono individui, come i vari pubblicani che ricevono tante lodi nei Vangeli, che deliberatamente scelgono di uscire dalla comunità.<ref name="parabola"/>
Quello che sacerdote e levita hanno in comune non è la preoccupazione della purezza rituale bensì, come già detto, una discendenza comune. Uno non può essere sacerdote o levita senza che il proprio padre non lo sia stato. La parabola potrebbe aver menzionato un "sacerdote, levita e israelita" e così evocato le tre divisioni maggiori di ebrei. Ma Gesù, facendo buon uso del sistema parabolico, oltrepassa la convenzione e associa un ''samaritano'' al sacerdote e al levita. Secondo [https://www.biblegateway.com/passage/?search=2+re+17&version=CEI;LND 2 Re 17], i samaritani sono discendenti dei mesopotamici sistemati nel Regno Settentrionale, Israele, dall'esercito assiro conquistatore, verso il tardo ottavo secolo [[w:e.v.|p.e.v.]] Possedendo un proprio tempio sul Monte Gerizim, un sacerdozio rivale, ed una Torah rivale (il Pentateuco samaritano) con un paragonabile codice di purezza rituale, i samaritani erano per gli ebrei gli "altri" più prossimi. La rivalità emerge dalle parole della donna samaritana rivolte a Gesù presso il pozzo di Sicar: "I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte [Gerizim] e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare" (Gv 4:20). Gesù risponde: "Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei" (4:22). Pertanto, la parabola del buon samaritano rende "prossimo" una persona genealogicamente estranea; i membri della società ebraica, gli "interni", invece rimangono "fuori". Se Gesù fosse stato un samaritano, avrebbe raccontato la parabola del buon ebreo.<ref name="parabola"/>
Oltre a travisare la parabola imponendole motivazioni riguardo alla purezza, preti e pastori spesso la fraintendono rendendo il samaritano un rappresentante della "minoranza oppressa" o "gruppo reietto". I sacerdoti ed i leviti quasi inevitabilmente diventano la gente malvagia del privilegio; il samaritano è il santo che è compassionevole con coloro che opprimono il suo gruppo. Tali interpretazioni possono essere molto efficaci nel proclamare un vangelo che vede tutti nell'immagine divina: il sacerdote ed il levita sono "i cristiani conservatori che condannano l'omosessualità" ed il samaritano è l'uomo gay; il sacerdote ed il levita sono i ricchi ed il samaritano rapprersenta la donna senzatetto; il sacerdote ed il levita sono cittadini ed il samaritano è l'"immigrato clandestino". Ma per quanto attraente possa essere il messaggio, non è proprio quello che la parabola vorrebber significare, poiché non c'è ragione per cui il gruppo maggioritario (o privilegiato) debba pensare che l'uomo gay o la donna senzatetto o l'immigrato clandestino nutriscano odio contro di loro. Per recuperare l'effetto forte della parabola, i lettori devono vedere samaritani ed ebrei come mutualmente antagonisti.<ref name="parabola"/>
Luca aiuta i lettori a vedere tale inimicizia ponendo la parabola del buon samaritano subito dopo le esperienze negative provate da Gesù stesso in un quartiere samaritano. Secondo [https://www.biblegateway.com/passage/?search=luca+9%3A51-56&version=CEI;LND Luca 9:51-56], Gesù aveva cercato di trovare alloggio in un villaggio di Samaria, ma i locali glielo rifiutarono "perché egli camminava con la faccia rivolta a Gerusalemme." Reagendo a questa mancanza di ospitalità, gli apostoli Giacomo e Giovanni propongono di far scendere il fuoco dal cielo per distruggere il villaggio. Gesù deve allora spiegare che bombardare il villaggio con l'equivalente d'epoca del [[w:napalm|napalm]] non è una buona reazione alla mancanza di ospitalità. I samaritani non sono una minoranza oppressa o reietti; sono piuttosto coloro che respingono Gesù, e a loro volta i seguaci di Gesù li respingono.<ref name="AmyJ3">Amy-Jill Levine, ''The Misunderstood Jew, cit.'', pp. 148-149.</ref>
Per comprendere la parabola in termini teologici, dobbiamo riuscire a vedere l'immagine di Dio in tutti, e non solo nei membri del nostro gruppo. Sentendo questa parabola in termini contemporanei, dovremmo raffigurarci di essere come la persona al ciglio della strada e chiedere "Esiste qualcuno, di qualunque gruppo, per cui preferiremmo morire piuttosto che riconoscere che ''ci ha offerto aiuto'' o ''ci ha mostrato compassione''? Inoltre, esiste un qualunque gruppo i cui membri vorrebbero piuttosto morire che aiutarci? Se è così, allora sappiamo come trovare l'equivalente moderno del samaritano. Riconoscendo il trauma e la possibilità della parabola in termini pratici, politici e pastorali, possiamo tradurre le sue problematiche geografiche e religiose del I secolo nel nostro idioma moderno. L'antico regno di Samaria oggi è la [[w:Cisgiordania|Cisgiordania]]. Quindi, tradotta attraverso i secoli, la parabola mantiene lo stesso significato. L'uomo ferito sulla strada è un ebreo israeliano; un rabbino ed un membro del [[w:Knesset|Knesset]] non lo aiutano, ma un membro di [[w:Hamas|Hamas]] si ferma e dimostra compassione. Se tale scenario potesse essere immaginato da chiunque in Medioriente, forse ci potrebbe essere più speranza di pace.<ref name="AmyJ3"/>
==Il sistema del Tempio==
[[File:Jerusalem Modell BW 2.JPG|thumb|350px|Ricostruzione del [[w:Secondo Tempio|Secondo Tempio]] di [[w:Tempio di Gerusalemme|Gerusalemme]]]]
Marco 12:41-44 trova Gesù seduto davanti al tesoro del Tempio, dove osserva come la gente contribuiva alle offerte:
{{q|Venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli (''lepta''), cioè un quadrante (''kodrantes'') [1/64 di ''denarius'']. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere."}}
Numerose sono le interpretazioni possibili di questa storia. La biblista Elizabeth Struthers Malbon suggerisce che la donna anticipi il sacrificio di Gesù stesso: ella dà tutta la sua vita, come farà Gesù.<ref>Elizabeth Struthers Malbon, "The Poor Widow in Mark and Her Poor Rich Readers", ''Catholic Biblical Quarterly'' 53, 1991, pp. 589-604 (cfr. 600). Si veda anche Pheme Perkins, "The Gospel of Mark: Introduction, Commentary, and Reflections", in ''The New Interpreter's Bible'', Vol. 8, Abingdon, 1995, pp. 507-733 (citazione a p. 683).</ref> Un'altra studiosa, Pheme Perkins, riconosce nella storia della vedova "un parallelo remoto con la storia della povera vedova e del profeta Elia, che le chiede il suo ultimo boccone di cibo" ([1 Re 17:8-16 1 Re 17:8-16]).<ref>''New Interpreter's Bible'', p. 683.</ref> Si può riscontrare una connessione ancor più stretta in Flavio Giuseppe che ripete la storia di Samuele nel suo ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità giudaiche]]'' (6.7.4):
{{q|Ma il profeta rispose che Dio non si compiace dei sacrifici, ma delle persone buone e giuste, quelle cioè che compiono la sua volontà, eseguiscono i suoi ordini, e giudicano di agire correttamente solo quando si attengono agli ordini di Dio; e il dispregio non consiste nel non offrirgli sacrifici, ma nel mostrarsi disobbedienti a Lui. E da coloro che non Gli sono soggetti e non prestano a Dio il solo vero culto a lui gradito, anche se offrissero molte vittime pingui, anche se presentassero una abbondanza di doni in argento e oro, Egli non gradirebbe questi doni, anzi volgerebbe altrove la faccia e li riterrebbe come segni di iniquità piuttosto che segni di pietà. Ma da coloro che non sono attenti ad altro che alla parola di Dio e ai Suoi comandi, e preferiscono morire piuttosto che trasgredire una sia pur minima cosa nella quale Egli si compiace, da costoro non domanda sacrifici, e seppure Gliene offrissero, quantunque modesti, riceverebbe più di buon grado questo omaggio dalla loro povertà che dalle immense ricchezze degli altri.|[http://www.alateus.it/Antichitait.pdf ''Antichità giudaiche'', Libro VI:148-149, trad. it.]}}
Da una prospettiva pastorale, il passo del Vangelo insiste che i poveri hanno dignità e che il valore di un contributo si basa non sull'ammonto monetario, ma sullo spirito con cui viene dato. Dalla tradizione rabbinica, il ''[[w:Midrash|Midrash Rabbah]]'' da Levitico riporta:
{{q|Successe ad una donna che portò una manciata di fine farina, e ci fu un sacerdote che la derise e disse: "Guarda quello che sacrificano [gli altri], che c'è qui da mangiare? Che c'è qui da sacrificare?" Il sacerdote poi sognò: "Non deriderla; è come se avesse sacrificato la propria anima."}}
Precedentemente nel Vangelo di Marco, Gesù avvisa l'uomo ricco: "Và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo" (10:21); la donna che mette le sue monete nel tesoro del Tempio mette in pratica ciò che Gesù aveva detto di fare al ricco. Si potrebbe persino ritenere la storia della povera vedova come se elogiasse il sistema del Tempio in quanto forniva opportunità di partecipare sia ai poveri che ai ricchi, alle donne come agli uomini, ai farisei come anche ai pubblicani.<ref name="Tempio">[[w:Geza Vermes|Géza Vermès]], ''The Gospel of Jesus the Jew'', University of Newcastle upon Tyne, 1983; ''id.'', ''Jesus and the World of Judaism'', SCM, 1983; [http://books.google.co.uk/books/about/Jesus_Within_Judaism.html?id=ku_YAAAAMAAJ&redir_esc=y James H. Charlesworth, ''Jesus within Judaism, cit.''], 1988, pp. 131-164; James H. Charlesworth (cur.), ''Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism'', Crossroads, 1991; [http://books.google.co.uk/books/about/The_Jewish_Reclamation_of_Jesus.html?id=0lxKAwAAQBAJ&redir_esc=y Donald A. Hagner, ''The Jewish Reclamation of Jesus''], Zondervan, 1984, pp. 87-117, 142-158.</ref>
Nonostante tutte queste letture positive, la storia dell'obolo della vedova è arrivata a simboleggiare i mali del "sistema autocratico" del Tempio che a sua volta vien visto come un simbolo della pratica dell'Ebraismo. Gli argomenti usano letture selettive del Vangelo marciano a vaghe generalità su come funzionino i templi istituzionalmente. Il risultato della ricerca accademica produce un Gesù socialmente consapevole che oppone la religione istituzionale sfruttatrice e i sistemi governativi incuranti; è un'immagine attraente che si adatta a numerose problematiche del ventunesimo secolo. È anche un'immagine mal supportata da riscontri nel Nuovo Testamento e certa di promuovere una posizione antiebraica. I fini non giustificano i mezzi.<ref name="Tempio"/>
Dalla narrazione di Marco alcuni studiosi trovano un supporto testuale per il "sistema autocratico" del Tempio nella raffigurazione degli scribi. Prima della presentazione della vedova povera, Marco riporta Gesù che denuncia gli scribi i quali "Divorano le case delle vedove" (12:40). Di conseguenza, i lettori fanno la scelta interpretativa di concludere che il Tempio faccia ciò che fanno gli scribi. Vero, gli scribi di 12:38-40 non sono un gruppetto piacevole; ma non c'è ragione di presumere che tutti gli scribi sfruttassero le vedove o che la vedova del Tempio fosse una pedina in mano all'élite. Gli scribi che divorano le case delle vedove non sono collegati col Tempio. Al contrario, il Tempio sembra essere l'unico posto dove non si incontrano persone malvagie. Marco scrive: "[Gesù ] diceva loro mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave»." Marco colloca questi scribi rapaci nelle sinagoghe e per le strade ed ai banchetti, ma non nel Tempio. I lettori possono quindi scegliere di lodare la vedova del Tempio, che non permise agli scribi di prenderle i soldi, ma che invece li offrì come meglio le parve. Gli scribi prendono, la vedova dona.<ref name="Tempio"/>
L'organizzazione narrativa propria del vangelo rinforza questa separazione tra scriba rapace e vedova generosa. Secondo Marco 12:38-40, quando Gesù pronuncia il detto delle "case delle vedove", sta per iniziare il suo insegnamento ai discepoli. Il resoconto dell'obolo della vedova ha luogo in una località differente; là Gesù è da solo, seduto di fronte al tesoro, e deve chiamare i suoi discepoli per dirigere la loro attenzione verso la vedova. Infatti, l'unico scriba che parla a Gesù nel Tempio più o meno ci azzecca quando loda Gesù per aver citato Deuteronomio 6:4-5 sull'amore di Dio e Levitico 19:18 sull'amore del prossimo. A questo scriba ''del Tempio'', Gesù dichiara: "Non sei lontano dal regno di Dio" (Mc 12:34).
Infine, se Gesù è così stupito che il Tempio incoraggi la vedova a contribuire tutto ciò che possiede — anche dopo aver detto ai suoi seguaci per ben dieci capitoli di fare lo stesso — allora diventa inspiegabile il fatto che non la fermi dal donare le sue monete. Condannare la pratica come ingiusta e lasciare che continui è da ipocriti. Se Gesù è in grado di ribaltare i tavoli dei cambiavalute e scacciare la gente dal Tempio, come ha fatto in Marco 11, di certo avrebbe potuto sussurrare qualcosa alla vedova. Non c'è da pensare che la polizia della purezza rituale lo avrebbe rimproverato.<ref name="Tempio"/>
Oltre al menzionare scribi rapaci, la perturbazione della attività templari da parte di Gesù (Mc 11:15-17; Mt 21:12-13; Lc 19:45-46; Gv 2:14-16) è spesso vista come una protesta contro lo sfruttamento del Tempio. La nota su Giovanni 2:15-16 riportata nello ''New Oxford Annotated Bible'' (III ed.) riassume questa posizione interpretativa: "Una dimostrazione pubblica contro il materialismo che era diventato parte dei servizi cultici del Tempio. L'indignazione di Gesù non era verso coloro che stavano adorando, ma coloro che ne stavano pregiudicando tale adorazione."<ref>Obery M. Hendricks Jr., "John", in Michael D. Coogan ''et al.'' (curatori), ''New Oxford Annotated Bible'', 3<sup>a</sup> ed., OUP, 2001, p. 150 (Sez. "New Testament").</ref> Tuttavia, il sacrificio faceva parte del culto templare, e quindi la distinzione superficiale tra "coloro che stavano adorando" e "coloro che ne stavano pregiudicando" non funziona affatto. Né il culto veniva svolto nello stesso posto dove si trattavano gli affari (si potrebbe pensare, sebbene l'analogia non sia esatta, ad un negozio di souvenir della chiesa rispetto al santuario stesso). Le annotazioni sul vangelo di Marco nello stesso volume identificano correttamente il contesto della "purificazione" come la "Corte dei Gentili" e notano che il "commercio, tra cui il cambio di valute, era necessario in connessione con i sacrifici e le offerte in un'economia semimonetizzata."<ref>Richard Horsely, "Mark", in Coogan ''et al.'' (curatori), ''New Oxford Annotated Bible, cit.'', p. 79.</ref> Ma anche queste note impongono un'interpretazione non giustificata chiaramente. Viene asserito che "''spelonca di ladri'' è meglio tradotto con ''covo di banditi'', per rendere più strettamente il senso originale di Geremia [7:11] che i dominatori saccheggiano il popolo come banditi e poi cercano rifugio nel Tempio." Marco tuttavia parla sia di compratori che di venditori e di gente che porta cose, cosicché il modello del saccheggio non si adatta completamente. Il [https://www.biblegateway.com/passage/?search=mARCO+11%3A15-17&version=CEI;LND resoconto di Marco], che quasi sicuramente ha fornito la base di Matteo e Luca e forse anche di Giovanni, riporta:
{{q|Gesú, entrato nel Tempio, cominciò a scacciare quelli che nel Tempio vendevano e compravano e rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi. E non permetteva ad alcuno di portare oggetti attraverso il Tempio. E insegnava, dicendo loro: "Non è scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladroni!"|Lc 11:15-17}}
Il problema raffigurato da Marco non è uno di sfruttamento o dispostismo, saccheggio o ladrocinio; è l'atto stesso di "condurre affari". La versione di Giovanni accentua il punto: Gesù si adira, "non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato" (2:16). Quello che fece o non fece Gesù al Tempio, l'evidenza evangelica non implica che la sua preoccupazione fosse di demolire un sistema sfruttatore. Lo studioso neotestamentario Bruce Chilton offre una possibile alternativa: Caifa aveva spostato i venditori precedentemente alloggiati sul [[w:Monte degli Ulivi|Monte degli Ulivi]] alla Corte dei Gentili, ed alcuni ebrei, tra cui Gesù, avevano protestato.<ref name="Chilton">[[:en:w:Bruce Chilton|Bruce Chilton]], "Caiaphas", in David N. Freedman ''et al.'' (curatori), ''Anchor Bible Dictionary'', Vol. I; ''Rabbi Jesus; An Intimate Biography'', Doubleday, 2000.</ref> Il problema non è quindin uno di sfruttamento economico, ma un cambiamento del modo in cui veniva condotto il sistema dei sacrifici.<ref name="Chilton"/> Gesù inoltre potrebbe essersi aspettato un verdetto divino contro i capi del Tempio o la distruzione del Tempio alla fine del mondo, proprio come se lo aspettavano altri ebrei dell'epoca. Marco lo cita che dice ai discepoli: "Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta" (13:2). Che quella parte del complesso templare, il [[w:Muro Occidentale|Muro Occidentale]] (o Muro del Pianto), rimanga a tutt'oggi implica che la dichiarazione attribuita a Gesù abbia una qualche validità storica. Se la chiesa si fosse inventata il detto, non avrebbe creato una discrepanza tra la predizione e ciò che vermante è rimasto del Tempio. Flavio Giuseppe (''[[w:Guerra giudaica (Flavio Giuseppe)|Guerra]]'' 6.5.3) racconta che, durante il governatorato di Albino nel 62 [[w:e.v.|e.v.]] (quattro anni prima della prima rivolta contro Roma), Gesù figlio di Anania venne al Tempio durante la Festa di [[w:Sukkot|Sukkot]] ed iniziò ad esclamare quotidianamente:
:Una voce da oriente,<br/>
:una voce da occidente,<br/>
:una voce dai quattro venti,
:una voce contro Gerusalemme e il Tempio,<br/>
:una voce contro sposi e spose,<br/>
:una voce contro il popolo intero!<ref name="Flavio1">[http://digidownload.libero.it/Hard_Rain/Guerra%20Giudaica.pdf ''Guerra giudaica'', Libro VI.301] (trad. it.)</ref><br/>
Nonostante venisse picchiato per ordine del governatore, continuò le sue urla. Albino, reputando che l'uomo fosse pazzo, lo rilasciò. Questo Gesù continuò la sua nenia per altri sette anni e cinque mesi, fintanto che una pietra scagliata da un carro lanciamissili romano lo colpì uccidendolo.<ref name="Flavio1"/> Questo Gesù rivela anche che una predizione profetica contro il Tempio non indica necessariamente che il profeta trovasse l'istituzione sfruttatrice — la sua era una predizione escatologica.<ref name="Tempio"/>
Passando dall'evidenza interna di scribi e purificazioni e all'evidenza esterna delle proteste per il Tempio, il teologo [[w:Marcus Borg|Marcus Borg]] cerca di provare che il sistema sfruttatore si basava sulle attività generali svolte nel Tempio. Afferma: "È Gerusalemme, naturalmente, non come centro dell'Ebraismo, ma Gerusalemme come centro del sistema dominatore locale (ingl. ''"native"''), di quel sistema sfruttatore economicamente e oppressivo politicamente che impoveriva i contadini e li costringeva ad un'esistenza di miseria e persino di disperazione. Gesù viene ucciso a causa delle sue ardenti critiche di quel sistema e del suo patrocinio del Regno di Dio."<ref>[http://www.explorefaith.org/LentenHomily03.15.01.html "Taking Jesus Seriously"], di Marcus Borg su ''explorefaith.org'' <small>URL consultato 06/05/2015.</small></ref> In questa caricatura, il Tempio è primariamente un'istituzione elitista che impone richieste impossibili al popolo, da una tassazione estrema a pratiche rituali che solo i più ricchi possono permettersi. Tali trattazioni non forniscono molta direzione ai lettori per distinguere tra "centro dell'Ebraismo" e "centro del sistema dominatore locale". L'asserzione che Gesù viene ucciso perché aveva criticato il "sistema dominatore locale" suona come se Roma non centrasse nulla con lo sfruttamento economico; solo il sistema "locale" (cioè il Tempio ebraico) deve essere incolpato. Né la maggioranza di tali studi accademici sul Tempio di Gerusalemme fornisce prova di come esso "sfruttasse i contadini".<ref name="Tempio"/>
Il Tempio era la banca nazionale; raccoglieva le decime, e gli uomini ebrei oltre i vent'anni pagavano la tassa templare. Ma non c'è prova che la gente scegliesse di non partecipare perché rifiutavano il concetto stesso del Tempio. Alcuni ebrei del primo secolo rigettavano la legittimità del sacerdozio; l'analogia di questa convinzione potrebbe essere: "Rispetto l'ufficio (cioè la posizione di vescovo, presidente, giudice), ma non la persona che al momento lo rappresenta." Altri potevano essere d'accordo con l'affermazione, attribuita a Gesù, che il Tempio fosse diventato un "covo di ladroni" (Mc 11:17), cioè un luogo dove i ladri depositavano i propri bottini, ma non un luogo dove i ladri rubavano. L'analogia qui è l'idea che mettere denaro nel cassetta delle elemosine di domenica cancella qualsiasi preoccupazione a riguardo di affari loschi. Documenti rabbinici scritti dopo la distruzione del Tempio non riportano nulla in merito ad uno sfruttamento sistematico continuativo da parte del Tempio o un rifiuto popolare di tale sfruttamento. I templi nell'antichità potevano anche essere "sistemi dispotici", ma non è affatto certo che Gesù pensasse che il Tempio di Gerusalemme fosse uno di tali sistemi.<ref name="Tempio"/>
Sia il Nuovo Testamento e sia le fonti esterne indicano che la popolazione ebrea in generale nonconsiderasse il Tempio un "sistema dispotico" bensì la "dimora di Dio". I Vangeli e gli Atti rappresentano Gesù, la sua famiglia ed i suoi seguaci in adorazione nel Tempio e partecipi del sistema sacrificale del Tempio stesso. Apparentemente, non passava loro per la testa che fosse un "sistema dispotico". Né apparentemnte passava per la testa del padre di Giovanni il Battista, che serviva come sacerdote al Tempio, o di Simeone e Anna, i due ebrei anziani che, secondo il Vangelo di Luca (Lc 2), salutarono là il bambino Gesù. Se Zaccaria, Simeone e Anna siano invenzioni di Luca o vere figure storiche non ha importanza per questa conclusione; le loro storie almeno implicano che il Terzo Evangelista non reputava il Tempio un sistema dominante sfruttatore. Non solo Gesù e la sua famiglia (come registrato da Luca), ma anche centinaia di migliaia, se non anche milioni, di pellegrini ebrei si affollavano verso il Tempio durante le tre [[w:festività ebraiche|festività]] di pellegrinaggio — [[w:Pesach|Pesach]] (Pasqua), [[w:Shavuot|Shavuot (Settimane)]] e [[w:Sukkot|Sukkot]]. Il libro degli Atti riporta che i primi seguaci di Gesù continuarono a radunarsi presso il Tempio, che divenne il luogo di vari miracoli. Atti 3:1-10 narra:
{{q|Un giorno Pietro e Giovanni salivano al Tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta "Bella" a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel Tempio, domandò loro l'elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: "Guarda verso di noi". Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!". E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel Tempio camminando, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l'elemosina alla porta Bella del Tempio ed erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto.}}
La gente si stupisce per la guarigione e l'uomo loda Dio. Nessuno si lamenta del sistema ''dominatore''.
Pietro e Giovanni e gli altri fedeli continuano giornalmente a parlare di Gesù nel Tempio ([https://www.biblegateway.com/passage/?search=atti+5%3A42&version=CEI;LND Atti 5:42]), e anche Paolo partecipa al sistema del Tempio. Incoraggiato da "Giacomo e tutti gli anziani", adempie al "rito di purificazione" con quattro uomini che avevano fatto il voto [[w:Nazireato|nazireo]] ([https://www.biblegateway.com/passage/?search=atti+21%3A23-26&version=CEI;LND Atti 21:23-26]). Ancora una volta, il Nuovo Testamento non presenta il Tempio come "sistema dispotico" che sfrutta i poveri o i malati.<ref name="Tempio"/>
Secondo Flavio Giuseppe, l'imperatore pazzo [[w:Caligola|Caligola]], che si considerava divino e desiderava che tutti accettassero questa idea adorandolo, "estese la sua empietà fino agli ebrei" inviando il suo ufficiale Petronio con un esercito a Gerusalemme per porre una sua statua nel Tempio. I suoi ordini erano che "nel caso gli ebrei non li facessero entrare, egli [Petronio] doveva uccidere tutti coloro che lo opponevano e forzare tutti gli altri in cattività."<ref>Flavio Giuseppe, ''Antichità'' 18.261-309; ''Guerra'' 2.184-203; Filone ''De Legatione ad Caium'' 188, 198-348.</ref> Flavio Giuseppe racconta:
{{q|Migliaia di Giudei andarono da Petronio in Tolemaide, supplicando che non li costringesse a trasgredire iniquamente la loro legge
tradizionale. Dissero: “Se tu ti proponi fermamente di introdurre e innalzare l'immagine, fallo pure, ma prima dovrai uccidere tutti noi, poiché per noi non è possibile sopravvivere di fronte ad azioni vietate da decisioni del nostro legislatore e dai nostri antenati che emisero queste misure come leggi morali”. Petronio, adirato, rispose: “Se io fossi imperatore e intendessi compiere questa azione di testa mia, voi avreste diritto di parlare in questi termini. Ma siccome io sono un funzionario di Cesare e costretto ad attuare le decisioni che egli ha già preso, la disobbedienza mi attirerebbe un inevitabile castigo”. Poiché tu, Petronio, sei risoluto”, ripresero i Giudei, “a non trasgredire gli ordini di Gaio, noi siamo decisi a non trasgredire le dichiarazioni della legge. Noi abbiamo posto la nostra fiducia nelle promesse di Dio e nei travagli dei nostri antenati, che finora non abbiamo mai trasgredito. Né sarà mai che ci inoltriamo in tanta malvagità da trasgredire con le nostre azioni la legge che ci lega al nostro bene, per paura della morte. Per custodire la legge dei nostri padri, sopporteremo pazientemente tutto quello che ci aspetta, nella fiducia che per tutti coloro che sono determinati ad azzardare, vi è pure la speranza di prevalere; poiché Dio starà dalla nostra parte, se noi accogliamo il male per la Sua gloria.|Libro XVIII:263-267<ref>[http://www.alateus.it/Antichitait.pdf Libro XVIII:263-267 (trad. it.)]</ref>}}
Petronio allora intervenne, come fece anche Re Agrippa I, nipote di Erode il Grande e amico di Caligola. Se l'imperatore non fosse stato assassinato, le statue sarebbero state erette, Petronio sarebbe stato giustiziato e la rivolta contro Roma sarebbe iniziata venti anni prima. La passione del popolo in questa situazione non pare proprio una reazione di persone disperate per il "sistema dispotico" del Tempio.<ref name="Tempio"/>
Quando poi la [[w:Prima guerra giudaica|prima rivolta contro Roma]] ebbe luogo nel 66 e la fazione degli Zeloti ottenne il controllo di Gerusalemme, questi rimpiazzarono il sommo sacerdote ma nn distrussero il culto (sebbene bruciassero i registri fiscali). Durante la [[w:Seconda guerra giudaica|seconda rivolta contro Roma (132-135)]], il capo ebreo [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] mise le immagini del Tempio sulle sue coniature monetarie.<ref>[[w:Yigael Yadin|Yigael Yadin]], ''Bar-Kokhba. The rediscovery of the legendary hero of the last Jewish revolt against Imperial Rome'', Londra, 1971, ''s.v.''</ref>
Tutto ciò non significa che tutti i sacerdoti fossero dei santi e tutti gli ufficiali del Tempio onesti. Flavio Giuseppe (''Antichità'' 20.9.2-4) riporta, per esempio, che Anania, il sommo sacerdote durante il governatorato di Albino (62), non solo si accaparrava i fondi dati al Tempio ma si prendeva anche le decime sacerdotali dalle aie e deprivava quindi i sacerdoti del loro cibo. La ''[[w:Tosafot|Tosefta]]'' registra che Abba Saul ben Botnit disse a nome di Abba Jose ben Hanin: "Povero me a causa della casa di Boeto; povero me a causa dei bastoni [con cui picchiano la gente]! Povero me a causa della casa di Katro; povero me a causa della casa di Ismaele figlio di Fabi; povero me a causa dei loro pugni! Poiché sono sommi sacerdoti ed i loro figli tesorieri del Tempio ed i loro generi sono fiduciari ed i loro servitori picchiano la gente coi bastoni!" (''Manachot'' 13:21, cfr. anche il Talmud ''Pesachim'' 57a). Si potrebbe confrontare il discorso politico contemporaneo: i funzionari di certi uffici sono corrotti, ma gli uffici stessi conservano il rispetto. Lo sfruttamento da parte di alcuni non crea un "sistema dispotico".<ref name="Tempio"/>
Ciononostante, un certo numero di studiosi sono soliti concludere che, se è il Tempio, allora è cattivo. I biblisti scelgono la loro interpretazione della storia della vedova nel Tempio per condannare il Tempio come sistema dominatore e poi lo separano da Gesù. Invece di riconoscere il Tempio come un luogo dove persino la più povera delle donne si può sentire contenta di aver dato un contributo, un luogo per cui la popolazione ebrea rischiò la propria vita per conservarlo, ed un luogo dove pregavano i primi seguaci di Gesù, i dottori, i sacerdoti ed i pastori, lo rendono un luogo che sfrutta la vedova, opprime i contadini e ruba dalla popolazione. Strano, ed inquietante...
==''Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele''==
Oltre a classificare le pratiche di purezza rituale ed il sistema del tempio come creatori e rinforzatori di divisioni sociali, gli studiosi oggigiorno vedono spesso i comportamenti ebraici come etnocentrici: i membri sono benvenuti, gli estranei disprezzati. Per esempio, nel suo documento [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20020212_popolo-ebraico_it.html <small>''IL POPOLO EBRAICO E LE SUE SACRE SCRITTURE NELLA BIBBIA CRISTIANA''</small>], la [[w:Pontificia commissione biblica|Pontificia Commissione Biblica]] afferma: "La Chiesa è consapevole che Cristo le dona un'apertura universale... Il Regno di Dio non è più legato al solo Israele ma aperto a tutti, compresi i pagani, con un posto speciale per i poveri e gli esclusi."<ref>[http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20020212_popolo-ebraico_it.html#II-C "TEMI FONDAMENTALI DELLE SCRITTURE DEL POPOLO EBRAICO E LORO ACCOGLIENZA NELLA FEDE IN CRISTO (19-65)" II.C]</ref> Pertanto, a differenza dell'esclusivismo ebraico, la chiesa è quel sistema universale che cancella le differenze e accetta tutti.
intenzionalmente o meno, la classificazione serve ad uno scopo apologetico. La chiesa, comandata di fare discepoli e ammaestrare "tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28:19), diventa un modello universale, nonostante il fatto che richieda a tutti di venire sotto il suo ombrello (''[[w:Extra Ecclesiam nulla salus|Extra Ecclesiam nulla salus]]'').Come [[w:Tascio Cecilio Cipriano|Cipriano]], [[w:Padre della Chiesa|Padre della Chiesa]] nordafricano (210-258), afferma nel suo ''[[w:De catholicae Ecclesiae unitate|De catholicae Ecclesiae unitate]]'': "Non potete avere Dio come Padre a meno che non abbiate la Chiesa come madre." L'Ebraismo, che in linea di massima non reputava che i Gentili dovessero diventare ebrei per poter relazionarsi positivamente con Dio, vengono a rappresentare esclusivismo ed etnocentrismo. L'evidenza di tali affermazioni va dal contraddittorio all'incredibile. Pietro, avendo ricevuto la commissione divina di battezzare il centurione gentile Cornelio, annuncia: "Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con [o mettersi a servizio di, Luca 15:15] persone di altra razza" (Atti 10:28). L'affermazione contraddice ciò che insegna l'intero corpo lucano. Indietro, al Capitolo 7 del Vangelo, Luca racconta come gli "anziani ebrei" chiesero a Gesù di aiutare un altro centurione che aveva un servitore ammalato, dato che "ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga" (7:4). Chiaramente, c'è stato un "incontro" tra le parti. Quando Gesù insegna nella "Corte dei Gentili", il contesto stesso indica che ebrei e gentili sono molto vicini tra loro.<ref name="JillGeza">Amy-Jill Levine, ''The Misunderstood Jew, cit.'', pp. 157-159; Géza Vermès, ''Jesus the Jew'', Fortress, 1973; ''id.'', ''The Gospel of Jesus the Jew'', University of Newcastle upon Tyne, 1983, ''ss.vv.''</ref>
In seguito, in Atti 16, Luca introduce i lettori a Timoteo, figlio di madre ebrea e padre gentile (greco). Non c'è insinuazione che la loro relazione sia "proibita". Se l'associazione tra ebrei e gentili era proibita, allora la presenza dei "timorati di Dio" nelle sinagoghe diventa incomprensibile e Nicola, il proselito di Antiochia presentato in Atti 6 come uno dei sette ellenici nominati a servire alle mense, non sarebbe esistito. Non c'è Legge che proibisca il contatto tra ebrei e gentili; non c'è legge che proibisca agli ebrei di lavorare per i gentili. In verità, la casa reale di [[w:Adiabene|Adiabene]] (la zona ora conosciuta come l'Iraq curdo, l'Armenia, e l'Iran settentrionale) viene convertita quando un mercante ebreo descrive alla regina madre le tradizioni dell'Ebraismo (''Antichità'' 20.2.1-5).
Il sistema ebraico era comunque "etnocentrico". Gli ebrei potevano inoltrarsi più a fondo nel Tempio rispetto ai gentili; gli ebrei avevano certi ruoli nella sinagoga che i gentili non potevano sostenere. Ma non era un sistema più esclusivista di quello della chiesa, che limitava i suoi ruoli ai cristiani. Gli ebrei accoglievano i convertiti, come faceva anche la chiesa. Ironicamente, quando gli ebrei nel Nuovo Testamento vengono descritti come se volessero conservare le proprie tradizioni alimentari, di circoncisione, di pratiche sinagogali e forme di culto, i lettori cristiani a volte tendono a considerari tali comportamenti come retrogradi ed esclusivisti. Oggi, quando un qualsiasi altro gruppo etnico o religioso cerca di mantenere la propria integrità nonostante le pressioni culturali di assimilazione, viene considerato positivamente affermando che promuove identità, resiste il colonialismo e celebra il retaggio.<ref name="JillGeza"/>
I testi ebraici ''Seder Eliyyahu Rabbah'' e ''Seder Eliyyahu Zuta'' insistono: "Il Profeta Elia disse «Chiamo a testimoni cielo e terra che, siano essi ebrei o gentili, uomo o donna, domestico o domestica, lo Spirito Santo soffonderà ognuno in proporzione alle rispettive opere»." La proclamazione assomiglia all'insistenza di Paolo che "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Galati 3:28). Mentre la dichiarazione della sinagoga mantiene suddivise le categorie e Paolo invece cerca di cancellarle, entrambi i gruppi affermano che, in ambito divino, le distinzioni di sesso, religione, etnia e classe non hanno importanza.<ref name="JillGeza"/>
==Nuovo Testamento ''Judenrein''==
Che il Vangelo di Giovanni sia o meno "antiebraico", come si è notato precedentemente, non è la questione giusta. Alcuni lettori lo vedono come antiebraico, altri no. Tuttavia, poiché il testo è stato interpretato in maniera antiebraica, alcuni studiosi hanno cercato di rimuovere le tracce che conducono a letture antiebraiche eliminando gli ebrei dalla narrazione. Nel libro ''Bauer-Arndt-Ginrich Lexicon for New Testament Greek (Koine)'', il curatore Frederick Danker afferma alla voce ''Ioudaios'', il termine greco usualmente tradotto con "giudeo", che "danno incalcolabile è stato causato dal rendere ''Ioudaios'' semplicemente con «ebreo», dato che molti lettori o ascoltatori di traduzioni della Bibbia non esercitano quel discernimento storico necessario per distinguere tra circostanze ed eventi dei tempi antichi e le realtà etniche-religiose-sociali contemporanee, col risultato che l'antigiudaismo nel senso moderno del termine viene inutilmente incoraggiato medinate testi biblici."<ref>Frederick Danker (cur.), ''A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature'' [noto anche come ''Bauer-Arndt-Ginrich Lexicon''], III ed., University of Chicago Press, 2000, p. 478.</ref> Philip Esler, nel suo recente commentario sulla Lettera di Paolo ai Romani, fa un'osservazione correlata: usare "ebreo/giudeo" o "ebraico/giudaico", "incoraggia la nozione antisemita dell'"eterno ebreo" che, si presume, uccise Cristo ed è ancora in circolazione, per essere perseguitato se possibile."<ref>Philip F. Esler, ''Conflict and Identity in Romans: The Social Setting of Paul's Letter'', Fortress, 2003, p. 63, citato in una dura recensione di Margaret P. Aymer, ''Review of Biblical Literature'' 7, 2005.</ref> Pertanto, questi ed altri studiosi implicano che, nella maggioranza se non in tutti gli usi del Nuovo Testamento, ''Ioudaios'' dovrebbe essere tradotto "Giudei" ed il termine dovrebbe essere inteso come si riferisse al gruppo stanziato in Giudea.<ref name="JillGeza"/>
L'ebreo è rimpiazzato dal giudeo, e quindi otteniamo un testo ''Judenrein'' ("esente/libero/ripulito da ebrei", alla maniera nazista), un testo depurato da ebrei. Integrando questa cancellazione, gli studiosi proclamano che Gesù non è un ebreo e neanche un giudeo, bensì un galileo. Come la mette John H. Elliot nella sua "chiamata alle armi" del 2004 presentando un saggio alla ''Catholic Biblical Association'' intitolato "Jesus Was Neither a «Jew» nor a «Christian»": "Evitiamo del tutto il nome «ebreo» o il termine «ebraismo» quando parliamo del popolo definito dal Tempio e dalla Torah nei primi tre secoli dell'era comune."<ref>John H. Elliott, "Jesus Was Neither a «Jew» nor a «Christian»": Pitfalls of Inappropriate Nomenclature", 2004.</ref>
La traduzione di ''Ioudaios'' con "giudeo" ha una qualche credibilità storica. Come sostiene lo storico Robert Doran nel suo commentario a 2 Maccabei: "Forte è la tentazione di tradurre ''Ioudaios'' con 'Giudeo', poiché questa parola ha il connotato di una persona che proviene dalla terra di Giudea e riflette la pratica [[w:Dinastia tolemaica|tolemaica]] di identificare i non-cittadini col loro punto d'origine, che siano macedoni, lici, ateniesi o giudei, anche se a volte la città-stato d'origine non esisteva più e coloro che venivano designati così erano vissuti in Egitto da generazioni."<ref name="Jude">Robert Doran, ''2 Maccabees: A Critical Commentary'', Fortress, 2012. Doran cita Elias Bickermann, "Beiträge zur antiken Urkundengeschichte", ''Archiv für Papyrusforschung und verwandte Gebiete'' 8, 1927, pp. 223-225; Claire Préaux, "Les Étrangers à l'époque hellénistique (Égypte-Delos-Rhodes)", in ''L'Étranger/Foreigner'', Recueils de la Société Jean Bodin pour l'histoire comparative des institutions 9 (Dessain et Tobra, 1984), pp. 189-193. Vedi anche Koen Goudriaan, ''Ethnicity in Ptolemaic Egypt'' (Gieben, 1988); Per Bilde, Troels Engberg-Pedersen, ''et al.'' (curatori), ''Ethnicity in Hellenistic Egypt'' (Aarhuis UP, 1992); Margaret H. Williams, "The Meaning and Function of ''Ioudaios'' in Graeco-Roman Inscriptions", ''Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik'' 116 (1997), pp. 249-262; infine Shaye J. D. Cohen, ''The Beginning of Jewishness: Boundaries, Varieties, Uncertainties'', University of California Press, 1999.</ref> Sembra giusto.
Tuttavia la designazione geografica sminuisce l'importante spostamento del pensiero ebraico almeno fino al secondo secolo [[w:e.v.|p.e.v.]], se non prima ancora, quando "l'autodefinizione etnico-geografica [di giudeo] venne integrata da definizioni religiose (o 'culturali') e politiche, perché fu soltanto in questo periodo che l'''ethnos'' giudeo si aprì all'incorporazione di estranei."<ref>Cohen, ''Beginnings of Jewishness, cit.'', p. 70.</ref> Tale testimonianza include, per esempio, l'uso che fa Flavio Giuseppe di ''Ioudaios'' per descrivere i membri convertiti della casa reale di Adiabene (''Antichità'' 20.38-39); include 2 Maccabei 6:6, che afferma che "il popolo non poteva osservare lo Shabbat, né osservare i festival dei propri antenati, e neanche professare di essere ''Ioudaioi''." In tali casi, la designazione etnica non viene utilizzata bene, mentre quella "religiosa" si adatta perfettamente. Anche il termine ''Ioudaismos'' appare per la prima volta in 2 Maccabei (2:21; 8:1; 14:38); Cohen asserisce che potrebbe essere tradotto con "giudeità", ma il termine deve essere più di un marcatore etnico o geografico. La traduzione migliore sarebbe "Ebraismo".<ref>Cohen, ''Beginnings of Jewishness, cit.'', p. 106.</ref>
Il ''Bauer-Arndt-Ginrich Lexicon'', sebbene promuova la traduzione "giudeo", osserva che ''Ioudaios'' include "uno che si identifica con le credenze, i riti e le usanze degli aderenti alla tradizione profetica e mosaica di Israele." La traduzione "giudeo" non trasmette ai lettori moderni nulla di ciò che riguarda la pratica o la fede. La traduzione "ebreo" invece evidenzia una quantità di aspetti del comportamento di Gesù e di quello di altri "ebrei", che siano giudei, galilei o della Diaspora: circoncisione, indossare i ''tzitzit'', mantenersi ''kosher'', chiamare Dio "padre", frequentare i raduni di sinagoga, leggere la Torah ed i Profeti, sapere di non essere né gentili né samaritani, onorare lo Shabbat, e celebrare ''Pesach''. Tutti questi, e molti altri, sono evidenziatori anche degli ebrei tradizionali d'oggi. La continuità supera e prevale sulla discontinuità. Tradurre il termine neotestamentario con "giudeo" piuttosto che "ebreo" perde, per i lettori odierni, il senso specifico dell'affiliazione religiosa e della pratica religiosa. Doran, riferendosi al significato in lingua inglese (e applicabile quasi parallelamente all'italiano), conclude correttamente: "In inglese moderno «giudeo» mantiene solo la connotazione dell'origine geografica, senza conservare il significato religioso e culturale che un termine di luogo d'origine avrebbe mantenuto nell'antichità. Ho quindi scelto di mantenere la traduzione tradizionale," cioè "ebreo".<ref name="Jude"/>
La discussione accademica spesso segue i parametrti di coloro che operano in campi socio-scientifici. Ma la traduzione e l'interpretazione dei testi non è prima di tutto una scienza; è un'arte, e richiede una certa sensibilità per l'estetica. Tradurre gli usi neotestamentari di ''Ioudaios'' con altri termini all'infuori di "ebreo" perde l'arte dei Quattro Evangelisti. Gli ''Ioudaioi'' alla fine di Matteo — la prima ed unica volta che il narratore usa il termine per designare un gruppo — che insistono a dire che i discepoli avevano rubato il cadavere di Gesù devono sicuramente essere intesi non come "giudei" ma come "ebrei". Questa è l'indicazione di Matteo riguardo alla distinzione tra ''ekklesia'' (la chiesa) e gli ''Ioudaioi'' (gli ebrei). Né gli scrittori dei Vangeli pensarono a Gesù solo come "re degli abitanti della Giudea" quando riportarono le parole del ''titulus'', l'iscrizione affissa alla croce.<ref name="Jude"/>
==Gesù pianse==
Vedere gli ebrei e l'Ebraismo in termini di Legge gravosa, speculazione messianica militarista, misoginia intensa, ossessione per la purezza, sistema templare dispotico, xenofobia prorompente, fraintenderebbe il contesto di Gesù e pertanto traviserebbe il suo messaggio e promuoverebbe antiebraismo. Rimuovere gli ebrei dal Nuovo Testamento fa danno agli ebrei, a Gesù, alla chiesa e alla sinagoga.<ref name="Stereo"/>
Certamente, gli studiosi dovrebbero indicare che gli ''ebraismi'' del primo secolo non sono la stessa cosa di quelli del ventunesimo secolo. E di sicuro gli studiosi dovrebbero mantenere un rigore linguistico. Ma, ugualmente, quando si scrive o si insegna, bisogna pensare anche agli estremismi, alle influenze dell'istruzione religiosa di parte, ai peccati di omissione nel riportare testi ed interpretazioni. Il compito della ricerca biblica non è solo quello di svolgere un esercizio accademico arido. È un compito che ha potenziali ripercussioni nella politica, la giustizia e lo spirito — come si può facilmente constatare dai drammatici eventi che accadono oggi nel mondo, tra fondamentalismo e razzismo. Le varie classificazioni notate in questo capitolo di un Ebraismo "cattivo" si sono diffuse, specialmente in forma grossolana ed ignorante, dalla classe e dalle riviste professionali ai banchi di chiesa e allo studio biblico. Quegli studiosi che sarebbero costernati ad venir giudicati come antiebrei, finiscono col diffondere vedute antiebraiche tra di loro, al resto del mondo accademico, e al più vasto mondo cristiano.<ref name="Jude"/><ref name="Stereo"/> E Gesù piange...
==Note==
...ἐδάκρυσεν ὁ Ἰησοῦς <sup><small>(Gv 11:35)</small></sup>
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[[Categoria:Biografie cristologiche|Stereotipi giudaici]]
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Missione a Israele/Paolo e Gesù
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{{Missione a Israele}}
{{Immagine grande|Christ, by Heinrich Hofmann.jpg|460px|Gesù (particolare), olio di Heinrich Hofmann, 1889}}
= Traiettorie: Paolo, i Vangeli e Gesù =
[[File:The founding of a new world (1898) (14576613640).jpg|left|150px|thumb|<small>[[w:Paolo di Tarso|Paolo di Tarso]], di George Dryer (1898)</small>]]
Come le tradizioni bibliche più antiche a cui fanno riferimento e da cui attingono, i Vangeli presentano gli insegnamenti di Gesù in una storia che ne racconta i discorsi e le gesta. E poiché le loro storie sono modellate dalle tradizioni storiche e religiose sia da lui che su di lui, esse condividono un obbligo narrativo simile: qualunque cosa dicano riguardo alle sue attività e le sue località, gli evangelisti devono concludere a Gerusalemme, durante la Pesach, con la croce. Parimenti, le tradizioni prima di quel punto – cosa Gesù fece e disse, dove, a chi, in quali circostanze – variano, come vedremo, da Vangelo a Vangelo; le tradizioni dopo quel punto – Chi vide cosa alla tomba? A chi (una donna? diverse donne? Pietro?) e in quale posto (Galilea? Emmaus? Gerusalemme?) apparve per primo il Cristo Risorto? – divergono. Ma la crocifissione di Gesù è il punto cardinale condiviso da tutti questi Vangeli.
Voglio iniziare da questo punto e spostarmi avanti e indietro; indietro per una ricostruzione della missione e del messaggio di Gesù; avanti per una ricostruzione del primo movimento che si formò a suo nome. Facendo così, mi impegno in una posizione che il materiale stesso può solo supportare ma non stabilire, cioè che possiamo fare collegamenti causali e esplicativi tra ''cosa'' insegnò Gesù, ''perché'' e ''come'' morì, e ''perché'' e ''come'' presero la forma che presero il primo movimento cristiano.
Tale traiettoria connettiva può essere contestata e lo è stata. Alcuni studiosi hanno argomantato che Gesù insegnò una cosa (di amare Dio e il prossimo, per esempio), ma fu ucciso per un'altra (risentimento sacerdotale, o oppressione romana). Capire il suo insegnamento, basandosi su questa costruzione, non getta molta luce sul perché morì, ma apre la strada ad un futuro etnicamente inclusivo del Cristianesimo (amare gli altri significa amare i Gentili).
Altri studiosi identificano il messaggio di Gesù come un tipo di riforma sociale: Gesù, dicono, campione di uguaglianza sociale che egli mise in pratica specialmente con pasti condivisi con tutti, insegnò contro le gerarchie di potere sessuale, politico e religioso della sua società. Di conseguenza, combattè contro le regole della purezza (che operano facendo distinzioni tra le persone) e quindi si oppose specialmente contro i governanti sacerdotali del Tempio di Gerusalemme, che secondo questa visione era letteralmente un monumento alla gerarchia.
La forza di questa interpretazione sta nel suo immediato collegamento agli insegnamenti di Gesù nella Galilea fino ad eventi successivi a Gerusalemme. Pertanto supporta le tradizioni del coinvolgimento sacerdotale nella morte di Gesù: come potevano i sacerdoti tollerare tale sfida alla loro autorità? Ma interrompe qualsiasi connessione coi due punti successivi della nostra traiettoria, non spiegando né perché Pilato si fosse coinvolto (come fece, con una brutale esecuzione pubblica), né cosa abbia a che fare l'insegnamento di Gesù con il primo strato di materiale cristiano che abbiamo, vale a dire, le lettere di Paolo (che non mostrano traccia di nessun programma sociale del genere).
Coloro che prendono alcuni strati di ''Q'' come materiale storico di base per Gesù, si oppongono ancor più strenuamente contro tali collegamenti causali. Questi studiosi sostengono che altri detti evangelici e relative storie, come anche le tradizioni di Paolo, in effetti danno un'idea della distorsione e perdita del materiale autentico di Gesù che, sempre secondo la testimonianza di ''Q'', consisteva principalmente di detti arguti e culturalmente sovversivi (in contrasto, per esempio, con gli insegnamenti sull'arrivo del Regno di Dio), senza alcun riferimento a Gerusalemme o alla croce. Questo Gesù-''Q'' muore per sventura, poiché tale insegnamento ha poco a che fare col Tempio o con Roma. Ed il resto del successivo cristianesimo, che sorge intorno alla proclamazione di un Messia crocifisso, risorto e ritornato, parimenti non ha nulla a che fare con la figura di tipo cinico che si trova, privo di rinomanza, agli inizi.
Tutte queste ricostruzioni abbreviano i collegamenti nella catena delle antiche testimonianze in merito alle origini del cristianesimo. In tal modo enfatizzano la qualità contingente o accidentale della storia familiare a noi tutti nella nostra vita. Intendendo una cosa, spesso finiamo con un'altra. Le nostre vite funzionano in modi che non prevediamo o non progettiamo. Gli eventi non sono necessariamente il risultato di azioni particolari. Ciò che sembra causalità è spesso una tessitura razionale che gettiamo a copertura del passato secondo la nostra propria retrospettiva. Nella vita reale, spesso le cose accadono e basta.
La nostra esperienza individuale della verità di questa prospettiva sulla vita, tuttavia, non ci deve persuadere della sua utilità quando trattiamo di storia. La storia è differente da una retrospettiva personale. Quest'ultima è individuale, soggettiva, privata, per molti versi non verificabile: il suo reame è la memoria. La storia, invece, è sociale. È pubblica. Tramite il dibattito si avvale di dati, giudizi su coerenza e plausibilità, la storia in un certo senso verificabile. È nei suoi obblighi sia all'evidenza che alla testabilità che la storia come disciplina è scientifica. Il suo nesso alla memoria essa è quindi differente da ciò che la memoria condivide con il ricordo personale, perché il reame della storia è la conoscenza pubblica condivisa.
Pertanto, sebbene ci uniamo qui nello sforzo di recuperare un Gesù di Nazareth individuale dal suo passato oscuro, poiché trattiamo di storia, di necessità cerchiamo di recuperare anche la sua cultura, la sua religione, la sua realtà sociale — il contessto vissuto di leggi, usanze, pratiche e atteggiamenti esaminati precedentemente. Sebbene punto d'inizio unico di un nuovo movimento religioso, Gesù non sarebbe stato Gesù senza tutti coloro che stavano attorno a lui e dopo di lui: i suoi seguaci, i suoi antagonisti, i pellegrini e i residenti di Gerusalemme, i romani, gli ebrei della Diaspora e, infine, i Gentili. Non possiamo spiegare e capire Gesù senza parimenti spiegare e capire tutti loro.
Di nuovo, il compito non è né facile né semplice. L'evidenza più diretta è complicata e quindi difficile da usare, perché è tarda: i Vangeli, come abbiamo visto, sono una testimonianza stratigrafica di varie interpretazioni di Gesù, e non relazioni di ciò che egli ha veramente fatto o detto. Tuttavia, se ciò che fece e disse non avesse avuto senso per i suoi propri contemporanei, allora noi non avremmo nessun oggetto di studio: senza i suoi seguaci immediati, noi non sapremmo nulla di Gesù, né – dato che è su di loro che in ultimo dipende l'esistenza del cristianesimo – avremmo una ragione storica per interessarcene.
È in base a questo – la coerenza pubblica del suo messaggio per i suoi contemporanei – che noi come storici riusciamo ad analizzare le testimonianze confuse del passato di Gesù. Dei tre punti nella nostra traiettoria che io sostengo siano collegati causlamente – la sua missione; la sua morte; il movimento successivo – le nostre prove sono più valide per gli ultimi due. Sappiamo che Gesù morì sulla croce, quindi in un contesto dove gli interessi romani in merito a rivolta e sedizione erano oltremodo importanti. E sappiamo che i suoi immediati seguaci, che non vennero giustiziati con lui, iniziarono una missione che presto avrebbe coinvolto ebrei di lingua greca nella Diaspora e subito dopo anche i Gentili. Man mano che il movimento si sviluppa i suoi dati aumentano, finché arriviamo alle lettere di Paolo e, successivamente i Vangeli.
Propongo quindi di iniziare il nostro primo ciclo di indagine in senso inverso, spostandoci "all'indietro" dai nostri dati più certi. Il nostro punto storicamente più recente, la missione ai Gentili nella Diaspora, ci fornisce la testimonianza cronologicamente più antica, le lettere di Paolo. Nel tentativo di isolare le tradizioni nelle lettere di Paolo che egli sembra condividere coi Vangeli, dobbiamo prestare un'attenzione particolare a quelle tradizioni che egli afferma abbia ereditato: queste ci aiuteranno a costruire una traiettoria all'indietro.
La testimonianza dei Vangeli prende due strade. Poiché gli evangelisti scrissero dopo il 70 e.v., quindi dopo il periodo di Paolo, essi testimoniano in un senso il tipo di movimento che il cristianesimo divenne nell'epoca dopo la distruzione del Tempio. Ma dato che ambientano le loro storie nel primissimo periodo, la missione di Gesù a Israele, essi devono ereditare ''alcuni'' aspetti delle loro storie – personaggi, eventi, insegnamenti – dal passato. Quando le tradizioni dei Vangeli (scritti verso il 75-90 e.v.) sembrano simili o comprovano i temi delle lettere di Paolo, (scritte ca. 50-60) – specialmente quelle che egli identifica come tradizioni ereditate da altri cristiani le cui attività predatano le sue – possiamo avere, credo, una breve visione delle prime fasi del movimento di Gesù. E se alcuni di questi dati si conformano con notizie sul primo ebraismo da fonti ebraiche indipendenti – per esempio, Flavio Giuseppe; o i Manoscritti del Mar Morto; o vari altri scritti intertestamentari – allora possono assisterci ad identificare quegli aspetti del paleocristianesimo che possono risalire alla vita e missione di Gesù stesso.
Iniziare la nostra indagine con Paolo, significa iniziare con un Gesù contemporaneo e con i suoi primi seguaci. Sebbene egli componesse le lettere conservate nel Nuovo Testamento versa la metà del secolo, le informazioni provenienti da Paolo si pongono almeno una generazione prima della fonte susseguente, il Vangelo di Marco.
Ma "prima" non significa, in termini di prove per Gesù, "più dirette". Innanzitutto, il coinvolgimento di Paolo nel movimento avvenne solo ''dopo'' la morte di Gesù e, in un certo senso, a causa della stessa: il punto di contatto di Paolo è la sua reazione, all'inizio negativa e poi positiva, riguardo alla proclamazione della Risurrezione (su questo si vedano specialmente {{passo biblico2|Galati|1}} e {{passo biblico2|1Corinzi|15}}). Inoltre, sebbene Paolo probabilmente conoscesse molti dei seguaci originali di Gesù, incluso e specialmente Pietro, egli aveva divergenze con loro su importanti materie di principio. Pertanto, ad un certo punto, ciò che dice rappresenta qualcosa di diverso da quello che i primi seguaci di Gesù predicavano. E, infine, Paolo occasionalmente insisteva che la fonte del suo vangelo ''non'' era umana – non degli apostoli originali né tantomeno Gesù di Nazareth stesso – ma divina: ciò che aveva, dice Paolo, lo aveva per rivelazione ({{passo biblico2|Galati|1:12-22}}): "...perché io stesso non l'ho ricevuto né l'ho imparato da un uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo... Dio m'aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, e si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo annunciassi." Per quanto convincente e persino toccante possa essere quest'ultimo punto per un pubblico antico, giustamente rende un po' ansiosi i moderni, che cercano il Gesù storico: quanto di ciò che dice Paolo può veramente essere in sintonia con quanto Gesù potrebbe aver insegnato, specialmente se è in disaccordo così acutamente con coloro che avevano conosciuto "Gesù secondo la carne"?
Le asserzioni più forti di paolo riguardo alla sua indipendenza dai seguaci originali di Gesù avvengono nella sua lettera ai Galati, dove sostiene impetuosamente le sue proprie vedute su una questione – le osservanze che i seguaci non ebrei di Gesù dovrebbero seguire o meno riguardo alla Legge ebraica – che mai era apparsa durante la missione stessa di Gesù, poiché Gesù parlò soprattutto se non anche esclusivamente ai suoi compatrioti ebrei. Altrove, rispetto ad altre questioni in discussione, Paolo insiste altrettanto impetuosamente sulla sua affidabile conoscenza delle prime tradizioni di Gesù. Cominciamo ad esaminare le sue lettere nel loro (probabile) ordine cronologico di composizione, per vedere cosa riusciamo ad estrarne.
== ''"Questo vi diciamo sulla parola del Signore": Il Regno'' ==
La prima lettera ai Tessalonicesi, dal nostro punto di vantaggio come storici, ci fornisce una testimonianza molto precoce, composta nei tardi anni quaranta o primi anni cinquanta del primo secolo. Ma la lettera stessa trasmette quanto le cose sembrassero trascorse al pubblico gentile di Paolo:
{{q|...Noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall'ira ventura.|{{passo biblico2|1Tessalonicesi|1:9-10}}}}
Ma questi cristiani gentili a Tessalonica avevano già atteso più a lungo di quanto non si fossero aspettati. Evidentemente sorpresi che alcuni dei loro fossero morti prima del ritorno di Cristo, insistevano con Paolo per conoscere più chiaramente quando ciò si fosse avverato. Tali sono le questioni che Paolo affronta nei capitoli 4 e 5 di questa lettera e per cui, in {{passo biblico2|1Tessalonicesi|4:15}}, egli invoca "la parola del Signore", cioè di Gesù.
Questi due capitoli ci danno un'idea della viva aspettativa apocalittica sia di Paolo che di questa comunità. Il loro insegnamento corrisponde nei contenuti e persino nella costruzione delle frasi con le tradizioni narrate una generazione e più dopo, nei Vangeli sinottici. Per esempio, citando "la parola del Signore", Paolo descrive il ritorno glorioso e imminente di Gesù:
{{q|Questo vi diciamo sulla parola del Signore: ''noi che viviamo'' e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, con un potente comando, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi ''noi, i vivi, i superstiti'', saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.|{{passo biblico2|1Tessalonicesi|4:13-18}}}}
Paolo attribuisce la sua descrizione degli eventi riguardo alla Seconda Venuta ad un insegnamento de "il Signore". Per autorità di tale detto, egli afferma l'imminente discesa di Cristo dal cielo. Nel linguaggio di un attacco militare ("con un potente comando"; la "voce" dell'arcangelo; la "tromba di Dio"), Paolo allora descrive la resurrezione dei morti, come anche l'essere "rapiti... nell'aria" di "noi, i vivi".<ref>Sull'apocalitticismo di Paolo, si veda Geza Vermes, ''The Religion of Jesus the Jew'', partic. p. 213.</ref>
Altrove nelle sue lettere, sebbene senza invocare l'autorità del Signore come fa qui, Paolo descrive ulteriormente questo scenario. (Metto in corsivo quei punti che ripete specificamente.) Pertanto in {{passo biblico2|1Corinzi|15}}, dopo aver sostenuto che la risurrezione di Cristo e la (futura) risurrezione dei morti sono collegate intrinsecamente, Paolo continua:
{{q|...E come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, ''alla sua venuta'' ([[w:Seconda venuta|Parusia]], cioè "Seconda Venuta"), ''quelli che sono di Cristo''; poi sarà la Fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la Morte.|{{passo biblico2|1Corinzi|15:22-26}}}}
Paolo continua da questo brano in poi ad intricarsi in varie esortazioni morali. Poi, vari versetti dopo, ritorna su questo tema, descrivendo come apparirà il corpo dei morti resuscitati. "Seminato" nella terra alla maniera di un seme, come corpo fisico o naturale, risorgerà come "corpo spirituale" ({{passo biblico2|1Corinzi|15:42-48}}). Che sia quello che sia, non è di certo in carne e ossa che, dice Paolo, "non può ereditare il Regno di Dio" ({{passo biblico2|1Corinzi|15:50}}). E ancor più dei morti, anche la carne dei vivi sarà parimenti trasformata:
{{q|''Non tutti, certo, moriremo'', ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, ''al suono dell'ultima tromba''; ''suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti'' e noi saremo trasformati.|{{passo biblico2|1Corinzi|15:51-52}}}}
Inoltre, in una lettera successiva, Filippesi, troviamo una descrizione più concisa:
{{q|Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei ''cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria'', mediante il potere che egli ha di ''sottomettere a sé ogni cosa''.|{{passo biblico2|Filippesi|3:20-21}}}}
Dall'insegnamento paolino centrale sull'autorità "del Signore" circa la sequenza e sostanza degli eventi ''finali'', siamo quindi in grado, analizzando brevemente le sue altre lettere, di incrementare la sua descrizione. Scorre pressappoco così: la Fine dei Tempi, che Paolo identifica anche come l'istituzione del Regno di Dio, sarà inaugurato dal ritorno dal cielo del Cristo risorto e glorioso. Egli discenderà al suono di una battaglia celeste per sconfiggere i nemici di Dio: regolamenti, autorità, potenze ed infine la Morte. Parteciperanno anche i seguaci di Cristo, sia vivi che morti. I morti risorgeranno in "carne" speciale, non fisica, per unirsi ai vivi (anche questi parimenti trasformati), cosicché i loro corpi, nel Regno, corrisponderanno a quel corpo glorioso con cui Cristo stesso fu risuscitato dai morti.
Alto punto da sottolineare: secondo Paolo, la [[w:Seconda venuta|Seconda Venuta]] non è infinitamente distante. Egli stesso si aspetta di essere testimone della Parusia. ("noi che viviamo"). Lo sconforto dei Tessalonicesi per la morte di alcuni di loro prima dell'arrivo di Cristo fornisce un'indicazione dell'arco di tempo in ballo: erano infatti sorpresi che queste morti avessere preceduto la Fine, tanto presto si aspettavano l'avvento glorioso di Cristo.
In effetti, la vicinanza della Fine è un tema paolino frequente. Lo ripete spesso e in molti contesti. I Corinzi celibi devono rimanere tali, Paolo raccomanda, "a motivo della imminente avversità" — vale a dire, le tribolazioni prima dell'istituzione del Regno di Dio ({{passo biblico2|1Corinzi|7:26}}. Le tribolazioni ricordano l'"ira" dalla quale il Figlio libera i suoi fedeli, {{passo biblico2|1Tessalonicesi|1:10}} ''supra''). "Il tempo ormai si è fatto breve... la forma attuale di questo mondo passa" ({{passo biblico2|1Corinzi|7:29-31}}). È per ''noi'', Paolo dice alla sua congregazione, che ''è arrivata la fine dei tempi'' ({{passo biblico2|1Corinzi|7:10-11}}). Anche nella sua lettera finale, Romani, Paolo ripete il suo credo con una convinzione inveterata. Fino a che il Figlio non ritorna, "tutta la creazione geme ed è in travaglio" ({{passo biblico2|Romani|8:22}}). Ciononostante, Paolo afferma – forse un decennio dopo la sua corrispondenza con Tessalonica; forse più di due dalla sua adesione al movimento – che "la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino" ({{passo biblico2|Romani|13:11-12}}).
Tuttavia in Tessalonicesi, la sua prima lettera in esistenza, Paolo aveva precisato ciò che aveva appena detto sull'avvento di Cristo:
{{q|Ora, quanto ai tempi e alle stagioni, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva, poiché voi stessi sapete molto bene che ''il giorno del Signore verrà come un ladro di notte''. Quando infatti diranno: "Pace e sicurezza", allora una subitanea rovina cadrà loro addosso, come le doglie di parto alla donna incinta e non scamperanno affatto. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno vi sorprenda come un ladro.|{{passo biblico2|1Tessalonicesi|5:1-4}}}}
Paolo sa che la Fine arriverà presto; ha inoltre un'idea abbastanza chiara della sequenza degli eventi finali. Tuttavia ammonisce che i fedeli non possono sapere l'esatta scadenza in anticipo: come il proverbiale ladro di notte, la Fine arriverà all'improvviso.
Cosa confermano i Vangeli susseguenti di questo insegnamento precedente che, afferma Paolo, risale esso stesso a Gesù? Esaminiamo Marco per primo, la nostra fonte successiva cronologicamente. (''Q'' potrebbe rappresentare tradizioni ancor più antiche ma, poiché appare soltanto in documenti post-marciani – cioè Matteo, Luca e un successivo [[Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Appendice|vangelo non canonico, quello di Tommaso]] – non possiamo saperlo.) Come gli altri tre evangelisti neotestamentari, Marco inizia la sua storia sulla missione pubblica di Gesù con Giovanni il Battista. Immergendo i penitenti – presumibilmente ebrei – che lo raggiungevano presso il fiume Giordano provenendo dalla Giudea e da Gerusalemme, Giovanni immerge anche Gesù, che arriva da Nazareth in Galilea, al nord. Mentre sta uscendo dall'acqua, Gesù sente una voce dal cielo (il tropo indica Dio) che lo proclama "amato Figlio" (cfr. {{passo biblico2|1Tessalonicesi|1:10}}, dove Paolo designa Gesù figlio di Dio). Dopodiché, a seguito dell'arresto di giovanni, Gesù inizia la propria missione in Galilea, proclamando "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete alla buona novella" ({{passo biblico2|Marco|1:15}}) — vale a dire, la buona novella del prossimo arrivo del Regno. Come Paolo, sebbene vent'anni dopo, il Gesù di Marco annuncia la venuta del Regno. A differenza di Paolo, il Gesù di Marco non lo definisce né lo descrive. Dobbioamo continuare a leggere la storia marciana per scoprire quello che egli intenda.<ref>Si veda Sanders, ''The Historical Figure of Jesus'', pp. 196-204.</ref>
Marco ci mette un po' ad arrivare ad una descrizione e spiegazione di ciò che lui (e, nella sua storia, Gesù) intende per regno di Dio. Inizialmente, mediante una mescolanza di descrizioni narrative e materiale didattico, Marco fa semplicemente viaggiare il suo personaggio principale da Cafarnao alle sinagoghe della Galilea, dove esegue esorcismi e guarigioni durante lo Shabbat. Coloro che si trovano nella sinagoga si meravigliano della "nuova dottrina" di Gesù ({{passo biblico2|Marco|1:27}}) ma, di nuovo, Marco non dice cosa sia questa nuova dottrina. I temi del regno di Dio e della filiazione di Gesù sembrano sparire.
Man mano che le guarigioni e gli esorcismi aumentano, l'atmosfera si carica di antagonismo: Scribi e Farisei diventano ostili, e in seguito complottano anche di uccidere Gesù ({{passo biblico2|Marco|3:6}}). Il Gesù marciano non ritorna ancora al tema del regno di Dio fintanto che non inizia ad insegnare con parabole (cioè, storie simboliche), paragonando il Regno al modo in cui crescono i semi ({{passo biblico2|Marco|4:1-34}}). L'immagine evocata da questa storia è del tutto differente dal pubblico dramma cosmico descritto da Paolo. E notiamo un altro strano contrasto con la lettera di Paolo. Paolo aveva parlato liberamente di Gesù come Figlio di Dio. Nella storia di Marco riguardo alla missione di Gesù, stranamente, solo demoni o spiriti immondi affermano tale identità:
{{q|E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, si prostravano davanti a lui e gridavano, dicendo: "Tu sei il Figlio di Dio!".|{{passo biblico2|Marco|3:11}}<ref>Si confrontino anche {{passo biblico2|Marco|5:7}} e {{passo biblico2|Marco|1:24}}, "Il Santo di Dio".</ref>}}
Quando Gesù parla di sé come Figlio, lo fa obliquamente, in terza persona; e si chiama il Figlio dell'Uomo {{passo biblico2|Marco|2:10}}.
Ciononostante, in due momenti molto drammatici della sua storia, Marco presenta Gesù che parla del Regno in un modo alquanto simile a quello di Paolo. Il primo si trova a {{passo biblico2|Marco|8:38-9:1}}. Qui Marco presenta un intenso dialogo con Pietro, durante il quale (e per ragioni del tutto inspiegabili nel testo) Pietro identifica Gesù quale "il Cristo" ({{passo biblico|Marco|8:29}}). Da questa identificazione, Gesù passa subito a dare una predizione particolareggiata della sua Passione, basandosi ancora indirettamente sui termini del Figlio dell'Uomo ({{passo biblico|Marco|8:31}}). Il Gesù di Marco dice:
{{q|"Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, ''quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi''"... E diceva loro: "In verità vi dico: vi sono ''alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza''".|{{passo biblico2|Marco|8:38-9:1}}}}
I versetti in corsivo riportano un contenuto simile a quello di Paolo: il Figlio di Dio arriverà con gli angeli, e arriverà presto – durante l'esistenza della generazione a cui Gesù parla – per stabilire il Regno. Ma quando? Chi lo sa?
In numerosi punti della storia marciana, personaggi differenti – i Farisei in {{passo biblico2|Marco|8:11-13}}; Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea tra i discepoli in {{passo biblico2|Marco|13:3-4}} – chiedono a Gesù un "segno". E in vari punti di questo Vangelo, Gesù si era lamentato della propria generazione: "Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione", evidente rimprovero ad alcuni Farisei ({{passo biblico2|Marco|8:12}}). "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?" ricvolto ad una folla che chiedeva una guarigione ({{passo biblico|Marco|9:19}}; cfr. i peccatori e gli adulteri di cui sopra, {{passo biblico|Marco|8:38}}). Cionondimeno, egli annuncia, alcuni di questa generazione vivranno e vedranno il Regno ({{passo biblico|Marco|9:1}}).
Tuttavia, una volta arrivato a Gerusalemme, prima della Pesach, il Gesù di Marco descrive la sua profezia con più particolari. E collega la venuta del Regno, connessa al tempo della sua propria generazione ({{passo biblico|Marco|13:30}}), ad un segno — un evento pubblica inconfondibile, specifico, empirico: la distruzione del Tempio. Questo è un passo crucialmente importante per capire le aspettative apocalittiche di Marco e della sua comunità post-70, e lo esamineremo nel dettaglio. Lo riporto qui appresso per esteso, mettendo in corsivo quei punti che si conformano a detti temi apocalittici già identificati in Paolo:
{{q|Mentre usciva dal Tempio, un discepolo gli disse: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!". Gesù gli rispose: "Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta". Mentre era seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: "Dicci, quando accadrà questo, e ''quale sarà il segno'' che tutte queste cose staranno per compiersi?". Gesù si mise a dire loro: "Guardate che nessuno v'inganni! Molti verranno in mio nome, dicendo: 'Sono io', e ''inganneranno molti''. E quando sentirete parlare di ''guerre e rumori di guerre'', non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma ''non sarà ancora la Fine''. Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno ''terremoti'' sulla terra e vi saranno ''carestie''. Questo sarà il principio dei dolori.<br/>
"Ma voi badate a voi stessi! ''Vi consegneranno ai sinedri'', sarete ''percossi nelle sinagoghe'', comparirete davanti a governatori e re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro. Ma prima è necessario che ''il vangelo sia proclamato a tutte le genti'' [greco ''ethné''; ebr. ''goyim'']. E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte. ''Voi sarete odiati'' da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.<br/>
"Quando vedrete ''l’abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge capisca'', allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano ai monti; chi si trova sulla terrazza non scenda per entrare a prender qualcosa nella sua casa; chi è nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! Pregate che ciò non accada d'inverno; perché quei giorni saranno una ''tribolazione'', quale non è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino al presente, né mai vi sarà. Se il Signore ''non abbreviasse quei giorni'', nessun uomo si salverebbe. Ma a motivo degli eletti che si è scelto ha abbreviato quei giorni. Allora, dunque, se qualcuno vi dirà: 'Ecco, il Cristo è qui, ecco è là', non ci credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Voi però state attenti! Io vi ho predetto tutto.<br/>
"In quei giorni, dopo quella tribolazione, ''il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio'' dell'Uomo ''venire sulle nubi con grande potenza e gloria''. Ed egli manderà gli ''angeli'' e ''riunirà i suoi eletti'' dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.<br/>
"Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, ''sappiate che egli'' [cioè il Figlio] ''è vicino, alle porte''. In verità vi dico: ''non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno'', ma le mie parole non passeranno.
"Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre. State attenti, vegliate... Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!".|{{passo biblico2|Marco|13}}}}
L'abbondanza di immagini apocalittiche in questo brano richiama l'insegnamento di Paolo e inoltre ci aiuta a collocare queste idee nella più vasta tradizione ebraica — come anche, dimostrerò, nella storia ebraica del primo secolo. Anche Marco identifica le tribolazioni, sia sociali che celestiali, che segnano l'arrivo della Fine. La Fine sta giungendo: il Signore, dice Marco, ha già abbreviato quei giorni (v. 20); il suo arrivo viene predetto nel corso della vita di coloro che ascoltano la predizione (v. 30). E il Figlio ritorna nuovamente sulle nubi, nella gloria, con gli angeli; di nuovo egli raduna tutti coloro che sono i suoi (v. 26).
Ma il discorso di Gesù in Marco è, a differenza di quello paolino, anche consapevolmente letterario. Marco si appella a "chi legge" affinché capiscano l'allusione appena fatta quando annuncia "l’abominio della desolazione". Marco qui si riferisce il pubblico del primo secolo al Libro di Daniele ({{passo biblico|Daniele|13:14}}), un testo profetico ora sia nel canone ebraico che in quello cristiano. Il titolo del libro si riferisce al [[w:Daniele (profeta)|Daniele storico]], un ebreo vissuto durante la cattività giudea a Babilonia nel sesto secolo p.e.v. (viene citato in {{passo biblico2|Esdra|14:14,28:3}}). Tuttavia l'autore di questo libro profetico, che scrive a nome di tale personaggio, in realtà visse secoli più tardi, durante il secondo secolo p.e.v., e descrisse in un linguaggio molto simbolico, gli eventi politici a Gerusalemme negli anni 160. L'uso di pseudonimi era una tecnica comune nel mondo antico: l'antichità presa in prestito con la falsa paternità dello scritto accresceva l'autorità del testo.
Fu durante questo decennio del secondo secolo p.e.v. che la lotta religiosa e culturale tra l'ellenismo cosmopolita e le tradizioni ataviche ebraiche raggiunsero la crisi. Secondo il [[w:Primo libro dei Maccabei|Primo Libro dei Maccabei]], una storia quasi contemporanea, certi ebrei a Gerusalemme desideravano adottare la cultura greca. Spingevano afficnhé si costruisse un ''gymnasium'', centro culturale per lo studio di atletica, letteratura, musica e filosofia; e alcuni si sottoponevano persino a chirurgia per eliminare i segni della circoncisione. (Le attività nel ''gymnasium'' venivano spesso svolte nudi e la circoncisione era considerata una mutilazione dai greci; {{passo biblico2|1Maccabei|1:11-15}}). Tale guerra civile culturale si trasformò presto in vero combattimento quando [[w:Antioco IV|Antioco Epifane]], il governatore seleucida greco di questo frammento di territorio proveniente dalle conquiste di Alessandro Magno, si schierò dalla parte degli ellenisti. Inizialmente supportando la posizione assimilazionista, ma poi obbligandola, Antioco alla fine fece erigere un altare a [[w:Zeus|Zeus Olimpio]] nel Tempio del Dio Altissimo degli ebrei a Gerusalemme. La nazione, guidata dalla famiglia sacerdotale [[w:Asmonei|asmonea]] comandata da [[w:Giuda Maccabeo|Giuda Maccabeo]], si sollevò in aperta rivolta. Scaccarono gli estremisti ellenici e purificarono e riconsacrarono il Tempio, in seguito celebrando il suo rinnovo in una festività annuale. (Questa è la base storica della celebrazione moderna di [[w:Chanukkah|Hannukkah]]; cfr. {{passo biblico2|Giovanni|10:22}}, quando Gesù celebra tale festività a Gerusalemme.)
Tuttavia, l'immagine dell'"abominio della desolazione" fece ingresso nel flusso della tradizione apocalittica ebraica tramite il Libro di Daniele, il cui autore associa la profanazione dell'altare da parte di Antioco con la venuta della Fine dei Giorni. Guerre e desolazione segnano l'introduzione dell'abominio ({{passo biblico2|Daniele|9:27,11:31}}), "e vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato" ({{passo biblico|Daniele|12:1}}). Ma in ultimo Dio vendicherà i giusti, facendoli risorgere dai morti a vita eterna ({{passo biblico|Daniele|12:2}}). Quando avverranno queste cose, chiede il profeta? Il testo risponde: quando le sue parole verranno conosciute. "Ora tu, Daniele, chiudi queste parole [della profezia] e sigilla questo libro, ''fino al tempo della fine'' ({{passo biblico|Daniele|12:4}}). L'atto stesso del leggere, o udire, il Libro di Daniele "attiva" quindi la sua propria profezia.
È questo, quando evoca l'abominio di desolazione, che Marco chiede ai suoi lettori di capire: il segno è stato dato che indica l'inizio della Fine ({{passo biblico2|Marco|13:14}}). Nel testo di Daniele", ciò corrispondeva all'altare di Antioco, eretto più di due secoli prima che Marco scrivesse. Ma cosa significava per Marco?
Qui dobbiamo leggere il brano con attenzione e considerare anche ciò che sappiamo del periodo proprio di Marco, per il quale abbiamo altre fonti: le due storie di Flavio Giuseppe, ''[[w:Guerra giudaica (Flavio Giuseppe)|Guerra giudaica]]'' e ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità giudaiche]]''; il Libro V di ''[[w:Historiae (Tacito)|Historiae]]'' di Tacito; il ''De legatione ad Gaium'' di metà secolo, di [[w:Filone di Alessandria|Filone di Alessandria]]. I decenni tra il tempo di Gesù e quello di Marco avevano visto un aumento di disordini tra Giudea e i dominatori romani, spesso su faccende che riguardavano l'introduzione a Gerusalemme di immagini religiose inaccettabili. La regione e la città furono spesso sfortunate nella scelta di prefetti da parte di Roma — su questo sono d'accordo tutti e tre, Filone, Flavio Giuseppe e Tacito che, fatto interessante, distinguono [[w:Ponzio Pilato|Ponzio Pilato]] (26-36 e.v.) come uno dei peggiori provocatori. Gli ebrei di Gerusalemme spesso avevano protestato, a volte violentemente, con insulti reali o immaginati contro le loro prerogative religiose ancestrali. Man mano che passavano i decenni della diretta supervisione romana, figure religiose carismatiche che presagivano una redenzione imminente avevano radunato grandi folle e, abbattute insieme ai propri seguaci, erano state soppresse brutalmente; folle di pellegrini a Gerusalemme si erano ribellate in sommosse collettive; infine, il Tempio stesso, dopo tre anni di scontri tra impero e ribelli ebrei, fu bruciato, smantellato e totalmente distrutto.
{{Passo biblico2|Marco|13}}, che parla nel linguaggio apocalittico ebraico, sta in cima a questo terreno storico. Gli studiosi in vari modi collegano i personaggi e gli accadimenti che presenta con quelli identificabili nel registro storico. Il pubblico del Vangelo di Marco, appena posteriore al 70, conosceva ciò che i lettori marciani intendevano "profetizzato", presumibilmente verso il 30 e.v.: guerre, rumori di guerre, falsi messia, falsi profeti, turbolenze sociali. E l'immagine apocalittica ''par excellence'', l'abominio di desolazione, risuona precisa con due eventi sicuramente comprovati. Il primo è il fallito tentativo dell'imperatore [[w:Caligola|Caligola]], nel 40-41, di introdurre una statua cultica di se stesso nel Tempio di Gerusalemme — episodio che avrebbe provocato massicce proteste ebraiche. Il secondo fu una conseguenza della vittoria stessa di Tito. L'esercito trionfante a fine assedio avrebbe portato le insegne militari sul Monte del Tempio in rovina. Tali insegne servivano ai soldati come una specie di altare cultico mobile.
Pertanto, il soliloquio di Gesù nel testo marciano riunisce tutti questi eventi religiosamente portentosi in un unico scopo specificamente cristiano: sapere il tempo della Parusia, il ritorno dal cielo di Gesù Cristo quale Figlio dell'Uomo trionfante. "Dicci, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi?" chiedono alcuni apostoli dopo che Gesù predice la distruzione del Tempio. Facendo così, introducono il discorso apocalittico di Gesù. Egli risponde dettagliando ciò che deve avvenire per prima cosa: falsi cristi, guerre, carestie, persecuzione di quelli che gli sono fedeli, e la predicazione del vangelo ai Gentili. (Da notare che questa missione ai Gentili non iniziò se non dopo un po' di tempo dall'esecuzione di Gesù. Marco qui dimostra come le sue predizioni abbiano un doppio lasso di tempo: il pubblico narrativo, la generazione di Gesù, circa 30 e.v.; e i gli attuali lettori di Marco, dopo il 70.)
Dopo questi eventi arriva l'abominio, che il lettore perspicace sa che significa la Fine; dopodiché avviene la completa distruzione del Tempio ("non rimarrà qui pietra su pietra"); poi, dopo questi avvenimenti – poiché il Signora ha già abbreviato i giorni – arriverà la Fine, ed il ritorno del Redentore. Marco, in poche parole, vede il tempo stereoscopicamente. Dalla prospettiva di quelli attorno a Gesù, "alla generazione senza fede e adultera", nessun segno veniva dato. Ma dalla prospettiva della sua propria generazione — una generazione fedele che aveva testimoniato Cristo davanti a sinedri e governatori, che avevano resistito alle attrattive di "falsi cristi e falsi profeti" producendo segni e miracoli e che avevano predicato il vangelo ai Gentili — veniva dato il grande e inconfondibile segno della Seconda Venuta di Cristo: la distruzione del Tempio. La Fine, Marco quindi sapeva, era veramente prossima; e alcuni della generazione di Gesù erano ancora vivi per vederla ({{passo biblico|Marco|13:30}}; cfr. {{passo biblico|Marco|9:1}}).
Ma Marco, come Paolo, alla fine chiude il suo discorso apocalittico con una nota cautelativa: sebbene il tempo sia vicino, non lo si può conoscere con più grande chiarezza. Uno deve rimanere accorto e all'erta: "Vegliate!" ({{passo biblico|Marco|13:33,37}}). Nei due Vangeli successivi che dipendono da lui, Matteo e Luca, questo consiglio viene conservato in un detto-''Q'' che, ancora una volta come Paolo, invoca il proverbiale ladro notturno: "Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse ''in quale ora della notte viene il ladro'', veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa." ({{passo biblico2|Matteo|24:42-43}}//{{passo biblico2|Luca|12:39}}).
Man mano che il tempo si allunga e il corso della Storia continua, questo ritornello apocalittico nelle tradizioni del Regno si quietano nei Vangeli successivi. I detti-''Q'', o altre tradizioni specifiche solo a Matteo o Luca, parlano del Regno in vari modi, alcuni dei quali sottolineano una qualità presente, non apocalittica. E dove i due altri sinottici riproducono sezioni sostanziose dell'Apocalisse marciana, si sentono liberi di alterare o cancellare parti del discorso di Gesù. Una delle alterazioni di Matteo, tuttavia, riproduce un vivido particolare che avevamo riscontrato in Paolo: il suono della tromba celeste. Quando il Figlio dell'Uomo ritorna nella gloria, dice il Gesù di Matteo, egli "manderà i suoi angeli ''con un potente suono di tromba''" ({{passo biblico2|Matteo|24:31}}). E Matteo e Luca ripetono una tradizione-''Q'' che si conforma con la visione di Marco: quando predica ai suoi seguaci, Gesù li istruisce a pregare dicendo "Venga il tuo Regno" ({{passo biblico2|Matteo|6:10}}//{{passo biblico2|Luca|11:2}}, il Padre Nostro).
Tuttavia altri cambiamenti ammorbidiscono l'urgenza di Marco. Mentre nel Vangelo marciano il Signore aveva già abbreviato i giorni verso la Fine, in Matteo la Fine sta nel futuro ("A motivo degli eletti, quei giorni ''saranno'' abbreviati", {{passo biblico2|Matteo|24:22}}) e Luca elimina il passo completamente. In effetti, il Gesù di Luca predica persino specificamente contro il tipo di regno annunciato dal Gesù di Marco, e da Paolo prima di lui. "Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed ''essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi immediatamente''" ({{passo biblico2|Luca|19:11}}); "Guardate di non farvi ingannare; perché ''molti verranno in nome mio, dicendo: 'Il tempo è vicino'. Non andate dietro a loro'' ({{passo biblico2|Luca|21:8}}). Ciò pare strano se visto a confronto con la prima frase di Gesù in Marco: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino!" ({{passo biblico2|Marco|1:15}}). Il Regno, esorta il Gesù di Luca, è una realtà presente, non un evento futuro: "Eccolo, il regno di Dio è in mezzo a voi!" ({{passo biblico2|Luca|17:20}}).
Il Vangelo di Giovanni, altra fonte dei nostri sforzi investigativi, non ci può assistere molto qui. La sua presentazione del carattere e degli insegnamenti di Gesù è del tutto differente da quella dei sinottici, èe la sua teologia altanente caratteristica domina gran parte dei discorsi fatti da Gesù. Il Regno di Dio, tema importante nell'insegnamento dei Vangeli sinottici (in cui la parola o la frase appare un totale di 123 volte), viene scarsamente evidenziata da Giovanni (che la ripete solo 5 volte). E l'escatoligia temporale dei sinottici – "Ora" e "Allora", oppure con l'escatologia speciale di Marco, "Ora" e "Presto" – in Giovanni cede il posto ad un'escatologia morale e metafisica, un'assolutizzazione di opposizioni: Luce e Tenebre, Sopra e Sotto, Mondo Superiore e Mondo Inferiore, "di Dio" e "non di Dio". In questo aspetto dell'insegnamento di Gesù, i punti di contatto di Giovanni sia con Paolo e sia con la tradizione sinottica sono minimi.
Le predizioni di una Fine imminente tendono generalmente in una di due direzioni: o invecchiano sgraziatamente, o gli interpreti si ingegnano a farle stare giovani per sempre. Abbiamo prova di tali tendenze in un altro scritto neotestamentario, la [[w:Seconda lettera di Pietro|Seconda Epistola di Pietro]]. Scritta in greco alla fine del primo secolo o inizio del secondo, questa lettera [[w:psuedoepigrafia|pseudoepigrafica]] riconosce apertamente il ritardo della Parusia e offre una spiegazione della sua tardività:
{{q|Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: "Dov'è la promessa della sua [Cristo] Venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione".... Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.|{{passo biblico2|2Pietro|3:3-9}}}}
Riecheggiando deliberatamente Paolo, le cui lettere erano note a questo autore ({{passo biblico2|2Pietro|3:15-16}}), "Pietro" poi aggiunge: "''Ora il giorno del Signore verrà come un ladro di notte''; in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi si dissolveranno consumati dal calore e la terra e le opere che sono in essa saranno arse" ({{passo biblico2|2Pietro|3:10}}).
"Pietro" in questo modo repudia l'ovvio significato della proclamazione evangelica di una Seconda Venuta sostenendo una veduta alquanto estesa del tempo: ciascuno dei giorni di Dio è uguale a 365000 dei nostri. Ecco perché, egli può spiegare, la Fine era in ritardo: ''sembrava'' solo in ritardo. Il suo contemporaneo cristiano, [[w:Giovanni (evangelista)|Giovanni di Patmos]], al contrario, stimolato forse da un aumento di persecuzioni locali, sosteneva che in base ad eventi correnti le profezie antiche stavano per verificarsi. Creando un insieme di immagini presa da Isaia, Ezechiele, Daniele e varie tradizioni cristiane, egli insisteva che la Fine era proprio in arrivo: "Il tempo è vicino". "Ecco" dice l'angelo rivelatore, che parla a nome del Signore Iddio e dell'Agnello (cioè, Cristo), "Ecco, io vengo presto" ({{passo biblico2|Apocalisse|1:3,22:7}}).
Le profezie apocalittiche cristiane avrebbero continuato una carriera lunga e tumultuosa. Ne abbiamo sentito gli echi entusiastici anche al passaggio dell'anno 2000; li sentiamo ancora con la pandemia del [[w:COVID-19|COVID-19]]. Ma nel canone antico possiamo tracciarne la sua diminuzione "ufficiale" mentre la tradizione stessa perdura e cambia. Nell'ambito del Nuovo Testamento, insieme al gradiente antiapocalittico, vediamo una corrispondenza grossomodo inversa: più tarda è la scrittura, più basso è il suo livello di impegno in un'Apocalisse imminente; prima è la scrittura (cioè, Marco e, prima di lui, Paolo), maggiore l'impegno. Siamo in grado di percorrere questa traiettoria all'indietro nel vuoto documentativo che circonda il Gesù storico? Penso di sì. Tuttavia necessitiamo di più testimonianze prima di presentare il caso.
== ''"Egli apparve a Cefa e quindi ai Dodici": I Dodici'' ==
{{Immagine grande|Ghirlandaio, Domenico - Calling of the Apostles - 1481.jpg|800px|''[[w:Vocazione dei primi apostoli|Vocazione degli apostoli]]'', affresco di [[w:Domenico Ghirlandaio|Domenico Ghirlandaio]], 1481–82}}
Paolo era un contemporaneo dei seguaci originali di Gesù, e nelle sue lettere egli fornisce degli scorci sui suoi rapporti con loro. In Galati, Paolo nomina specificamente [[w:Pietro (apostolo)|Pietro ("Cefa")]], [[w:Giacomo il Giusto|Giacomo (fratello di Gesù)]] e [[w:Giovanni (evangelista)|Giovanni]]: interessante notare che si sono tutti trasferiti dalla loro regione natale, la Galilea, a Gerusalemme — fatto che dovremo esaminare in seguito ({{passo biblico2|Galati|1:18,2:9}}, cfr. {{passo biblico2|Marco|16:7}} e {{passo biblico2|Matteo|28:7-20}}, dove sono visti per ultimo in Galilea). E sebbene in Galati Paolo insista sull'autorevolezza del suo proprio vangelo e quindi evidenzi deliberatamente la sua indipendenza da questo gruppo originale, in 1 Corinzi ne parla in maniera diversa. Invocando precisamente l'autorità della loro testimonianza ed il suo posto nella catena apostolica di trasmissione, Paolo rinforza così i propri insegnamenti sulla risurrezione dei morti e la venuta del Regno:
{{q|Vi ho trasmesso dunque... quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa ''e quindi ai Dodici''. In seguito apparve a più di cinquecento ''fratelli'' in una sola volta... Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli ''apostoli''. Ultimo fra tutti apparve anche a me.|{{passo biblico2|1Corinzi|15:3-7}}}}
Paolo sembra nominare qui tre gruppi distinti: i Dodici, i fratelli, gli apostoli. I "fratelli" potrebbero essere quel gruppo che aveva ricevuto il messaggio di Gesù ma non l'avevano accompagnato nel suo percorso: il nome plurale maschile ''adelphoi'' copre grammaticalmente e quindi attesta socialmente un gruppo misto di donne e uomini. I Vangeli successivi riflettono questo tipo di organizzazione sociale nel gruppo che si formò intorno a Gesù mentre era in vita. Alcuni andarono con lui; altri – tra cui donne residenti nei villaggi – ricevettero e si presero cura degli itineranti. Costoro, quindi, sono forse i "più di cinquecento" fratelli del resoconto paolino.<ref>Sulle tradizioni in merito ai Dodici Apostoli, si veda Sanders, ''Jesus and Judaism'', pp. 98-105; Crossan, ''Revolutionary Biography'', pp. 108-10.</ref>
''Apostoloi'' è la parola greca usata per inviati o messaggeri, e Paolo solitamente si designava così ("Paolo, apostolo di Cristo Gesù"). Questi seguaci di Gesù avrebbero operato viaggiando, diffondendo il messaggio evangelico agli altri dopo la sua morte e anche prima, secondo le storie degli evangelisti.
E poi ci sono "i Dodici". Chi sono? Cosa facevano? I Vangeli forniscono ulteriori dettagli. Marco narra una storia che mette all'inizio della missione di Gesù dopo il suo battesimo e i quaranta giorni di ritiro nel deserto. Di ritorno in Galilea, camminando lungo il [[w:Lago di Tiberiade|Kinneret]] (il grande lago interno riportato nelle storie dei Vangeli come "Mar di Galilea" o "Mar di Tiberiade"), Gesù chiama a sé i suoi primi discepoli. Questi sono i pescatori Simone (cioè, Simon Pietro, il "Cefa" della lettera di Paolo), suo fratello Andrea, e due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni ({{passo biblico2|Marco|1:16-20}}). In seguito questo gruppo si espande in "i Dodici" ({{passo biblico|Marco|3:14}}), che alla fine Gesù incarica di viaggiare in coppia per diffondere la sua propria missione. Questi uomini devono inoltre esorcizzare spiriti immondi, guarire gli infermi, e predicare il pentimento ({{passo biblico|Marco|6:7-13}}). Questi dodici, dice Marco, sono ''apostoloi'' ({{passo biblico|Marco|6:30}}). Se siano identici agli "studenti" o "seguaci" (greco ''mathētai'', lat. ''discipuli'', "discepoli") di Gesù, Marco non lo chiarisce (cfr. {{passo biblico|Marco|6:35}}). Ma quali che siano le peculiarità di queste designazioni, "i Dodici" stessi sono chiaramente un gruppo centrale. Gesù li aveva nominati specificamente ({{passo biblico|Marco|3:14}}). Sono loro che condividono il pasto pasquale finale di Gesù a Gerusalemme con lui, e ai quali egli dà l'insegnamento commemorativo: "questo [pane] è il mio corpo", il vino "il mio sangue dell'alleanza" ({{passo biblico|Marco|14:17-24}}).
Matteo, Luca e Giovanni, tutti riecheggiano queste tradizioni. Anche Matteo cita "Simone, chiamato Pietro", Andrea, Giacomo e Giovanni che comprendono il seguito iniziale di Gesù ({{passo biblico2|Matteo|4:18-22}}); in seguito, egli si riferisce semplicemente ai "Dodici" e ripete la lista marciana dei loro nomi: oltre ai primi quattro, Filippo, Bartolomeo, Tommaso, Matteo, un altro Giacomo ("figlio di Alfeo"), Taddeo, Simone il Cananeo e "Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì" ({{passo biblico2|Matteo|10:1-4}}; cfr. {{passo biblico2|Marco|3:13-19}}). Luca interpreta Marco in maniera differente, escludendo Andrea e spostando la chiamata di Pietro, Giacomo e Giovanni nel mezzo della missione di Gesù in Galilea ({{passo biblico2|Luca|5:5-11}}). Da un più grande numero imprecisato di discepoli Gesù ne designa dodici " ai quali diede il nome di apostoli": questi sono Pietro, ora col fratello Andrea; Giacomo e Giovanni; Filippo, Bartolomeo, Matteo e Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone lo Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota ({{passo biblico2|Luca|6:13-16}}; cfr. {{passo biblico2|Atti|1:13}}): sebbene coincidente, la lista di nomi data da Luca non concorda esattamente con quella di Matteo. Un po' dopo, Gesù nomina altri settanta che devono viaggiare in coppia e li incarica di far guarigioni e predicare ({{passo biblico2|Luca|10:1-12}}). Anche la versione di Giovanni è differente. Andrea, originalmente un discepolo di Giovanni il Battista, decide di seguire Gesù e successivamente porta con sé suo fratello Pietro ({{passo biblico2|Giovanni|1:40-43}}); dopodiché, ritornando in Galilea, Gesù chiama Filippo, che a sua volta chiama Natanaele. Il quarto evangelista non fornisce mai ulteriori dettagli sull'aumento di questo gruppo, sebbene egli si riferisca ai "Dodici" ({{passo biblico2|Giovanni|6:71,20:24}}).
Infine, questi Vangeli susseguenti rappresentano il Cristo post-Risurrezione che incarica il suo gruppo centrale a continuare e persino allargare la sua missione, portando il vangelo alla Diaspora e quindi ai Gentili ("le nazioni") oltre che agli ebrei. Il Gesù di Matteo, quando invia i Dodici fuori della Galilea, '''specificamente limita la loro missione ai soli ebrei''':
{{q|Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino."|{{passo biblico2|Matteo|10:5-7}}<ref>Si veda anche {{passo biblico2|Matteo|15:24}}.</ref>}}
È il Cristo Risorto, che appare loro in Galilea, che cambia questo incarico: "Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli" ({{passo biblico2|Matteo|28:19}}). Marco aveva implicato lo stesso, ma siccome il suo Vangelo finisce con la tomba vuota e non il Cristo Risorto, egli riporta indietro questa nuova missione ambientandola durante la vita di Gesù. Pertanto Gesù durante il suo soliloquio apocalittico a Gerusalemme spiega a Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni che il Tempio sarà distrutto e il Figlio ritornerà solo dopo che il vangelo è stato "proclamato a tutte le genti" ({{passo biblico2|Marco|13:10}}). Anche il Cristo Risorto di Luca, apparendo a Gerusalemme, comanda una missione internazionale, affermando che così è stato profetizzato nelle Scritture ebraiche:
{{q|Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.|{{passo biblico2|Luca|24:46-47}}<ref>Si veda {{passo biblico2|Atti|1:1-8}}.</ref>}}
L'incarico, ancora una volta, vien dato a questo gruppo centrale (v. 33).
In base all'evidenza delle lettere paoline – e quindi nell'ambito di vent'anni dalla morte di Gesù e ben prima che questi Vangeli venissero scritti – già vediamo una vasta rete di comunità cristiane a Damasco, Antioca, altre città dell'Asia Minore, e Roma. I loro membri, alcuni dei quali Paolo nomina a chiusura delle sue lettere, sembrano impegnate energicamente ad operare per diffondere "il vangelo" (per esempio, {{passo biblico2|Romani|16:1-16}}; {{passo biblico2|1Corinzi|16:10-20}}). Alcune di queste comunità sono formate da Gentili, non da ebrei (per es., Tito, {{passo biblico2|Galati|2:3}}), sebbene queste ''ekklēsiaia'' si trovino in città con una notevole popolazione ebrea. Anche Pietro stesso, uno del gruppo originale che apparentemente si era stabilito a Gerusalemme ({{passo biblico2|Galati|1:18}}), si avventurò nella Diaspora di lingua greca, di sicuro fino ad Antioca ({{passo biblico2|Galati|2:11}}), forse persino fino a Corinto ({{passo biblico2|1Corinzi|1:12}}), e oltre — le testimonianze antiche terminano lì. E quali che fossero le radici galilee di questo movimento, esso si era chiaramente ristabilito a Gerusalemme, dirigendo da lì la sua missione ({{passo biblico2|Galati|1:18-2:12}}).
La familiarità di tutti questi dati – che Gesù avesse degli apostoli e un gruppo centrale di dodici; che questi diffondessero la sua missione nel territorio ebraico e in seguito, dopo la sua esecuzione, la portassero nella Diaspora; che la comunità centrale, che comprendeva molti dei suoi seguaci originali, rimanesse a Gerusalemme – non ci deve affievolire la loro importanza storica, e quindi diminuire il nostro obbligo di spiegarli. Essi infatti ci rivelano molto di quanto sia insolito riguardo a questo movimento.
È vero, per esempio, che gli insegnanti nell'antichità, pagani o ebrei, riunivano regolarmente "studenti" o "discepoli". Le scuole di filosofi nel mondo greco-romano si formavano in tale modo, come nel mondo ebraico gli insegnamenti di un rabbino venivano conservati, ripetuti e reinterpretati dai suoi studenti. I Vangeli alkudono ai discepoli dei Farisei, e di Giovanni il Battista. Flavio Giuseppe parla di insegnanti ebrei nel periodo prerabbinico i cui studenti agivano secondo le loro istruzioni. I due che nomina, Giuda e Mattaia, "interpreti impareggiabili delle leggi ancestrali", insegnavano condannando la grande aquila d'oro che Erode il Grande aveva fatto mettere sopra il portale del Tempio: di conseguenza, alcuni dei loro studenti la smantellarono (Erode li giusiziò tutti; ''BJ'' 1.651-5; ''AJ'' 17.149-67).
Tuttavia Gesù sembra avesse incaricato i discipoli di viaggiare con lo scopo preciso di diffondere il suo particolare messaggio. In base ai sinottici, lui ed il suo gruppo centrale dei dodici transitarono per molti dei villaggi della Galilea, a est nella Transgiordania, a nord lungo la costa, a sud attraverso la Samaria, e a Gerusalemme. Secondo Giovanni, Gesù insegnò ripetutamente a Gerusalemme, particolarmente nelle vicinanze e nel Tempio durante le festività di pellegrinaggio. Incarica coloro che aveva autorizzato a diffondere il vangelo proprio come aveva fatto lui, e cioè di eseguire con gli altri ciò che egli stesso aveva eseguito: guarigioni ed esorcismi insieme all'annuncio dell'arrivo del Regno. Gesù però sembra operare a scopi trasversali, mandando i discepoli in viaggio sebbene siano mal preparati per viaggi lunghi. Insegnate gratis, dice loro; e viaggiate assolutamente senza vettovaglie, "poiché il lavoratore merito il proprio cibo" — in altre parole, dipendete per le cibarie da coloro a cui insegnate.. (Anni dopo, nella Diaspora, la missione evidentemente cercava ancora di operare secondo questi termini. Paolo ripete tale insegnamento, su autorità "del Signore", che "ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo" {{passo biblico2|1Corinzi|9:14}}. Sembra che, man mano che la missione si diffondeva e il tempo passava, questa disposizione causasse del risentimento; Paolo sottolinea ai Corinzi che, nonostante questa prerogativa, egli non aveva mai richiesto vitto da loro, v. 15).
{{q|'''Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; ''rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele'''''. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento.<br/>
In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.<br/>
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.<br/>
Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo.<br/>
Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari!</br/>
Non li temete dunque, poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.<br/>
Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; ànon abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!<br/>
Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.<br/>
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.<br/>
Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.<br/>
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa.|{{passo biblico2|Matteo|10:5-45}}<ref>Si veda anche {{passo biblico2|Luca|9:1-6}}. Solo in seguito, verso la fine dei rispettivi Vangeli, il mandato di Gesù verrà modificato (forzatamente), rivolgendolo anche ai Gentili. Cfr. sotto.</ref>}}
Dobbiamo spiegare questa combinazione di ''etiquette'' missionaria non pratica e relativa itineranza di principio.
Facciamolo, paradossalmente, considerando in primo luogo altri aspetti stabiliti più fermamente del primo movimento cristiano — per esempio, il fatto che il primo movimento dopo la morte di Gesù si sparse dall'Israele territoriale alla Diaspora, includendo anche i Gentili. Di certo, a metà secolo, si era acceso un dibattito tra membri del movimento in merito ai termini secondo cui i Gentili potevano accedere – questo è l'argomento principale della lettera di Paolo ai Galati – ma evidentemente nessuno negava che essi potessero e dovessero essere inclusi. Durante la vita di Gesù, i Gentili figuravano pochissimo nella sua missione: e allora, come e perché così presto dopo la sua morte il movimento di Gesù arriva a considerare l'inclusione dei Gentili una sua estensione naturale?
Altra questione: il movimento, quasi subito dopo la morte di Gesù, si stanziò a Gerusalemme. Perché? Se il messaggio di Gesù si era adattato essenzialmente alle peculiarità della società galilea – se egli parlò rivolgendosi all'opprimente povertà rurale, alla riforma agraria e alla condivisione basilare, o al programma sociale di egalitarismo radicale; o se insegnò un'etica di compassione messa in contrasto alle distinzioni di purezza che regolavano l'accesso al Tempio e persino alla tavola, some sostengono recentemente alcuni studiosi – allora il suo ricollocamento è del tutto impossibile da spiegare. Perché Gerusalemme, se i contadini si trovano in Galilea? Perché Gerusalemme, dove il prestigio, l'antichità e la centralità del Tempio avrebbero ostacolato l'opposizione di principio alla purezza che alcuni studiosi vedono nel messaggio di Gesù?
E, infine, c'è lo strano fatto che questa prima testimonianza – Paolo e Marco apertamente; Matteo e Luca più cautamente – proclama e afferma che il Regno sta arrivando, anche se il tempo passa. Com'è possibile? Perché Paolo, anni dopo che i Tessalonicesi si erano già allarmati per il ritardo del Regno, asserisce di essere ancor più fiducioso "di quando credemmo" che era in arrivo ({{passo biblico2|Romani|13:11}})? Perché Marco, vent'anni ancor più tardi, asserisce la stessa cosa? Perché ancheMatteo e Luca, nonostante la loro prospettiva si allungasse, ripetono entrambi l'affermazione marciana di Gesù: "In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute" ({{passo biblico2|Marco|13:30}}//{{passo biblico2|Matteo|24:34}}//{{passo biblico2|Luca|21:32}})? Coloro che sostengono che Gesù stesso fosse non-apocalittico o finanche antiapocalittico, spiegano queste fasi successive come un travisamento del suo insegnamento. Ma allora dobbiamo chiederci: perché la tradizione successiva ripete ciò che è stato già provato non essere vero? Perché inventare una tradizione che sarebbe già considerata imbarazzante?
Ricapitoliamo: sappiamo che Gesù aveva un nucleo interno di seguaci; in Galati, Paolo nomina alcuni di "coloro che erano apostoli prima di me"; in 1 Corinzi parla specificamente dei "Dodici". Dopo la Crocifissione, questa gente viaggiò per diffondere il vangelo anche nella Diaspora, dove accettarono anche i Gentili (lettere di Paolo; Atti; Tacito; Flavio Giuseppe). Il movimento si trasferì a Gerusalemme (Paolo; Atti), dove rimase perlomeno fino agli anni che precedettero la rivolta. E fonti scritte molto dopo la vita di Gesù continuarono ad attribuirgli un insegnamento che il Regno di Dio era vicino.
Tutti questi fatti possono essere messi insieme sotto l'ombrello delle aspettative apocalittiche ebraiche. Una corrente nell'ambito del pensiero apocalittico ebraico tradizionale anticipava che i Gentili si sarebbero convertiti al Dio di Israele in uno degli eventi alla Fine dei Giorni.<ref>Esamineremo le fonti di questa tradizione nei particolari più avanti in questo Capitolo.</ref> Tali tradizioni riportavano regolarmente Gerusalemme quale centro del Regno. La Redenzione di Dio irradia da Sion; gli esiliati di Israele e i nuovi devoti Gentili vengono a Gerusalemme, per adorare presso la Casa di Dio. E Israele redento avrebbe incluso ben più di quegli ebrei che vivevano nella Diaspora. Avrebbe inoltre incluso coloro che, secoli prima, erano andati persi: non solo le due tribù, Giuda e Beniamino, che erano sopravvissute alla Cattività Babilonese nel sesto secolo p.e.v., ma anche le [[w:Dieci tribù perdute d'Israele|dieci tribù perdute del Regno di Israele]] che erano state ingurgitate dall'Assiria dopo il 722 p.e.v.
Tali temi appaiono in modo vario in differenti scritti intertestamentari, ma si possono ritrovare tutti nella fonte autorevole classica di cui i loro autori, Paolo e gli evangelisti, si servirono: il profeta Isaia. Alla Fine, il profeta prevede, la montagna della Casa di Dio si alzerà come la più alta e vi raccoglierà tutte le nazioni (ebr. ''goyim'') ad adorare il Dio di Giacobbe ({{passo biblico2|Isaia|2:2-4}}). E Dio farà un miracolo ancor più grande: {{q|Si formerà una strada per il resto del suo popolo che sarà superstite dall'Assiria, come ce ne fu una per Israele quando uscì dal paese d'Egitto... In quel giorno il Signore stenderà di nuovo la mano per riscattare il resto del suo popolo superstite dall'Assiria e dall'Egitto, da Patròs, dall'Etiopia e dall'Elam, da Sènnaar e da Amat e dalle isole del mare. Egli alzerà un vessillo per le nazioni e raccoglierà gli espulsi di Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra.|{{passo biblico2|Isaia|11:11-16}}}}
Alla Fine, Dio restituirà a Israele la Terra — ''tutto'' Israele. Tutte e [[w:Dodici tribù di Israele|dodici le tribù]].
Inoltre, in questo periodo "un germoglio spunterà dal tronco di Iesse" (v. 1). Dio nominerà un figlio del casato di Davide quale re escatologico. Tale re davidico presiederà non solo sulle dodici tribù del ripristinato Israele, ma anche sulle nazioni: "In quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa" (v. 10). Alla Fine, Dio darà una festa per tutti i popoli; tutto il genere umano si radunerà nel Tempio, nella città, Gerusalemme ({{passo biblico2|Isaia|25:6}} e ''passim''):
{{q|Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.|{{passo biblico2|Isaia|25:6}}}}
Come ci assiste un esame della tradizione apocalittica ebraica a valutare tali dati? Rende visibili sia l'importanza interna della missione ai Gentili nel primo movimento cristiano, specialmente man mano che il tempo passava, e la logica interna di questo movimento (apparentemente galileo) nel ristabilirsi permanentemente a Gerusalemme. Per gli apostoli ebrei aveva senso il fatto che i Gentili passassero dagli idoli a Dio, poiché tale evento era uno di quelli predetti nella tradizione apocalittica della Fine. Quale che fosse il trauma sociale ultimo che questi aderenti Gentili infine provocarono, il fatto basilare della loro alleanza al movimento confermava il messaggio del movimento stesso: che il Regno era veramente vicino. Ecco perché, anche decenni dopo che Gesù l'aveva pronunciata, sia Paolo sia, in seguito, Marco poterono ripetere la sua profezia con convinzione.
Conferma tra l'altro quella che altrimenti sarebbe sembrata una strana scelta di quartier generale: Gerusalemme. Se la chiesa doveva scegliere di trasferirsi, perché non andare in un posto più ragionevole (specialmente in considerazione della sua vigorosa penetrazione della Diaspora) con un facile accesso ai viaggi marittimi, come Cesarea? Perché non rimanere addirittura in Galilea, vicino alle importanti rotte terrestri? Perché Gerusalemme? Perché Gerusalemme sta nel cuore di questo antico mito redentore: "Da Gerusalemme uscirà la parola del Signore" ({{passo biblico2|Isaia|2:3}}).
Cosa succede allora alle tradizioni neotestamentarie sui "Dodici"? Se non fosse per la testimonianza di Paolo, saremmo tentati di mettere in dubbio l'effettiva esistenza del gruppo. Dopotutto, la lista dei loro nomi varia da Vangelo a Vangelo, il che indica informazioni incerte. E il concetto stesso è troppo convenientemente metaforico: visto che la tradizione cristiana alla fine si considererà il Nuovo Israele, questi uomini potrebbero semplicemente essere simboli delle "nuove dodici tribù" della chiesa.
Tuttavia, considerati in altro modo, questi slittamenti nella tradizione potrebbero in effetti sostenere la sua autenticità. Per esempio, anche se tutte e quattro le narrazioni evangeliche, alla luce del tradimento di Giuda Iscariota, abbassano il numero totale del gruppo centrale da dodici a undici ''prima'' della morte di Gesù, lo stesso numero "dodici" rimane sempre la pietra di paragone simbolica. Pertanto Matteo di un momento post-Risurrezione (quindi, logicamente, dopo il tradimento) quando i "Dodici" giocheranno un ruolo essenziale nel Regno a venire: "Voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'Uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele" ({{passo biblico2|Matteo|19:28}}). Anche Paolo, come abbiamo visto, parla dei Dodici quale gruppo post-Risurrezione.<ref>Alcuni scribi antichi, consci di tale problema, "corressero" {{passo biblico2|1Corinzi|15:5}} riportando "gli undici".</ref> Che si insista sul numero dodici nonostante la difficoltà di mantenerlo potrebbe star a significare la consistenza della prima tradizione. Alla luce del tradimento, il numero dodici dovrebbe risalire a prima della Crocifissione: se è così, allora forse a Gesù stesso.
A che scopo? Qui dobbiamo recuperare uno dei nostri fatti osservabili, che la tradizione successiva continua ad attribuire a Gesù una profezia già disconfermata; e una delle nostre congetture interpretative, che gran parte delle nostre sparse testimonianze possono essere messe insieme coerentemente riferendole alla più vasta tradizione apocalittica ebraica.
Esaminiamo prima le testimonianze neotestamentarie. Spostandoci indietro lunga la traiettoria dagli ultimi testi ai primi testi, fino a Gesù stesso, possiamo ipotizzare un gradiente di crescente intensità apocalittica. Matteo e Luca fanno proclamare a Gesù l'arrivo del Regno, sebbene entrambi definiscano "regno" in modi sia nonapocalittici sia apocalittici, e collegano il Regno alla gloriosa Seconda Venuta di Gesù. In questo essi seguono Marco, il cui Gesù proclamava l'arrivo del Regno concepito apocalitticamente: cioè, il Regno era un evento che sarebbe accaduto o una fase che sarebbe arrivata, non uno stato che in qualche modo esisteva in concomitanza con la realtà normale. Questo Regno sarebbe arrivato entro il periodo della generazione di Marco, ai margini della vita di Gesù. E sarebbe iniziato col ritorno del Figlio trionfante.
Il tono marciano di immediatezza fiduciosa corrisponde a quello di Paolo, una generazione precedente. Anche Paolo aveva proclamato il ritorno imminente del Figlio, la risurrezione dei morti, e l'istituzione del Regno nell'ambito della ''sua propria'' vita. Paolo dice di aver ereditato questa tradizione: l'afferma come "la parola del Signore" ({{passo biblico2|1Tessalonicesi|4:15}}, il passo è riportato per intero ''supra'', Sez. 1.1). Non potrebbe una qualche versione di questo insegnamento risalire, attraverso coloro che erano apostoli prima di Paolo, all'insegnamento di Gesù stesso? È pur vero che l'apparizione messianica, trionfante, di Gesù quale Figlio rivendicato e militante, è più facilmente coerente con gli sviluppi post-Crocifissione. Compensa la delusione per la crocifissione di Gesù e si pone chiaramente come un abbellimento specificamente cristiano sulle precedenti tradizioni ebraiche del Messia e del Regno.
Tuttavia il Regno stesso, la credenza che stesse arrivando, che si sarebbe manifestato particolarmente a Gerusalemme, che avrebbe incluso la ripristinata nazione di israele come anche quei Gentili che avevano rinunciato all'idolatria — tutte queste credenze precedono la morte di Gesù di parecchi secoli e si ritrovano in modo vario in altri scritti ebraici all'incirca contemporanei a lui (alcuni [[w:Pseudoepigrafia|scritti pseudoepigrafi]]; i Manoscritti del Mar Morto). Predirre il proprio Secondo Avvento potrebbe essere storicamente non plausibile, mentre predicare la buona novella dell'arrivo del Regno di Dio sarebbe del tutto plausibile.
Ecco quindi la nostra conferma storica delle tradizioni che riguardano i Dodici. Simbolicamente il numero richiama il ''plenum'' di Israele. Al tempo di Gesù, dieci di quelle dodici tribù avevano cessato di esistere da parecchio. Se tuttavia Gesù in effetti incaricò un gruppo centrale di dodici discepoli affidando loro la diffusione della buona novella dell'prossimo arrivo del Regno di Dio, allora anche lui stava pensando simbolicamente. Se li mandò in viaggio deliberatamente, consapevolmente impreparati ad affrontare lunghi tragitti, allora forse ciò dà un'idea delle sue aspettative: il Regno stava arrivando presto; la loro impreparazione rappresentava la loro convinzione.
E se Gesù insegnò veramente che alla fine dei tempi questi dodici avrebbero giudicato le dodici tribù, allora egli stava pensando in maniera escatologica. A riunire le dodici tribù tanti secoli dopo la conquista assira ci sarebbe voluto un miracolo. Ma questo è ciò che Gesù si aspettava.
== ''"Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore": Etica e la Fine'' ==
Non molto delle rispettive rappresentazioni di Gesù si accavalla tra le lettere di Paolo e i Vangeli. Se avessimo solo le Epistole, non sapremmo granché di Gesù nazareno: non sapremmo né dove né a chi insegnò, ben poco sulle sue attività ed insegnamenti, ancor di meno sulle circostanze della sua morte — proprio quelle informazioni di cui invece si preoccupano di fornire gli evangelisti. Il forte impegno di Paolo si concentrava non sul passato ma sul futuro prossimo; il suo vangelo proclama la venuta o il ritorno di Cristo, la cui Risurrezione segnalava la redenzione imminente e la trasformazione del mondo ({{passo biblico2|Romani|8:19}} e segg.).
È quindi con una certa sorpresa che vediamo riflesse in Paolo e Marco versioni virtualmente identiche di un insegnamento etico che entrambi attribuiscono al Gesù storico. Nella sua lettera alla comunità gentile di Corinto, esponendo una lunga esortazione sul comportamento morale, Paolo alla fine si concentra sulle "cose di cui voi [cioè la comunità] mi avete scritto", specificamente sulla disciplina sessuale. Paolo innanzitutto consiglia un'astinenza sessuale periodica e moderata nell'ambito del matrimonio.(La sua congregazione, più assolutista, aveva forse chiesto di più?) La coppia sposata ha mutui diritti coniugali, e un'astinenza estrema poteva dar adito a tentazioni sessuali:
{{q|Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l'uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell'incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.<br/>
Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.<br/>
Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.<br/>
Agli sposati poi ordino, ''non io, ma il Signore'': la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non ripudi la moglie.|{{passo biblico2|1Corinzi|7:1-11}}}}
Circa vent'anni dopo, Marco inserisce una versione più lunga di questo stesso insegnamento in una storia in merito alla missione di Gesù:
{{q|Poi, partendo di là [cioè, da Cafarnao in Galilea] si recò nel territorio della Giudea lungo il Giordano, e di nuovo le folle si radunarono intorno a lui; ed egli nuovamente, come al solito, le ammaestrava. E i farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: "È lecito al marito ripudiare la moglie?". Ed egli, rispondendo, disse loro: "Che cosa vi ha comandato Mosè?". Essi dissero: "Mosè ha permesso di scrivere un atto di divorzio e di ripudiare la moglie". E Gesù, rispondendo, disse loro: "Fu a causa della durezza del vostro cuore che egli scrisse questa disposizione; ma al principio della creazione, Dio li fece maschio e femmina. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie; e i due diverranno una stessa carne [Gen. 1:27,2:24]; così non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito!". E in casa i suoi discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Allora egli disse loro: "Chiunque manda via la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei. Similmente, se la moglie lascia il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio.|{{passo biblico2|Marco|10:1-12}}}}
Il messaggio è lo stesso in entrambe le fonti: niente divorzio, punto e basta.
Luca in seguito ripeté la versione di Marco sulle istruzioni di Gesù, sebbene spostasse leggermente l'enfasi: "Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio" ({{passo biblico2|Luca|16:18}}). Forse quest'ultima frase è una versione-''Q'', perché Matteo a sua volta altera il significato e la frase di Marco nello stesso modo. Matteo ripete questo insegnamento due volte, in due ambientazioni diverse: il [[w:Discorso della Montagna|Sermone della Montagna]], in Galilea; e la sua ricapitolazione dell'intera scena marciana, durante la missione in Giudea. Entrambe le volte, egli aggiunge un'importante modifica: "Io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, ''eccetto in caso di fornicazione'' (gr. ''porneia''), la fa essere adultera; e chiunque sposa una donna ripudiata, commette adulterio" ({{passo biblico2|Matteo|5:31-32}}); "!o vi dico che chiunque ripudia la propria moglie, ''eccetto in caso di fornicazione'', e ne sposa un'altra, commette adulterio" ({{passo biblico2|Matteo|19:9}}).
La versione più severa di questa proibizione è sicuramente la prima: solo Matteo tra queste quattro fonti permette l'eccezione. Tuttavia la sua estensione narrativa di questa storia – una tradizione-''M'', unità unica per questo Vangelo – porta una nota che ci riconduce ad un tema paolino centrale. In questo passo il Gesù di Matteo procede ad affermare il celibato in preparazione all'arrivo del Regno:
{{q|I suoi discepoli gli dissero: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla moglie, non conviene sposarsi". Ma egli disse loro: "Non tutti sono capaci di accettare questo parlare, ma è per coloro ai quali è stato dato. Poiché vi sono degli eunuchi, che sono nati così dal grembo della madre; vi sono degli eunuchi che sono stati fatti eunuchi dagli uomini, e vi sono ''eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi per il regno dei cieli''. Chi è in grado di accettarlo, lo accetti".|{{passo biblico2|Matteo|19:10-12}}}}
Questo brano avrebbe avuto un effetto lungo e scandaloso sul cristianesimo greco-romano quando alcuni uomini, presi dalla loro entusiasta dedizione alla sua etica di perfezionismo morale, si fecero castrare volontariamente. [[w:Giustino (filosofo)|Giustino Martire]] nella sua ''Apologia'' (ca. 150) riporta con approvazione la storia di un giovane che fece una petizione al governatore per avere il permesso di castrarsi. Un secolo dopo, la grande reputazione di castità di [[w:Origene|Origene di Alessandria]] fu alquanto diminuita da voci che affermavano egli avesse interpretato letteralmente tale ingiunzione data da Matteo. In contesto, comunque, questo insegnamento sembra riferirsi non tanto alle procedure chirurgiche ma ad una decisione etica: la rinuncia volontaria all'attività sessuale era indice di dedizione al Regno.
In {{passo biblico2|1Corinzi|7}}, Paolo continua in questa vena. Nei versetti 12-16, tratta della questione dei matrimoni "misti" — cioè, matrimoni tra Gentili cristiani che come parte di questo movimento hanno almeno in linea di principio abbandonato le pratiche religiose native e adorano soltanto il Dio dio Israele (cfr. {{passo biblico2|1Corinzi|5:11}}), e i Gentili pagani che adorano ancora gli dei tradizionali. Questa è una circostanza specifica alla missione della Diaspora, e l'osservazione preliminare di Paolo – "agli altri dico io, non il Signore" – nomina solo se stesso come autorità. Coloro che si ritrovano in matrimoni misti devono rimanerci, proprio come in generale "ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato" (v. 20). Ma chiaramente Paolo ripete – questa volta dall'esempio di uomini celibi rispetto alle loro "vergini" – la condizione preferibile è quella del celibato. Ciò che è veramente importante è concentrarsi sull'imminente redenzione in Cristo:
{{q|Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l'uomo, ''a causa della presente necessità, di rimanere così''. Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele. ''Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve... perché passa la scena di questo mondo!''|{{passo biblico2|1Corinzi|7:25-31}}}}
Vediamo la stessa combinazione di austerità sessuale e impegno morale alla preparazione di fronte alla prossima redenzione in un'altra antica comunità ebraica di mentalità apocalittica: gli [[w:Esseni|Esseni]]. Gli scrittori del primo secolo [[w:Plinio il Vecchio|Plinio il Vecchio]], Filone e Flavio Giuseppe commentano tutti sull'usanza del celibato da parte di questa comunità, e tale comportamento sembra andare d'accordo con altri aspetti della loro etica perfezionista. Non consentivano inoltre la proprietà privata, dato che tenevano tutte le cose in comune; condividevano i pasti collettivi; per devozione rifiutavano di far giuramenti — l'uomo non doveva aver bisogno di appellarsi a Dio per dar credito alla propria parola. Alcuni Esseni, cita Flavio Giuseppe (e questo è stato confermato dal ''[[w:Documento di Damasco|Documento di Damasco]]'', uno dei codici di comportamento comunitario rinvenuti a Qumran) si sposavano e avevano figli. Tale realtà sociale presentava un'altra opportunità in cui i loro insegnamenti assomigliavano a quelli di Gesù: anche gli Esseni erano assolutisti sulla questione di proibire il divorzio.
Gli Esseni, nella prospettiva di questi tre estranei, sembrano un a sorta di scuola filosofica, che è proprio la parola – ''haerisis'' – che Flavio Giuseppe usa nel suo testo greco (''Vita'' 2). Tuttavia, la biblioteca della comunità, rimasta sepolta per lungo tempo, fornisce una veduta più chiara di come gli Esseni si considerassero: il vero Israele, istruito in modo univoco dalla loro guida, il Maestro di Giustizia, a comprendere il significato della rivelazione di Dio. "Figli della Luce", essi vissero negli ultimi giorni, al limite del tempo prima che Dio redimesse il suo popolo; e tutto il loro modo di vivere fu dedicato a prepararsi per l'arrivo del Regno di Dio.
Non si può, né si deve, trarre connessioni troppo dirette tra i Manoscritti del Mar Morto e i primi scritti cristiani, o tra le due comunità che essi presentano. I Manoscritti sono la ricca letteratura di settari sacerdotali giudei altamente istruiti, separatisti, e in gran parte di lingua ebraica e aramaica. Molta della loro produzione letteraria fu per uso interno. La loro biblioteca era vasta in numero e scopo: ci ha fornito, in tutto o in parte, gli antichi manoscritti ebraici praticamente di ogni libro della Bibbia ebraica, come anche i relativi commentari. Tale biblioteca attesta la profonda cultura e erudizione di questa setta, nonché lo sviluppo intensivo della ''[[w:Halakhah|Halakhah]]'' della purezza che vediamo nei commentari, riportato alle sue specifiche origini sacerdotali.
Il movimento attorno a Gesù, in contrasto, era laico e non sacerdotale, sia durante la sua vita che dopo. (Ciò spiega probabilmente la sua indifferenza all'intensificazione delle regole di purezza: si veda in seguito.) Né fu, nelle sue origini, tradizionalmente erudito in un qualche senso importante (sebbene nelle lettere di Paolo notiamo sia la sua educazione farisaica riguardo alle Scritture, sia la sua erudizione culturale greca). La sua letteratura – da quando iniziamo a notarne una, apparentemente dopo il 70 (Paolo scrisse lettere e non trattati) – era leggera in confronto ai Manoscritti: semplice e mobile, esclusivamente greca, missionaria di intenti ed effetti, fatta per la strada, da viaggio.
Ancor più sorprendente è, quindi, la sensibilità condivisa da Esseni ed primi cristiani per le loro rispettive tradizioni etiche. Entrambi proibivano il divorzio, entrambe repudiavano il fare giuramenti ({{passo biblico2|Matteo|5:33-37}}), entrambi promuovevano l'ideale del celibato (visto, da parte cristiana, in Paolo e in Matteo, succitati; e nelle rappresentazioni narrative congiunte di Gesù stesso quale maschio adulto celibe), entrambi idealizzarono la rinuncia alla proprietà personale dei membri della comunità ("Va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi", {{passo biblico2|Marco|10:21}} e parall.). Ed entrambi i gruppi – gli Esseni quando ancora esisteva; i cristiani dopo che fu distrutto – ebbero rapporti complicati e critici col Tempio.
[[File:The War Scroll - Dead Sea Scroll.jpg|300px|right|thumb|[[:en:w:War of the Sons of Light Against the Sons of Darkness|''La Regola della Guerra'']] dai [[w:Manoscritti del Mar Morto|''Manoscritti del Mar Morto'']]]]
Inoltre, un quadro generale di convinzione apocalittica unisce entrambi. Nei testi specificamente apocalittici della comunità di Qumran come la [[:en:w:War of the Sons of Light Against the Sons of Darkness|''Regola della Guerra'']] e la ''Regola Messianica'', constatiamo variazioni sui temi della battaglia finale, degli eserciti angelici, della sconfitta di Satana e della venuta di vari figure messianiche — un messia sacerdotale (cfr. l'immagine di Gesù nella [[w:Lettera agli Ebrei|Lettera agli Ebrei]]), un messia davidico guerriero (cfr. le descrizioni neotestamentarie delle attività del Figlio nella Parusia dei Vangeli e di Paolo), un messia-profeta. Questi ultimi naturalmente riecheggiano in particolare nell'ambito della tradizione primitiva cristiana. ''Mashiach'' — ''christos'' in greco — viene attribuito così presto e così insistentemente a Gesù da divenire non tanto un titolo quanto semplicemente il suo nome: Gesù Cristo, e non Gesù ''il'' Cristo.
Pertanto, da questo promontorio apocalittico nell'ebraismo del I secolo possiamo osservare e valutare quelle tradizioni etiche attribuite a Gesù nel materiale evangelico e rispecchiato anche da Paolo. Nei passi didattici dei Vangeli appaiono svariati temi rilevanti. Gesù è attratto specialmente dai poveri, la cui stessa povertà li arricchisce spiritualmente ({{passo biblico2|Matteo|5:3-12}}; cfr. {{passo biblico2|Luca|6:20-23}}); in effetti, come abbiamo appena visto, egli incarica i suoi seguaci di prendersi cura dei poveri, raccomandando inoltre una povertà volontaria. Gesù pone l'appartenenza al suo gruppo, coi relativi obblighi, al di sopra dei normali vincoli della famiglia e della proprietà (molti riferimenti: {{passo biblico2|Matteo|8:21}}//{{passo biblico2|Luca|9:59}}//{{passo biblico2|Marco|13:12}} e parall.; {{passo biblico2|Matteo|10:34-39}}//{{passo biblico2|Luca|12:51-53;14:26-27}}; cfr. {{passo biblico2|Marco|3:31-35}} e parall., in cui Gesù ripudia la sua stessa famiglia). Il male deve essere affrontato senza resistenza; il nemico amato piuttosto che odiato ({{passo biblico2|Matteo|5:38-6:4}}//{{passo biblico2|Luca|6:27-36}}). Tuttavia, insieme a quest'etica di perfezionismo c'è anche un messaggio di clemenza divina. I peccatori non devono aver paura di essere esclusi dal Regno: in verità, i più famigerati tra loro, i pubblicani (noti per la loro corruzione e soprusi fiscali) e le prostitute, se seguivano Gesù, averbbero preceduto persino i sacerdoti nel Regno di Dio ({{passo biblico2|Matteo|21:31}}). E secondo le rappresentazioni evangeliche, Gesù non dimostrò la sua autorità nell'insegnamento mediante un'erudizione tradizionale o una competenza testuale. In tal modo egli "stupì" i suoi ascoltatori, perché insegnò "come uno che ha autorità" (vale a dire, per sua propria autorità), "e non come gli scribi" (che tipicamente avrebbero presentato le loro interpretazioni appellandosi ad insegnanti o testi autorevoli: "Rabbi X disse a nome di Rabbi Y...") {{passo biblico2|Marco|1:22}} e paralleli.
Quanto di tutte queste istruzioni etiche nel Nuovo Testamento può risalire al primissimo movimento? Un bel po', direi. La testimonianza di Paolo, indipendente e convergente su questo tardo materiale evangelico, implica una fonte comune: la tradizione cristiana primitiva, e quindi forse Gesù stesso. Paolo ripete, come abbiamo visto, insegnamenti specifici su questioni del tipo divorzio, celibato, e la subordinazione delle normali relazioni familiari alle preparazioni per la redenzione in arrivo. I persecutori, similmente Paolo esorta, devono essere benedetti, la vendetta evitata, l'ingiustizia tollerata, le tasse alle autorità governanti pagate ({{passo biblico2|Romani|12:9-13:14}}; cfr. {{passo biblico2|1Corinzi|6:7}}; sull'ultimo punto – le tasse – si veda anche {{passo biblico2|Marco|12:14-17}} e paralleli: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare"). Ed i poveri di Gerusalemme sono responsabilità speciale delle sue comunità gentili, che per questo devono dare offerte con liberalità per il loro supporto ({{passo biblico2|1Corinzi|16:1-3}}; {{passo biblico2|2Corinzi|9}}; {{passo biblico2|Galati|2:10}}; {{passo biblico2|Romani|15:25-29}}).
Altri ebrei palestinesi del primo secolo, come sappiamo dai Manoscritti del Mar Morto, pensavano similmente su queste materie. E come succedeva per costoro, quindi, così succedeva per Gesù: la fervente convinzione che la redenzione stava per arrivare servì quale incentivo per intensificare ed estendere gli insegnamenti della Torah. La setta del Mar Morto, come ci si dovrebbe aspettare da un gruppo sacerdotale, estese e intensificò specialmente le regole della purezza. Anche Gesù, a giudicare da alcuni passi sinottici e dal materiale-''Q'' che sopravvive nel Sermone della Montagna, estese e intensificò i comandi della Torah. Ma – come dobbiamo aspettarci dal leader laico di un movimento laico – egli si concentrò su quelli dati a tutto Israele, i Dieci Comandamenti, puntando specialmente sui loro aspetti morali. Pertanto, la Torah condanna l'omicidio: Gesù condanna persino l'ira ({{passo biblico2|Esodo|20:13}}; {{passo biblico2|Deuteronomio|5:17}}; {{passo biblico2|Matteo|5:22}}). La Torah condanna l'adulterio: Gesù persino il sentimento di lussuria ({{passo biblico2|Esodo|20:14}}; {{passo biblico2|Deuteronomio|5:18}}; {{passo biblico2|Matteo|5:28}}). La Torah condanna lo spergiuro, usare il nome di Dio invano: Gesù lo stesso giurare ({{passo biblico2|Esodo|20:7}}; {{passo biblico2|Levitico|19:12}}; {{passo biblico2|Matteo|5:34}}). E quando uno scriba chiede "Qual è il primo di tutti i comandamenti?" Gesù risponde facendo riferimento a quei comandi rivolti a tutto il popolo: Deuteronomio (la prima riga dello ''[[w:Shemà|Shema]]'') e Levitico:
{{q|Il primo è: "Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". E il secondo è questo: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". Non c'è altro comandamento più importante di questi.|{{passo biblico2|Marco|12:28-31}}<ref>e paralleli.</ref>}}
Qui dobbiamo fermarci un attimo a considerare ciò che l'insegnamento etico di Gesù può dirci più in generale del suo atteggiamento verso la Legge. Si deve evidenziare che il suo insegnamento nel Sermone della Montagna non viene presentato come un'alternativa alla Torah, nonostante la retorica di Matteo (nell'uso di frasi d'apertura, tipo : "Voi avete udito che... ma io vi dico..."), e questo vien detto chiaramente da Gesù stesso:
{{q|Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto.|{{passo biblico2|Matteo|5:17-18}}}}
Gesù qui fa ciò che rabbini successivi descriveranno come "costruire un recinto intorno alla Torah"; vale a dire, egli prescribe regole di comportamento che estendono la proibizione, assicurando quindi che il comando biblico non venga disobbedito. Colui che non si abbandona all'ira sarà molto meno propenso all'omicidio. Colui che non si permette finanche un desiderio inespresso – "la lussuria nel cuore" – sarà molto meno propenso a commettere adulterio, e così via. Stessa cosa per il suo insegnamento sul divorzio. Gesù, nel vietare il divorzio non sta parlando "contro la Torah" perché la Torah non impone il divorzio, ma semplicemente lo permette. L'insegnamento di Gesù, quindi, rinforza il matrimonio — forse, come per Paolo, in vista del poco tempo che rimane fino all'arrivo del Regno.
Nell'esempio subito precedente, lo scriba di Marco continua dicendo: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli [Dio] è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stessi ''val più di tutti gli olocausti e i sacrifici''" ({{passo biblico2|Marco|12:32-33}}). Una corretta conoscenza di Dio e l'amore di Dio e del prossimo è più importante, implica Marco, del culto del Tempio imposto dalla Torah. Questa insegnamento si colloca nel mezzo della descrizione marciana degli eventi in merito all'ingresso e permanenza di Gesù a Gerusalemme per la Pesach, eventi che perlomeno implicano un suo antagonismo verso il Tempio. Per esempio, quando va al Tempio la settimana prima di Pesach, Gesù maledice un [[Un fico secco|fico infruttuoso]] ("Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti!" {{passo biblico|Marco|11:14}}). Marco usa questo atto come un tipo di commentario su quello che Gesù fa dopo: "Purificando" il Tempio, ribalta i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe, condannando la trattazione di affari e le compravendite nella corte del Tempio (vv. 15-17). Poi, passando nei paraggi dell'albero il mattino successivo, i suoi discepoli constatano che si era "seccato fin dalle radici" (v. 20). Infine, nel capitolo che segue questo dialogo, Gesù predice la totale distruzione del Tempio: "Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta" ({{passo biblico|Marco|13:2}}). L'accusa che Gesù minacciò di distruggere il Tempio entra ed esce nelle scene del suo processo e crocifissione ({{passo biblico|Marco|14:58;15:29}}). L'impressione è travolgente: il Gesù di Marco ripudia il culto tradizionale del Tempio.
Precedenti passi marciani presentano e sviluppano un tema generale dell'opposizione da parte di Gesù delle pratiche tradizionali durante la sua missione in Galilea. Scribi e/o Farisei discutono con Gesù su altri aspetti della devozione ebraica: guarigioni durante lo Shabbat ({{passo biblico|Marco|2:1-12,3:1-6}}); cenare in dubbie compagnie (i proverbiali pubblicani e peccatori, {{passo biblico|Marco|2:15-17}} e segg.); non digiunare quando i discepoli dei Farisei e di Giovanni il Battista digiunano ({{passo biblico|Marco|2:18-20}}); liberalità nell'osservanza dello Shabbat ({{passo biblico|Marco|2:23-28}}). In un singolo episodio molto significativo riportato nel capitolo 7, Marco presenta Gesù che discute coi Farisei sul lavaggio – cioè, la purificazione – delle mani prima di mangiare, sulle decime e sui giuramenti e, infine, secondo la glossa editoriale di Marco, sul principio stesso dei cibi puri e impuri ({{passo biblico|Marco|7:1-23}}).
Queste controversie irritano gli oppositori di Gesù fino ad una furia omicida. Dopo una guarigione durante lo Shabbat, "i Farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire" ({{passo biblico|Marco|3:6}}). Marco prefigura il fato di Gesù tramite l'accorgimento delle predizioni della Passione, in cui Gesù, descrivendo con precisione gli eventi che si sarebbero svolti a Gerusalemme, nomina i suoi oppositori, rappresentanti dell'ebraismo "tradizionale": gli anziani, i sommi sacerdoti, gli scribi ({{passo biblico|Marco|8:31}}; cfr. anche {{passo biblico|Marco|9:31,10:33}}). In questo modo Marco collega gli insegnamenti di Gesù in Galilea al suo fato a Gerusalemme: Gesù morì, suggerisce Marco, a causa dell'ostilità verso i suoi insegnamenti e il suo agire contro certe interpretazioni tradizionali di Torah e Tempio.
Il Gesù di Marco può quindi esser interpretato come si opponesse all'ebraismo del suo tempo, rappresentato da una parte dai suoi oppositori scribali e farisaici (particolarmente in Galilea), e dall'altra dal Tempio e i suoi sacerdoti (particolarmente a Gerusalemme). Tale impressione è così forte, e così fortemente rinforzata dalla maniera in cui il cristianesimo in effetti si sviluppò – quale movimento gentile dopo Gesù e, invero, come movimento post-Tempio ben dopo Marco – che è facile considerare l'evangelista affidabile storicamente in tali occasioni: questi episodi attestano la vera ostilità di Gesù non solo verso certe pratiche, ma verso la Legge stessa.
Ma fu Paolo, non Gesù, che insistette sulla libertà dai vincoli della Torah, e ciò aveva senso alla luce del suo pubblico. Paolo parlò non agli ebrei bensì ai Gentili, che nessuna corrente di tradizione ebraica riteneva responsabili nei confronti della Torah. Le loro osservanze elettive erano esattamente questo: facoltative. Se un Gentile si convertiva all'ebraismo – i maschi anche con la circoncisione – allora, come un ebreo nativo, "è obbligato ad osservare tutta quanta la Legge" ({{passo biblico2|Galati|5:3}}), segno particolare, come afferma Paolo ai Romani, dell'elezione di Israele ({{passo biblico2|Romani|9:4}}). Ma persino Paolo in nessun punto sostiene che gli ebrei in linea di principio erano liberi dall'osservare la Torah. Farlo avrebbe significato mettersi al di fuori dell'intera idea dell'alleanza biblica che egli in effetti invoca quando spiega il ruolo di Gesù nella salvezza (cioè, {{passo biblico2|Romani|15:1-12}}. Fra breve esamineremo questo passo nei particolari). Quello che Paolo, a metà secolo, disse ai Gentili non ha senso come messaggio che Gesù, vent'anni prima, avrebbe detto ai suoi correligionari.
L'improbabilità ''prima facie'' di un Gesù così distante dal suo proprio contesto sociale e religioso viene complicato da un ulteriore fatto storico: se Gesù, durante la sua vita, avesse abrogato la Legge, evidentemente né i suoi discepoli né Paolo stesso lo sapevano. Secondo la testimonianza dei Vangeli e di Paolo, i primi seguaci di Gesù continuarono ad osservare lo Shabbat. Ciò di per se stesso giustifica il ritardo tra la sepoltura di Gesù prima del venerdì sera e la scoperta della tomba da parte delle donne solo domenica mattina. Luca lo rende esplicito: ritornando dalla tomba il venerdì prima di sera, "il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento" ({{passo biblico2|Luca|23:56}}).
Dopo la morte di Gesù, la prima chiesa a Gerusalemme continuò ad adorare nel Tempio ({{passo biblico2|Luca|24:53}}; {{passo biblico2|Atti|2:46,3:1}}); nella Diaspora, frequentarono le varie sinagoghe comunitarie (cfr. {{passo biblico2|2Corinzi|11:24}}; Atti ''passim''). La condizione kosher di cibo e bevande continuò ad essere di attiva importanza non solo per i membri ebrei del movimento ({{passo biblico2|Galati|2:11-12}}), ma anche per i suoi gentili, le cui preoccupazioni su tale questione dovette essere affrontata da Paolo ({{passo biblico2|1Corinzi|8:1-13}}; {{passo biblico2|Romani|14:2-4}} e ''passim''). E Paolo stesso, nonostante la sua cosiddetta missione ''libera dalla Legge'', lodò proprio quegli aspetti dell'ebraismo tradizionale che il Gesù di Marco aveva apparentemente condannato: la presenza di Dio nel Tempio (gr. ''doxa'', la "gloria" della presenza divina all'altare), le alleanze, la consegna della Legge al Sinai, e il culto coattivo dei sacrifici e delle offerte (gr. ''latreia'', mal tradotto con "culto"). Questi, afferma Paolo, si annoverano tra i privilegi che Dio aveva dato ai suoi "figli", Israele ({{passo biblico2|Romani|9:4}}).
Ciò non vuol dire che Gesù non disputasse con altri ebrei sul modo corretto di essere ebrei. Come ha dimostrato il nostro breve sondaggio dell'ebraismo del Secondo Tempio, poche sono le cose più antecedentemente plausibili, persino probabili: questo facevano gli ebrei. In confronto con quello che alcuni dei testi di Qumran e della letteratura rabbinica ci presentano sul sacerdozio di Gerusalemme, o quello che le [[w:dispute talmudiche tra Bet Shammai e Bet Hillel|case di Hillel e Shammai]], dibattendo punti di interpretazione farisaica, ci dicono occasionalmente su di loro, ciò che accade tra scribi e Gesù è alquanto blando. Inoltre, proprio il tipo di disputa implica l'opposto di rifiuto o indifferenza. L'argomentazione qui implica mutuo coinvolgimento, preoccupazione comune, valori condivisi, passione religiosa. Se una delle parti avesse ritenuto le questioni prive di importanza, nbon ci sarebbe stata disputa. Tuttavia, anche il Gesù di Marco, rispondendo con ''Shema'' e Levitico allo scriba, non dice "E scordati il resto della Torah", o "Ama quindi Dio e il prossimo, ed evita le offerte". Invece dice "Nessun altro comandamento è maggiore di questi". Tutti sono grandi o importanti; nessuno è maggiore o più importante.
Marco rappresenta polemicamente queste tradizioni controverse, per fornire il massimo contrasto tra Gesù e i suoi oppositori. Scribi e Farisei si agitano per presunte infrazioni dello Shabbat (ma non ne viene citata nessuna; è il tono usato da Gesù che li offende), incuranti delle splendide guarigioni; seccati per una questione e un miracolo, complottano di ucciderlo. Nella loro preoccupazione di assicurare una conformità universale ai loro standard di osservanza, seguono Gesù dappertutto, spiando la sua casa e con chi mangia e come mangia ({{passo biblico2|Marco|2:13-17}} e parall.), pattugliando i campi di grano durante lo Shabbat con la speranza di sorprenderlo in una trasgressione ({{passo biblico2|Marco|2:23-24}}), controllando per vedere se i suoi discepoli si lavano le mani prima di mangiare ({{passo biblico2|Marco|7:2}}). Questa è una caricatura polemica e non una rappresentazione realistica. In quanto tale, non possiamo usarla direttamente per ricostruzioni realistiche del passato. Invece, il primo passo è quello di identificare le fissazioni polemiche di Marco, e poi cercare di correggerle quando leggiamo ciò che ci presenta.
Per esempio: consideriamo la controversia lunga e artificiosa presentata in {{passo biblico2|Marco|7}}. Protestando che i discepoli di Gesù non si purificano le mani prima di mangiare, i Farisei marciani in effetti si lamentano che i discepoli di Gesù non sono Farisei (poiché tale pratica purificatrice sembra caratterizzasse specificamente questo gruppo). Ciò doveva forse sorprenderli? Come abbiamo evidenziato nel nostro precedente resoconto, anche se prendiamo la cifra di Flavio Giuseppe che numerava i Farisei ad un totale di seimila nel primo secolo, essi avrebbero al massimo costituito 1,2% della popolazione totale della Palestina. Non sapevano di essere una piccola minoranza e che le loro usanze non erano affatto universali? L'insegnamento di Gesù che sono le cose che escono dall'uomo a contaminarlo – "fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza" – non quelle che entrano in lui ({{passo biblico2|Marco|7:14-23}}), non è controverso. Gesù in questo passo esagera il suo esempio per fare il suo punto, dando la precedenza all'inquinamento morale del peccato rispetto all'inquinamento levitico dovuto a contaminazione esterna. Non approva qui certo la consumazione di molluschi e di maiale. È la pesante glossa di Marco – "dichiarava così mondi tutti gli alimenti" – che riporta vistosamente l'insegnamento di Gesù in questo passo alle leggi alimentari comandate biblicamente.
La glossa di Marco intrude in questo brano. Stlisticamente, è l'equivalente di un attore cinematografico che improvvisamente esce dal personaggio e dall'azione narrativa e, parlando direttamente alla cinepresa, si rivolge agli spettatori ("Ora state attenti a questa scena!"). Questa aggiunta conferma il punto di Marco, non quello del suo personaggio principale (cfr. la ripetizione del discorso in {{passo biblico2|Matteo|15:1-20}}). Per ultimo, dobbiamo prendere in considerazione la controversia di Antiochia, anni dopo questo presunto incontro tra Gesù e i Farisei, quando Pietro, gli uomini mandati da Giacomo, e Paolo disputano in merito dei pasti misti tra Gentili ed ebrei nella comunità ({{passo biblico2|Galati|2:11-13}}). Se Gesù, durante la sua missione, aveva già annullato le leggi del [[w:casherut|kashrut]], questa argomentazione non sarebbe mai avvenuta.
Marco respinge le preoccupazioni degli oppositori di Gesù – Shabbat, cibo, decime, offerte al Tempio, purezza – come la "tradizione degli uomini". A queste oppone ciò che Gesù apparentemente propone come "il comandamento di Dio" ({{passo biblico2|Marco|7:8-9}}). La forte retorica maschera il fatto che queste leggi sono bibliche e, in quanto tali, la preoccupazione comune di tutti gli ebrei religiosi: è Dio nella Torah, non i Farisei con le loro interpretazioni, che comandò queste osservanze.
[[File:Tzitzith.jpg|right|300px|thumb|''[[:en:w:Tzitzit|Tzitzit]]'' (ebr. ציצית): le frange che servono per adempiere un comandamento espresso dalla Torah]]
In effetti, scorrendo come una corrente sotterranea nella narrazione marciana, oscurato dell'immediatezza dei suoi problemi polemici, sta Gesù l'ebreo ''tradizionalmente'' religioso. Frequenta le sinagoghe durante lo Shabbat, certamente una pratica normativamente devota. I malati gli afferrano "la frangia della sua veste" ({{passo biblico2|Marco|6:56}}); il termine, ''kraspedon'' in greco, traduce l'ebraico ''[[w:Tzitzit|tzitzit]]''. Queste frange non sono decorative ma rituali. Dio aveva istruito Mosè sulle frange in un passo in Numeri che fu incorporato nello ''Shema'': "Parla agli Israeliti e ordina loro che si facciano, di generazione in generazione, fiocchi agli angoli delle loro vesti e che mettano al fiocco di ogni angolo un cordone di porpora viola. Avrete tali fiocchi e, quando li guarderete, ''vi ricorderete di tutti i comandi del Signore per metterli in pratica''" ({{passo biblico2|Numeri|15:38-39}}). Gli ebrei devoti le indossavano (e le indossano tuttora); se anche Gesù le indossò, c'è poco da sorprenderci. Il Gesù di Marco celebra la Pesach a Gerusalemme, con lo speciale pasto serale comandato. In poche parole, e nonostante i consapevoli sforzi di Marco per dimostrare il contrario, Gesù appare anche in questo Vangelo come un evidente ebreo osservante.
La posizione polemica di Marco, ripresa con maggiore o minore enfasi dagli altri evangelisti, (e, purtroppo, da secoli di studi neotestamentari), indica che le preoccupazioni etiche superano o si oppongono a preoccupazioni halakhiche ("rituali"). Nel considerare questa posizione, dobbiamo renderci conto in primo luogo che Marco scrive dopo il 70 e.v., in un periodo quando molte delle leggi cultiche di purezza non avevano più peso, perché il Tempio non esisteva più. Era quindi più che attendibile far dire al suo personaggio principale, la cui predizione della distruzione del Tempio egli aveva fatto risaltare drammaticamente nel suo Vangelo, che il rituale del Tempio non era essenziale alla vera devozione.
Ma questa dichotomia tra "etico" e "rituale" è di per se stessa intrinsecamente anacronistica. È una distinzione moderna, che si basa sulla percepita esternalità (e quindi superficialità morale) del rituale a favore dell'etica (implicitamente più autentica). Ma la gente in antichità non distingueva questi comportamenti in tali termini. Nella più vasta cultura greco-romana, l'etica in quanto tale – riflessione autoconsapevole sul comportamento corretto – era interesse del filosofo. Le regole cultiche ed il rituale rivelato – ciò che gli dei avevano detto agli uomni in sogni, visioni, storie tradizionali, visitazioni – corrispondono circa a quella che noi chiamiamo "religione". Ma quando Paolo raccomanda ai suoi Gentili di comportarsi in modo coerente con il suo vangelo, egli proibisce loro (per esempio) non solo di bere in eccesso o di fornicare (comportamento "etico"), ma anche, altrettanto chiaramente, di aver a che fare con l'adorazione di idoli (comportamento "rituale"). Per un ebreo, sia etica che rituale stanno sulla stessa linea d'onda, perché entrambi sono ugualmente la volontà rivelata di Dio.<ref>Si ricordi {{passo biblico2|Levitico|19}}. </ref>
Questa polemica ci potrebbe distrarre dal notare un aspetto pratico di queste istruzioni etiche nei Vangeli ed in Paolo, aspetto che combacia con lo scorcio di tempo di una vivida aspettativa apocalittica. Intendo la sua totale impraticabilità. Nessuna società normale potrebbe sostenersi a lungo seguendo i principi del Sermone della Montagna. Una totale resistenza passiva al male – in effetti, un rispetto dell'ingiustizia ({{passo biblico2|Matteo|5:38-48}}//{{passo biblico2|Luca|6:27-36}}) – ed un rifiuto assoluto di giudicare ({{passo biblico2|Matteo|7:1-2}}//{{passo biblico2|Luca|6:37-38}} avrebbe semplicemente portato allo sfruttamento di coloro che avessero seguito tali regole da parte di coloro che non le avessero seguite. La povertà volontaria in ultimo aumenta soltanto il numero assoluto di poveri. Non preoccuparsi del domani – un rifiuto in principio di pianificare – può essere disastroso: i gigli dei campi vivono un tipo di vita, ma gli esseri umani ben altro.
E come vediamo già dalla rettifica di Matteo, la società, a lungo termine non può tollerare una proibizione assoluta del divorzio. Per vivere secondo un codice severo, gli Esseni formarono la loro propria società, ritirata dal resto del mondo. Molto più tardi il cristianesimo, agendo secondo alcune di queste ingiunzioni alla povertà e all'astinenza sessuale, di necessità fece praticamente lo stesso, istituzionalizzando in vari modi il monachesimo e la pratica del celibato, riunendo in insediamenti specifici coloro che volevano vivere il loro impegno religioso in tale modo.
Ma i primi seguaci di Gesù non si ritirarono in comunità separate e non stabilirono istituzioni. Perché no? Perché questi primi cristiani, e Gesù prima di loro, non si aspettavano di vivere a lungo: il Regno stava per arrivare. Nell'etica intensa ed idealizzata di questa nuova comunità vediamo letteralmente incorporato, nel modo in cui vivevano le proprie vite, un totale impegno verso questa visione apocalittica. E forse vedevano anche il proprio comportamento come un'attuazione prolettica di società escatologica, portando nel presente quella che sarebbe stata la vita futura nel Regno.
== ''"A uno lo Spirito concede il dono di far guarigioni": Opere e Potenza'' ==
La convocazione della ''ekklēsia'' a Corinto deve essere stata una scena alquanto tribolata. La lettera di Paolo ce ne dà un'idea: divisione e confronto («Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!» {{passo biblico2|1Corinzi|1:12}}); dispute riguardo a se si potesse mangiare cibo precedentemente offerto a idoli — alcuni pensavano di sì, altri di no, e altri ancora si sentivano moralmente nauseati ({{passo biblico|1Corinzi|8:1-13}}); rifiuto di condividere cibo al pasto eucaristico comune ("Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?" {{passo biblico|1Corinzi|11:22}}). Il loro comportamento era così cattivo, che Paolo si scalda e ammonisce: "È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti" ({{passo biblico|1Corinzi|11:30}}). Alcuni membri, fiduciosi della sapienza a loro rivelata, continuarono a comportarsi alla vecchia maniera anche dopo il battesimo, bevendo in eccesso, fornicando, rubando, adorando gli antichi dei ("Con questi tali non dovete neanche mangiare insieme!" {{passo biblico|1Corinzi|5:11}}). Mentre alcuni profetizzavano, altri farneticavano con discorsi incomprensibili, in ''[[w:glossolalia|glossolalia]]'' ("Se, per esempio, quando si raduna tutta la comunità, tutti parlassero con il dono delle lingue e sopraggiungessero dei non iniziati o non credenti, non direbbero forse che siete pazzi?" {{passo biblico|1Corinzi|14:23}}).
Nonostante li loro difetti e la loro confusione, questi Gentili, sosteneva Paolo, erano stati ricolmi dello spirito di Dio. Ispirati, erano quindi parimenti potenziati:
{{q|Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro ''il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli'' [letteralmente, "opere di potenza"]; a un altro il dono della ''profezia''; a un altro il dono di ''distinguere gli spiriti''; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.|{{passo biblico2|1Corinzi|12:4-11}}}}
Lo spirito era giunto a questi Gentili tramite il battesimo, diceva Paolo, incorporandoli quindi nel "corpo di Cristo" di cui erano i membri individuali: "Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito. Infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra" ({{passo biblico2|1Corinzi|12:13-14}}). Ed è questo spirito, da Dio, tramite Cristo, che permette loro di operare tali atti carismatici.
Nel Vangelo di Matteo, forse quaranta anni dopo la lettera di Paolo, troviamo una simile collocazione di azioni attribuite ai successivi seguaci di Gesù. Da notare, queste azioni non attestano la loro appartenenza alla vera comunità. Al contrario: in questo episodio, verso la fine del Sermone della Montagna, il Gesù di Matteo ammonisce di quello che dirà a certi cristiani, nonostante le loro azioni carismatiche, quando li incontrerà nel Giudizio finale:
{{q|Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: "Signore, Signore, ''non abbiamo noi profetato'' nel tuo nome e ''cacciato demòni'' nel tuo nome e ''compiuto molti miracoli'' nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: "Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità".|{{passo biblico2|Matteo|7:21-23}}}}
Il potere di guarire, profetizzare, e fare miracoli non non è si autentica da sé, come potrebbe sembrare dal brano di Paolo. Qui Matteo dice invece che questo potere – che lui, o il suo Gesù, non disputa (il passo ''non'' dice "Signore, non abbiamo forse fatto potenti opere in tuo nome?" "No, voi pensaste di farle, ma in realtà non fu così") – non sistema un bel nulla. Lo ''status'' religioso o spirituale della persona deve basarsi su altri criteri.
Gli scribi nel Vengelo di Marco avevano pensato di Gesù in modo simile ({{passo biblico2|Marco|3:22-27}}. Quando Matteo ripete e aggiusta la stessa storia, gli "scribi" diventano "Farisei"; Luca dice semplicemente "alcuni", {{passo biblico2|Matteo|12:22-37}}; {{passo biblico2|Luca|11:14-23}}). Secondo Marco, Gesù aveva viaggiato per tutta la Galilea cacciando demoni; sanando i febbricitanti, i posseduti, e coloro che soffrivanio di varie malattie; curando un lebbroso, un paralitico, e un uomo con la mano avvizzita; e infine nominando "dodici" a predicare e cacciare demoni a loro volta ({{passo biblico2|Marco|3:14-15}}). Gli scribi furono indifferenti. "Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni [Beelzebub]" (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|8:48,8:52,10:20}}, dove la gente intorno a Gesù presume semplicemente che "egli ha un demonio"). Di nuovo, non ci sono contestazioni sul fatto che Gesù esegua queste guarigioni ed esorcismi — in effetti, la dichiarazione degli scribi riconosce che egli le esegue. Ma la loro polemica sta a significare che possedere tali poteri, di per se stessi, non stabiliscono null'altro.
Cito questi passi per fare un punto più rilevante sul modo in cui gli autori neotestamentari considerano i miracoli. Tali accadimenti erano straordinari eppure, allo stesso tempo, non insoliti nel senso di inauditi o unici. Né di per se stessi dicono qualcosa riguardo alla persona che li esegue. Ben altri, oltre Gesù, possono farli. Possono farlo i Gentili di Paolo, secondo la sua testimonianza oculare. Paolo stesso può e li fa, stabilendo pertanto (secondo la sua opinione) la sua autorità quale apostolo ("segni e prodigi e potenti operazioni", {{passo biblico2|2Corinzi|12:12}}; il suo apostolato ai Gentili eseguito con potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito di Dio" {{passo biblico2|Romani|15:19}}). Le tradizioni evangeliche sviluppano il loro ritratto di Gesù, assai centralmente e d'importanza, come esorcista, guaritore, profeta e autore di grandi opere o segni; ma tali poteri vengono attribuiti anche ai suoi discepoli ({{passo biblico2|Marco|6:13}}), a coloro che non lo seguono ma semplicemente cacciano demoni a suo nome ({{passo biblico2|Marco|9:38}}), e persino a quei seguaci che Gesù, alla Fine, ripudierà ({{passo biblico2|Matteo|7:21-23}}). Nei loro sforzi per ingannare gli eletti, anche falsi cristi e falsi profeti "faranno segni e portenti per ingannare" ({{passo biblico2|Marco|13:22}}). E Gesù, nella ripetizione da parte di Matteo della controversia "Beelzebub" imputa esorcismi riusciti anche ai "figli dei Farisei" ({{passo biblico2|Matteo|12:27}}):
{{q|E se io scaccio i demoni con l'aiuto di Beelzebub, con l'aiuto di chi li scacciano i vostri figli? Per questo essi saranno i vostri giudici.}}
Quando poi ci rivolgiamo ad una più vasta gamma di testimonianze – varie tradizioni pagane; altri scritti ebraici – di nuovo troviamo riscontri di miracoli e taumaturghi, guaritori ed esorcisti. Gli antichi si "incubavano" – cioè, dormivano presso un sito di culto – onde poter ricevere visioni o favori da un dio. Abbiamo prove di tale pratica dal culto di [[w:Asclepio|Esculapio]], il dio della medicina. I suoi devoti, quando ricevevano guarigioni, lasciavano una testimonianza dei suoi miracoli nelle iscrizioni intorno al suo santuario. Pertanto anche al santone pagano [[w:Apollonio di Tiana|Apollonio di Tiana]] vennero attribuiti numerosi miracoli: guarigioni spettacolari, esorcismi, una volta persino la resuscitazione di un morto. E nei [[w:Papiri magici greci|Papiri magici greci]] – libri per professionisti consultati per cure e svariati tipi di assistenza (in amore o nelle scommesse alle corse, per esempio) – possiamo leggere ricette per evocare aiuti demoniaci a raggiungere alcuni di questi fini. Se tali pratiche non fossero state considerate efficaci, se i miracoli e le meraviglie si pensava non avvenissero, allora non avremmo così tante testimonianze che invece avvennero.
Anche la tradizione biblica ed extra-biblica, da parte ebraica, parla di preghiere potenti, cure miracolose, segni e meraviglie. La Scrittura riporta le imprese del profeta [[w:Elia|Elia]] e del suo protégé, [[w:Eliseo (profeta)|Eliseo]]: Elia, per esempio, fece risuscitare dai morti il figlio di una vedova ({{passo biblico2|1Re|17:17-24}}). Anche Eliseo risuscitò un bambino dai morti ({{passo biblico2|2Re|4:18-37}}) e curò dalla lebbra il generale straniero Naaman, per autorità specifica di profeta: "Quell'uomo venga da me e saprà che c'è un profeta in Israele" ({{passo biblico2|2Re|5:1-27}}). Inoltre, benedì la giara d'olio di una vedova, cosicché "ne riempirono molti vasi" ({{passo biblico2|2Re|4:1-7}}), e in seguito nutrì cento uomini con soli pochi pani: "essi mangiarono, e ne avanzò" ({{passo biblico2|2Re|4:42-44}}). Tali atti miracolosi riecheggiano nelle storie evangeliche di Gesù.
Anche Flavio Giuseppe e testi rabbinici successivi parlano di taumaturghi. Alcuni, come [[w:Honi Hameaggel|Honi Hameaggel]] ("il tracciatore di cerchi", "Onias" in Flavio Giuseppe) e suo nipote Hanan avevano reputazione di far piovere, e quindi comandavano alla natura. Un certo Eleazar (citato da Flavio Giuseppe, che ne dà un resoconto da testimone oculare) cacciava i demoni da coloro che ne erano posseduti, mentre [[w:Hanina Ben Dosa|Hanina ben Dosa]] produceva guarigioni a distanza.<ref>Da notare che fonti rabbiniche susseguenti associarono alcuni di questi personaggi specificamente con la Galilea.</ref> Riferimenti a tale attività si riscontrano anche nella letteratura essena. Nella loro versione di Genesi, la ''Genesis Apocryphon'', Abramo scaccia uno spirito maligno, responsabile di malattie, dal Faraone e dai suoi uomini. La ''Preghiera di [[w:Nabonide|Nabonide]]'', un frammento dei Manoscritti del Mar Morto, connette peccato e malattia, salute e perdono dei peccati, quando Re Nabonide narra come egli fosse "afflitto da un'ulcera malefica per sette anni... e un ''gazer'' [esorcista?] perdonò i miei peccati. Era un ebreo." Inoltre, in ''[[w:Guerra giudaica (Flavio Giuseppe)|Guerra giudaica]]'' e in ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità giudaiche]]'', Flavio Giuseppe parla di capi carismatici che attraevano seguaci promettendo l'esecuizione di grandi prodigi: un certo [[w:Teuda|Teuda]] promise di separare le acque del fiume Giordano; un altro ebreo, dell'Egitto, promise di far cadere le mura di Gerusalemme con un suo comando; altri annunciavano la produzione di meraviglie nel deserto. Il mio punto non è di dire se questi uomini fecero o non fecero tali miracoli, ma piuttosto – come attesta il gran numero di loro seguaci – che i loro contemporanei chiaramente pensavano che li potessero fare. Infine, Flavio Giuseppe fa riferimento a Gesù di Nazareth come tale taumaturgo: egli fu un "saggio", dice Flavio Giuseppe, che produsse "fatti sorprendenti" (''AJ'' 18.63).
Esamino queste fonti per due ragioni. La prima è per dimostrare che le persone in antichità, a differenza di gran parte della gente oggigiorno, evidentemente non avevano difficoltà a percepire certi eventi come miracolosi, o ad attribuire quelli che noi reputiamo poteri soprannaturali ad esseri umani. Sebbene miracoli e guarigioni non fossero eventi comuni (se lo fossero stati, non sarebbero citati come dimostrazioni di potenza), erano abbastanza comuni tanto che la semplice abilità di produrre tali eventi non veniva considerata come conferma dell'autorità del taumaturgo. La seconda ragione rafforza la prima, e la collega specificamente a Gesù: la sua abilità di far miracoli poteva migliorare il suo ''status'' ma non poteva da sola consolidarlo.
Saltando dalla testimonianza di Paolo delle azioni carismatiche eseguite dai suoi Gentili-in-Cristo a quelle tradizioni su Gesù stesso, notiamo che Gesù come esorcista, guaritore (finanche al punto di risuscitare i morti) e taumaturgo è uno degli aspetti che nei Vangeli è presentato in maniera più potente, più onnipresente e più numerosa. Tutti gli strati di questo materiale – Marco, Giovanni, tradizioni-''M'', tradizioni-''L'', e ''Q'' – lo affermano. Questo tipo di attestazione multipla indipendente supporta argomentazioni in merito all'antichità di una data tradizione, implicando che la sua fonte deve trovarsi prima delle sue multiple espressioni successive, forse nella missione di Gesù stesso. Tale ragionamento stabilisce solo che le tradizioni su Gesù che fa miracoli sono precedenti: non possono quindi rispondere alla domanda – preoccupazione moderna, di certo non antica – se egli in verità questi miracoli li fece.
E allora, Gesù di Nazareth fece miracoli? Qui io, come storico, devo soppesare la testimonianza della tradizione contro ciò che penso sia possibile in linea di principio. Non credo che Dio di tanto in tanto sospenda l'operato di quella che [[w:David Hume|Hume]] chiamava "legge naturale". Ciò che Gesù potrebbe forse aver fatto, in altre parole, deve essere conforme a ciò che penso sia possibile in ogni caso.<ref>Coloro che non hanno problemi ad accettare questi resoconti di miracoli come descrizioni fattuali e attendibili, possono saltare i prossimi due paragrafi del testo. Ma dovrebbero comunque ricordarsi che Gesù, secondo l'evidenza, non fu affatto unico nell'eseguire tali atti.</ref> Pertanto, rispondendo alla mia stessa domanda,: sì, io penso che Gesù probabilmente fece tali atti che i suoi contemporanei reputarono essere miracoli. Quelli che ho meno difficoltà ad immaginarmi che fece si conformano a quelli citati anche da Paolo: guarigioni ed esorcismi. Anche la cultura moderna ha familiarità con cure carismatiche eseguite per suggestione. Le nostre spiegazioni differiscono da quelle date da fonti antiche – dove noi usiamo il linguaggio dell'infermità psicosomatica e della suggestione, gli antichi parlavano invece di demoni e poteri speciali – ma il fenomeno osservato sembra identico.
Un'abilità di far guarigioni è inoltre coerente con un altro dato della missione di Gesù: egli aveva un seguito popolare, che una tale abilità aiuta a supportare (si veda {{passo biblico2|Marco|1:23-28,32,39,45}}: "Ma quegli [un lebbroso curato], allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto [di essere guarito], al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città... e venivano a lui da ogni parte"). Per includere il più possibile come storico, includerei in questa categoria anche le storie dei sinottici riguardo a Gesù che risuscita i morti. In questi casi io considero la "morte" come un tipo di coma: queste occasioni rappresenterebbero un tipo estremo di guarigione. Ma tali abilità guaritive, in un'epoca di così tanti guaritori e taumaturghi, non conferiscono a Gesù una distinzione unica: di nuovo, come vediamo negli stessi Vangeli, la stessa abilità viene conferita ad altri contemporanei. I Vangeli, piuttosto, usano questo materiale per sottolineare un punto particolare su Gesù, come vedremo fra breve. I miracoli di per se stessi non sono il punto.
Le altre meraviglie attribuite a Gesù – camminare sull'acqua ({{passo biblico2|Marco|6:45-52}}//{{passo biblico2|Giovanni|6:16-21}}); calmare la tempesta ({{passo biblico2|Marco|4:35-41}} e parall.); provocare una pesca miracolosa ({{passo biblico2|Luca|5:1-11}}; {{passo biblico2|Giovanni|21:1-14}}; far seccare un fico con una maledizione ({{passo biblico2|Marco|11:12-14,20-21}}; trasformare l'acqua in vino ({{passo biblico2|Giovanni|2:1-11}}; sfamare una moltitudine ({{passo biblico2|Marco|6:32-44}}) – non possono essere razionalizzate così facilmente. Io le vedo che funzionano nella tradizione più come modi di proclamare la potenza di Gesù piuttosto che testimonianze di eventi ricordati. Nell'ambito di questa categoria ci includerei la risuscitazione di Lazzaro, presente solo nel Vangelo di Giovanni. Questo Vangelo insiste che Lazzaro era morto da quattro giorni e che il cadavere già puzzava ({{passo biblico2|Giovanni|11:17,39}}). L'intero accaduto proclama il messaggio teologico dell'evangelista riguardo a Gesù: "Io sono la Risurrezione e la Vita", questo Gesù dice alla sorella affranta di Lazzaro; "chi crede in me, anche se muore, vivrà" (v. 25). Come osserva il Gesù di questo Vangelo, quando sente la notizia della malattia del suo amico, "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato" (v. 4), che è precisamente come funziona questa storia in questo Vangelo.
Gli stessi Vangeli sinottici pongono i miracoli di Gesù nell'ambito della più ampia cornice della sua autorità profetica: i miracoli dimostrano l'autorità di Gesù nell'annunciare la venuta del Regno. Rispondendo ad una domanda di Giovanni il Battista ("Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?"),<ref>Strana domanda, dato che Giovanni il Battista stesso aveva riconosciuto Gesù, lo aveva battezzato e gli aveva reso testimonianza, cfr. {{passo biblico2|Matteo|3}}//{{passo biblico2|Marco|1:2-8}}; {{passo biblico2|Luca|3:1-18}}; {{passo biblico2|Atti|19:4}}; {{passo biblico2|Giovanni|1:6-8,15-37}})</ref> Gesù, secondo la tradizione-''Q'', dice ai discepoli di Giovanni: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella", e poi continua parlando del Regno ({{passo biblico2|Matteo|11:2-24}}//{{passo biblico2|Luca|7:18-35}}). I miracoli confermano la potenza di Dio che entra nel presente, in preparazione dell'arrivo del Regno.
Qui l'interpretazione evangelica dei miracoli di Gesù fornisce un'idea del modo in cui Gesù di Nazareth stesso può averli interpretati; poiché sia i miracoli sia Gesù si collocano nell'ambito del più vasto contesto delle interpretazioni ebraiche di potenza e profezia, l'autorità di annunciare il messaggio di Dio.
I miracoli non devono essere quindi considerati da soli, ma insieme al messaggio morale di Gesù e la sua chiamata a prepararsi per la venuta del Regno. I miracoli non volgiono dimostrare la sua potenza personale, bensì – come per i taumaturghi della tradizione talmudica – la sua intimità con Dio, la vera fonte di tale potenza. I miracoli come opere rinforzano l'autorità della parola: incrementano e sostengono la reputazione di Gesù quale autorevole profeta del Regno:
{{q|Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio.|{{passo biblico2|Matteo|12:28}}//{{passo biblico2|Luca|11:20}}}}
I miracoli sono il mezzo, ma il Regno è il messaggio.
La nostra ipotesi sulla visione che Gesù stesso ha dei propri miracoli ci riporta, per altra strada, alla nostra precedente osservazione sulla sua etica perfezionista, come anche al nostro punto d'origine in questo ciclo di ricerca, vale a dire, la missione alla Diaspora e le lettere di Paolo. L'escatologia cristiana in quanto tale, distinta dalla sua matrice, l'escatologia ebraica, esprime nei suoi primi strati più fortemente apocalittici – Paolo e Marco – il paradosso tra "Ora" e "Non ancora". Il Regno di Paolo – con la Parusia del Figlio, la sconfigtta della morte, la risurrezione dei morti, e la trasformazione di vivi – sta proprio al vicino orizzonte storico; e finché tali cose non si sono realizzate, il Regno non è arrivato. Tuttavia nell'ambito della ''ekklēsia'', la svolta delle epoche in un certo senso si è realizzata. Lo Spirito si è manifestato, cosicché i Gentili-in-Cristo hanno già rinunciato ai propri idoli e riconosciuto "ilvero Dio vivente"; anche loro possono già compiere azioni carismatiche di potenza. Spiritualmente, se non fisicamente, la redenzione si è già compiuta, poiché Cristo, "la primizia di coloro che dormono", è già risuscitato dai morti ({{passo biblico2|1Corinzi|15:20}}; cfr. {{passo biblico2|1Corinzi|2:14-16,3:16}}; capp. 12-14; {{passo biblico2|Galati|4:3-9}}; {{passo biblico2|Romani|8:10-17}}, ecc.).
Stessa cosa per quanto riusviamo a discernere del movimento intorno a Gesù. Parlò di un Regno ancora da venire; tuttavia la misura della sua autorità come suo portavoce venne diffusa per sconfiggere il male, le malattie e la morte, in attuazione della sua propria missione mediante esorcismi e miracoli di guarigione. Coloro che accettarono sia lui che il suo messaggio di prossima salvezza – la restaurazione di Israele e la redenzione del mondo – furono in una posizione privilegiata: potevano prepararsi per un evento che sapevano imminente vivendo secondo i precetti intinsificati ed interiorizzati della Torah che Gesù predicava, rinunciando non solo al peccato (omicidio, adulterio) ma addirittura le emozioni che precedono il peccare (ira, lussuria); ripagando il male col bene ({{passo biblico2|Matteo|5:17-48}}); forse – se avessero imitato Gesù stesso – rinunciando alla falsa sicurezza dei possedimenti, abbracciando la povertà, vivendo per strada nel portare ad altri il messaggio del Regno ({{passo biblico2|Marco|6:7-13}}, specificamente per i Dodici; cfr. {{passo biblico|Marco|9:42-47,10:17-22}}, il ricco; {{passo biblico2|Luca|10:9-11}}, la commissione ai Settanta).
Gli insegnamenti etici perfezionisti e i miracoli, quindi, sono tutti una cosa sola, sia per la missione propria di Gesù, sia vent'anni dopo la sua esecuzione, nella Diaspora, per i Gentili di Paolo. Entrambi ''insieme'' attestano la vicinanza – ora ma non ancora – del Regno.
== ''"Questo è il mio corpo, che è per voi": La Cena del Signore'' ==
{{Immagine grande|The Last Supper - Leonardo Da Vinci - High Resolution 32x16.jpg|800px|L’''[[w:Ultima Cena (Leonardo)|Ultima Cena]]'' di [[Leonardo da Vinci]]}}
Il galateo comunitario difettava a Corinto. Tra le varie lamentele sul loro comportamento, Paolo cita l'irritabilità e la maleducazione: piuttosto che un evento comunitario, il pasto consumato insieme dalla ''ekklēsia'' sembrava un parapiglia generale. "Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco!" ({{passo biblico2|1Corinzi|11:20-21}}). Per richiamarli all'ordine e al loro scopo, paolo ricorda loro le origini di questa pratica: Gesù stesso:
{{q| Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, ''prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò'' e disse: "''Questo è il mio corpo, che è per voi''; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "''Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue''; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore ''finché egli venga''.|{{passo biblico2|1Corinzi|11:23-26}}}}
Paolo qui anticipa di circa vent'anni la tradizione che troviamo, successivamente, in Marco. Metto in corsivo gli elementi particolari che hanno in comune:
{{q|Mentre mangiavano ''prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò'' e lo diede loro, dicendo: "Prendete, ''questo è il mio corpo''". Poi ''prese il calice'' e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: "''Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti''. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite ''fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio''".|{{passo biblico2|Marco|14:22-25}}}}
Nella narrazione del Vangelo, Gesù celebra il pasto di Pesach insieme ai Dodici (sebbene Marco non descriva veramente un [[w:seder|seder]]). Poco dopo, Giuda Iscariota, che si era messo d'accordo coi sacerdoti per tradire Gesù ({{passo biblico2|Marco|14:10-11}}), conduce la folla al [[w:Getsemani|Getsemani]] per tendere un'imboscata a Gesù dopo il pasto (vv. 43segg.). Le precedenti predizioni della Passione hanno preparato il lettore a questi eventi: tradimento e morte a Gerusalemme.
La versione di Paolo, in confronto, non ha questo contesto narrativo (sebbene per rispetto alla storia di Giuda, le traduzioni moderne rendono il verbo che Paolo usa in 11:23, ''paredidoto'' = "consegnato", in "tradito"). Tuttavia le "parole della commissione" in entrambe le versioni presuppongono che (1) Gesù anticipi la sua morte prossima e (2) egli stesso la interpreti come un tipo di sacrificio espiatorio (il suo corpo "per voi"; il suo sangue "versato per molti"). Infine, Paolo, nella sua versione, e Gesù in quella di Marco, vincolano il pasto commemorativo alla venuta del Regno: i Corinzi devono mantenere il pasto quale mezzo per "annunziare la morte del Signore finché egli venga" — cioè, venga nuovamente; il Gesù di Marco non berrà vino finché "lo berrò nuovo nel Regno di Dio".
Cosa rispecchia storicamente questa tradizione? Entrambe le versioni attestano, in primo luogo, la celebrazione di un pasto comune, in attesa del Regno, come una prima caratteristica prominente del cristianesimo primitivo. Altrove nei Vangeli, i detti di Gesù similmente parlano del Regno come un banchetto (per es. {{passo biblico2|Matteo|8:11}}). Tale idea viene ulteriormente attestata nell'ebraismo contemporaneo di Gesù. Anche gli Esseni predissero tale festa, che doveva essere presieduta dal sacerdote e dal Messia; e osservavano un pasto comune in anticipazione di questo "banchetto messianico" della Fine dei Tempi. Successivi testi apocalittici ebraici – [[w:Libro di Baruc|Baruc]], [[w:Libro di Enoch|Enoch]], l'[[w:Apocalisse di Elia (ebraica)|Apocalisse di Elia]] – parlano sia di una sovrabbondanza di cibo alla Fine sia di una cena col Messia. Se Gesù stesso, forse durante la sua ultima Pesach a Gerusalemme, avesse parimenti parlato in un prossimo Regno, egli avrebbe potuto tenere una tale festa coi suoi dodici discepoli, la cui compagnia simboleggiava il restaurato Israele escatologico.
Sono i particolari della formula eucaristica, tuttavia, che ci fanno speculare. Sappiamo, ancora una volta da Paolo, che i seguaci di Gesù agli inizi consideravano la sua morte in un certo senso come vicaria ed espiatoria ("Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture", {{passo biblico2|1Corinzi|15:3}}). Dobbiamo aspettare finché consideriamo più in dettaglio gli eventi che circondano l'ultima settimana di Gesù a Gerusalemme prima di poter valutare la plausibilità che Gesù stesso fosse la fonte di questa idea nella tradizione cristiana. Ma la coincidenza dei nostri due primi testimoni, Paolo e Marco, dimostra come minimo che questa formula, e la pratica di questo pasto comune, fosse agli inizi considerata da queste comunità un insegnamento di Gesù stesso.
== ''Il Figlio di Dio "nato dalla stirpe di Davide secondo la carne": Gesù il Cristo'' ==
"Christos", traduzione greca dell'ebraico ''mashiach'' o "messia" ("unto"), e la designazione cristiana preferita per Gesù. La parola è così saldamente stabilita nella tradizione, e così presto, che quando esaminiamo le lettere di Paolo, "Cristo" funziona semplicemente come il nome di Gesù. In altre parole, l'interpretazione di Gesù come Messia non si originò con Paolo, ma egli lo ereditò. Per ricostruire la preistoria di tale nome, dobbiamo quindi considerare le seguenti domande:
* ''Quale'' era il significato del termine in questo periodo?
* ''Quando'' venne attribuito a Gesù di Nazareth?
* ''Perché''?
=== I significati di ''Messia'' ===
La [[w:Tanakh|Bibbia ebraica]] è la fonte fondamentale del termine ''mashiach'', sebbene la parola stessa vi ricorra solo trentanove volte. Di solito designa il sovrano corrente del regno ebraico la cui nomina era segnata da unzione con olio (per es. {{passo biblico2|2Samuele|5:3}}; {{passo biblico2|1Re|1:39}}; {{passo biblico2|Salmi|89:20}}). In alcuni casi, "l'unto" si riferisce al detentore del rango sacerdotale (per es. {{passo biblico2|Levitico:4:3,5,16}}), e l'unzione poteva figurare evidentemente nell'investitura di profeti ({{passo biblico2|1Re|19:16}}; cfr. {{passo biblico2|Isaia|61:1}}). Ma ad un certo punto l'intero popolo di Israele viene chiamato "l'unto di Dio" ({{passo biblico2|Salmi|105:15}}; {{passo biblico2|1Cronache|16:22}}); inoltre, più sorprendentemente, Isaia usa il termine per designare il sovrano persiano [[w:Ciro II di Persia|Ciro]], che sconfisse Babilonia e permise agli ebrei ivi esliati di ritornare a Gerusalemme e ricostruire il Tempio ({{passo biblico2|Isaia|45:1}}; cfr. {{passo biblico2|2Cronache|36:23}}).
A parte questo libero uso dell'appellativo, il primo referente storico di tale termine fu il re guerriero Davide. Nella tradizione ebraica, Davide appare come il sovrano che più amò Dio (la paternità dei salmi gli è attribuita) e che a sua volta fu amato da Dio in maniera speciale. Per questa ragione Dio promise sovranità eterna ai re del suo lignaggio:
{{q|Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e ''io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio''. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma ''non ritirerò da lui il mio favore'', come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e ''il tuo trono sarà reso stabile per sempre''.|{{passo biblico2|2Samuele|7:11-17}}}}
Ma fu proprio quando il potere reale fu tolto ai re della stirpe di Davide, quando la dimora di Dio fu distrutta e il popolo di Israele cacciato dalla terra, che questa promessa fu riaffermata in oracoli profetici. A seguito della caduta del Nord sotto l'Assiria (722 p.e.v.) e la cattura di Gerusalemme e l'esilio a Babilonia sutto Nabuccodonosor (586 p.e.v.), Isaia, Geremia ed Ezechiele confermano la speranza di un regno futuro idealizzato. Pertanto {{passo biblico2|Isaia|11}} anticipa "un germoglio spunterà dal tronco di Iesse", il padre di Davide. Tale "germoglio" è un futuro monarca il cui regno sarà contrassegnato da giustizia e pace (estendendosi anche al regno animale, vv. 6-8), quando "la conoscenza del Signore riempirà la terra" e raccoglierà gli espulsi di Israele; anche i Gentili cercheranno il re messianico ({{passo biblico|Isaia|11:1-15}}).
"Ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra", così profetizza Geremia ({{passo biblico|Geremia|23:5}}). Amplificando questa promessa in seguito nel suo libro, Geremia continua: "Così dice il Signore: Davide non sarà mai privo di un discendente che sieda sul trono della casa di Israele"; poi continua e paragona la certezza di questa promessa con la certezza del Creato stesso: "Come non si può contare la milizia del cielo né numerare la sabbia del mare, così io moltiplicherò la discendenza di Davide, mio servo" ({{passo biblico|Geremia|33:17-22}}).
A Ezechiele Dio promette che susciterà "per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio" ({{passo biblico2|Ezechiele|34:23}}). Osservando le Ossa Secche ("Figlio dell'Uomo, queste ossa sono tutta la gente d'Israele", {{passo biblico|Ezechiele|37:11}}), il profeta riceve da Dio la promessa di risurrezione e restaurazione: "Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d'Israele" ({{passo biblico|Ezechiele|37:12}}). Inoltre, a quel punto, Dio metterà "su di loro il mio servo Davide e non vi sarà che un unico pastore per tutti", loro re. (v. 24). Israele poi dimorerà nella terra per sempre, e sempre sotto un re davidico. Dio ripristinerà il santuario, il Tempio, e stabilirà una duratura alleanza di pace col Suo popolo. E col ripristino del Suo santuario anche i Gentili riconosceranno "che Io, il Signore, santifico Israele" (vv. 25-28).
Queste promesse profetiche furono annunciate proprio nel mezzo di una brutale disconferma dell'alleanza: sconfitta, distruzione, esilio. L'invocazione dei profeti del re davidico ultimo servì per affermare l'impegno generale e continuo di Dio verso Israele e verso le sue promesse di alleanza. Israele ''era'' in rovina, ma tale rovina era solo temporanea: Dio lo avrebbe redento.
E, in effetti, l'Esilio finì. Negli ultimi decenni del sesto secolo p.e.v. (ca. 538-510), con la loro sconfitta di Babilonia, i Persiani permisero agli esiliati di ritornare in Giudea e ricostruire la loro città e il loro Tempio. Ma i giorni della monarchia nativa erano finiti. Sotto i Persiani, la guida degli ebrei venne trasferita ai sommi sacerdoti, che governarono da Gerusalemme mentre servivano da intermediari tra il loro popolo e l'impero. Questo capo sacerdotale era (o si considerava fosse) uno [[w:Sadoc|Zadokita]], cioè un discendente dell'antico casato di Zadok, la cui prominenza storica si intrecciava con quella della monarchia davidica: lo Zadok biblico aveva sostenuto Salomone quale erede di Davide e lo aveva unto re ({{passo biblico2|1Re|1:28-45}}). Molto dopo che la potenza persiana era svanita, questa forma di governa continuava a persistere. Dopo che Alessandro Magno conquistò la Persia, i sommi sacerdoti di Gerusalemme mediarono in vari modi tra i Tolomei greci d'Egitto e i Seleucidi greci di Siria, e quindi la situazione continuò così fino allo scoppio della rivolta dei [[w:Maccabei|Maccabei]] (167 p.e.v.).
La guerra civile culturale che portò alla rivolta espresse una divisione all'interno della famiglia zadokita stessa. Nel 175 p.e.v., [[w:Giasone (Bibbia)|Giasone]], fratello del sommo sacerdote corrente, comprò per sé la carica corrompendo il sovrano seleucida [[w:Antioco IV|Antioco]], a cui chiese il permesso di trasformare Gerusalemme in una città ellenistica (da cui il ''gymnasium'' citato in {{passo biblico2|1Maccabei|1:14}}, cfr. {{passo biblico2|2Maccabei|4:7-22}} su Giasone). Vari zadokiti dividevano le loro lealtà politiche tra i Tolomei e i Seleucidi sempre in lotta tra loro; ma la maggioranza sosteneva, in un modo o nell'altro, l'ellenizzazione culturale e religiosa della vita ebraica. La famiglia sacerdotale degli [[w:Asmonei|Asmonei]], che si mise a capo della rivolta, alla fine guidò alla vittoria le forze che si opponevano ad una ellenizzazione radicale. In riconoscimento del loro potere e autorità in Giudea, i monarchi seleucidi da allora nominarono uno di loro alla carica di sommo sacerdote. In seguito (negli anni 140 e 130), man mano che crebbe l'autonomia politica, il sommo sacerdote asmoneo assunse il ruolo e persino il titolo di "re".
Gli ebrei dovevano adorare dei stranieri insieme al loro Dio proprio? E ignorare le leggi bibliche su cibo, sacrifici, Shabbat? Cessare la circoncisione, o nasconderne i segni ({{passo biblico2|1Maccabei|1:14,43-49}})? Il successo della rivolta rispose a tutte queste domande con un secco "No". L'estrema ellenizzazione venne scartata e la Legge di Mosè, nelle sue varie interpretazioni, sarebbe diventata la legge della Terra di Israele.
Ma l;indipendenza politica stabilita dagli Asmonei, insieme alla libertà di pratica religiosa post-Seleucida, complicò, per alcuni ebrei, proprio questa questione di interpretare e vivere la Legge. Il problema veniva esacerbato ed in un certo senso esemplificato dagli stessi Asmonei: sommi sacerdoti ma non Zadokiti; re, alla fin fine, ma chiaramente non della Casa di Davide (che era stato un laico); mancavano del ''pedigree'' biblico corretto per entrambi gli uffici, e ciò preoccupava parecchi ebrei. Altri preferivano semplicemente la forma più antica di governo, sotto la Persia o sotto i greci: un sommo sacerdote (la cui posizione, in confronto con la consolidazione asmonea degli uffici reali e sacerdotali, era relativamente apolitica) che serviva sotto un impero remoto e senza interessa per la vita quotidiana del paese. In poche parole, per alcuni il nuovo ordine dava fastidio.
Politicamente (e quindi religiosamente), le cose continuarono a farsi sempre più complicate. Israele venne ingolfato nella politica pan-mediterranea, che naturalmente influenzava sia il governo sia, di conseguenza, il Tempio. Aggrovigliata nelle guerre civili che segnavano il passaggio di Roma da repubblica a impero, Gerusalemme venne assediata e il Santo dei Santi profanato dal generale romano [[w:Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] (63 p.e.v.). Poi la sovranità asmonea passò a [[w:Erode il Grande|Erode il Grande]] (37-34 p.e.v), un convertito all'ebraismo di terza generazione. Non potendo servire da sommo sacerdote egli stesso, Erode usò tale posizione come nomina apertamente politica, assegnandola al suo cognato asmoneo (in seguito assassinandolo), e successivamente a nullità straniere in totale sua dipendenza. Quando questi morì, Augusto quale esecutore del testamento di Erode, divise la nazione tra i suoi tre figli superstiti: Archelao prese la Giudea e la Samaria; Antipa, la Galilea e la Perea (sulla sponda orientale del Giordano); Filippo parti della Transgiordania. Archelao si dimostrò controverso e nel 6 e.v., in parte dietro richiesta di alcuni Giudei, Augusto lo mandò in esilio e mise la Giudea direttamente sotto l'autorità di Roma. Gli altri due figli di Erode mantennero le loro terre e la loro autonomia come re clienti.
I prefetti in Giudea mantennero la pace coin alti e bassi, mentre i sommi sacerdoti continuarono ad andare e venire, ora secondo le simpatie di Roma. La guerra contro l'impero negli anni 66-73 e.v. devastarono Gerusalemme e la Giudea; e la fallita rivolta finale nel 132-135 e.v. guidata da Bar Kokhba (designato messia addirittura dalla famosa autorità religiosa, Rabbi Akiva) segnò il crollo politico e militare della nazione. Il popolo e la religione sarebbero continuati; ma la sovranità, il sacerdozio, il Tempio — quelle idee e questioni politico-religiose che avevano così tanto impegnato il periodo ellenistico ed asmoneo — furono trasposte in una nuova chiave dalle realtà mutate dei tempi rabbinici.
La funzione biblicamente irregolare della carica di sommo sacerdote da parte degli Asmonei e la restaurazione della monarchia, insieme ad una libertà controversa di pratica religiosa, aveva incubato i vari partiti religiosi – Sadducei, Esseni, Farisei – elencati da Flavio Giuseppe. Contribuirono inoltre alle accese convinzioni apocalittiche che diedero al periodo intertestamentario la sua mutagena intensità religiosa.
Stimolati da questo clima, i paradigmi messianici della prima tradizione scritturale si alterarono, crebbero, proliferarono. Solo nella biblioteca di Qumran, insieme alla più familiare immagine del messia reale davidico, il futuro guerriero/principe di pace, troviamo anche altre figure messianiche. Il messia appare anche come sacerdote perfetto. Oppure poteva essere il profeta escatologico, che avrebbe insegnato la giustizia e interpretato correttamente la Torah alla Fine dei Giorni. Mosè stesso aveva predetto il suo arrivo:
{{q|Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia. Il Signore mi rispose: Quello che hanno detto, va bene; io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò.|{{passo biblico2|Deuteronomio|18:15-18}}}}
Con una divergenza ancor più radicale dai tipi precedenti, i Manoscritti parlano anche di una figura messianica (angelica? umana? Il testo è frammentario) sul trono nei cieli quale redentore finale.
Queste figure di Qumran codificano critiche di circostanze specifiche dopo la rivolta maccabea. L'insistenza su un messia davidico annuncia una reazione negativa alla sovranità non-davidica degli Asmonei; la nozione di un messia sacerdotale della Fine dei Tempi rivela insoddifazione con la gestione corrente del Tempio; la divisione dell'autorità messianica tra sacerdote e re ("Aronne e Israele", come riportano i Manoscritti) indica una critica alla combinazione asmonea dei due uffici. Che i testi di una singola comunità esibiscano una tale varietà di queste figure messianiche ci dà una buona indicazione del grado di diversità interpretativa che la speranza apocalittica poteva fornire in generale. E quando allarghiamo la nostra prospettiva per considerare alcune delle rivelazioni apocrife e pseudonime che circolavano in questo periodo tra [[w:Giuda Maccabeo|Giuda Maccabeo]] e [[w:Simon Bar Kokheba|Bar Kokhba]] – [[w:Libro di Daniele|Daniele]], [[w:Libri di Esdra|2 Esdra]], [[w:Libro di Enoch|1 Enoch]], che parlava della venuta di un Figlio dell'Uomo; [[w:Apocalisse di Baruc|2 Baruc]] e i [[w:Salmi di Salomone|Salmi di Salomone]] riguardo ad un messia regale; l'[[w:Testamento di Mosè|Assunzione di Mosè]], sul Regno finale ma senza nessun messia – vediamo che nessuno dei dettagli del prossimo dramma cosmico era stato determinato per certo. Ciò che importava era il trionfo finale del Bene contro il Male, nel compimento universalizzato delle promesse di Dio a Israele.
Questa diversità di figure messianiche e della loro missione non deve oscurare l'importanza primaria del messia davidico. L'aspettativa messianica non era universale; ma coloro che sceglievano di speculare su tale vena avevano, nei testi profetici classici e nelle successive interpretazioni apocalittiche, un corpo di tradizioni pronto da usare. Il Messia figlio di Davide è la figura migliore e meglio attestata, attraversando linee settarie e temporali: possiamo rintracciarlo dalle storie bibliche ebraiche classiche e dai profeti passando per una moltitudine di testi intertestamentari (succitati) e arrivando fino alle preghiere e bendizioni rabbiniche. Il suo ruolo nel dramma finale della storia era chiaro. "Vedi, O Signore, e suscita per loro il loro re, il figlio di Davide", pregava l'autore dei pseudonimi Salmi di Salomone nel primo secolo p.e.v., "nel tempo di cui tu hai conoscenza [cioè, la Fine dei Tempi], e cingilo di forza, cosicché possa distruggere coloro che governano senza giustizia" (17:23). Assiso a giudizio, sconfiggendo i nemici di Dio, regnando su un Israele ripristinato, stabilendo una pace eterna, questo principe escatologico incarnava la prodezza militare, il valore e le virtù del suo regio antenato, il re guerriero Davide.
Fatto misterioso quindi che la prima tradizione cristiana scegliesse questa figura quale modo per esprimere e proclamare l'identità religiosa di Gesù di Nazareth.
=== "Cristo" secondo Paolo ===
Paolo tipicamente identifica Gesù come "Cristo": il termine ricorre più di 140 volte in sette lettere della sua corrispondenza esistente. Poiché scrive a comunità già affermate, Paolo non offre da nessuna parte una spiegazione elementare, catechetica, del suo uso di tale parola o dell'uso fatto dalla tradizione — del tipo "poiché Gesù fece così e così, egli deve essere per forza il Cristo", come del resto troviamo nei successivi Vangeli. Solo nella sua ultima lettera, alla comunità di Roma, troviamo due dichiarazioni brevi ma formali dell'identità di Gesù che lo collega al più vasto mito redentivo basato sulla Bibbia. La prima dichiarazione avviene quando Paolo si introduce:
{{q|Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al ''Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne'', costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore.|{{passo biblico2|Romani|1:1-4}}}}
La seconda appare in un centinaio di citazioni bibliche da Salmi, Deuteronomio e Isaia quando Paolo arriva alla fine della sua lettera. Di nuovo invoca la venuta di Gesù ad adempimento delle promesse bibliche: "Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza" ({{passo biblico2|Romani|15:4}}). Queste promesse, dice Paolo, hanno sempre avuto in vista un duplice scopo: la redenzione di Israele ("Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri") e delle nazioni ("ed ha accolto i Gentili per la sua misericordia, affinché glorifichino Dio", v. 8). Citando Isaia poi Paolo aggiunge: "Spunterà un germoglio dalla ''radice di Iesse'', e colui che sorgerà per reggere le genti; le nazioni spereranno in lui" ({{passo biblico2|Isaia|11:10}} ''LXX'').
Queste allusioni sono brevi ma ricolme di significato biblico. Per esempio, nella sua frase d'apertura, Paolo nomina Gesù quale discendente fisico di Davide e pertanto "figlio" di Davide. Ma Paolo inoltre introduce Gesù innanzitutto come Figlio di Dio. Questa idea di filiazione – che il re (quindi "figlio di Davide") sia anche in un certo senso Figlio di Dio – si rifa, come abbiamo già visto, ad antiche tradizioni ebraiche sulla regalità. Dio quando parla per mezzo del profeta Nathan a Davide aveva promesso sovranità al casato davidico, dicendo del futuro sovrano: "egli mi sarà figlio" ({{passo biblico2|2Samuele|7:14}}; il passo è citato per intero ''[[Missione a Israele/Paolo e Gesù#I significati di Messia|supra]]''). Il linguaggio di sovranità esprime il vincolo costante dell'affetto tra Dio e il re.
Tuttavia, alla luce delle asserzioni metafisiche che il cristianesimo trinitario fece in seguito riguardo a Gesù, dobbiamo notare qui che questa tradizione biblica afferma anche la paternità terrena, fisica, del re: la discendenza da Davide quale padre umano è proprio il punto della promessa da parte di Dio della permanenza del suo lignaggio regale. "La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre" ({{passo biblico2|2Samuele|7:16}}). Davide come messia e, quindi, figlio di Dio similmente appare nel Salmo 89:
{{q|'''Ho trovato Davide, mio servo, l'ho unto con il mio santo olio'''; la mia mano lo sosterrà saldamente e il mio braccio lo rafforzerà. Il nemico non lo sorprenderà e il perverso non l'opprimerà. Io disperderò davanti a lui i suoi nemici e sconfiggerò quelli che l'odiano. La mia fedeltà e la mia bontà saranno con lui e nel mio nome crescerà la sua potenza. Stenderò la sua mano sul mare e la sua destra sui fiumi. '''Egli m'invocherà, dicendo: "Tu sei mio Padre, mio Dio, e la rocca della mia salvezza"'''.|{{passo biblico2|Salmi|89:20-26}}}}
Stessa cosa nel Salmo 2, il cosiddetto ''Il regno del Figlio di Dio'': "Io annuncerò il decreto: Il Signore mi ha detto: "Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato" (v. 7).
"Figlio di Dio" in altre parole è un'antica frase nativa della tradizione ebraica per indicare il messia umano. Tale frase segna l'intima relazione tra Dio e il designato. Viene anche usata nella Bibbia per altri rapporti stretti tra Dio ed esseri prescelti. Angeli, profeti, uomini particolarmente giusti ed retti, l'intera nazione di Israele (vedi Paolo in {{passo biblico2|Romani|9:4}}) — tutti possono appropriatamente essere chiamati "figlio/i di Dio". Usata come raffigurazione della casa di Davide, la frase indica un monarca. Trasposta in chiave apocalittica, la frase indica il re escatologico finale.
Paolo non fornisce spiegazioni per la sua identificazione di Gesù quale figura regale — "Cristo" (cioè, Messia) "disceso da Davide". Tuttavia, non importa quali ragioni Paolo avesse per identificare Gesù in tal modo, la Riseurrezione non è una di queste. La risurrezione di Gesù designa una filiazione speciale – "figlio di Dio ''in potenza'' – ma non quello davidico, che Paolo aveva precedentemente distinto come dipendente da discendenza fisica ("secondo la carne"). Paolo qui afferma ciò che gli studiosi sanno dal loro studio della più vasta tradizione ebraica, vale a dire, che l'ebraismo precedente e contemporaneo con il cristianesimo antico non conosceva tradizione di un messia risorto, e quindi nulla di un messia che muore. Infatti, quando un "unto" muore – in {{passo biblico2|Daniele|9:26}}, per esempio, "dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui" – è una figura politica umana. Ma non è, ''ipso facto'', il Re-Redentore escatologico finale.
L'unica allusione della ragione paolina di vedere Gesù come il Messia davidico ricorre nel capitolo {{passo biblico|Romani|15}}, quando si riferisce esplicitamente a {{passo biblico2|Isaia|11:10}}, la "la radice di Iesse" che governa e porta speranza ai Gentili ({{passo biblico|Romani|15:12}}). Per capire più chiaramente il punto che Paolo sta facendo, dobbiamo fare un passo indietro e vederlo nel suo più ampio contesto: le speculazioni ebraiche sul ruolo dei Gentili nei giorni finali.
Tale speculazione forma un elemento nell'ambito delle speranze apocalittiche ebraiche più generiche. Queste speranze esprimono la convinzione biblica fondamentale che Dio è buono, che Egli opera nella storia, e che Egli mantiene le promesse. La promessa fondamentale – a cui Paolo allude in {{passo biblico2|Romani|15:8}} – si rifà alla chiamata di Abramo, che nella prospettiva tradizionale fu l'inizio del popolo ebraico:
{{q|Il Signore disse ad Abramo: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, ''verso il paese che io ti indicherò''. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette
''tutte le famiglie della terra''.|{{passo biblico2|Genesi|12:1-3}}}}
La storia di Abramo inizia quindi con l'impegno di Dio che la Terra di Israele è riservata ad Abramo e famiglia, e che il loro rapporto speciale beneficerà tutta l'umanità. Dio poi fa altri pronunciamenti ad Abramo. I suoi discendenti saranno fatti schiavi in una terra straniera, ma Dio li redimerà dalla cattività e li porterà nella loro dimora promessa ({{passo biblico2|Genesi|15:12-20}}). Abramo e la sua famiglia devono camminare davanti a Dio ed essere integri ({{passo biblico2|Genesi|17:1}}), sigillando la loro alleanza nella carne con la circoncisione ({{passo biblico2|Genesi|17:10-13}}), osservando la via del Signore e agendo con giustizia e diritto ({{passo biblico2|Genesi|18:19}}). La promessa della Terra si ripete in tutto il resto di Genesi, ricorrendo nei rapporti di Dio con Isacco e Giacobbe; invocata da Giuseppe, morente in Egitto, nelle frasi finali del libro:
{{q|Poi Giuseppe disse ai fratelli: "Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questo paese verso il paese ch'egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe".|{{passo biblico2|Genesi|50:24}}}}
Da Genesi 12, con la chiamata di Abramo da parte di Dio, fino alla chiusura del Deuteronomio, con Mosè morente mentre le dodici tribù si preparano ad attraversare il Giordano, l'intera Torah narra la storia di come Dio mantenne la Sua promessa della Terra — "il paese per il quale Io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza" ({{passo biblico2|Deuteronomio|34:4}}). Il collasso finale del regno ebraico settentrionale provocato dall'Assiria nel 722 p.e.v., e la caduta del meridione sotto Nabuccodonosor nel 568 p.e.v., devono essere visti in questa prospettiva. L'Esilio dalla Terra fu una disconferma traumatica della promessa di Dio, della Sua alleanza, dell'elezione di Israele quale popolo di Dio.
Fu il genio dei profeti che la trasformò altrimenti. Tra tutte le famiglie della terra, esortarono, Dio aveva scelto esclusivamente Israele per conoscerLo e servirLo:
{{q|Soltanto voi ho eletto tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità.|{{passo biblico2|Amos|3:2}}}}
La sofferenza era la punizione, e la punizione non era un rigetto. Dio usava la calamità per richiamare Israele al pentimento. Con la ridedicazione ad adempiere i suoi obblighi – rituali, morali, economici, come li interpreta la mente moderna – ritornando alla Torah, Israele sarebbe ritornato anche alla Terra. "Sion sarà riscattata con la giustizia, i suoi convertiti con la rettitudine" ({{passo biblico2|Isaia|1:27}}). Dio è giusto e misericordioso; il Suo amore è costante; la Sua parola immutabile; le Sue promesse, quindi, sicure — o come asserisce Paolo in Romani: "I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" ({{passo biblico|Romani|11:29}})
Secondo i profeti, la confrontazione tra Babilonia e Gerusalemme rappresentava nell'idioma storico i due poli della realtà spirituale e morale: esilio e ritorno, schiavitù e redenzione, peccato e pentimento, pentimento e perdono. Generazioni successive, traumatizzate a loro volta dalla confusione culturale e religiosa dei periodi greci e romani, puntarono verso questa tradizione profetica. Amplificarono la sua urgenza e universalizzarono le sue affermazioni: la profezia divenne un'escatologia apocalittica. La redenzione assicurata non sta più soltanto nel futuro. Tale futuro incide nel presente: è imminente, e uno può conoscere il suo arrivo interpretando i segni dei tempi.
Ed il segno più sicuro era che le cose andavano proprio male. Se sacerdoti ellenizzati controllavano il Tempio; se un idolo straniero era posto sull'altare di Dio; se gli ebrei apostatavano e gli idoli profanavano la Terra; se il sommo sacerdozio veniva tolto alla casa di Zadok; insomma, se ogni cosa era diventata il più terribile possibile, allora di certo Dio stava per intervenire. Quanto in realtà fossero terribili queste cose, o cosa fosse "terribile" dipendeva, naturalmente dal proprio particolare punto di vista: quello che poteva sembrare terribile ad un sacerdote zadokita alienato avrebbe potuto sembrare accettabile ad un partigiano maccabeo. In poche parole, la situazione particolare o l'evento che stimolava una reazione apocalittica variava da persona a persona e da comunità a comunità. Ma comune a tutti era la mentalità di urgenza, insieme ad un'intensa convinzione religiosa: peggio diventavano le cose, e meglio sarebbero presto diventate. Dio – giusto, buono, onnipotente – non avrebbe permesso alla storia di andare alla deriva indefinitivamente.
Pertanto quello che nei profeti doveva essere un evento storico nella vita del popolo di Israele – il ritorno alla Terra ed il ripristino del Regno – divenne nella sua modalità apocalittica ciò che Dio avrebbe compiuto alla Fine dei Giorni, cambiando la natura stessa della realtà storica. Sia l'estensione precedente del male sia l'estensione finale del bene diventano universali, man mano che la redenzione di Israele da Babilonia ed il ritorno alla Terra si espandono su vasta scala: la sconfitta cosmica del male, il raduno di tutto il popolo (vivi e morti), e l'adorazione universale del Dio di Israele. Ritornando dai territori della sua dispersione, Israele sarà scortato a Sion dalle nazioni: "In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi" ({{passo biblico2|Zaccaria|8:23}}). E scrive Tobia, un apocfrifo del secondo secolo p.e.v.:
{{q|Poi di nuovo Dio avrà pietà di loro e li ricondurrà nel paese d'Israele. Essi ricostruiranno il Tempio, ma non uguale al primo, finché sarà completo il computo dei tempi. Dopo, torneranno tutti dall'esilio e ricostruiranno Gerusalemme nella sua magnificenza e il Tempio di Dio sarà ricostruito, come hanno preannunziato i profeti di Israele. Tutte le genti che si trovano su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità. Tutti abbandoneranno i loro idoli, che li hanno fatti errare nella menzogna, e benediranno il Dio dei secoli nella giustizia.|{{passo biblico2|Tobia|14:5-6}}}}
Qui dunque sta la chiave per capire la visione di Paolo riguardo a Gesù quale Cristo davidico. Che nei giorni finali, per effettuare la redenzione di Israele, Dio avrebbe mandato il sua Messia, il germoglio di Iesse, ''non'' era, come abbiamo visto, una credenza ebraica universale; tuttavia, chiaramente, Paolo e gli altri membri del movimento cristiano erano tra quegli ebrei che la sostenevano. E che nei giorni finali Dio avrebbe convinto le nazioni gentili ad adorarLo, facendoli rifiutare per sempre i loro falsi idoli, ''non'' era il solo ruolo apocalittico assegnato ai Gentili. Troviamo infatti altre speculazioni meno generose (molte anche in Isaia): le nazioni ingiuste sarebbero state distrutte, le loro città desolate ({{passo biblico2|Isaia|54:3}}); le loro ricchezze passeranno a Gerusalemme ({{passo biblico|Isaia|45:14}}); i re dei Gentili si prostreranno dinanzi a Israele ({{passo biblico|Isaia|49:6-7}}); le nazioni leccheranno la polvere ai piedi di Israele. Ma è la tradizione inclusiva che anticipa la partecipazione gentile alla redenzione finale di Israele che appare sempre più frequentemente negli scritti intertestamentali, nelle preghiere sinagogali, e nelle discussioni rabbiniche. E, ovviamente, questa è la tradizione che forma le convinzioni e le attività dei primi cristiani ebrei — Giacomo, Giovanni, Pietro, Barnaba, e specialmente Paolo (si veda {{passo biblico2|Galati|2}}).
{{Immagine grande|Sardis Synagogue, late 3rd century AD, Sardis, Lydia, Turkey (19331773400).jpg|800px|<small>''"Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe"'' ({{passo biblico2|Atti|15:21}}).Nel mondo antico, "sinagoga" poteva semplicemente significare un "raduno" o una congregazione, non necessariamente un edificio. Ma nelle città della Diaspora, gli ebrei a volte costruivano grandi e maestosi edifici pubblici da adibirsi a luogo di raduno per le rispettive comunità. Quei Gentili che erano interessati, potevano parteciparvi senza problemi. I reperti della [[:en:w:Sardis Synagogue|'''sinagoga di Sardi''']] ([[w:Sardi (città)|nella Turchia moderna]]) attestano una ricca comunità ebraica ben integrata il cui edificio pubblico era situato nel cuore della città, nella stessa struttura del mercato e dei bagni. Il pavimento della sinagoga corre lungo tutto il bordo inferiore della struttura.</small>}}
Se consideriamo il posto dei Gentili nelle comunità delle sinagoghe diasporiche, vediamo più chiaramente l'impatto di questa nozione apocalittica sulla vita gentile cristiana. ''Estranei interessati'' da tempo venivano accolti nelle sinagoghe e avrebbero continuato ad essere accolti per diversi secoli dopo questo periodo. Tali Gentili erano liberi di praticare dell'ebraismo anche solo quelpoco che preferivano, pur continuando nelle loro pratiche ancestrali. Questo atteggiamento aperto era coerente con l'ecumenismo religioso che segnava la cultura pagana in generale. Da parte ebraica, aveva buon senso incoraggiare l'interesse e persino l'ammirazione della maggioranza gentile che li ospitava. Inoltre, poiché la tradizione ebraica considerava l'osservanza della Torah quale privilegio ultimo di Israele, la sinagoga non aveva motivo di imporre i propri standard di monoteismo sui vicini. Se i Gentili nella Diaspora scelsero di unirsi agli ebrei nell'adorazione del Dio di Israele, erano assolutamente liberi di farlo, proprio come a Gerusalemme essi erano liberi di finanziare offerte al Tempio. Abbondanti testimonianze letterarie e epigrafiche rivelano una considerevole interazione tra Gentili ed ebrei. E, con grande irritazione di successivi vescovi cristiani, i cristiani gentili fin verso la fine del quarto secolo e anche dopo, continuarono ciò che avevano iniziato i loro antenati pagani, frequentando sinagoghe e osservando digiuni ebraici e relative festività.
La ''conversione'' all'ebraismo, che per gli uomini comportava la circoncisione, era tutt'altra faccenda. Un Gentile che sceglieva di diventare ebreo doveva assumersi il relativo obbligo di osservare la Torah. Paolo scrive: "Ogni uomo che si fa circoncidere, è obbligato a osservare tutta la legge" ({{passo biblico2|Galati|5:3}}). Di conseguenza, la conversione comportava la cessazione completa di qualsiasi culto pagano, tagliandosi quindi fuori dal contesto sociale e religioso dell'antica città. Queste era pertanto un passo alquanto serio e consequenziale. Potenzialmente tutte le attività civiche coinvolgevano sacrifici. La mancata partecipazione ai culti della città e dell'impero (che imponevano ommaggio all'imperatore e al genio di Roma) poteva facilmente risultare in risentimento, se non addirittura accuse penali. Una fedeltà esclusiva al dio ebraico avrebbe quindi necessariamente influenzato aspetti della vita del convertito ben oltre quella che noi moderni reputiamo "materia religiosa".
Ebrei di nascita dovevano contrattare esenzioni dai culti della cultura maggioritaria, e tali esenzioni erano riportate per iscritto nelle leggi delle città in cui vivevano. Il loro esclusivismo religioso irritava alcuni scrittori pagani, che lo consideravano "ateista", termine derogatorio che descriveva il rifiuto di adorare gli dei. Commentando con risentimento sull'"ateismo" ebraico, questi scrittori rimproveravano particolarmente quegli (ex-)Gentili che si erano convertiti all'ebraismo: tali conversioni sembravano una forma di sedizione, una slealtà di rango e un tradimento del proprio popolo, nazione, antenati, e dei.
Questo risentimento evidenzia la stranezza dell'idea di conversione nell'antichità. Quella che noi oggi consideriamo "religione" aveva un chiaro nesso genealogico: la gente adorava gli dei per loro nativi, della propria famiglia/paese. Sottoporsi ad un rito che trasformava un pagano in ebreo non aveva alcun senso per gli antichi pagani; sarebbe come stato oggigiorno sottoporsi ad un rituale per cui una persona si trasformasse dall'essere, diciamo, in effetti culturalmente italiana in una in effetti culturalmente australiana. Una persona moderna oggi si può certamente convertire dal cattolicesimo al protestantesimo ma rimanere italiana; oppure può cambiare legalmente la propria cittadinanza, passando da un passaporto italiano ad uno australiano, ma rimanere cattolica. La nostra distinzione tra nazionalità legale e culturale, o ''status'' religioso e culturale, non è precipua dell'antichità. "Diventare" un ebreo significava diventare parte di un altro popolo o nazione, in un certo senso annullare il proprio passato.
Senza conversione, però, queste comunità sinagogali della Diaspora non richiedevano un tale cambiamento di fedeltà religiosa, né si aspettavano avvenisse: i Gentili simpatizzanti potevano rimanere pagani e spesso lo facevano. Inoltre, gli stessi ebrei diasporici non sembra svolgessero missioni proselitizzanti presso i Gentili: dato il contesto sociale religioso dell'antica città, ed il risentimento pagano verso l'esclusività cultica ebraica, una tale missione, se fosse stata concepita, avrebbe potuto benissimo mettere in pericolo il benessere della propria comunità, in minoranza in qualsiasi città si trovasse.
Si consideri quindi, in tale contesto, ciò che Paolo dice ai suoi Gentili. Li esorta ad adorare ''solo'' il Dio di Israele. "Avete imparato da noi", Paolo dice ai Tessalonicesi, "come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero" ({{passo biblico2|1Tessalonicesi|1:9}}). I Corinzi devono rinunciare completamente all'idolatria; chiunque vi indulga ancora deve essere espulso dalla comunità ({{passo biblico2|1Corinzi|5:1-13}}). Sebbene sappiano che "«non esiste alcun idolo al mondo» e che «non c'è che un Dio solo»" (Paolo qui li cita, {{passo biblico|1Corinzi|8:4}}), mangiar carne di animali sacrificati ad idoli mettono a rischio alcuni membri della comunità:
{{q|Ma non tutti hanno questa scienza; alcuni, per la consuetudine avuta fino al presente con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero immolate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com'è, resta contaminata. Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.|{{passo biblico2|1Corinzi|8:7-13}}}}
Così, in effetti tali membri si assentano dal rituale civile. Paolo ripete questa raccomandazione ''ad infinitum'': " Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria!" ({{passo biblico2|1Corinzi|10:14}}; si veda l'intero capitolo).
Tuttavia ciò non vuol dire che questi Gentili dovessero diventare ebrei: tale infatti è l'intero punto fatto dall'argomentazione di Paolo nella sua lettera ai Galati. Non hanno bisogno di convertirsi — a dire il vero, Paolo asserisce con convinzione, essi non si ''devono'' convertire, perché Dio in Cristo li ha salvati per grazia, senza le opere della Torah. È sufficiente, dice Paolo, che i Gentili-in-Cristo si amino l'uno con l'altro e ripudiano le "opere della carne".<ref>Paolo poi elenca i soliti comportamenti condannati: fornicazione, impurità, idolatria, ubriachezza, e via dicendo: "Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso... Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio" ({{passo biblico2|Galati|5:14,19-21}}).</ref> Riassumendo, secondo Paolo i Gentili-in-Cristo devono ripudiare il loro culto tradizionale e dedicarsi esclusivamente al Dio di Israele. Si devono estraniare completamente dai giorni sacri sociali e religiosi della loro città e della loro cultura nativa. ''E non devono'' diventare ebrei.
Non ci sono precedenti nella normale pratica sinagogale che scusino le sue richieste. Piuttosto, sono prese da vcarie tradizioni apocalittiche ebraiche. Paolo esorta i suoi Gentili a comportarsi esattamente come altri ebrei, che pensavano tali cose, avrebbero considerato solo una volta che fosse arrivato il Regno. Troviamo il tema del pellegrinaggio a Sion dei Gentili alla Fine dei Tempi già nei profeti classici. Isaia dice:
{{q|Alla fine dei giorni,<br/>
''il monte del tempio del Signore''<br/>
sarà eretto sulla cima dei monti<br/>
e sarà più alto dei colli;<br/>
''ad esso affluiranno tutte le genti''.<br/>
''Verranno molti popoli'' e diranno:<br/>
«Venite, saliamo sul monte del Signore,<br/>
al tempio del Dio di Giacobbe,<br/>
perché ci indichi le sue vie<br/>
e possiamo camminare per i suoi sentieri».|{{passo biblico2|Isaia|2:2-3}}}}
Questo tema si sviluppa nell'aspettativa che i Gentili alla Fine faranno un'alleanza esclusiva con Dio e ripudieranno i loro idoli. "Allora io trasformerò le labbra dei popoli in labbra pure, affinché tutti invochino il nome del Signore, per servirlo di comune accordo" dice Dio tramite il profeta Sofonia (settimo secolo p.e.v. – {{passo biblico2|Sofonia|3:9}}). Affidandosi a Dio negli ultimi giorni, i Gentili "abbandoneranno i loro idoli", profetizza Tobia ({{passo biblico2|Tobia|14:6}}; secondo secolo p.e.v.). Andando al Tempio, contemplando la Legge di Dio l'Altissimo, questi Gentili vedranno gli idoli distrutti dalle fiamme ([[w:Oracoli sibillini|Oracolo Sibillino]] 3.616,716; metà del secondo secolo p.e.v.). E vediamo questo tema ripetuto in seguito nella preghiera sinagogale, l’[[w:Aleinu|Aleinu]] (ebr. עָלֵינוּ): quando Dio finalmente si rivela nella gloria, "tutta l'umanità" (ebr. ''kol benei basar'', "tutti i figli di carne") abbandoneranno i loro idoli per adorare il Signore. E troviamo questo tema, a metà del primo secolo e.v., in Paolo.
La cultura pagana e la sorta di comportamento morale, sessuale e religioso che tollerava (o, secondo Paolo, che produceva) non erano materie di generale entusiasmo ebraico. Paolo condivideva in pieno le vedute dei suoi correligionari su tale argomento, come dimostra la sua inquietante condanna della cultura pagana:
{{q|Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.<br/>
Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.<br/>
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.|{{passo biblico2|Romani|1:22-31}}}}
Apostolo arrabbiato, il nostro Paolo! Per Paolo, il fatto che i suoi Gentili-in-Cristo fossero in grado di rinunciare ai loro idoli e ai comportamenti che gli ebrei associavano con l'idolatria deve esser sembrato come un miracolo, ed è precisamente ciò che dice. Il loro affidarsi a Dio, abbracciare l'idealizzata etica ebraica – modestia sessuale, monogamia, sostegno dei poveri, e via dicendo – è la misura dello spirito di Dio, dice Paolo, o dello spirito di Cristo, che opera in loro ({{passo biblico2|Romani|8:9}}: "Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene"; e spesso altrove; {{passo biblico2|Galati|4:6}}). I Gentili cristiani per Paolo rappresentano col loro comportamento la prova che il Regno stesse proprio per arrivare, che il Messia era veramente venuto e stava per venire nuovamente.
Ma qui stava anche l'imbarazzo. Poiché, sebbene il Messia fosse già venuto, egli aveva bisogno di ritornare ancora per completare l'opera di redenzione. In questo breve intervallo, dalla Risurrezione alla Parusia, i Gentili di Paolo, potenziati dallo spirito, dovevano vivere ''come se'' fossero già nell'era messianica. In termini di vita nell'ambito della ''ekklēsia'', ciò invero accadeva: lì lo Spirito veniva riversato sui fedeli, che profetizzavano e parlavano in altre lingue ("glossolalia"); la gente guariva e miracoli accadevano; i cristiani avevano, tramite Cristo, ricevuto adozione ed erano diventati figli di Dio. Ma il resto del mondo andava avanti come sempre, inconsapevole che secondo Paolo tale mondo sembrava dovesse finire.
Ecco allora che vediamo più chiaramente la misura e le conseguenze dello scorcio di prospettiva che Paolo aveva riguardo al tempo. Insistendo sia che i Gentili ''non'' si convertissero all'ebraismo (mantenendo quindi la loro condizione pubblica e legale come pagani) e che ciononostante ''non'' adorassero idoli (un diritto riservato solo agli ebrei), Paolo portò questi Gentili-in-Cristo in una terra di nessuno sociale e religiosa. Nel periodo prima della Parusia, essi non avevano una collocazione a se stante. E, a lungo termine, la loro posizione si sarebbe rivelata insostenibile: infatti, è proprio questo gruppo gentile che cade vittima di persecuzioni anticristiane nei lunghi secoli fino alla conversione, nel 312, di [[w:Costantino I|Costantino]]. Ma Paolo, ripetiamo, non si aspettava un lungo termine. Il Messia non solo era già venuto, ma doveva presto ritornare. ''Presto''. I suoi Gentili ne erano, per Paolo, la vera prova.
È nella descrizione paolina della Seconda Venuta di Gesù che vediamo, finalmente, la forza delle aspettative ebraiche tradizionali circa il ruolo e la funzione del Messia davidico. La prima manifestazione di Gesù non era stata messianica, e Paolo lo sapeva. L'aveva addirittura enfatizzata: Paolo predicava "Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i Gentili"; Dio ha deliberatamente scelto di "salvare i credenti con la stoltezza della predicazione... ma ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini". Tramite la croce di Cristo, Dio ha operato la redenzione ({{passo biblico2|1Corinzi|1:18-31}}).
Ma tale redenzione, insiste però Paolo, non si realizzerà totalmente e pubblicamente fino alla Parusia. Solo a quel punto la redenzione sarà manifesta. Al suono delle trombe e al grido di battaglia degli angeli ({{passo biblico2|1Tessalonicesi|4:16}}), il Figlio che ritorna distruggerà i nemici di Dio ({{passo biblico2|1Corinzi|15:24-28}}), radunerà vivi e morti ({{passo biblico2|1Tessalonicesi|4:16}} e segg.; {{passo biblico2|1Corinzi|15:23,42,51-52}}; {{passo biblico2|Filippesi|3:21}}; {{passo biblico2|Romani|11:15}}), e raccoglierà il disperso Israele ({{passo biblico2|Romani|11:12}} piena inclusione di Israele, {{passo biblico|Romani|11:26}} tutto Israele salvato). Quando Cristo verrà di nuovo, dice Paolo, egli verrà nel modo che il Messia regale ci si aspetta venga: nella potenza.
La visione di Paolo che ci presenta Gesù come il Messia davidico corrisponde pertanto intimamente sia con la sua interpretazione della propria chiamata sia con le sue visioni del modo sorprendente in cui Dio realizza le Sue promesse bibliche a Israele. Paolo afferma che Dio lo aveva scelto già prima che fosse nato con lo scopo di chiamare i Gentili tramite Suo Figlio: "Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai Gentili" ({{passo biblico2|Galati|1:15-16}}). Paolo afferma che persino i pilastri della comunità di Gerusalemme che avevano conosciuto Gesù secondo la carne – Pietro, Giacomo, Giovanni – lo avevano riconosciuto quale l'apostolo dei Gentili ''par excellence'':
{{q|A me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i Gentili ed essi verso i circoncisi.|{{passo biblico2|Galati|2:7-9}}}}
Paolo sosteneva che l'intervallo tra la risurrezione di Cristo e la sua Parusia corrispondeva approssimativamente alla lunghezza della sua propria missione: appena avesse raggiunto "la pienezza dei Gentili", si sarebbero svolti gli eventi finali ({{passo biblico2|Romani|11:25}}; cfr. vv. 11-24). Gesù è il Cristo, ''il rampollo di Iesse'' predetto da Isaia, e le nazioni spereranno in lui ({{passo biblico2|Romani|15:12}}). Paolo ha fatto la sua parte radunandoli: per quanto lo concerneva, entro la metà del secolo egli aveva realizzato tutto quello che c'era da realizzare: "Da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo... Ora però, non trovo più un campo d'azione in queste regioni" ({{passo biblico2|Romani|15:19,23}}).
Paolo non fu l'unico apostolo ebreo che andò dai Gentili in questa prima generazione, sebbene sia facile crederlo a causa delle sue lettere. Pietro stesso vi aveva partecipato; c'era anche Barnaba e, in Antiochia, "il resto dei Giudei" ({{passo biblico2|Galati|2:11-13}}). Qualcuno era arrivato a Roma prima di Paolo, perché questi scrive in anticipo a questa ''ekklēsia'', in gran parte se non addirittura tutta gentile, per presentarsi. Chiude la sua lettera inviando saluti agli apostoli ("miei collaboratori in Cristo Gesù") già là: alcuni tra loro erano ebrei ({{passo biblico2|Romani|16:1-16}}). Anche questi altri avevano costruito il messianismio davidico di Gesù su quest'idea della conversione escatologica dei Gentili?
Non possiamo saperlo, naturalmente, perché le epistole di Paolo sono l'unica testimonianza che noi abbiamo di questa generazione. Ma se questo gruppo fu il primo ad identificare Gesù come Messia per tale ragione, allora la designazione si riferirebbe solo fino alla missione della Diaspora, il primo punto in cui un notevole numero di Gentili vennero coinvolti. Prima che si spargesse per la Diaspora, secondo l'evidenza dei Vangeli, il movimento si era limitato alla maggioranza dei villaggi della Galilea e a Gerusalemme. La partecipazione dei Gentili era stata minima.
La lista di Paolo che enumera i testimoni del Cristo risorto tuttavia indica l'origine della designazione ai giorni pre-Diaspora. Cristo "apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta..." ({{passo biblico2|1Corinzi|15:5-6}}). Ma se Gesù come Cristo risale agli eventi delle Risurrezione – quale che sia il modo di interpretarli – non abbiamo comunque idea della ragione di tale affermazione. Nulla nell'ebraismo pre-cristiano anticipava un Messia risorto. D dove proviene quindi tale identificazione, già ben stabilita quando Paolo verso il 33 si unisce al movimento?
Il fatto che Gesù sia morto su una croce romana retrocede il punto d'origine di questa designazione messianica alla missione diasporica, indietro dalla Risurrezione fino al suo tempo, quando era in vita. Il significato essenziale di "messiah" è coerente con il modo in cui Gesù morì. Titolo regale molto prima che acquisisse il suo significato escatologico, "messia figlio di Davide" indica perlomeno un re di Israele — affermazione politica che qualsiasi competente governatore coloniale romano avrebbe desiderato scoraggiare. Il metodo romano preferito per scoraggiare la sedizione era la crocifissione. Il modo in cui morì Gesù è la nostra testimonianza più sicura che una asserzione della sua messianità davidica risale ai suoi tempi, non dopo. Si assunse tale titolo da sé? O altri glielo diedero? Perché? Per risolvere queste domande dobbiamo esaminare i Vangeli.
=== "Cristo" nei Vangeli ===
In modi differenti dalle lettere di Paolo, anche i Vangeli ci avvicinano e ci allontanano dal Gesù storico. Ci avvicinano perché, quali che siano le vicissitudini della varie tradizioni conservate dai Vangeli, almeno alcune di queste devono per forza risalire ai seguaci originali di Gesù — o così o altrimenti i Vangeli non ci dicono assolutamente niente del Gesù storico. I suoi primi seguaci sono i necessari collegamenti mediani nella catena tra Gesù e queste successive storie su di lui.
Tuttavia, ce ne distolgono anche, perché, a differenza delle lettere di Paolo, i Vangeli sono documenti compositi. Il loro periodo di formazione parte dell'eredità orale dei primi discepoli al tempo proprio degli evangelisti, un divario tra i quaranta e i settanta anni. Nell'intervallo, si svolsero eventi di grande importanza. In primo luogo, lo stesso movimento cristiano si era evoluto in una specifica setta nell'ambito dell'ebraismo, e aveva quindi partecipato ai dibattiti litigiosi che caratterizzarono i rapporti intersettari di questo periodo.<ref>Tra cui, per esempio, la pesante polemica contro gli ebrei farisaici che segna tutte queste storie.</ref> In secondo luogo, dato che vivevano sempre più nella parte diasporica della frontiera linguistica tra aramaico e greco, questi ebrei e i loro aderenti gentili ritenevano quale loro autorità biblica le Scritture nella loro versione greca, la [[w:Septuaginta|Septuaginta (LXX)]], piuttosto che in quella ebraica.<ref>Da cui, per esempio, le storie della natività di Matteo e Luca, dove la verginità di Maria si basa sul ''parthenos'' di {{passo biblico2|Isaia|7:14}} LXX.</ref> E, infine, Israele aveva combattuto, e perso, la guerra contro Roma.
Pertanto, ciascuna delle quattro narrazioni evangeliche che apparentemente descrive la missione di Gesù in effetti ci offre una mescolanza di materiali lungo tutto l'arco di tempo in questione: detti tramandati e storie di Gesù; polemiche contemporanee contro altri ebrei; "fatti" biografici su Gesù estratti da varie letture della LXX; convinzioni – sempre estratte dalla stessa fonte – sul significato religioso del Tempio e la sua distruzione; interpretazioni teologiche creative di Gesù come Cristo, Figlio di Dio, Figlio dell'Uomo. I Vangeli non possono essere consultati direttamente per informazioni sul Gesù storico di quanto non lo si possa fare con un film "storico" di [[w:Oliver Stone|Oliver Stone]], per esempio, in merito ad informazioni su [[w:John Fitzgerald Kennedy|John F. Kennedy]], [[w:Richard Nixon|Nixon]], o la [[w:Guerra del Vietnam|guerra in Vietnam]]. Entrambi i generi presentano un misto di fatti, congetture ragionevoli, riempitura creativa di buchi, nonché semplice fantasia. Come storici, dobbiamo mettere in ordine.
Gli evangelisti, tutti dopo Paolo, scrissero dall'ambito di una tradizione che aveva già proclamato Gesù come il Cristo. Propongo ora di leggere le loro storie per vedere come presentano tale asserzione, e poi testare quanto queste loro presentazioni possano adattarsi credibilmente alla vita di Gesù.
Di nuovo, cominciamo con Marco. Una delle grandi curiosità di questo Vangelo, che abbiamo sottolineato precedentemente, è la sua reticenza proprio sulla questione dell'identità di Gesù. Comandando il silenzio di coloro che lo riconoscono, proibendo a coloro che egli guarisce di andarlo a dire in giro, il Gesù di Marco non si nomina mai Messia e, eccettuata un'eccezione drammatica, non accetta mai chiaramente il titolo. La designazione marciana prescelta per Gesù è piuttosto il Figlio dell'Uomo. Il Figlio dell'Uomo soffrirà rifiuto e morte durante la sua Prima Venuta, insegna Gesù, ma ritornerà presto, vendicato e glorioso, nella sua Seconda Venuta. In altre parole, è tramite il suo uso del termine "Figlio dell'Uomo", e non "messia", che Marco articola le sue convinzioni cristiane su Gesù. Egli le inserisce nella sua narrazione di Gesù, una ripetizione teologica di noti elementi della sua missione – miracoli ed esorcismi, predicazione itinerante in merito al Regno di Dio, dispute con altri ebrei, morte a Gerusalemme per crocifissione – in termini delle azioni di Gesù quale Figlio dell'Uomo sofferente.
In tutto ciò, dove e come appare il termine ''christos''? I termini messianici – Cristo, Figlio di Davide, re d'Israele – appaiono solo sette volte nel Vangelo di Marco. Il primo semplicemente apre la storia: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo" ({{passo biblico2|Marco|1:1}}). La successiva ricorrenza, molto drammatica, avviene quando Gesù stesso all'improvviso richiede una risposta ad una domanda che non ha mai affrontato: "Chi dice la gente che io sia?" ({{passo biblico|Marco|8:27}}). I suoi discepoli rispondono: Giovanni il Battista, Elia, uno dei profeti. Gesù insiste: "E voi chi dite che io sia?" Pietro risponde, succintamente: "Tu sei il Cristo" ({{passo biblico|Marco|8:29}}).
È istruttivo leggere qui la scena di Marco, {{passo biblico|Marco|8:27-33}}, insieme alla sua revisione di Matteo, {{passo biblico2|Matteo|16:13-23}}. Matteo chiarisce la confusione lasciata per strada da Marco. Dove il Gesù di Marco persistentemente parla del Figlio dell'Uomo in terza persona, lasciando al lettore l'ipotesi di identità, Matteo rende esplicita l'identificazione: il suo Gesù, che fa le stesse domande ai suoi discepoli, usa "Figlio dell'Uomo" intercambiabilmente con "Io" ({{passo biblico2|Matteo|16:13,15}}). Ancor più d'aiuto, dove il Gesù di Marco aveva risposto a Pietro che lo identificava con una richiesta di silenzio ("E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno", v. 30), il Gesù di Matteo esclama in approvazione della sua risposta ("Beato te, Simone figlio di Giona!", vv. 17-19). Solo dopo ciò, Gesù richiede il silenzio, ma messo da Matteo in tal modo da non lasciare alcun dubbio che Gesù accetti la designazione ("Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno ''che egli era il Cristo''", v. 20).
{{Immagine grande|Brooklyn Museum - Get Thee Behind Me Satan (Rétire-toi Satan) - James Tissot.jpg|800px|<small>''"Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!"'', guazzo su grafite di [[w:James Tissot|James Tissot]] (1894)</small>}}
{| class="wikitable"
|+<div style="color: teal; text-align: left; font-size: 0.8em;">Matteo, redigendo attentamente Marco, dà più chiarezza alla scena in questione, cioè al dialogo tra Gesù e Pietro, nella periferia di Cesarea. Matteo fa inequivocabilmente accettare a Gesù la risposta di Pietro ("Tu sei il Cristo"): Matteo aggiunge "Figlio del Dio vivente" e poi inserisce un lungo brano dove Gesù loda Pietro e gli conferisce autorità. Chiarisce inoltre la ragione della protesta di Pietro con Gesù (Pietro è preoccupato; in contrasto, Marco non chiarisce la ragione). Poi Matteo tralascia il confuso riferimento marciano agli altri discepoli ("Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro..."), mentre invece il suo Gesù rimprovera Pietro e basta.</div>
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! {{passo biblico2|Marco|8:27-33}} !! {{passo biblico2|Matteo|16:13-23}}
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|Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei '''il Cristo'''». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il '''Figlio dell'Uomo''' doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». ||Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il ''Figlio dell'Uomo''?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il '''Cristo, il Figlio del Dio vivente'''». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che '''egli era il Cristo'''. Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
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Nel brano di Marco, in confronto, le domande permangono. Senza riconoscere la risposta di Pietro, imponendo il silenzio ai discepoli, il Gesù marciano improvvisamente si mette ad insegnare in merito alla sofferenza del Figlio dell'Uomo ({{passo biblico|Marco|8:31}}: "E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare"). Pietro allora rimprovera Gesù (Marco non spiega bene il perché) e Gesù a sua volta lo rimprovera chiamandolo Satana (Perché? Ovviamente perché i discepoli avevano sentito Pietro che lo rimproverava, v. 33). Nuovamente, Matteo appiana la cosa. Fornisce a Pietro un motivo chiaro e lodevole per rimproverare Gesù – "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai!" ({{passo biblico|Matteo|16:22}}) – e scarta il motivo confuso di Marco.
Il punto qui non è di considerare se sia Marco o Matteo che fornisce la rappresentazione più plausibile di una conversazione tra Gesù e Pietro. Non abbiamo assolutamente nessun modo di sapere se una tale conversazione avvenne o meno, in aramaico, circa quaranta/sessanta anni prima. La versione di Matteo sistema e smussa gli angoli di Marco con così tanta precisione che una buona redazione sembra la ragione più valida per dare una maggiore chiarezza al testo, piuttosto che si basi su una tradizione storica più affidabile. Questo dialogo nel Vangelo di Matteo si accorda con uno dei suoi temi maggiori, vale a dire, che Gesù ''è'' il Messia dalla casa di Davide. Sulla stessa questione, Marco è più complesso.
Marco usa una terminologia messianica più diretta nei tre episodi che seguono. Predicando a Cafarnao, il suo Gesù dice: "Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché ''siete di Cristo'', vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa" ({{passo biblico2|Marco|9:41}}). Successivamente, sulla strada verso Gerusalemme attraverso Gerico, Gesù ed i suoi discepoli insieme ad una "grande moltitudine" (altri pellegrini che andavano in città per la Pesach) passano vicino al cieco Bartimèo, che all'improvviso si rivolge a Gesù come ''"Figlio di Davide"'' ({{passo biblico2|Marco|10:47,48}} — la seconda volta la folla lo sgrida per farlo tacere). Gesù guarisce la sua cecità, presumibilmente nel riconoscere la sua dichiarazione ("Va', la tua fede ti ha salvato", {{passo biblico|Marco|10:52). E infine, man mano che la folla si avvicina a Gerusalemme, Gesù sembra quasi provocare un incidente messianico cavalcando un puledro in città (altra scena che la redazione di Matteo chiarirà, {{passo biblico|Matteo|21:2-11}}). La folla reagisce stendendo i propri mantelli sulla strada davanti a lui, agitando delle fronde e gridando "Osanna! Benedetto ''il regno che viene, del nostro padre Davide''! Osanna nel più alto dei cieli!" ({{passo biblico2|Marco|11:10}}).
Nonostante l'approvazione apparente di queste designazioni davidiche, il Gesù di Marco mette in discussione le tradizioni su cui sono basate:
{{q|Gesù continuava a parlare, insegnando nel Tempio: "Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? Davide stesso infatti ha detto, mosso dallo Spirito Santo:<br/>
Disse il Signore al mio Signore:<br/>
Siedi alla mia destra,<br/>
finché io ponga i tuoi nemici<br/>
come sgabello ai tuoi piedi.<br/>
Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?".|{{passo biblico2|Marco|12:35-37}}}}
Marco qui si riferisce al Salmo {{passo biblico|Salmi|110:1}} LXX. Il suo Gesù lo usa per insegnare la superiorità del Messia rispetto a Davide. Davide, nello spirito, chiama il (futuro) Messia "Signore" — di conseguenza, suo superiore e quindi non suo "figlio". Qui dobbiamo ricordarci che Marco, a differenza degli ultimi due sinottici, non fornisce una storia della natività fornendo a Gesù un collegamento con Betlemme. Il suo Gesù, senza scuse, è galileo: Gesù di Nazareth. In tale contesto – in altre parole, senza motivo affinché il lettore nella narrazione possa associare Gesù alla casa di Davide – il Gesù marciano sembra ricusare come supefluo il ''pedigree'' davidico del Messia. Questo passo assersice sottilmente lo ''status'' messianico di Gesù nonostante egli non sia "figlio" di Davide. Il Gesù di Marco cita Davide stesso per affermare la sua condizione.
La volta successiva che questo Vangelo identifica esplicitamente Gesù come Cristo è al momento del grande dramma durante il processo notturno davanti al Sinedrio. Il sommo sacerdote alla fine chiede di sapere: "''Sei tu il Cristo'', il Figlio di Dio benedetto?" Una volta tanto la reticenza di Gesù – o di Marco – scompare completamente e risponde con una conferma semplice e potente: ''"Io lo sono!"'' Ma subito dopo Gesù prosegue nel precisare questa affermazione, parlando in termini del Figlio dell'Uomo apocalittico: "E vedrete il Figlio dell'Uomo seduto alla destra della Potenza [Dio] e venire con le nubi del cielo" ({{passo biblico2|Marco|14:61-62}}; cfr. {{passo biblico|Marco|13:26}}). Il sommo sacerdote lo dichiara blasfemo ed il Sinedrio condanna Gesù a morte. Riunendosi una volta ancora all'alba, questi conducono Gesù, legato, da Pilato.
Per tutto il resto della Passione – il dialogo con Pilato, la folla ruggente, la Crocifissione – questa designazione regale si ripete consistentemente ed ironicamente. Pilato (non sollecitato dalla narrativa) chiede: ''"Sei tu il re dei Giudei?"'' ({{passo biblico2|Marco|15:2}}). Poi Pilato chiede alla folla ostile, che appare dal nulla, se vogliono che egli liberi ''"il re dei Giudei?"'' ({{passo biblico|Marco|15:9}}). No. "Che farò dunque di quello ''che voi chiamate il re dei Giudei''?" (Strano — la folla non lo aveva affatto chiamato tale; v. 12). La folla chiede la crocifissione. I soldati romani allora procedono a schernire Gesù – "Salve, ''re dei Giudei''!" (v. 18) – e lo crocifiggono affiggendogli sopra la croce un'iscrizione del crimine di cui era accusato: ''"Il re dei Giudei"'' (v. 26). Deriso ulteriormente dai due ladroni appesi insieme a lui, da passanti, ed infine dai sommi sacerdoti ("''Il Cristo, il re d'Israele'', scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!" v. 32), Gesù infine muore.
Il tema dell'identità messianica di Gesù in Marco appare in modi complessi. Marco forma la sua narrazione basandosi sul suo progetto di ridefinire "messia" cosicché si adatti alla sue convinzioni su Gesù di Nazareth, che egli sapeva fosse stato crocifisso e che si aspettava ritornasse. Pertanto, dopo la confessione di Pietro ("Tu sei il Cristo", {{passo biblico|Marco|8:29}}), Gesù alla fine muore.
Il tema dell'identità messianica di Gesù in Marco appare in modi complessi. Marco forma la sua narrazione basandosi sul suo progetto di ridefinire "messia" cosicché sia conforme alle sue convinzioni su Gesù di Nazareth, che egli sapeva fosse stato crocifisso e che egli si aspettava ritornasse. Pertanto, dopo la confessione di Pietro ("Tu sei il Cristo", {{passo biblico|Marco|8:29}}), Gesù inizia a parlare del Figlio dell'Uomo sofferente; e dopo la domanda del sommo sacerdote ("Sei tu il Cristo?", {{passo biblico|Marco|14:61}}), Gesù afferma la sua identità e poi parla ulteriormente del ritorno glorioso del Figlio dell'Uomo. Questa presentazione del Messia quale Figlio dell'Uomo sofferente-e-rivendicato esprime la creatività teologica propria di Marco come cristiano. In contrasto, in altri punti della sua storia egli presenta la messianità davidica in maniera più tradizionalmente ebraica — e quindi probabilmente precristiana. Tali punti si concentrano specificamente su eventi a Gerusalemme. Gesù sfila in città prima di Pesach come un re ({{passo biblico2|Marco|11:7-10}}); e viene giustiziato da Pilato come se avesse, in effetti, dichiarato di essere un re ({{passo biblico2|Marco|15:2-26}}).
Nel Vangelo di Giovanni, come in quello di Marco, troviamo questa interessante combinazione di disconoscimento delle dimensioni tradizionali davidiche della messianità con un'insistenza, sottolineata ironicamente nell'udienza davanti a Pilato, che Gesù sia veramente il Messia regale, Re dei Giudei. Proprio nel primo capitolo di questo Vangelo, i titoli di Gesù si assommano rapidamente: Giovanni il Battista e alla fine i propri discepoli lo identificano come Agnello di Dio ({{passo biblico2|Giovanni|1:29,35}}), Figlio di Dio (v. 34), "il Messia (che significa il Cristo)" (v. 41). Infine, drammaticamente, Natanaèle proclama: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d'Israele!" (v. 49).
Tuttavia Giovanni sembra in difficoltà nel ripudiare una qualsiasi connessione a Davide, specialmente per via di Betlemme. Evidenzia che Gesù viena da Nazareth. I ''Ioudaioi'' ("Giudei", ebrei) – folle inconsapevoli, ostili, di solito a Gerusalemme, che funzionano retoricamente come un tipo di coro ad enfatizzare aspetti degli insegnamenti di Gesù – sono incapaci di conoscere chi sia Gesù, in parte a causa del loro attaccamento a questa tradizione davidica. Giovanni sembra voler sostenere quella sorta di disconoscimento che vediamo anche in Marco quando usa il Salmo 110 LXX. Pertanto, mentre Gesù insegna nel Tempio durante la [[w:Sukkot|Festa dei Tabernacoli]], della gente a Gerusalemme chiede: "Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma ''costui sappiamo di dov’è''; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia" ({{passo biblico2|Giovanni|7:26-27}}). Nell'ultimo giorno di questa festività che dura una settimana, alcuni asseriscono che Gesù è il Cristo, ma altri rispondono:
{{q|"Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?". E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui.|{{passo biblico2|Giovanni|7:41-43}}}}
Man mano che gli eventi iniziano a volgere al termine a Gerusalemme, la promozione di questo titolo da parte di Giovanni diventa più insistente. I pellegrini fanno sfilare Gesù in città, esclamando "Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d'Israele!" ({{passo biblico2|Giovanni|12:13}}), e Giovanni specificamente riferisce questa scena a {{passo biblico2|Zaccaria|9:9}}: "Figlia di Sion, giubila, ecco, a te viene il tuo re". La condizione regale di Gesù domina la presentazione giovannea della sua udienza con Pilato: le parole "re" e "regalità" appaiono quindici volte in ventotto versetti. I soldati romani incoronano Gesù di spine e gli mettono addosso un manto rosso, salutandolo come Re dei Giudei ({{passo biblico2|Giovanni|19:2-5}}) e quindi anche Pilato lo presenta al popolo : "Ecco il vostro re!... Metterò in croce il vostro re?" ({{passo biblico|Giovanni|19:14-15}}). Ilprefetto compone egli stesso i titolo – "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei" – in ebraico, latino e greco, trasmettendo il messaggio come fosse in tre frequenze linguistiche (vv. 19-20). La beffa, ovviamente, è diretta proprio ai tormentatori di Gesù, poiché i lettori di Giovanni sanno ciò che i personaggi della sua storia non sanno: Gesù '''''è''''' il Messia, è il Re dei Giudei (cfr. {{passo biblico|Giovanni|1:49}}).
A differenza di Giovanni, Matteo e Luca chiaramente si rifanno a Marco; a differenza sia di Marco sia di Giovanni e similmente tra loro, i due successivi sinottici si sforzano di affermare che Gesù è esattamente l'adempimento dell'aspettativa tradizionale, il Messia davidico. Entrambi si servono del futuro messianico che Marco aveva creato per Gesù quando aveva combinato (come aveva fatto Paolo prima di lui) l'arrivo del Regno con il ritorno del Figlio dell'Uomo, che avrebbe quindi fatto cose messianiche — porre fine al periodo di turbolenze, radunare gli eletti, e via dicendo. Ma usando la Spetuaginta per informazioie biografiche su di lui, questi evangelisti successivi forniscono a Gesù anche un passato messianico. Persino alla sua Prima Venuta, ciascuno di loro sostiene, Gesù di Nazareth fu, in modo dimostrativo, il Messia figlio di Davide, e quindi la realizzazione dell'antica speranza redentiva di Israele.
In forte contrasto con gli altri due Vangeli, ognuno dei quali iniziava con Giovanni il Battista, questi successivi sinottici aprono con elaborate storie della natività ({{passo biblico2|Matteo|2:1-23}}; {{passo biblico2|Luca|2:1-39}}). Queste collegano Gesù il Galileo con la città natale messianicamente giusta in Giudea: Betlemme — "Ma tu, o Betlemme Efratah, anche se sei piccola fra le migliaia di Giuda, da te uscirà per me colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini sono dai tempi antichi, dai giorni eterni" ({{passo biblico2|Michea|5:2}}, citato in {{passo biblico2|Matteo|2:6}} come testo di testimonianza). Entrambi offrono genealogie che fanno risalire il lignaggio di Gesù, attraverso Giuseppe, fino a Re Davide ({{passo biblico2|Matteo|1:1-16}}; {{passo biblico2|Luca|3:23-39}}). Nei rispettivi resoconti della natività, Matteo tramite la sua introduzione dei [[w:Magi (Bibbia)|re magi]], Luca tramite il riconoscimento da parte di Simeone del neonato Gesù nel Tempio, entrambi prefigurano l'inclusione dei Gentili nel movimento cristiano — fatto ormai storico al tempo in cui scrivono, circa 90. Questo tema prende l'idea profetica delle nazioni che si convertono al "germoglio di Iesse" escatologico annunciato in Isaia ed invocato da Paolo alla fine della sua epistola ai Romani: "Spunterà un germoglio dalla radice di Iesse, e colui che sorgerà per reggere le genti; le nazioni spereranno in lui" ({{passo biblico2|Isaia|11:10}} LXX; {{passo biblico2|Romani|15:12}}). "Dov'è il ''re dei Giudei'' che è nato?" chiedono i magi di Matteo ({{passo biblico|Matteo|2:2}}). "I miei occhi han visto la tua salvezza," prega a Dio il vecchio Simeone, "preparata da te davanti a tutti i popoli, ''luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele''" ({{passo biblico2|Luca|2:31-32}}).
Ma Matteo e Luca rimandano esplicitamente qualsiasi riferimento ad una missione presso i Gentili a dopo la Risurrezione. Il Gesù di Matteo addirittura proibisce qualsiasi approccio ai Gentili mentre è in vita ("Non andate tra i Gentili... ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele" {{passo biblico|Matteo|10:5-6}}; cfr. {{passo biblico|Matteo|15:24}}; cfr. il finale del Vangelo a {{passo biblico|Matteo|28:19}}). La storia di Luca, un'opera in due volumi, ha più spazio: i suoi apostoli non vanno dai Gentili se non durante la Diaspora ad Antiochia ({{passo biblico2|Atti|11:20}}). Né Matteo né Luca quindi possono usare l'accettazione del vangelo da parte dei Gentili, come aveva fatto Paolo, quale prova dello ''status'' di Gesù come Cristo: rimane al di fuori del quadro temporale delle loro storie sulla sua missione. Tuttavia entrambi vogliono promuovere l'identità di Gesù come Messia davidico durante la sua missione. Devono quindi trovari altri modi per sostenere il loro caso.
Sebbene i particolari differiscano tra di loro, la loro strategia è la stessa. Sia Matteo che Luca conformano episodi della vita di Gesù di Nazareth a letture particolari della Septuaginta. Questa tecnica fornisce alle loro storie una profonda risonanza biblica. Gli evangelisti, e a volte i personaggi delle loro storie, possono quindi proclamare Gesù come Cristo sulla base di questo collegamento tra profezie antiche e incidenti biografici.
Pertanto Matteo interpreta le guarigioni e gli esorcismi di Gesù in prospettiva profetica, specificamente citando Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie ({{passo biblico2|Matteo|8:17}}; {{passo biblico2|Isaia|53:4}}). I personaggi del Vangelo indicano semplicemente Gesù come "Figlio di Davide", un titolo che egli non nega mai ({{passo biblico2|Matteo|10:27}}). Essi deducono la sua condizione messianica dal fatto che egli guarisce ("E tutta la folla era sbalordita e diceva: Non è forse costui il figlio di Davide?" {{passo biblico2|Matteo|12:23}}). Forse perché ella conosce i suoi poteri taumaturgici, finanche una cananea lo riconosce: "Pietà di me, Signore, Figlio di Davide!" ({{passo biblico|Matteo|15:22}}; questa frase non appare nella fonte di Matteo, {{passo biblico2|Marco|7:24-30}}). Per la stessa ragione – la sua guarigione dei ciechi e degli storpi nel Tempio – anche i fanciulli esclamano: "Osanna al figlio di Davide!" ({{passo biblico2|Matteo|21:14-15}}). I suoi discepoli sanno che Gesù è "il Cristo", un'identificazione che egli accetta con approvazione ({{passo biblico2|Matteo|16:13-20}}; cfr. {{passo biblico|Matteo|20:30-31}}). E Matteo edita la versione di Marco in merito all'ingresso trionfale citando esplicitamente {{passo biblico2|Isaia|62:11}} e {{passo biblico2|Zaccaria|9:9}}, che identificano Gesù come il profetizzato re di Sion (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|12:15}}):
{{q|Esulta grandemente figlia di Sion,<br/>
giubila, figlia di Gerusalemme!<br/>
Ecco, a te viene il tuo re.<br/>
Egli è giusto e vittorioso,<br/>
umile, cavalca un asino,<br/>
un puledro figlio d'asina.|{{passo biblico2|Zaccaria|9:9}}}}
Deciso a rappresentare Gesù che adempie queste visioni profetiche alla lettera, Matteo risolutamente lo presenta che cavalca addirittura ''due'' animali, sia un'asina che un puledro, allo stesso tempo ({{passo biblico2|Matteo|21:7}}). Le masse dei pellegrini di Pesach che lo fanno sfilare a Gerusalemme lodano Gesù come Messia: "Osanna al figlio di Davide!" (v. 9), ed egli acconsente a tale acclamazione, con grande irritazione dei sommi sacerdoti e degli scribi (vv. 14-17). Seguendo Marco, il Gesù di Matteo dice ai Farisei che il Messia è superiore a Davide; egli è il Signore di Davide, non suo figlio ({{passo biblico2|Matteo|22:41-46}}). Alla luce dell'inquadramento della storia della natività da parte di Matteo, il passo qui non smentisce l'importanza della discendenza da Davide, ma piuttosto asserisce semplicemente la superiorità del Messia.
Il Vangelo di Matteo, in poche parole, riconosce e proclama Gesù quale Messia figlio di Davide, mentre è in vita. Il suo Gesù approva e abbraccia questa designazione pubblicamente. La tensione tra l'occultamento e la rivelazione che forma l'ironia e l'appresnione della sua fonte – Marco – scompare: Matteo nella sua storia rivela il "segreto messianico". Così fa inoltre un bel gioco di prestigio interpretativo: i particolari biografici della vita di Gesù, secondo Matteo, forniscono una definizione narrativa del termine "messia". I profeti, sostiene l'evangelista, avevano predetto un messia che avrebbe fatto ciò che ha fatto Gesù; pertanto Gesù è il Messia.
La familiarità della storia di Matteo non deve mascherare qui la sua creatività, o il suo risultato. Tramite la sua rappresentazione della missione di Gesù, Matteo dà una nuova definizione, precisamente cristiana, del termine "messia", sebbene la presenti come profondamente tradizionale. Da cui la sua strategia di composizione, che associa il versetto profetico all'evento biografico. La frase "questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta" viene ripetuta costantemente, sottolineando verbalmente e drammatizzando l'intero testo. Matteo quindi collega intimamente la vita di Gesù alla storia antica della salvezza di Israele.
Con particolari differenti, e con un'appropriazione della Septuaginta ugualmente profonda ma più sottile, il Vangelo di Luca dimostra un punto simile: anche il suo Gesù è riconosciuto come Messia Figlio di Davide mentre è in vita. L'[[w:Arcangelo Gabriele|arcangelo Gabriele]] parla a Maria, dicendole che il figlio che concepirà, il Figlio di Dio, "sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" ({{passo biblico2|Luca|1:32-33}}). In seguito il sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battista nella storia di Luca, benedice Dio "perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente ''nella casa di Davide, suo servo'', come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo" ({{passo biblico2|Luca|1:68-70}}). Alla nascita di Gesù, gli angeli annunciano ai pastori "oggi vi è nato ''nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo'' Signore" ({{passo biblico|Luca|2:11}}). Simeone lo loda come "il Cristo del Signore" ({{passo biblico|Luca|2:26-33}}). E Luca in seguito ripete la storia di Marco che narra del cieco a Gerico che chiede guarigione chiamando Gesù ''"figlio di Davide"'' ({{passo biblico|Luca|18:35-43}}). Una volta che la missione post-Risurrezione è avviata, i discepoli di Gesù regolarmente predicano che egli è/era "il Cristo" (per es. {{passo biblico2|Att|3:19-21,5:42,17:3,18:5,28}}).
Inoltre – del tutto differentemente da Marco, sua fonte, e da Matteo, suo contemporaneo – Luca integra Gerusalemme profondamente nella predicazione del Vangelo. Nonostante gli angeli annunciatori, Gerusalemme, non Betlemme (in ogni caso, semplice villaggio), era la "città di Davide", inneggiata come tale nei Salmi e nei Profeti. Luca quindi apre la sua storia non sulle rive del Giordano, ma a Gerusalemme, all'altare del Tempio ({{passo biblico|Luca|1:9}}). È al Tempio che i genitori di Gesù portano il neonato nelle settimane dopo la sua nascita, e dove egli viene per la prima volta riconosciuto come Salvatore ({{passo biblico|Luca|2:22}}). Lì Anna la profetessa parla intermini della "redenzione di Gerusalemme" (v. 38). La famiglia di Gesù, devoti osservanti ebrei, vanno in quella città "tutti gli anni per la festa di Pesach" (v. 41); ed il giovane Gesù, insegnando nel Tempio, vi riferisce come "la casa del Padre mio" (v. 49).
Luca inoltre colloca le apparizioni di Gesù post-Risurrezione a Gerusalemme e dintorni, piuttosto che in Galilea (come Marco e Matteo; {{passo biblico2|Luca|24:34-52}}). I discepoli, avendo visto il Cristo Risorto, lodano Dio nel Tempio, dove continuano ad adorare man mano che il movimento si sviluppa ({{passo biblico2|Luca|24:53}}; {{passo biblico2|Atti|3:1}}). La primissima comunità si trasferisce a Gerusalemme permanentemente ({{passo biblico2|Luca|2:12}}) e per il resto della sua storia, Gerusalemme serva da sito della chiesa madre. Per Luca, la redenzione viene letteralmente da Sion. La sua chiara enfasi sulla città è il suo modo originale di intrecciare le antiche tradizioni del Messia figlio di Davide nella sua presentazione di Gesù.
Tuttavia Luca usa anche un'altra idea messianica per articolare la dimensione biblica della missione di Gesù: non solo il re-messia, ma il profeta-messia. Drammaticamente, proprio all'inizio della sua predicazione in Galilea, Gesù entra nella sinagoga di Nazareth durante lo Shabbat "come era sua abitudine". Quando gli consegnano un rotolo del profeta Isaia, Gesù legge:
{{q|Lo spirito del Signore Dio è su di me<br/>
''perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione'';<br/>
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,<br/>
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,<br/>
a proclamare la libertà degli schiavi,<br/>
la scarcerazione dei prigionieri,<br/>
a promulgare l'anno di misericordia del Signore.|{{passo biblico2|Isaia|61:1,2,58:6}}}}
Gesù poi riferisce il passo a se stesso e immediatamente invoca due episodi scritturali – Elia e la vedova di Sidone; Eliseo e Naaman il Siriano – quando Gentili, piuttosto che Israeliti, avevano ricevuto il beneficio dei poteri di un profeta ({{passo biblico2|Luca|4:14-27}}). Costruendo questa scena in tal modo, Luca combina questa idea non-davidica, il profeta-messia, con il tema (alla fine messianico-davidico) dell'inclusione dei Gentili.
Anche Giovanni e Matteo identificano Gesù come profeta. Per il quarto evangelista, questo è uno dei temi maggiori, che spesso appare insieme alle nozioni regali di messia. Pertanto in {{passo biblico2|Giovanni|6:14}} troviamo Gesù che viene acclamato dalla folla come "il profeta che deve venire nel mondo", e subito dopo egli si va a nascondere sulla montagna "sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re" (v. 15). Unendo le tradizioni di messianità con quelle profetiche, altri personaggi nella storia di Giovanni protestano che, poiché Gesù proviene da Nazareth e non da Betlemme, egli non può essere un profeta: "Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea" ({{passo biblico2|Giovanni|7:52}}). Ma i "segni" grandi e potenti che Gesù fa giustificano la sua identificazione come profeta ({{passo biblico2|Giovanni|9:17}}). Riassumendo, sebbene Giovanni faccia affermazioni molto più ampie su Gesù e il suo ''status'' teologico di quanto non facciano gli altri evangelisti, egli chiaramente approva il titolo di "profeta" quale una delle designazioni giuste e opportune.
Matteo invoca questo tema più raramente di Giovanni, ma non meno drammaticamente. Poco dopo l'Ingresso Trionfale a Gerusalemme per la Pasqua, verso la fine del Vangelo, i pellegrini che hanno appena salutato Gesù come "Figlio di Davide" spiegano alle folle della città: "Questi è ''il profeta Gesù, da Nazareth'' di Galilea" ({{passo biblico2|Matteo|21:10-11}}). I sommi sacerdoti hanno paura di affrontarlo aperttamente perché quando "cercavano di prenderlo, temettero le folle, perché lo ritenevano un profeta" (v. 46). In confronto a Matteo, Luca tuttavia enfatizza molto questo tema, ponendo questa citazione del messia-profeta presa da Isaia in un drammatico episodio proprio all'inizio della sua storia. Attira ulteriormente l'attenzione sull'importanza dell'idea facendo dire a Gesù stesso, e non alle folle intorno a lui, di essere un profeta. Pertanto, anche nell'usare la lamentazione presa dalla fonte-''Q'' – "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te!" – il Gesù di Luca aggiunge: "Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme" ({{passo biblico2|Luca|13:33-34}}; cfr. {{passo biblico2|Matteo|23:37-39}}). E anche i suoi seguaci lo identificano così ({{passo biblico|Luca|24:19}}).
Infine, con una dichiarazione piuttosto che con una storia, Luca semplicemente asserisce che il Messia avrebbe dovuto soffrire e morire esattamente come aveva fatto Gesù. Questo insegnamento arriva drammaticamente proprio alla fine del Vangelo di Luca, reso esplicito dallo stesso Cristo Risorto:
{{q|"Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: "Così sta scritto: ''il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno''".|{{passo biblico2|Luca|24:44-46}}}}
Qual è il senso storico della presentazione fatta dai Vangeli di Gesù come Messia? Possiamo comunque notare che, come tendenza generale, più il Vangelo è vicino alla vita di Gesù, e meno questo tema sembra essere prominente; o, facendo la stessa osservazione al contrario, più si sviluppano queste tradizioni evangeliche su Gesù, e più prominente diventa questo tema. E più questo tema vien messo in risalto, più distorsione notiamo nelle due direzioni. O i particolari biografici del passato di Gesù vengono adattati al paradigma biblico, o il significato originale del termine – "messia/''christos'' – viene allargato per adattarsi ai particolari biografici della sua vita. In primo luogo, abbiamo la creazione delle storie della natività a Betlemme; in secondo luogo, l'identificazione di certe attività dalla tradizione biografica (guarigioni ed esorcismi, per esempio; e, infine, la crocifissione) con le caratteristiche scritturali di "messia" — il discorso del Cristo Risorto lucano, succitato, quale esempio più succinto ed estremo.
Tuttavia, tutti ciò he fanno questi evangelisti è narrare una storia che aderisce all'asserzione già fatta da Paolo a metà secolo: che Gesù era il figlio di Davide ''kata sarka'' — "secondo la carne", cioè, per discendenza fisica ({{passo biblico2|Romani|1:3:}}). Quando ridefiniscono chiaramente "messia" per metterlo in linea con le loro convinzioni religiose su Gesù (come nella suddetta citazione di Luca: il Messia è uno che soffre, muore, e risorge dopo tre giorni), possiamo legittimamente dar credito alla loro propria creatività teologica, e/o alle tradizioni che fomano l'impegno delle loro comunità di lingua greca nel tardo primo secolo. Dove però il concetto, quando lo presentano, è comunque consistente con altri dati indipendenti del periodo di Gesù (circa 6 p.e.v. – 30 e.v.), possiamo trovare delle basi per ulteriori indagini storiche.
Una dato primario è la stessa crocifissione di Gesù. Specialmente insieme al suo reato, scritto sul ''titulus'' sopra la croce – "l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: ''Il re dei Giudei''" ({{passo biblico2|Marco|15:26}} e parall.) – questa esecuzione è coerente proprio con le note reazioni romane contro un'asserzione di autonomia da parte di un soggetto, nel territorio di Israele o in qualsiasi altro posto. Qui Flavio Giuseppe fornisce la nostra migliore testimonianza specificamente per la Giudea. Nel 6 e.v., Varo, il legato romano in Siria, crocifisse duemila ribelli come parte del suo sforzo per pacificare le campagne ebraiche ribelli (''BJ'' 2.76; ''AJ'' 17.297). Giacomo e Simone, figli del ribelle galileo Giuda, furono crocifissi verso il 46-48 e.v. dal procuratore Tiberio Alessandro (''AJ'' 20.102). Sotto Cumano, un successivo governatore giudeo (48-52 ca.), una schermaglia sanguinosa tra Samaritani e alcuni pellegrini galilei che passavano per la Samaria verso Gerusalemme per una festività, portò ad una serie di crocifissioni quando il tumulto minacciava di espandersi (''BJ'' 2.241; ''AJ'' 20.130). Anche lo storico romano Tacito, che parla di questo incidente, cita specificamente il timore che tale incidente iniziale potesse far scattare una ribellione armata per tutta la Galilea e Samaria (''Annali'' 12.54). Infine, durante le violenti convulsioni che precedettero lo scoppio della guerra nel 66 c.e., il procuratore Floro rispose alle provocazioni a Gerusalemme radunando molti cittadini, anche coloro che avevano un alto rango romano, prima flagellandoli e poi crocifiggendoli (''BJ'' 2.306-8). E ad intervalli durante l'assedio, i soldati di Tito inchiodarono a croci degli ebrei prigionieri in modo che venissero visti da quelli in città, "sperando che tale vista spaventasse il resto della popolazione ad arrendersi" (''BJ'' 5.290). Gli ebrei catturati mentre disperatamente cercavano provviste fuori dalla città quando ormai l'assedio volgeva al termine – "ogni giorno cinquecento, a volte di più, cadevano prigionieri in mano sua – venivano torturati, flagellati e "infine crocifissi in vista delle mura": Tito sperava
{{q|che tale vista avrebbe forse indotto gli ebrei ad arrendersi per evitare lo stesso destino. I soldati stessi, con rabbia e amarezza, inchiodavano le loro vittime in varie posizioni quale beffa crudele finché, a causa del vasto numero, le croci e lo spazio non bastarono più.|Flavio Giuseppe, ''BJ'' 5.450}}
Pertanto il ''titulus'' sulla croce e la ripetuta imputazione di regalità messianica che figura in tutta le narrazioni dell'udienza di Gesù davanti a Pilato ben si adattano a questo contesto fornita da Flavio Giuseppe. Come per gli altri ebrei, lo stesso per Gesù: la crocifissione annuncia chiaramente la politica di ferma intolleranza da parte di Roma di percepite minacce di sedizione. Dobbiamo ritornare a considerare in seguito la questione di Roma e sedizione, perché certe anomalie complicano il caso di Gesù. Qui, in ogni modo, può servire da punto di partenza per capire quell'altra idea messianica non-regale attribuita a Gesù: il titolo o ruolo di "profeta". Ancora una volta, facciamo riferimento a Flavio Giuseppe.
Nel periodo prima della guerra, figure carismatiche popolari apparirono in Israele, radunando folle e promettendo miracoli: nella maggioranza, dice Flavio Giuseppe, affermavano di essere profeti. Pertanto, durante il procuratorato di Fado (c. 44-46 e.v.), il profeta [[w:Teuda|Teuda]] convinse un gran numero di persone a prendere i loro beni e seguirlo sulle sponde del Giordano: sosteneva infatti di essere in grado di aprirne le acque con la forza delle sue parole (''AJ'' 20.97-98). Sotto [[w:Marco Antonio Felice|Felice]] (52-59 e.v.), sorsero profeti – "ingannatori e impostori" secondo Flavio Giuseppe – che provocarono agitazioni a Gerusalemme "promuovendo cambiamenti rivoluzionari" con "false affermazioni" di ispirazione divina. Attraendo vaste folle, questi profeti conducevano i loro seguaci nel deserto a ricevere da Dio "segni di liberazione" (''BJ'' 2.259; cfr. ''AJ'' 20.168). Un altro che "ottenne una reputazione di profeta", un erbreo dell'Egitto, condusse una moltitudine verso Gerusalemme: al suo comando, aveva promesso, le mura della città sarebbero crollate (''AJ'' 20.170; ''BJ'' 2.261-63).
Queste varie figure profetiche condividono tre caratteristiche importanti. La prima è che tutti loro interpretarono e costruirono le proprie missioni da antichi episodi biblici che risalivano alla storia fondamentale del popolo ebraico. L'auspicata separazione delle acque del Giordano da parte di Teuda si rifà alla separazione delle acque effettuata da Dio affinché gli Israeliti lasciassero l'Egitto e, più tardi, a Giosuè che conduce le tribù attraverso il fiume e verso la Terra Promessa ({{passo biblico2|Esodo|14:16}} e segg.; {{passo biblico2|Giosuè|3:13-14}}). Vagando nel deserto in attesa di liberazione richiama il periodo della liberazione dall'Egitto, e la consegna della Torah al Sinai. Ed il crollo miracoloso delle mura di Gerusalemme richiama un pari miracolo: la caduta delle mura di [[w:Gerico|Gerico]], quando Israele entrò nella Terra ({{passo biblico2|Giosuè|6:20}}).
La seconda caratteristica, comune a questi uomini è la loro popolarità. Flavio Giuseppe parla di "moltitudini" e di "folle" di seguaci, e a volte gonfia i loro numeri — trentamila seguirono l'Egiziano, afferma Flavio Giuseppe (''BJ'' 2.262; {{passo biblico2|Atti|21:38}} riporta quattromila). Nella retrosepttiva di Flavio Giuseppe, questi uomini parevano chiaramente "impostori" e "falsi profeti"; e forse anche nella retrospettiva evangelica:
{{q|Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l'ho predetto. Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete.|{{passo biblico2|Matteo|24:24-26}}}}
Per molti dei loro contemporanei, però, sulla prova della loro risposta impegnata, il messaggio di questi profeti era irresistibile, e la loro promessa sicura. I tempi erano tali che questi personaggi non solo apparvero con queste convinzioni nel loro messaggio, ma riuscirono anche ad attrarre molti pronti a crederci.
La terza caratteristica è che questi uomini e i loro movimenti incontrarono la stessa identica risposta da parte di Roma: repressione immediata e definitiva. Le truppe inviate contro Teuda massacrarono gran parte dei suoi seguaci e portarono indietro a Gerusalemme la sua testa. Felice vide nelle folle che provenivano dal deserto "una premessa di insurrezione" e le trattò di conseguenza: cavalleria e fanteria pesante le massacrarono. Gran parte dei seguaci dell'Egiziano fecero la stessa fine: sterminati dalla fanteria pesante.
Questi profeti si rivolgevano manifestamente alle speranze religiose e non ad un'insurrezione pratica; i loro seguaci erano civili, non guerriglieri pronti a combattere le forze armate romane. Che bisogno c'era comunque di portar armi, dato che Dio stava per intervenire? Tuttavia Roma li levò di mezzo comunque. Vedevano di brutto le folle che si ammassavano intorno a capi carismatici nativi e non facevano distinzioni tra speranze apocalittiche e azioni sediziose.
Nessun sovrano nell'antichità guardava favorevolmente raduni di massa non autorizzati: data la piramide sociale e del potere nelle società antiche, tali raduni potevano facilmente sembrare – e forse diventare – minacce per coloro che stavano al potere. Un esempio pertinente qui è quello di [[w:Giovanni Battista|Giovanni il Battista]]. I Vangeli presentano Giovani come araldo di Gesù, una sorta di Elia per Gesù Messia. Predicando un messaggio apocalittico di pentimento e di ira divina, Giovanni riceve penitenti presso il Giardano. Matteo trasferisce il messaggio di Gesù a Giovanni: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!" ({{passo biblico2|Matteo|3:2}}; cfr. {{passo biblico2|Marco|1:15}}). Tutti e quattro gli evangelisti rappresentano Giovanni come una figura popolare con discepoli suoi propri e molti ascoltatori: "Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme" dice Marco ({{passo biblico|Marco|1:5}}); "moltitudini/folle", dice Luca ({{passo biblico|Luca|3:7,10}}). Venne decapitato dal sovrano ebreo della Galilea, Erode Antipa, per averlo offeso criticando il suo matrimonio con sua nipote ({{passo biblico2|Marco|6:14-29}}).
Flavio Giuseppe racconta la storia in maniera diversa. Narrando la sconfitta di Antipa nel 39 e.v. per mano del suo vicino orientale e già suocero, il re [[w:Nabatei|nabateo]] [[w:Areta IV|Areta]], Flavio Giuseppe fa un salto indietro all'anno 28 circa, a Giovanni:
[[File:William Dobson - The Executioner with the Head of John the Baptist - Google Art Project.jpg|300px|right|thumb|''Decapitazione di Giovanni il Battista'', olio di [[w:William Dobson|William Dobson]], (1640)]]
{{q|Per alcuni ebrei, la distruzione dell'esercito di Erode [nel 39] sembrava una vendetta divina, e certamente una vendetta giusta, per il suo trattamento di Giovanni, soprannominato il Battista. Poiché ''Erode lo aveva condannato a morte'', sebbene fosse un bravo uomo, e avesse esortato gli ebrei a condurre vite rette, di praticare la giustizia verso i propri simili e devozione verso Dio, e quindi di unirsi nel battesimo [cioè, immersione]. Secondo lui questa era cosa preliminare necessaria per essere ben accetti a Dio... quale consacrazione del corpo, implicando che l'anima fosse già stata purificata con la giusta condotta. Quando anche ''altri si unirono alle folle intorno a lui, poiché erano molto eccitate dalle sue parole, Erode se ne allarmò''. Un'eloquenza che aveva un così grande effetto sulla gente ''avrebbe potuto condurre ad una qualche forma di sedizione'', poiché sembrava che [la gente] potesse essere guidata da Giovanni in qualsiasi cosa facessero. Erode decise che sarebbe stato molto meglio fare la prima mossa ed eliminarlo prima che il suo operare conducesse ad una rivolta... Giovanni fu portato in catene alla fortezza di Machaeras...ed ivi giustiziato. Ma gli ebrei furono dell'opinione che l'esercito fu distrutto per vendicare Giovanni, poiché Dio desiderò infliggere danno ad Erode.|Flavio Giuseppe, ''AJ'' 18.116-19}}
Certe differenze distinguono il caso di Giovanni il Battista da altre figure profetiche in Giudea. Un'importante differenza è la loro collocazione. Gerusalemme ed il deserto giudeo, dove i profeti radunavano i loro seguaci, erano sotto la diretta giurisdizione romana. Giovanni operava e vagava "nel deserto" roccioso vicino al fiume Giordano prima che si butti nel Mar Morto. Egli immergeva le persone che venivano da lui in entrambe le sponde del fiume, la sponda occidentale in Giudea, la sponda orientale nella regione di perea, parte del territorio dell'ebreo Antipa. Gli altri profeti promettevano di dare "segni" – potenti opere prodotte divinamente – mentre Giovanni sembra essersi limitato ad esortare ad una riforma morale e purificazione corporea, missione profetica di tipo differente.
Inoltre, la missione di Giovanni sembra si fosse stabilita da tempo, e le persone che ricevevano il suo messaggio, sia discepoli che altri, evidentemente andavano e venivano. Ma gli altri profeti descritti da Flavio Giuseppe ammassavano e mobilitavano grandi seguiti a volte in anticipazione di un evento miracoloso spettacolare (che poi non avveniva). Possiamo supporre che il livello di energia nervosa, anticipazione dirompente, ed entusiasmo popolare fosse molto più alto nel secondo gruppo.
Infine, Erode Antipa arrestò Giovanni, lo fece portare in una prigione isolata e lo fece decapitare lì — un'esecuzione relativamente sommessa e ordinata, che attesta nuovamente la mancanza di grandi assembramenti di seguaci. I profeti dei segni ed i loro seguaci, in constrasto, erano gli obiettivi di decisive azioni militari romane, e molti perirono insieme ai loro capi. Da questi ultimi casi possiamo quindi dedurre che, se tali profeti ammassavano folle, coloro che stavano al potere reagivano in maniera più forte e distruttiva. Tuttavia il timore di sedizioni, stimolate dalla popolarità dei relativi leader – come nel caso di Giovanni – sembra comune nella reazione sia di Roma che di Antipa. Un seguito popolare non sarebbe mai risultato gradito ad una qualsiasi autorità al potere.
Abbiamo cominciato il nostro sforzo per capire il perché Paolo chiamasse Gesù il Messia figlio di Davide, esaminando i significati del termine nel periodo tra i Maccabei e la Mishnah, da circa il 200 p.e.v. al 200 e.v. Le confusioni culturali e politiche del periodo ellenico stimolarono una quantità di varie concezioni del ruolo: abbiamo visto che "messia" poteva essere immaginato come puro sacerdote, come profeta escatologico finale, e forse, come figura redentrice non-umana celeste. Ma il significato più diffuso del termine risaliva alla sua fonte biblica: il Messia era il Figlio di Davide, guerriero escatologico, principe di pace.
Paolo stesso indica le sue ragioni per attribuire questo titolo a Gesù solo nella sua lettera ai Romani. In tale contesto, paolo sembra nominare i Gentili che si convertono attraverso Cristo ad adorare il Dio di Israele quale evento escatologico che conferma la condizione di Gesù come Messia (davidico). Da qui la sua chiusura di questa lettera con la citazione da Isaia: "Spunterà il rampollo di Iesse, colui che sorgerà a giudicare le nazioni:
in lui le nazioni spereranno" ({{passo biblico2|Isaia|11:10}}; {{passo biblico2|Romani|15:12}}). Ma la missione ai Gentili fu un fenomeno post-Risurrezione. I suoi successi eventuali non possono comprovare la proclamazione originale di Gesù come Cristo da parte degli apostoli, né l'accettazione iniziale della loro affermazione da parte di Paolo nel 33. E secondo l'evidenza della sola crocifissione di Gesù possiamo dedurre che, perlomeno poco prima della sua morte, Gesù o si attribuì tale titolo da sé o altri glielo attribuirono, e in un modo abbastanza pubblico da far coinvolgere Roma. La stessa testimonianza dei Vangeli, tuttavia, non fornisce una chiara visione di questi eventi, in parte perché le loro narrazioni sono così teologicamente cariche di specifiche revisioni cristiane del termine ''christos'', assegnandolo a vari particolari, fittizi o reali, della vita di Gesù.
Tre domande hanno aperto questo ciclo di indagine: quali erano i vari significati del termine "messia" in questo periodo? Quando venne usato tale termine per Gesù? Perché? Abbiamo esaminato le fonti neotestamentarie in merito alle loro ragioni per questa identificazione e quindi abbiamo un senso del perché e del come questi cristiani tra (circa) il 50 e il 100 pensarono che Gesù fosse il Cristo.
Tuttavia dobbiamo risalire nel tempo al periodo stesso della vita e missione di Gesù. Ciò significa lasciarsi Paolo alle spalle come nostra guida e immetterci nel territorio storico di Gesù stesso: Giudea e Galilea agli inizi del primo secolo. "Cristo" venne attribuito a Gesù ad un certo punto durante la sua missione. Rimangono quindi le nostre due domande: Quando? Perché?
== Note ==
{{Vedi anche|Biografie cristologiche|Interpretare Gesù in contesto|Riflessioni su Yeshua l'Ebreo}}
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{{Avanzamento|100%|28 dicembre 2020}}
[[Categoria:Missione a Israele|Paolo e Gesù]]
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Indagine Post Mortem/Introduzione
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wikitext
text/x-wiki
{{Immagine grande|Benvenuto Tisi, gen. Il Garofalo, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie - Auferstehung Christi - GG 9551 - Kunsthistorisches Museum.jpg|800px|''Risurrezione di Cristo'', di [[w:Benvenuto Tisi da Garofalo|Benvenuto Tisi]] (1520)}}
{{Indagine Post Mortem}}
= Introduzione =
== Significato della questione ==
Ogni anno, nel giorno di [[w:Pesach|Pasqua]], milioni di persone celebrano la risurrezione di Gesù. Ma questo evento è realmente accaduto? La proclamazione che tale evento accadde realmente è alla base del cristianesimo tradizionale, e nel corso dei secoli ha provocato un intenso dibattito sulla sua verità. Il dibattito contemporaneo è ostacolato dalle difficoltà se sia in linea di principio possibile ragionare e produrre prove empiriche per la risurrezione di Gesù data la sua presunta natura miracolosa, e se tutte le alternative naturalistiche possano essere eliminate (Novakovic 2016; Shapiro 2016; Allison 2005a, 2005b). C'è una mancanza di accordo su "qual è il compito della ricerca storica e in che misura le convinzioni di fede di una data persona possono influenzare la sua valutazione delle prove disponibili" (Novakovic 2016, p. 128).
Ho affrontato alcune di queste problematiche nella mia ''[[Serie cristologica]]'', specialmente nel wikilibro ''[[Noli me tangere]]''. Inoltre, nonostante la grande quantità di letteratura sull'argomento storico per la risurrezione di Gesù – che è stato al centro di almeno 3.400 libri e articoli accademici scritti dal 1975 (Licona 2010, p. 19) – non è stato ancora dimostrato in un'unica opera come tutte le ipotesi naturalistiche possono in linea di principio essere escluse. Questo problema è illustrato dalle grandi monografie di Wright (2003), Swinburne (2003), Licona (2010), Bryan (2011), Levering (2019) e altri. Sebbene facciano molte buone argomentazioni, non considerano una serie di ipotesi naturalistiche e varie nuove combinazioni di esse nella letteratura recente, ad esempio, svenimento, rimasto sepolto, ipotesi intramentale e di identità errata (Eisenberg 2016) e combinazioni sofisticate di allucinazioni con dissonanza cognitiva, distorsione della memoria e [[w:bias di conferma|bias di conferma]] (cfr. Philipse 2012; Carrier 2014; per la discussione di queste combinazioni, si veda il Capitolo 6 di questo libro). Ora non sto affermando che dimostrare l'esclusione di tutte le possibili ipotesi naturalistiche sia essenziale per l'argomentazione storica o per credere che Gesù sia risorto – dimostrare che la risurrezione di Gesù è valida quanto (o migliore del)le ipotesi naturalistiche alternative attualmente disponibili sarebbe sufficiente a provare la ragionevole liceità (o ragionevolezza) di credere che Gesù sia risorto. Tuttavia, quando si tratta di offrire l'argomento storico, sarebbe meglio se l'argomento potesse essere reso più rigoroso.
Questo mio studio offre un nuovo contributo, affrontando questi e altri temi con un approccio transdisciplinare, cioè che integri diverse discipline – in questo caso studi storico-critici della Bibbia, psicologia, religioni comparate, filosofia analitica e teologia – per creare una nuova metodologia che vada oltre gli approcci specifici della disciplina per affrontare un problema. Utilizzando un quadro analitico originale, dimostrerò che può essere formulato un elenco logicamente esaustivo di categorie di ipotesi in relazione alle affermazioni delle apparizioni ''post mortem'' di Gesù e all'esito del corpo di Gesù — anzi, questa sarebbe la prima monografia sulla risurrezione di Gesù a dimostrare una copertura completa di tutte le categorie di ipotesi. Mostrerò come un tale procedimento metodologico contribuisca al dibattito contemporaneo che coinvolge storici, filosofi e teologi sul riconoscimento dei miracoli. Affronterò in dettaglio tutte queste ipotesi e le loro combinazioni, e offrirò un correttivo alle analisi problematiche che investono le loro argomentazioni nella letteratura recente.
Oltre agli strumenti e ai metodi della filosofia analitica, questa mia monografia utilizza i metodi degli studi biblici storico-critici, come la considerazione del contesto religioso, sociale e culturale dei primi cristiani, la loro comprensione dei testi sacri, le loro esperienze religiose, le loro interazioni con le culture circostanti e le sfide che hanno dovuto affrontare. Questo studio incorpora anche approfondimenti dalla psicologia e dalla religione comparata. Avanza la valutazione delle prove rilevanti affrontando la recente ricerca psicologica sulla distorsione della memoria e la discussione filosofica sui miracoli. Incorpora la prospettiva della religione comparata esaminando le affermazioni di resurrezione in altri contesti, inclusa quella che implica la dissonanza cognitiva nel caso del [[w:rabbino|rabbino]] ("Rebbe") [[w:Menachem Mendel Schneerson|Menachem Mendel Schneerson]] (1902-1994), alcuni dei cui seguaci rivendicano la sua "resurrezione" nel contesto del ridicolo religioso e dello scetticismo (Marcus 2001). Impegnandosi con varie discipline, questo wikilibro dimostra come un approccio transdisciplinare possa essere utile per colmare il divario tra studi biblici, teologici e religiosi e contribuire alle discussioni in ogni disciplina sulla risurrezione di Gesù.
== Le varie teorie sull'origine della dottrina della risurrezione ==
Comincerò fornendo una breve panoramica storica delle varie teorie riguardanti l'origine della dottrina che Gesù è risorto. Queste teorie saranno discusse in maggior dettaglio nel resto di questo mio studio.
L'affermazione che Gesù risorse è stata controversa fin dal primo secolo. Il Nuovo Testamento allude alla difficoltà che i lettori del I secolo avevano con una simile affermazione, ritraendo persone che la deridevano ({{passo biblico2|Atti|17:32}}). Indipendentemente dal fatto che il resoconto in {{passo biblico2|Matteo|28:11-15}} sia fattuale (cfr. [[Indagine Post Mortem/Capitolo 5|Capitolo 5]]), esso indica che gli ebrei del I secolo potevano pensare a teorie naturalistiche alternative, come per esempio i discepoli di Gesù che rubarono il suo corpo. Il dibattito con ebrei non cristiani riguardo al furto del corpo continuò nel II secolo (cfr. [[w:Giustino (filosofo)|Giustino]], ''[[w:Giustino (filosofo)#Il Dialogo con Trifone|Dialogo con Trifone]]'' 108; indipendentemente dal fatto che Trifone fosse una vera figura storica, l'opera di Giustino indica che l'obiezione da lui discussa era presente durante il suo tempo). I primi cristiani dovettero anche rispondere all'affermazione (attribuita allo [[w:Gnosticismo|gnostico]] [[w:Basilide|Basilide]] dell'inizio del II secolo) che Gesù non fosse risorto ma scampò alla crocifissione grazie a poteri miracolosi:
{{q|Apparve, quindi, sulla terra come un uomo, alle nazioni di queste potenze, e fece miracoli. Perciò egli stesso non morì, ma [[w:Simone di Cirene|Simone]], un certo [[w:Cirene|Cireneo]], costretto, portò la croce in sua vece; sicché quest'ultimo essendo da lui trasfigurato per poter essere creduto d'essere Gesù, fu crocifisso, per ignoranza ed errore, mentre Gesù stesso ricevette la forma di Simone, e stando lì nei pressi, rise di loro.|[[w:Ireneo di Lione|Ireneo]], ''[[w:Adversus Haereses|Adversus Haereses]]'', 1.24.4}}
Il filosofo pagano [[w:Celso (filosofo)|Celso]], un importante oppositore del cristianesimo nel II secolo, sollevò una serie di obiezioni alla risurrezione. Ad esempio, egli afferma che sono presenti discrepanze nei resoconti evangelici della risurrezione di Gesù che li rendono storicamente inaffidabili e suggerisce che i presunti testimoni oculari avevano allucinazioni riguardo a Gesù ([[w:Origene|Origene]], ''Contra Celsum'' 2.60).
Gli studiosi cristiani risposero a queste obiezioni. Con la cristianizzazione dell'Impero Romano nel IV secolo il dibattito si placò e l'attenzione data all'argomento storico per la risurrezione di Gesù diminuì
successivamente. Craig osserva: "Man mano che gli eventi legati all'origine del cristianesimo si allontanavano sempre più nel passato, gli argomenti dei miracoli e della risurrezione si basavano necessariamente sempre più sulla fede nell'accuratezza dei documenti biblici" (Craig 1985a, p. 49). Una sfida fu tuttavia sollevata nel VII secolo dai musulmani, che difesero l'ipotesi che Gesù fosse sfuggito alla crocifissione per intervento divino (cfr. [[w:Corano|Corano]], [https://www.sufi.it/corano/4.htm ''Sura'' 4:157-8]; il cosiddetto [[w:Vangelo di Barnaba|Vangelo di Barnaba]], che propone un simile ipotesi [cfr. Ragg e Ragg 1907, cap. 217], è ampiamente considerata come una tarda contraffazione scritta dopo il Corano).
Con il progresso della storiografia durante il Rinascimento, l'argomento storico per la risurrezione di Gesù ricevette una rinnovata attenzione. Il dibattito tra scettici e credenti venne ripreso e si accese durante la cosiddetta controversia [[w:deismo|deista]] dei secoli XVII e XVIII, dopo la rimozione delle leggi sulla censura in varie parti d'Europa. L'ipotesi naturalistica più popolare tra gli scettici in quel momento era la teoria che i discepoli avessero deliberatamente iniziato una bufala rubando il corpo di Gesù, e fu difesa con nuovi argomenti da deisti come [[w:Thomas Woolston|Thomas Woolston]] e [[w:Hermann Samuel Reimarus|Hermann Reimarus]], gli scritti di quest'ultimo ampiamente considerati come il punto di partenza della cosiddetta ''Ricerca del Gesù Storico''. Apologisti come [[:en:w:Jacob Vernet|Vernet]] risposero con vari argomenti a supporto dell'affidabilità storica dei Vangeli. Questi includono l'argomento che i Vangeli contengono molti riferimenti a nomi propri, date, dettagli culturali, eventi storici e opinioni e costumi del tempo, e dimostrano un'intima conoscenza di Gerusalemme prima della sua distruzione, e l'argomento che molti testimoni oculari sarebbero stati disponibili al momento della scrittura per verificarne il contenuto (Craig 1985a, pp. 322-323). Argomenti filosofici contro la plausibilità dei miracoli furono sollevati dai razionalisti francesi e (il più famoso) dallo scettico scozzese [[w:David Hume|David Hume]] (1711-1776), mentre le risposte a Hume di tipo probatorista furono offerte da altri studiosi come [[w:William Paley|William Paley]] (1743-1805). Una serie di considerazioni quasi-teologiche e culturali hanno contribuito al successivo declino della popolarità di tali risposte. Queste includono il famoso "brutto grande fosso" di [[w:Gotthold Ephraim Lessing|Lessing]] (1777) tra storia e fede (la sua affermazione che le verità accidentali [cioè contingenti] della storia non possono mai diventare la prova per le necessarie verità della ragione), lo stato d'animo prevalente del Romanticismo nel XIX secolo, e l'enfasi sulle esperienze religiose soggettive di studiosi influenti come [[w:Friedrich Schleiermacher|Schleiermacher]] e [[w:Søren Kierkegaard|Kierkegaard]]. Il "brutto grande fosso" di Lessing in particolare ha avuto un enorme impatto sui pensatori successivi. Tra questi, [[w:Ernst Troeltsch|Ernst Troeltsch]] (1898/1991) sosteneva che i giudizi storici sono sempre probabili e suscettibili di revisione (principio di critica). Molti teologi hanno quindi concluso che la certezza della fede non può essere basata sui risultati dello studio storico.
Nel frattempo gli scettici continuavano a proporre varie ipotesi naturalistiche. È interessante notare che i loro sostenitori offrivano spesso argomenti convincenti contro altre ipotesi naturalistiche nel processo di avanzamento delle proprie. Ad esempio, l'ipotesi deliberata dell'inganno proposta da Reimarus ''et al.'' fu confutata dai razionalisti tedeschi [[w:Karl Friedrich Bahrdt|Karl Bahrdt]] (1784) e [[w:Heinrich Paulus|Heinrich Paulus]] (1802), che difesero l'ipotesi dello svenimento (''Scheintod'') (cioè Gesù non morì sulla croce). Queste ipotesi furono a loro volta confutate da [[w:David Friedrich Strauß|David Strauss]] (1808-1874). Strauss respinse la storicità del racconto evangelico della tomba vuota e offrì una spiegazione naturalistica alternativa per le "apparizioni della resurrezione" di Gesù, affermando che i discepoli credevano sinceramente che Gesù fosse il Messia e si illusero pensando che fosse risorto e apparisse loro. L'ipotesi intramentale naturalistica di Strauss fu vigorosamente criticata da [[w:Karl Theodor Keim|Theodor Keim]] (1883), il quale sostenne che le apparizioni erano visioni, ma erano miracolosamente causate da Dio sotto forma di "telegrammi" celesti (che chiamerò ipotesi della visione soprannaturale).
Tuttavia, continuarono a essere proposte varie forme di ipotesi intramentale naturalistica. Nella prima parte del ventesimo secolo, fu sostenuta da [[w:Albert Schweitzer|Albert Schweitzer]], [[w:Rudolf Bultmann|Rudolf Bultmann]] e altri. Bultmann (1965, pp. 47-48), ad esempio, pensava che le "apparizioni della risurrezione di Gesù" si riferissero alle esperienze visionarie e interiori dei primi cristiani, cioè alla conversione del loro cuore piuttosto che alla loro testimonianza di un Gesù corporeo risorto. Dall'altra parte, l'ipotesi della visione soprannaturale di Keim fu difesa da Hans Grass (1956), che respinse i resoconti della tomba vuota, ma affermò che Gesù fosse apparso in Galilea attraverso visioni. Nel frattempo, teologi neo-ortodossi fortemente influenzati da Kierkegaard, come [[w:Karl Barth|Karl Barth]] (1956, pp. 334-336, 351-352) ed [[w:Emil Brunner|Emil Brunner]] (1952, pp. 366-372), affermarono che Gesù era risorto miracolosamente, ma ritenevano che questa conclusione fosse sostenuta solo dalla fede, senza argomenti storici.
Contro tutto quanto sopra, Wolfhart Pannenberg (1968) lanciò una bomba nella ricerca teologica tedesca a metà del ventesimo secolo quando usò argomenti storici e filosofici per difendere la tomba vuota e la miracolosa resurrezione corporea di Gesù contro le critiche di Troeltsch ''et al.'' (si veda anche la discussione sul problema del miracolo nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 7|Capitolo 7]]). In anni più recenti, argomenti simili sono stati difesi da molti studiosi (cfr. Craig 1989; Davis ''et al.'' 1998; Peters 2002; Habermas 2003; Swinburne 2003; Wright 2003; Licona 2010; Levering 2019).
Questi studiosi sosterrebbero che, indipendentemente dalle preoccupazioni "teologiche" di Lessing, Barth e altri e se la fede dipende dalla prova della storicità delle apparizioni della risurrezione (Carnley 2019, p. 239), tali argomenti possono in effetti essere offerti per mostrare che la risurrezione di Gesù è la migliore spiegazione per i fenomeni storici riguardanti le affermazioni dei discepoli di aver assistito a Gesù risorto e la scomparsa del suo corpo, un fenomeno che comunque richiede una spiegazione storica. In risposta al brutto fosso di Lessing, al principio critico di Troeltsch e alla domanda "come può la certezza della fede tollerare ciò che Wilhelm Herrmann chiamava ‘i risultati in continua evoluzione’ dello studio storico", è stato risposto che non c'è ragione adeguata per pensare che le verità di cui si occupano le credenze religiose debbano essere fornite di prove necessariamente vere. Mentre gli esseri umani desiderano credenze che siano logicamente impossibili di errore, non c'è ragione adeguata per cui Dio (se esiste) dovrebbe concederle riguardo a questioni di fede. Può essere che Dio esista ma non fornisca una prova necessaria perché vuole dare all'uomo lo spazio per fare una libera scelta riguardo alla fede, ma questo non implica che Egli non abbia lasciato prove per far conoscere alla gente la Sua rivelazione nella storia. [[:en:w:J. P. Moreland|J. P. Moreland]] (1998, p. 263) sostiene quanto segue:
{{q|God maintains a delicate balance between keeping his existence sufficiently evident so people will know he’s there and yet hiding his presence enough so that people who want to choose to ignore him can do it. This way, their choice of destiny is really free.}}
Può darsi che Moreland abbia egli stesso avuto una "rivelazione" da Dio, dato che sembra conoscere il Suo comportamento. Allo stesso modo, comunque, pensa [[w:Gerald O'Collins|O'Collins]] (2016, p. 44), citando il tema della luce sufficiente ma non travolgente che caratterizza i ''[[w:Pensieri (Pascal)|Pensées]]'' di [[w:Blaise Pascal|Pascal]] (nn. 394, 427, 429 e 461), e osserva: "The factor of relative concealment allows cognitive freedom to persist... we have enough light to make us responsible but not enough to take away our freedom."
D'altra parte, O'Collins (2016) osserva che non è vero che tutti i risultati cambino continuamente; inoltre, le modifiche spesso comportano solo dettagli secondari (p. 90). Anche se non disponiamo di una documentazione storica completa, tuttavia gli storici possono "raggiungere autentiche certezze su questioni antiche come le conquiste di Giulio Cesare e la sua morte nel 44 [[w:p.e.v.|p.e.v.]]" (p. VI).
{{q|Mathematical calculations cannot demonstrate the existence and career of Alexander the Great in the fourth century BCE. But converging historical evidence would make it absurd to deny that he lived and changed the political and cultural face of the Middle East.|[[w:Gerald O'Collins|O'Collins]], 2016, p. 91}}
Mentre molte verità storiche non possono essere dimostrate da calcoli matematici, logica filosofica o ripetuti esperimenti scientifici, possono però essere stabilite al di là di ogni ragionevole dubbio (''ibid.''). O'Collins osserva, "historical experience and contingent truths have a power to shape and change human existence... Both within Christianity and beyond, the concreteness of history repeatedly proves far more persuasive than any necessary truths of reason" (p. 92). Craig osserva che Lessing confondeva la necessità con la certezza e pensava erroneamente che le verità necessarie fossero più certe delle verità contingenti. Craig spiega così:
{{q|This is manifestly false, as the unsolved problems of mathematics like Goldbach’s Conjecture, which is either necessarily true or necessarily false, though no one knows which, shows. By contrast I have tremendous
certainty that George Washington was once the President of the United States, though this is a contingent historical truth. There is no reason a contingent truth which is known with confidence might not serve as evidence for a less obvious necessary truth.|Craig, 2007a}}
Nel frattempo, studiosi scettici hanno continuato a difendere ipotesi naturalistiche, con l'ipotesi intramentale che sembra essere molto popolare (ad es. Marxsen 1970 ["illuminazione"]; Lüdemann 1994 ["ebbrezza religiosa", "entusiasmo"]; Trocmé 1997, p. 38; Crossan 1998; Price e Lowder 2005; Vermès 2008; Carrier 2014 ["allucinazione"]; Ehrman 2014). Un certo numero di studiosi ha proposto l'ipotesi dell'identità erronea. I paralleli suggeriti includono le affermazioni di avvistamenti di [[w:Bigfoot|Bigfoot]] (Goulder 1996, pp. 52-55) e [[w:UFO|UFO]] (Martin 1991, pp. 92-95) e l'errata identificazione di [[w:Gemelli (biologia)|gemelli]] (Cavin 1993). Per quanto riguarda la questione del corpo di Gesù, alcuni scettici hanno suggerito che le donne andarono alla tomba sbagliata la domenica mattina mentre il corpo di Gesù rimase sepolto altrove (Lake 1907) o che il corpo fu lasciato insepolto e mangiato dai cani (Crossan 1994, pp. 152-158). In alternativa, il corpo potrebbe essere stato rimosso da ladri di tombe (Carrier 2005b, pp. 350–352), da [[w:Giuseppe di Arimatea|Giuseppe di Arimatea]] (Lowder 2005, pp. 261–306), o anche da forze naturali come i terremoti (Allison 2005a, p. 204). Sono state suggerite anche varie combinazioni di ipotesi naturalistiche, come una combinazione di svenimenti, resti sepolti, intramentali e ipotesi di identità errata (Eisenberg 2016) e combinazioni sofisticate di ipotesi allucinatorie con dissonanza cognitiva, distorsione della memoria e [[w:bias di conferma|bias di conferma]] (cfr. Philipse 2012; Carrier 2014).
== Fonti storiche rilevanti e concetti importanti ==
=== Fonti cristiane e non ===
Per quanto riguarda le fonti storiche rilevanti, l'idea erronea – diffusa nel ''[[w:Il codice da Vinci|Codice da Vinci]]'' di [[w:Dan Brown|Dan Brown]] – che i documenti del Nuovo Testamento che leggiamo oggi siano significativamente diversi da quelli del primo secolo è stata a lungo sfatata dagli studiosi. [[:en:w:Michael R. Licona|Licona]] (2016, pp. 7-8) osserva: "The wealth of manuscripts for the New Testament literature leaves us very few places where uncertainty remains pertaining to the earliest reading or at least the meaning behind it." (L'obiezione di Shapiro [2016, p. 135] che i resoconti della risurrezione di Gesù potrebbero essere stati aggiunti nei Vangeli nei secoli successivi è confutata da queste prove manoscritte.) Licona osserva:
{{q|The manuscript support for our present critical Greek text of the New Testament is superior to what we have for any of the ancient literature. As of the time I am writing this chapter, there are 5,839 Greek manuscripts of the New Testament. A dozen or so of these manuscripts have been dated to have been written within 150 years of the originals, and the earliest (P 52) has been dated to within ten to sixty years of the original. In contrast, of the nine Lives of Plutarch... only a few dozen Greek manuscripts have survived. The earliest of these is dated to the
tenth or eleventh century, or roughly eight to nine hundred years after Plutarch wrote them.|''ibid.'' — Licona poi continua aggiungendo un commento di D.A. Russell:<br/>"the ''[[w:Vite parallele|Lives of Plutarch]]'' have been the main source
of understanding<br/>of the ancient world for many readers from the Renaissance to the present day"}}
Vari resoconti di Gesù e dei primi cristiani si trovano anche al di fuori del Nuovo Testamento (Van Voorst 2000), come negli scritti gnostici (Franzmann 1996), negli scritti arabi (Khalidi 2001), nel [[w:Talmud|Talmud]] ebraico (Schäfer 2007), nelle opere di altri antichi studiosi non cristiani come [[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], [[w:Publio Cornelio Tacito|Tacito]], [[w:Luciano di Samosata|Luciano]], [[w:Celso (filosofo)|Celso]] e [[w:Flegonte di Tralles|Flegonte]] (si veda più avanti in questa sezione), e altri scritti paleocristiani risalenti al "periodo della memoria vivente", cioè il periodo dal primo all'inizio del secondo secolo all'interno del quale erano ancora in vita persone che avrebbero potuto conoscere uno degli apostoli viventi (Bockmuehl 2007). Tuttavia, i resoconti negli scritti arabi e nel Talmud ebraico sono successivi e dovrebbero essere trattati con grande cautela. Inoltre, i contenuti degli "altri Vangeli" come i [[w:Vangeli gnostici|Vangeli Gnostici]] e il [[Vangelo di Tommaso]] indicano che i loro autori fecero uso di tradizioni precedenti che possono essere trovate nei Quattro Vangeli e le modificarono secondo la loro filosofia religiosa (Gathercole 2015). Questi "altri Vangeli" riflettono una certa distanza cronologica e culturale dal Gesù storico della Palestina del I secolo e furono probabilmente composti a partire dal II secolo (''ibid.''). Molti studiosi hanno dimostrato in modo convincente che questi Vangeli Gnostici sono storicamente meno affidabili dei precedenti Quattro Vangeli (Jenkins 2001; Hill 2010). Mentre i Quattro Vangeli sono comunemente datati tra il 70-100 p.e.v. (Brown 1997), si è sostenuto che Marco e Luca siano stati scritti prima, prima della distruzione di Gerusalemme nel 70 e.v. (Carson e Moo 2005). Molti studiosi pensano che Matteo e Luca abbiano usato Marco come loro fonte, insieme ad almeno un'altra fonte. È anche possibile che ci siano state più recensioni dei Vangeli (come risultato di più bozze o redazioni autoriali per adattarsi a diversi destinatari), in modo tale che Luca (ad esempio) potrebbe aver usato una recensione precedente o successiva di Marco rispetto a quella posseduta di Matteo (Licona 2016, p. 116).
La crocifissione di Gesù è attestata da numerose fonti antiche, sia cristiane che non. Al di fuori di numerosi riferimenti nel Nuovo Testamento, è menzionato in molti scritti paleocristiani e scritti non-cristiani come ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità giudaiche]]'' di Flavio Giuseppe 18.3,<ref>Mentre alcuni studiosi sospettano che i cristiani possano aver distorto parti del riferimento di Flavio Giuseppe a Gesù nel ''[[w:Testimonium Flavianum|Testimonium Flavianum]]'', la stragrande maggioranza degli studiosi considera autentici i riferimenti a Gesù come fratello di Giacomo, Gesù come taumaturgo nonché la sua crocifissione. Per una discussione equilibrata delle ragioni pro e contro l'autenticità, si vedano Paget (2001); Meier (1991-2016, Vol. 1, pp. 56-88).</ref> "la pena più estrema" di Tacito, in ''[[w:Annales (Tacito)|Annales]]'' 15.44,<ref>Questo riferimento in Tacito è molto probabilmente autentico, poiché lo stile latino è di Tacito, il tono è anticristiano e tutti i manoscritti di Tacito hanno questo brano (Meier 1991–2016, Vol. 1, pp. 90–91).</ref> e ''[[w:Peregrino Proteo|De Morte Peregrini]]'' 11, di Luciano. Oltre alle lettere di [[w:Paolo di Tarso|Paolo]], altri documenti del I e dell'inizio del II secolo, come i Quattro Vangeli, Atti, 1 Clemente, Lettere di Ignazio, ecc., affermavano anche che varie persone furono testimoni del Gesù risorto. Come notato in precedenza, alcune di queste affermazioni furono discusse da Celso, un filosofo non cristiano che scrisse un attacco al cristianesimo intitolato ''[[w:Celso (filosofo)#Il Discorso vero|La vera parola]]'' nel c. 177-180 e.v., la maggior parte del quale è stato conservato nella confutazione di [[w:Origene|Origene]] scritta nel 248 e.v. (Marcovich 2001, p. 14; l'attacco di Celso ai Vangeli indica che non li accettò acriticamente). Un precedente riferimento non cristiano (c. 140 e.v.) è stato fatto dallo storico greco Flegonte nelle sue "Cronache", anch'esse conservate nella suddetta confutazione di Origene (''Contra Celsum'', 2.59). Dichiara: "Gesù, mentre era in vita non fu di nessun aiuto a se stesso, ma che risuscitò dopo la morte, e mostrò i segni della sua punizione, e mostrò come le sue mani erano state trafitte da chiodi." È improbabile che Origene abbia fabbricato ciò che Flegonte scrisse, dato che sarebbe stato facile per i suoi lettori scoprirlo, e dato l'imbarazzo della frase che Gesù fosse stato "di nessun aiuto a se stesso" mentre era in vita.
=== Perché non esistono più fonti non cristiane? ===
Licona (2010, p. 275) scrive che sarebbe bene se avessimo documenti ufficiali degli organi di governo non cristiani, romani o ebraici, che menzionano la notizia che Gesù era risorto dai morti, ma non li abbiamo. Tuttavia, Licona scrive:
{{q|What we do have is good. We have reports that Jesus had been raised from the dead from at least one eyewitness (Paul) and probably more (the Jerusalem apostles preserved in the kerygma). These reports are very early and provide multiple independent testimonies, as well as testimony from one who had been hostile to the Christian message previous to his conversion experience. The canonical Gospels probably contain some traditions that go back to the original apostles, although these may be identified with varying degrees of certainty. To the extent one is convinced that Clement of Rome and Polycarp knew one or more of the apostles, their letters may yield valuable insights pertaining to the apostolic teachings.|''ibid.'', pp. 275–276}}
Per coloro che si chiedono perché non esistano più autori antichi non cristiani che menzionino le affermazioni relative alla risurrezione di Gesù, Paget osserva(2001, p. 615):
{{q|We know from subsequent history that Jewish writers were in the main unwilling to engage polemically with Christianity in their extant writings, a point exemplified not only in later rabbinic writings, but also, if we are to believe Photius, in the one writing he attributes to Josephus’ contemporary and enemy, Justus of Tiberias. It would be wrong to assume that such people simply knew nothing about Christianity, or that they were unacquainted with Christians. Their silence could have been illustrative of their contempt for, or embarrassment about, Christianity, rather than their ignorance.}}
Pertanto, può darsi che alcuni autori antichi non cristiani si sentissero imbarazzati per le affermazioni riguardanti la risurrezione di Gesù (ad esempio pensavano di non poterle spiegare in modo convincente) e quindi scelsero di non scriverne, a differenza di Celso che pensava di poterle spiegare in modo convincente e scelse di scriverne. In ogni caso, dobbiamo ancora considerare gli scritti che abbiamo. Mentre molti a quel tempo avrebbero deriso e respinto l'affermazione secondo cui Gesù risorse come superstizione senza ulteriore considerazione delle prove (cfr. {{passo biblico2|Atti|17:32}}; si veda il [[Indagine Post Mortem/Capitolo 1|Capitolo 1]]), ciò che è notevole è che c'erano altri che credevano che Gesù fosse risorto e ne scrisse. Dato che questi ultimi si convertirono perché furono convinti che Gesù fosse risorto, i loro scritti sarebbero (ovviamente!) "scritti di autori cristiani antichi". La domanda cruciale a cui bisogna rispondere è questa: quali sono le ragioni che hanno spinto queste persone a credere e dichiarare che Gesù era risorto e ad essere disposti ad affrontare la persecuzione per tale motivo (si veda il [[Indagine Post Mortem/Capitolo 2|Capitolo 2]]).
=== Le antiche religioni misteriche sono le fonti dei resoconti neotestamentari riguardanti la risurrezione di Gesù? ===
Una tesi popolare alla fine del diciannovesimo secolo era quella della scuola di storia delle religioni, che rivendicava antiche religioni misteriche come fonti per i resoconti del Nuovo Testamento riguardanti la risurrezione di Gesù. Tali teorie da allora sono state abbandonate dalla maggior parte degli studiosi. Evan Fales (2001), un raro sostenitore contemporaneo di tali opinioni, sostiene che l'approccio migliore per comprendere il Nuovo Testamento è studiare figure mitiche del Vicino Oriente, come [[w:Tammuz (divinità babilonese)|Tammuz]], [[w:Adone (mitologia)|Adone]], [[w:Iside|Iside]] e [[w:Osiride|Osiride]]. Pensa che il [[w:Vangelo di Matteo|Vangelo di Matteo]], per esempio, dovrebbe essere letto in senso figurato, e che lo scopo principale della scrittura di Matteo fosse uno di sopravvivenza sociale e culturale (Fales 2005, pp. 312-313, 333-334). Parimenti, Carrier afferma che il [[w:Vangelo di Marco|Vangelo di Marco]] aveva lo scopo di trasmettere una verità simbolica piuttosto che storica e che la tomba vuota era "finzione educativa". Tenta di convalidare le sue affermazioni tracciando paralleli tra Marco, gli scritti contemporanei e la letteratura dell'Antico Testamento. Traccia parallelismi con il culto di Osiride e {{passo biblico2|Salmi|24}}, suggerendo che Marco abbia copiato la frase "colui che farà rotolare via la pietra" dal racconto di [[w:Giacobbe|Giacobbe]] in Genesi, e sostenendo che la tomba vuota serva al motivo dell'inversione dell'aspettativa di Marco (Carrier 2005a, pp. 156-163). Allo stesso modo traccia paralleli tra i resoconti della tomba vuota in Matteo con [[w:Daniele 6|Daniele nella fossa dei leoni]] (Carrier 2005b, p. 360).
In risposta, l'approccio della [[w:Storia delle religioni|storia della religione]] del diciannovesimo secolo è stato ampiamente criticato per il suo uso stravagante di parallelismi con nuove scoperte di manoscritti di testi religiosi ellenistici e [[w:filologia|ricerche filologiche]] sulle religioni greche, egiziane, iraniane e altre antiche. Come osserva Peppard, "certi termini, concetti e narrazioni delle religioni ellenistiche furono isolati e ingranditi in base alle loro percepite somiglianze con il Nuovo Testamento" e tali somiglianze sono state "inquadrate come influenze decisive sullo sviluppo del cristianesimo primitivo" (Peppard 2011, pag. 15, nota 34). Ignorando importanti differenze, è possibile tracciare paralleli letterari con un gran numero di letterature non correlate utilizzando interpretazioni speculative e fantasiose (Copan e Tacelli 2000, p. 166), e dobbiamo stare molto attenti a non saltare a conclusioni basate solo su paralleli in assenza di altre prove. Altri studiosi mettono in guardia sulla parallelomania, definita come "quella stravaganza tra gli studiosi che prima esagera la presunta somiglianza nei passi e poi procede a descrivere fonte e derivazione come se implicasse una connessione letteraria che scorre in una direzione inevitabile o predeterminata" (Sandmel 1962, p. 1). L'errore della parallelomania può essere facilmente illustrato con esempi:
{{q|What if we told you about a British ocean liner that was about eight hundred feet long, weighed more than sixty thousand tons, and could carry about three thousand passengers? The ship had a top cruising speed of twenty-four knots, had three propellers, and about twenty lifeboats. What if I told you that this ocean liner hit an iceberg on its maiden voyage in the month of April, tearing an opening in the starboard side, forward portion of the ship, sinking it along with about two thousand passengers? Would you recognize the event from history? You might say, ‘Hey, that’s the ''[[w:RMS Titanic|Titanic]]''!’ Well, believe it or not, you would be wrong. It’s the ''Titan'', a fictional ship described in [[w:Morgan Robertson|Morgan Robertson]]’s 1898 book called ''[[w:Il naufragio del Titan|The Wreck of the Titan: or Futility]]''. This book was written fourteen years before the disaster took place, and several years before construction began on the Titanic! (Robertson, WT, website). Here is the point: just as the fictional account of the Titan does not undermine the reality of the sinking of the Titanic, fictional accounts of dying and rising gods would not undermine the historical reality of the life, death, and resurrection of Jesus. The presence of parallels alone proves nothing about borrowing or the historicity of Jesus.|McDowell & McDowell 2017, p. 311}}
Sandmel nota:
{{q|Paul’s context is of infinitely more significance than the question of the alleged parallels. Indeed, to make Paul’s context conform to the content of the alleged parallels is to distort Paul.|''ibid.'', p. 5}}
Le considerazioni contestuali relative alla stesura del Nuovo Testamento vanno contro le opinioni di Fales e di altri. Gli autori dei Vangeli li intendevano come antiche biografie di Gesù piuttosto che come finzione (Burridge 2004). Una biografia può essere definita come una forma di storiografia incentrata sulla vita e sul carattere di una singola persona (Litwa 2019, p. 53). Alcuni scettici hanno escluso i Vangeli dalla storiografia antica affermando che gli autori dei Vangeli non hanno soppesato le loro fonti (Miller 2015, p. 133). Questa obiezione ignora il fatto che ('''1''') la storiografia antica non aveva un'unica forma con un unico insieme di standard, ('''2''') scrivendo in forme sobrie e non poetiche gli autori dei Vangeli distinguevano i loro racconti dai ''mythoi'' dominanti trovati in (diciamo) Omero ed Euripide, e ('''3''') gli autori dei Vangeli hanno soppesato le loro fonti nel senso che hanno fortemente apprezzato i testimoni oculari rispetto al "sentito dire" ({{passo biblico2|Luca|1:2}}) e sono stati attenti selezionatori di materiali da includere ed escludere dai testi precedenti (Litwa 2019, pp. 6-7). Contro il suggerimento che il racconto della resurrezione nel Vangelo di Marco debba essere inteso come una parabola, Bryan (2011, p. 166) osserva che, mentre erano presenti echi e allusioni bibliche, l'autore è stato piuttosto attento a inserire nel suo racconto almeno tre riferimenti ({{passo biblico|Marco|15:40,47;16:1}}) che "testimoni oculari noti da lui nominati avessero realmente visto quello che successe". Contrariamente alla teoria di [[w:John Dominic Crossan|Crossan]] secondo cui le narrazioni della passione sono esempi della "Prophetization of History (Profetizzazione della Storia)" o della "Historicization of Prophecy (Storicizzazione della Profezia)", Bryan (2011, pp. 205-206) sostiene che Crossan fraintende il ruolo delle allusioni dell'Antico Testamento: "Lo scopo di tale allusione non è, in generale, raccontare ciò che è accaduto (cioè il ruolo del testimone oculare nominato...) ma consentire alla comunità di comprendere ciò che è accaduto."
Stabilire di per sé il genere della storiografia non implica che un numero ''limitato'' di dettagli non-storici non possa essere incluso o che non possano essere inventate affermazioni di testimoni oculari.<ref>Cfr. L'argomentazione di Bryan (2011, p. 4) sostiene: "The New Testament writers did not merely insist on it as a fine old story, their ‘myth’ or ‘founding legend’, as a good Roman matron might tell her children the ancient stories of Romulus... Rather, they insisted on telling each other, and anyone else who would listen, this very new story, even on occasion appealing in its regard to named ‘eyewitnesses’ (''autoptai'') or to what a particular follower of the Lord ‘remembered’ (''emnēmneusen''), as if they actually expected to be taken seriously." [https://scholar.google.com.au/citations?user=xbWm50MAAAAJ&hl=en Litwa] avrebbe risposto che gli antichi romani consideravano Romolo una vera figura storica e che anche le storiografie mitiche spesso rivendicavano testimoni oculari.</ref> In effetti, molti esempi della storiografia antica possono essere citati per dimostrare il contrario (Litwa 2019, pp. 197-198).<ref>Per esempio, Litwa (''ibid.'') osserva: "Lucian complained against many historians who falsely declared that they had seen the events they described. In his ''True History'', he exposed the device in the historian Ctesias, ‘who wrote a history of the land of India and its characteristics, which [despite his eyewitness claim] he had neither seen himself nor heard from anyone else who was telling the truth’."</ref> Naturalmente, questo non prova che tutti i dettagli in tutte le storiografie siano inaffidabili; per decidere sull'attendibilità dei particolari bisognerebbe soppesarli caso per caso alla luce di altre considerazioni.
Litwa (2019) afferma che gli autori dei Vangeli cambiarono i dettagli nei resoconti originali riguardanti Gesù per farli sembrare discorsi storiografici (p. 10), sostenendo che i "paralleli" non provano che "abbiano preso in prestito" da miti greci storicizzati, indicano piuttosto una cultura intellettuale condivisa riguardo a ciò che sarebbe considerato appropriato e plausibile in una storia riguardante l'uomo-divino (p. 92). Se Litwa lo affermasse semplicemente senza ulteriori argomentazioni, il suo argomento sarebbe colpevole di commettere l'errore di porre in forse un Gesù che fosse veramente una persona così grande da soddisfare quelle aspettative della sua cultura intellettuale; in particolare, si metterebbe in dubbio la vera resurrezione di Gesù come rivendicazione della pretesa di essere realmente divino (Loke 2017a). Litwa tenta quindi di fornire ulteriori argomentazioni a sostegno della sua affermazione. Ad esempio, sostiene che le descrizioni originali delle apparizioni della risurrezione di Gesù erano visioni soggettive che in seguito vennero oggettivate e descritte come eventi palpabili (ad esempio, che testimoni oculari potessero toccarlo e pizzicarlo, cfr. ad esempio {{passo biblico2|Giovanni|20:24-28}}).<ref>Cfr. Becker (2007), che similmente sostiene che l'esperienza pasquale dei primi cristiani fosse percepita come un evento visionario influenzato dallo Spirito Santo, mentre le storie epifaniche della Pasqua nei Vangeli descrivono una comprensione successiva della Pasqua. Gant (2019, pp. 198-200) suggerisce che i discepoli avevano visioni soggettive di Gesù come un glorificato, radioso essere celeste che in seguito si espansero nella convinzione che Gesù fosse risorto fisicamente.</ref> Tuttavia, il punto di vista di Litwa non riesce soprattutto a fornire una spiegazione adeguata su come i gruppi dei primi cristiani avrebbero potuto "vedere" il "Gesù risorto" insieme, se queste esperienze fossero state semplicemente visioni soggettive, in modo tale da arrivare a credere e testimoniare agli altri che avevano "visto" insieme un Gesù risorto oggettivamente e fisicamente (piuttosto che arrivare a credere di aver "visto" lo spirito di Gesù o di avere allucinazioni, ecc.). Elaborerò questo argomento contro il punto di vista di Litwa nei miei Capitoli 3 e 4. (In tutto il suo libro Litwa assume anche che storie di risurrezione miracolosa, esorcismi e così via, non siano più plausibili per gli studiosi moderni; rispondo a questo cosiddetto problema del miracolo nel Capitolo 7.)
Litwa (2019) afferma inoltre che "gli studi recenti hanno sufficientemente dimostrato che gli autori cristiani sentivano poca inibizione nell'impiegare l'inganno nella causa di ciò che percepivano come vero" (pp. 207-208), e osserva: "come mostrano gli Atti apocrifi, i cristiani usavano regolarmente la finzione per la causa della verità" (p. 262) e cita Ehrman (2012). Conclude: "Sappiamo che le biografie contemporanee mescolavano prontamente i fatti con la finzione, specialmente quando la finzione dava qualche profondo profitto morale o spirituale", come la "vita eterna" (p. 208).
Tuttavia, l'affermazione di Litwa non risponde al modo in cui i primi cristiani avrebbero potuto percepire la risurrezione di Gesù come vera e considerarla in primo luogo fondamentale per la loro speranza di vita eterna. Come sostenuto nel resto di questo libro, la migliore spiegazione è che Gesù sia risorto dai morti. Inoltre, gli Atti apocrifi menzionati da Litwa furono scritti dal II secolo e.v. in poi da gnostici che (come sostenuto in altre parti di questo libro) valutavano la storia molto meno di quanto non facessero i primi cristiani autori del Nuovo Testamento. Inoltre, i documenti del Nuovo Testamento furono scritti nel I secolo e.v., in un periodo in cui gli apostoli e i loro collaboratori o coloro che li conoscevano erano ancora in circolazione e si possono verificare (Paolo era evidentemente preoccupato per la falsificazione, motivo per cui praticava la firma dei propri documenti di propria mano per autenticarli — cfr., ad esempio, {{passo biblico2|1Corinzi|16,21}}; {{passo biblico2|Galati|6:11}}). Dati gli stretti legami con queste persone tra le comunità cristiane del I secolo, qualsiasi tentativo di falsificare gli scritti degli apostoli sarebbe stato facilmente scoperto. Nel caso delle epistole, è ancora più improbabile che un falsario possa attribuire falsamente l'autore e anche il pubblico senza essere scoperto (Witherington 2006, Introduzione; per altri problemi con gli argomenti di Ehrman cfr. Witherington 2011).
Lo stesso Litwa nota che gli scrittori dei Vangeli erano molto intelligenti e la loro scelta di scrivere nel genere delle biografie storiche indica che al momento della scrittura avrebbero voluto scrivere in modo tale che "le persone istruite le capissero e accettassero come vere, poiché sempre più persone istruite e di alto rango si univano ai movimenti cristiani" (p. 9). Egli nota anche che "in generale, se i lettori non considerano una storia ‘reale’, non la considerano plausibile" (p. 209). Queste considerazioni implicano che i lettori dei Vangeli del I secolo erano preoccupati per la verità, e questo era noto agli evangelisti in modo tale da scrivere nel genere delle biografie storiche. Dato che questi autori intelligenti avrebbero anche saputo che i loro lettori erano in grado di verificare e falsificare alcuni dettagli importanti relativi alla risurrezione di Gesù come sostenuto nel resto di questo libro (ad esempio riguardo alla guardia alla tomba, cfr. il [[Indagine Post Mortem/Capitolo 5|Capitolo 5]]), non avrebbero inventato quei dettagli.
Inoltre, ulteriori considerazioni favoriscono l'attendibilità storica dei Vangeli. Ad esempio, il fatto che i Vangeli utilizzino tradizioni recenti e che quelle verificabili (soprattutto Luca) siano prudenti nel loro utilizzo
delle fonti, indica che i Vangeli dovrebbero essere collocati tra le biografie antiche più attendibili, piuttosto che non (Keener 2003, p. 25; per i dettagli, cfr. Keener 2019). Inoltre, mentre molti degli esempi storiografici e le biografici discussi da Litwa furono scritti almeno 100 anni dopo i loro soggetti, i Vangeli furono scritti molto più vicino al tempo di Cristo, e le biografie scritte a memoria viva dei loro soggetti ci si aspettava dovessero fornire informazioni accurate sui loro soggetti (Keener 2019). Per di più, Allison osserva che gli antichi lettori ebrei trovavano il loro passato nei cosiddetti libri storici delle Scritture che erano intesi come riferiti a ciò che era realmente accaduto, e aggiunge che ci sono prove che anche i primi lettori dei Vangeli li comprendessero in tal modo (Allison 2010, pp. 443-445). Habermas (2001b) nota che la natura storica di questi testi è in netto contrasto con [[w:Tammuz (divinità babilonese)|Dumuzi]] e [[w:Inanna|Inanna]], Tammuz e [[w:Ištar|Ištar]], e Iside e Osiride, che non erano persone storiche, e che ci sono altre grandi differenze tra questi racconti e il Nuovo Testamento.<ref>Per esempio, in merito alla storia di Osiride, Habermas (2001b, p. 79) osserva: "Although the story varies so widely that it is virtually impossible to put a single sequence together, Isis rescues Osiris (her husband, brother, or son!) after he is cut up into fourteen pieces and floated down the Nile River! She finds all of the pieces except one and resuscitates him by any of several methods, including beating her wings over his body. In the ancient world, the crux of the story is Osiris’ death and the mourning afterwards, not any resuscitation. Further, either Isis or Horus, their son, rather than Osiris, is the real hero. This myth is another of the vegetation gods with a non-linear, non-historical pattern of thought. Moreover, Osiris does not remain on earth after Isis performs her magic; he either descends to the underworld or is called the sun. Even critical scholar Helmut Koester firmly states, ‘it is never said that [Osiris] rose’. For reasons like these, it would be exceptionally difficult to substantiate any charge of inspiring the New Testament teachings of Jesus’ death and resurrection."</ref> Dato il loro antico contesto monoteistico ebraico, i primi leader cristiani che insistevano nell'adorare solo Dio Creatore avrebbero resistito all'influenza di queste leggende politeistiche in merito alla deificazione delle figure umane (cfr. Loke 2017a; contro Miller 2015, p. 129 ). Infine, l'ipotesi di Fales e altri non tiene conto delle testimonianze di coloro che affermavano di aver visto Gesù vivo dopo la sua crocifissione (Habermas 2001b), che erano note e potevano essere verificate dai lettori dei primi scritti cristiani, e che erano disposti a sacrificarsi per la verità di ciò che vedevano (cfr. i Capitoli da 2 a 4 di questo libro; contro Miller 2015, pp. 8, 15, 195–196).
A sostegno della sua affermazione che il cristianesimo mostra somiglianze con le religioni pagane, Carrier cita la dichiarazione di [[w:Giustino (filosofo)|Giustino]] (''[[w:Giustino (filosofo)#La Prima apologia dei cristiani|Prima apologia]]'' 21):
{{q|When we say . . . Jesus Christ the firstborn of God, was produced without sexual union, and that he was crucified and died, and rose again, and ascended to heaven, we propound nothing new or different from what you believe regarding those whom you consider Sons of God.}}
Citando Giustino, Miller (2015) afferma che i primi cristiani comprendevano la storia della risurrezione di Gesù come fittizia piuttosto che di natura storica.
Tuttavia, l'affermazione di Giustino (se compresa nel modo di Carrier e Miller) è discutibile alla luce delle considerazioni sopra menzionate, e dovrebbe essere compresa secondo la sua strategia apologetica che cerca di far apparire le credenze cristiane simili a quelle pagane in modo da giustificare la sua affermazione che i pagani non dovrebbero perseguitare i cristiani (''Prima Apologia'' 24). Contrariamente all'interpretazione di Miller e Carrier, è discutibile che nel resto della ''Prima Apologia'', Giustino, essendo consapevole che "la sua argomentazione fino a quel momento avrebbe potuto lasciare ai suoi lettori pagani l'impressione che stava dicendo che non c'è differenza tra le dottrine cristiane e i miti pagani» (Minns e Parvis 2009, p. 139), procede a chiarirsi affermando la superiorità di Cristo in contrasto con lo scopo educativo degli scritti mitologici (''ibid., cit.'' 22,4 e 54,1). In contrasto con "i miti inventati dai poeti" (54.1), Giustino supplica: "E non è perché diciamo le stesse cose che chiediamo di essere accettati da te, ma perché diciamo ciò che è vero" (''Prima Apologia'' 23.1b), insistendo sul fatto che "''solo'' Gesù Cristo è nato in modo speciale quale Figlio di Dio" (23.2a, mio corsivo). Se Giustino avesse inteso la storia della risurrezione di Gesù come fittizia piuttosto che di natura storica, non avrebbe detto agli ebrei quanto segue, il che presupponeva che gli ebrei e i primi cristiani capissero l'affermazione della risurrezione di Gesù come storica quando discutevano se il corpo di Gesù fosse stato rubato:
{{q|...Eppure non solo non ti sei pentito, dopo aver appreso che Egli è risorto dai morti, ma, come ho detto prima, hai inviato uomini scelti e ordinati in tutto il mondo per proclamare che un'eresia empia ed illegittima fosse scaturita da un certo Gesù, un ingannatore galileo, che abbiamo crocifisso, ma che i suoi discepoli lo rubarono di notte dal sepolcro, dove era stato deposto quando fu staccato dalla croce, e ora ingannano gli uomini affermando che è risorto dai morti ed è asceso al cielo.|''[[w:Giustino (filosofo)#Il Dialogo con Trifone|Dialogo con Trifone]]'', 108}}
=== Valutare la storicità del Nuovo Testamento ===
È stato notato in precedenza che gli scrittori dei Vangeli li intendevano come antiche biografie. Tuttavia, il processo di vagliare i [[w:Vangelo|Quattro Vangeli]] per determinare quali eventi attribuiti a Gesù possano essere ricondotti al Gesù della storia incontra varie difficoltà. Per affrontare tali difficoltà, gli storici hanno escogitato vari criteri per determinare l'autenticità, come il criterio dell'attestazione multipla, il criterio dell'imbarazzo e il criterio della dissomiglianza (Harvey 1982; Meier 1991-2016, Vol. 1; Porter 2000). Tuttavia, ci sono vari limiti o errori che affliggono questi criteri e/o le loro applicazioni (Keith e Le Donne 2012). Ad esempio, il criterio della dissomiglianza, che afferma che "possiamo con fiducia assegnare un'unità a Gesù se è dissimile dalle sottolineature caratteristiche sia dell'antico ebraismo che della chiesa primitiva",<ref>Citato da Allison (2011, p. 3), che solleva diverse obiezioni contro questo criterio.</ref> è stato ampiamente considerato come fondamentalmente errato in linea di principio. Come sostiene Harvey (1982) in risposta allo scetticismo prevalente in seguito alla seconda ricerca del Gesù storico, la cultura in cui viveva Gesù doveva avergli imposto alcuni "vincoli" e avrebbe dovuto tenerne conto per comunicare al suo pubblico. Contrariamente al criterio della dissomiglianza, è molto più plausibile che un personaggio storico influente sia in qualche modo indebitato con il suo contesto (nel caso di Gesù, il contesto ebraico del I secolo) e che abbia un impatto sui suoi seguaci (i primi cristiani). Quindi, altri studiosi hanno difeso il criterio della "doppia plausibilità", cioè del contesto (Gesù e l'[[w:ebraismo|ebraismo]] del [[w:Secondo tempio di Gerusalemme|Secondo Tempio]]) e della conseguenza (Gesù e i primi cristiani) (Theissen e Winter 2002).
Keith (2011) ha proposto un "Jesus-memory approach" come alternativa all'approccio dei criteri di cui sopra, ma che allo stesso modo sostiene una continuità tra Gesù, il suo contesto e i suoi seguaci, utilizzando la teoria della memoria sociale. Citando il sociologo francese [[w:Maurice Halbwachs|Halbwachs]], Keith osserva che l'argomento fondamentale della teoria della [[w:memoria collettiva|memoria sociale]] è che "la memoria non è un semplice atto di richiamo, ma piuttosto un complesso processo mediante il quale il passato viene ricostruito alla luce dei bisogni del presente" (p. 168). Keith mantiene una prospettiva di continuità di questa teoria, sottolineando che "it is memory’s inherently social nature that enables it to preserve the past to an extent by transcending individual existence" (p. 169). Conclude che "the overall implications of the Jesus-memory approach are significant—they challenge nothing less than the distinction between the historical Jesus and the Christ of faith" (p. 177; si veda oltre).
[[w:Bart Ehrman|Ehrman]] obietta che i problemi con le [[w:Lettere di Paolo|lettere di Paolo]] sono che egli non conosceva personalmente Gesù e non ci ha detto molto sui suoi insegnamenti e attività, mentre i problemi con i Vangeli sono che non furono scritti da testimoni oculari ma da greci altamente istruiti in contrasto con i primi discepoli che erano incolti e parlavano aramaico. Ehrman afferma quindi che, man mano che le storie su Gesù si diffondevano, i dettagli venivano cambiati, gli episodi erano inventati e gli eventi erano esagerati (Ehrman 2014, capitolo 3).
Contrariamente a Ehrman, Loke (2017a) sostiene che ciò che le lettere di Paolo ci dicono è già sufficiente per dedurre che la più alta cristologia ebbe origine da Gesù stesso, e nei prossimi capitoli sosterrò che le lettere di Paolo contengono anche prove significative della risurrezione di Gesù. Altri hanno sostenuto che Gesù e i primi discepoli probabilmente parlavano greco insieme all'aramaico (Porter 2011), che la comunità cristiana primitiva a Gerusalemme aveva parlanti aramaici e greci che vivevano insieme fin dai primi giorni (Hengel 1990, pp. 9-18), che i Vangeli hanno la loro base nelle testimonianze dei testimoni oculari e che i dettagli sono significativamente preservati (Bauckham 2006; vedere la discussione nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 6|Capitolo 6]]). Studiosi come Daniel Wallace, Darrell Bock, Ben Witherington, Michael Kruger e altri hanno risposto specificamente alle argomentazioni di Ehrman e hanno tentato una difesa completa dell'affidabilità storica del Nuovo Testamento.<ref>L'attendibilità storica dei Vangeli è stata messa in dubbio anche dagli studiosi del cosiddetto ''[[w:Jesus Seminar|Jesus Seminar]]'' (Funk, Hoover and the Jesus Seminar 1997; Funk and the Jesus Seminar 1998). Tuttavia, i loro argomenti e la loro metodologia sono stati essi stessi severamente criticati (Chilton e Evans 1999a, 1999b).</ref> Per l'argomento storico della risurrezione di Gesù non è necessaria una difesa così completa, poiché, come hanno sostenuto Pannenberg e altri, tutto ciò che deve essere dimostrato è che i primi documenti cristiani contengono prove della convinzione dei primi cristiani riguardo alla risurrezione di Gesù, e che l'origine di questa convinzione è meglio spiegata dalla risurrezione di Gesù. In effetti, è degno di nota che, nonostante i disaccordi su vari aspetti del Nuovo Testamento, c'è un ampio consenso tra studiosi storico-critici di varie visioni del mondo (compresi studiosi atei ed ebraici) che ('''1''') Gesù morì a causa della crocifissione romana, ('''2''') molto presto dopo, un certo numero di persone ebbe esperienze credute apparizioni di Gesù risorto, e ('''3''') il corpo di Gesù scomparve (Habermas 2005, 2013). Si sosterrà nel resto di questo libro che la migliore spiegazione per questi fatti è che Gesù risorse.
L'attendibilità storica dei Vangeli è stata messa in dubbio anche dagli studiosi del cosiddetto ''[[w:Jesus Seminar|Jesus Seminar]]'' (Funk, Hoover and the Jesus Seminar 1997; Funk and the Jesus Seminar 1998). Tuttavia, i loro argomenti e la loro metodologia sono stati essi stessi severamente criticati (Chilton e Evans 1999a, 1999b).
=== Alcuni concetti importanti da discutere: primi cristiani, risurrezione naturale o soprannaturale ===
In questo libro, userò il termine "primi cristiani" per etichettare coloro che affermavano di seguire Gesù durante il periodo dal 30 circa (poco dopo la crocifissione di Gesù) al 62, quando [[w:Lettera ai Filippesi|Filippesi]], l'ultimo dei primi documenti cristiani databili, vale a dire le sette indiscusse epistole paoline, è ampiamente considerato dagli studiosi come scritto in tal periodo.<ref>Per l'autenticità di queste sette lettere, vedi Dunn (2003); un certo numero di studiosi ha sostenuto l'autenticità di altre lettere; si veda, ad esempio, Carson e Moo (2005).</ref> Ho sostenuto altrove (cfr. ''[[Serie cristologica]]'') che le epistole paoline riflettono la diffusa convinzione cristologica tra i cristiani dal 30 al 62 [[w:e.v.|e.v.]] che consideravano Gesù come "veramente divino", cioè come il Creatore nella divisione Creatore-creatura e di uguale ''status'' ontologico di [[w:Dio Padre|Dio Padre]]. Data la vicinanza di questo periodo alla figura storica di Gesù, alcuni di questi primi cristiani lo avrebbero conosciuto personalmente. In questo libro, i "primi capi cristiani" si riferiscono agli [[w:Apostolo|Apostoli]], come i membri dei "[[w:Apostolo|Dodici]]"<ref>"[[w:Apostolo|I Dodici]]" (ὁ δώδεκα) è un titolo che si riferisce a coloro che furono scelti da Gesù per essere apostoli fin dall'inizio, piuttosto che riferirsi al numero dei discepoli (dopo la morte di Giuda rimasero solo 11 di questi apostoli); cfr. Fee (1987, p. 729). In ogni caso, l'assenza di [[w:Giuda Iscariota|Giuda Iscariota]] dopo la crocifissione non è rilevante per l'argomento che esporrò.</ref> e [[w:Paolo di Tarso|Paolo]], come anche i loro collaboratori, vedi [[w:Sila (apostolo)|Sila]] e [[w:Timoteo (discepolo di Paolo)|Timoteo]] (per una discussione sulle prove storiche dei primi seguaci e i loro oppositori [i [[w:Farisei|farisei]], i [[w:Sadducei|sadducei]], gli [[w:Esseni|esseni]], i [[w:Samaritani|samaritani]] e altri], vedere Meier 1991–2016, vol. 3).
Alcuni studiosi hanno affermato che il cristianesimo era estremamente vario all'inizio della sua storia e che dovremmo parlare di "cristianesimi primitivi (paleocristianesimi)" piuttosto che di "cristianesimo primitivo (paleocristianesimo)". Hanno sostenuto che "per tutto il primo secolo, e dalle prime prove che abbiamo in ''[[w:Fonte Q|Q]]'', [[Vangelo di Tommaso|''Tommaso'']] e Paolo, c'erano molti gruppi diversi che sostenevano Gesù come loro fondatore" (Cameron e Miller 2004, p. 20). Tuttavia, è evidente dalla citazione che anche questi studiosi riconoscerebbero tale elemento comune tra i presunti diversi gruppi esistenti: nonostante le loro differenze, tutti affermano di seguire Gesù (risponderò alle argomentazioni di questi studiosi nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 2|Capitolo 2]]). Usando il termine "cristiani" in senso lato per riferirsi a "coloro che affermavano di seguire Gesù" piuttosto che come "coloro che seguivano certe dottrine su Gesù", evito di porre la domanda nella mia argomentazione storica non assumendo che i cristiani fossero coloro che credevano che Gesù fosse risorto fisicamente e che questa era la visione "ortodossa". Definirò il "cristianesimo primitivo" come la religione di coloro che affermavano di seguire Gesù durante il periodo dal 30 al 62 e.v.; questa definizione lascia aperta la questione dell'estensione della diversità all'interno di questa religione. Nel Capitolo 2 mostrerò, basandomi sull'evidenza piuttosto che sulla definizione, che c'era un ampio riconoscimento nel cristianesimo primitivo che Gesù fosse risorto fisicamente.
C'è un ampio consenso tra gli studiosi storico-critici contemporanei sul fatto che un certo numero di persone avesse avuto esperienze che ritenevano apparizioni di Gesù risorto poco dopo la sua crocifissione e che motivavano la loro proclamazione del vangelo cristiano (Habermas 2006a, p. 79). Questa conclusione è stata rafforzata negli ultimi anni dalle argomentazioni nell'importante libro di [[w:Nicholas Thomas Wright|N.T. Wright]], ''The Resurrection of the Son of God'' (2003). In oltre 800 pagine, Wright sostiene che la tomba vuota e le apparizioni della resurrezione "si sono verificate come eventi reali... sono, nel senso normale richiesto dagli storici, eventi dimostrabili; gli storici possono e dovrebbero scrivere su di loro" (Wright 2003, p. 709). È il "fardello negativo" (p. 7) del libro di Wright sfidare il punto di vista di altri studiosi che hanno interpretato la risurrezione di Gesù come una risurrezione non corporea (cfr. ad esempio Schillebeeckx 1979, pp. 320-397, il quale afferma che la "risurrezione" è il modo della comunità cristiana di esprimere la sua esperienza della grazia di Dio e della conversione piena di fede in Gesù). Wright fornisce un'abbondanza di prove nel suo tentativo di dimostrare che il termine ''anastasis'' e i suoi affini (per es. ''exanastasis'') e le parole correlate si riferivano quasi sempre alla resurrezione corporea nell'antico mondo mediterraneo ''sia'' tra pagani e ''sia'' tra ebrei. (''Anastasis'' significa "in piedi" e si riferisce al cadavere che normalmente veniva seppellito in posizione supina [Gundry 2000, p. 118]. Su questo punto si veda anche l'interazione di Wright con Crossan in Stewart 2006; Madigan e Levenson 2008; Licona 2010, pp. 400-437, 543-546.) Wright nota l'eccezione trovata nella posizione attribuita a Imeneo e Fileto in {{passo biblico2|2Timoteo|2:17-18}}: "Fra questi ci sono Imenèo e Filèto, i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la risurrezione (''anastasis'') è già avvenuta e così sconvolgono la fede di alcuni". Wright afferma che questa eccezione potrebbe anticipare il successivo ripensamento [[w:Gnosticismo|gnostico]] e la ''[[:en:w:Treatise on the Resurrection|Lettera a Rheginos]]'' della fine del II secolo. Wright sostiene che questa eccezione "usava il linguaggio della resurrezione per denotare qualcosa a cui quel gruppo di parole non si era mai riferito prima" (Wright 2003, pp. 267-270, 681). Wright (2008, p. 42) conclude: "era probabile che si verificasse un tale malinteso dell'intera questione, ma non altera la schiacciante impressione di unanimità".
L'analisi di Wright delle antiche credenze sulla vita dopo la morte sia nel mondo greco-romano che in quello ebraico è stata criticata per aver ignorato i controesempi (Bryan 2011; Lehtipuu 2015). Tuttavia, in un importante studio recente pubblicato sulla rivista ''New Testament Studies'', James Ware (2014) sostiene che il significato dell'affermazione centrale dellaprima formula cristiana (conservata in {{passo biblico2|1Corinzi|15:3-5}}) che Gesù "è stato risuscitato (''egeirō'')" ({{passo biblico2|1Corinzi|15:4}}) fornisce una conferma decisiva che i primi cristiani credevano e proclamavano Gesù risorto fisicamente. Allo stesso modo, Cook (2017) sostiene che, sulla base della semantica di ''anistémi'' ed ''egeirō'', e della natura dei corpi risorti nell'antico ebraismo e nell'antico paganesimo, si può concludere che Paolo non avrebbe potuto concepire una risurrezione di Gesù se non credeva anche che la tomba fosse vuota. "Di conseguenza, secondo le normali convenzioni della comunicazione, egli non aveva bisogno di menzionare la tradizione della tomba" (p. 75; ''contra'' Chilton 2019, p. 71, il quale trascura questo punto quando afferma che "in Paolo non ci può essere storia di una "tomba vuota", perché non c'è un riferimento a una tomba in primo luogo”). Cook afferma:
{{q|This is not to deny that there was a spiritual or metaphorical usage of resurrection words in the New Testament and early Christianity (Col. 2:12; 3:1; Eph. 2:5–6). The metaphorical uses in the deutero-Paulines, however, are based on the image of the resurrection of Christ.|''ibid.''}}
Il riferimento alle persone spiritualmente morte (ma fisicamente vive) in {{passo biblico2|Efesini|2:5}} non toglie dal punto di Ware (2014, p. 494) che, quando usato con riferimento alle persone fisicamente morte (come nel caso di Gesù in {{passo biblico2|1Corinzi|15:3-5}}), il termine ''egeirō'' ("sollevare") si riferisce senza ambiguità alla rianimazione o rivitalizzazione del cadavere. (Questa conclusione confuta la visione dei due corpi di Carrier [2005a] e altri; vedi oltre, Capitolo 5.)
Si potrebbe obiettare che la rappresentazione di Erode e di alcuni dei suoi contemporanei che si sbagliavano sul fatto che Gesù fosse il risorto Giovanni Battista in {{passo biblico2|Marco|6:14-29}} non potesse riferirsi a una rivitalizzazione del cadavere, dal momento che Gesù e Giovanni Battista sono contemporanei. In risposta, non è difficile pensare che la rappresentazione di coloro che dicevano che Gesù era Giovanni Battista risorto (''egeirō'') dai morti ({{passo biblico2|Marco|6:14}}) e di Erode che pensava lo stesso (v. 16) intendesse trasmettere una resurrezione corporea letterale, poiché potrebbero non aver saputo che Gesù era un contemporaneo di Giovanni (Lane 1974). Non c'è alcuna indicazione che queste persone avessero incontrato Gesù prima o che avessero studiato a fondo il contesto di Gesù; tutto ciò che viene affermato è che avevano sentito dire che c'era una persona conosciuta come Gesù che aveva fatto alcune cose straordinarie (v. 14). Inoltre, il contesto di quel passaggio dice che il corpo di Giovanni fu portato via dai discepoli di Giovanni dopo la sua esecuzione invece di essere trattenuto da Erode (v. 29), e si dice che il corpo fosse stato deposto in una tomba (v. 29) senza alcuna indicazione che Erode sapesse dov'era. Quindi è ragionevole pensare che Erode, che giustiziò Giovanni (v. 27) e "turbato da una coscienza inquieta disposta alla superstizione, temeva che Giovanni fosse tornato a perseguitarlo" (Lane 1974) e pensava che il risorto Giovanni fosse ora conosciuto come Gesù e possedesse poteri miracolosi. Pertanto, {{passo biblico2|Marco|6:14-29}} non costituisce un controesempio alla conclusione di Ware.
In questo mio libro, il termine "risurrezione" (e "risurrezione corporea") si riferisce all'interpretazione stabilita nell'articolo di Ware ("rivivificazione del cadavere") se non diversamente indicato. Va notato che tale rivivificazione del cadavere non esclude la possibilità che il cadavere rivivificato mantenga alcune proprietà che aveva in precedenza mentre acquisisce anche nuove proprietà. Quindi, non è una contraddizione pensare che il corpo risorto possa avere certe proprietà fisiche, come essere in grado di mangiare pesce, mentre possiede anche certe proprietà transfisiche (per usare la terminologia di Wright), come essere in grado di andare e venire attraverso porte, come descritto dai Vangeli e indicato dall'uso che Paolo fa del termine "corpo spirituale" in {{passo biblico2|1Corinzi|15}} (cfr. la discussione su "risurrezione migliore" nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 1|Capitolo 1]], "evidenza solida" nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 3|Capitolo 3]] e "transfisicità" nel Indagine Post Mortem/Capitolo 4|Capitolo 4]]). Una contraddizione è definita come "A e non-A allo stesso tempo". "Passare attraverso porte chiuse" non equivale a "non poter mangiare pesce". Similmente, scegliere di nascondersi per un certo periodo di tempo prima di rivelarsi in un'altra durata temporale (vedi Capitolo 4) non è una contraddizione, poiché questi eventi sono avvenuti in tempi diversi. Ciò contraddice Chilton (2019, p. 69), il quale pensava erroneamente che queste rappresentazioni fossero contraddizioni, il che lo ha portato a concludere ingiustificatamente che le diverse concezioni dei primi cristiani del modo in cui Dio governa il mondo hanno prodotto diverse comprensioni dell'evento pasquale.
Chilton (2019, pp. 70-71) afferma che quegli studiosi che sostengono che Gesù risorse nella "stessa carne" con cui morì e considerano la resurrezione di Gesù come fisica (citando N.T. Wright) "sono inequivocabilmente negati dallo stesso Paolo nella sua discussione in 1 Corinzi". In risposta, la parola "stessa carne" è ambigua; può significare ('''1''') numericamente identica nel tempo o ('''2''') avente proprietà identiche. Ad esempio, dire che "Bruce Chilton è la stessa persona che ha scritto ''Resurrection Logic'' un anno fa" non implica che egli possedesse le stesse proprietà un anno fa; al contrario, è invecchiato e cambiato in altri modi. Parimenti, l'analogia di Paolo della semina del granello ({{passo biblico2|1Corinzi|15:36-37}}) per la risurrezione indica identità numerica nel tempo: sebbene il seme e la pianta siano qualitativamente diversi, sono numericamente uguali nel senso che c'è continuità tra di loro: la pianta dormiente che entra nel terreno cresce nella pianta adulta con passaggi incrementali misurabili e osservabili (Davis 2006, p. 57; Ware 2014, p. 486; questo punto è trascurato da Welker 2007). La distinzione che viene sottolineata in {{passo biblico2|1Corinzi|15:44-54}} riguarda le diverse proprietà dei due stadi dell'unica cosa continua e non implica la loro discontinuità (si veda inoltre la risposta alla "visione dei due corpi" e la discussione su "carne e ossa" nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 5|Capitolo 5]]). Pertanto, quegli studiosi che affermano Gesù risorto nella "stessa carne" e considerano la risurrezione di Gesù come fisica, non contraddicono Paolo se ciò che affermano è che il corpo risorto è in qualche modo continuo (numericamente identico) al corpo pre-risorto corpo fisico che assume nuove proprietà (transfisiche) dopo la risurrezione piuttosto che semplicemente "tornare alla sua vita precedente" (Chilton 2019, p. 225, n. 15).
Contro l'elemento della fisicità della risurrezione di Gesù, si potrebbe obiettare citando la rappresentazione dell'apparizione della risurrezione di Gesù a Saulo in Atti ({{passo biblico|Atti|9:1-9;22:6-11;26:12-18}}) che indica che solo Saulo vide Gesù e udì parole distinte mentre i suoi compagni no. "La mancanza di una condivisione intersoggettiva di questa esperienza, tuttavia, dovrebbe metterci in guardia contro tentativi troppo diretti e troppo semplici di testimoniare l'oggettività della risurrezione" (Welker 2007, p. 462).
In risposta, non c'è alcuna indicazione nel testo che ci dica che Gesù sia apparso ai compagni di Saulo. Hanno visto solo la luce che circondava l'apparizione di Gesù a Saulo e sono caduti a terra, il che indica l'oggettività di questa apparizione, ma non viene detto che abbiano visto l'apparizione stessa di Gesù. Se le mie tre figlie erano in piedi davanti a me, e ne coprivo una con un mantello, e tutte vedevano il mantello che la circondava ma solo lei vedeva che c'era un oggetto luminoso nella parte interna del mantello mentre le altre due figlie non lo vedevano, questo non nega che l'oggetto luminoso che ella ha visto fosse fisico.
La nozione di corpo spirituale spiegata in precedenza risponde alla domanda di Carnley (1987, p. 71) su "che cosa esattamente i cristiani primitivi stessero cercando di descrivere". Chilton (2019, p. 69) obietta che qualsiasi pretesa di normatività della visione di Paolo sulla risurrezione di Gesù per i primi cristiani sarebbe fuorviante dato che i disaccordi di Paolo con altri autorevoli insegnanti erano noti. In risposta, si mostrerà nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 2|Capitolo 2]] che è l'affermazione di Paolo dell'accordo tra lui e altri autorevoli maestri riguardo al Vangelo, in una lettera a coloro che conoscevano questi altri maestri e conoscevano anche i loro disaccordi su alcune questioni diverse dal Vangelo, che fornisce un'indicazione così potente sulla condivisione dello stesso punto di vista sulla risurrezione di Gesù che è fondamentale per il Vangelo. Carnley (2019, pp. 212-213) obietta che se la risurrezione di Gesù è intesa come una risurrezione corporea e un evento storico, sarebbe difficile determinare come l'esperienza empirica della sua risurrezione possa differire dall'esperienza di una mera rianimazione, e metterebbe in discussione l'effettiva morte di Gesù. In risposta, l'esperienza empirica della transfisicità spiegata nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 4|Capitolo 4]] indica che non si trattava dell'esperienza di una mera rianimazione, mentre l'evidenza relativa alla crocifissione indica che Gesù non avrebbe potuto sopravviverle in modo naturalistico.
Nei suoi scritti, Wright ha presentato una denuncia contro l'uso delle parole "naturale", "soprannaturale" e "miracolo". Scrive: "La stessa parola ‘miracolo’, e del resto le parole ‘naturale’ e ‘soprannaturale’, sono in effetti sintomatiche di una gamma molto diversa di possibili visioni del mondo da quelle che erano disponibili agli abitanti dei villaggi galilei nel primo secolo." (Wright 1996, pp. 187-188).
È vero che i significati delle parole "naturale" e "soprannaturale" sono cambiati nel tempo. Tuttavia, Collins (2018, sezione 10.A.2) nota che anche se questi termini non furono usati dagli autori biblici, essi avevano idee sulla causalità e le proprietà causali delle cose create, e l'idea che Dio potesse aggiungere qualcosa di nuovo ai processi da lui compiuti, in modo che, con una tale infusione, il risultato andasse oltre ciò che le proprietà causali delle cose create avrebbero prodotto. Ad esempio, erano consapevoli che le vergini normalmente non concepivano ({{passo biblico2|Luca|1:34}}), ma credevano che Dio potesse far sì che ciò accadesse ({{passo biblico2|Luca|1:35-37}}). Collins aggiunge:
{{q|No one worth interacting with ever thought that God was normally absent and that he intervened in a haphazard or arbitrary fashion. Further, the notion of ‘natural’ and ‘supernatural’ is a legitimate abstraction from the biblical materials and gives us a good sense of what a sensible Galilean villager—such as Joseph, the fiancé of Mary—would
have understood.|''ibid.''<ref>Si veda l'ulteriore discussione in merito al problema dei miracoli nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 7|Capitolo 7]].</ref>}}
=== Introdurre le difficoltà che assillano il dibattito contemporaneo ===
N. T. Wright sostiene anche che la resurrezione sia la spiegazione più probabile per i fatti della tomba vuota e delle apparizioni ''post-mortem''. Tuttavia, molti scettici rimangono persuasi dall'inadeguata gestione da parte di Wright delle ipotesi naturalistiche. Questi scettici affermano di poter pensare a molte alternative naturalistiche alla resurrezione, e sembra loro impossibile assicurare che tutte queste alternative siano state considerate ed escluse prima di arrivare alla conclusione di una risurrezione. Come osserva Dale Allison:
{{q|Wright’s attempt... to dismiss naturalistic hypotheses is too brief for my tastes, although more pages would still fall short; one just cannot decisively eliminate all the unorthodox alternatives.|Allison 2005a, p. 347, n. 583<ref>Tra le "alternative non ortodosse" che suggerisce sono che il corpo di Gesù sia stato rubato e che i discepoli abbiano avuto allucinazioni.</ref>}}
Argomenti simili sono stati fatti anche nei dibattiti sulla risurrezione di Gesù. Ad esempio, nel suo scambio con Craig, Ehrman afferma di poter "immaginare" 20 alternative naturalistiche riguardanti la tomba vuota (Craig e Ehrman 2006, p. 13). [[w:Gary Habermas|Habermas]] osserva che c'è una rinascita di interesse per le ipotesi naturalistiche negli ultimi anni, osservando che "gli ultimi due decenni hanno prodotto più di quaranta suggerimenti a favore di una dozzina di scenari alternativi diversi per spiegare il resoconto del Nuovo Testamento secondo cui Gesù fu risuscitato dai morti" (Habermas 2001a, pp. 179–196). Altri storici affermano che la risurrezione "non è una questione che gli storici possono autenticare" (MacCulloch 2010, p. 93) e insistono sul fatto che deve essere affrontata come un articolo di fede riguardante il mistero di Dio (Carnley 2019). Allora Ehrman nota:
{{q|Historians, of course, have no difficulty whatsoever speaking about the belief in Jesus’ resurrection, since this is a matter of public record. For it is a historical fact that some of Jesus’ followers came to believe that he
had been raised from the dead soon after his execution.|Ehrman 1999, p. 231}}
Tuttavia, la fede dei discepoli nella risurrezione di Gesù è una questione, se sia successa è un'altra, e ciò che la spiega (se successe) è un'altra ancora. Si suppone che la resurrezione implichi una causa soprannaturale se accadde, ma molti storici ritengono che uno studio della causalità del regno soprannaturale o spirituale appartenga alla disciplina della teologia piuttosto che alla storia (Webb 2011, pp. 78-79). Molti storici aderirebbero a una forma di "naturalismo metodologico", che intende la storia "come descrizione e spiegazione di causa ed effetto degli eventi umani all'interno della sola sfera naturale, senza fare affermazioni ontologiche al di là della sfera naturale" (Webb 2011, p. 79 ). La difficoltà riguarda se sia in linea di principio possibile per gli storici ragionare da certi fatti storici e arrivare alla risurrezione di Gesù.
Inoltre, la questione del pregiudizio evidenziata da [[w:Martin Kähler|Martin Kähler]] alla fine del diciannovesimo secolo presenta una sfida, sottolineata dai pensatori postmoderni contemporanei. Kähler sostiene che, a differenza di altre figure del passato, Gesù ha esercitato in ogni epoca un'influenza troppo potente su tutti i tipi di persone e continua a rivendicare tale influenza in maniara troppo forte su tutti. Pertanto, non possiamo avere un resoconto storico imparziale di lui o uno storico imparziale che valuti l'evento, e quindi il progetto storico-critico è completamente contaminato (Kähler 1892/1964, pp. 92-95).
In sintesi, il dibattito contemporaneo sull'origine della credenza nella risurrezione di Gesù è ostacolato dalle difficoltà legate a ('''1''') l'eliminazione di tutte le "alternative non ortodosse" (frase di Allison), ('''2''') se sia in linea di principio possibile per gli storici ragionare da alcuni fatti storici e arrivare alla risurrezione di Gesù, e ('''3''') la questione del pregiudizio.
== L'approccio di questo libro ==
=== Eliminazione delle alternative ===
In questo libro userò un approccio transdisciplinare che affronti le difficoltà sopra menzionate.
Per quanto riguarda la difficoltà di eliminare tutte le "alternative non ortodosse", dimostrerò che tutte le possibili alternative naturalistiche possono essere essenzialmente ridotte a poche note, in modo tale che tutte siano considerate prima che si arrivi ad una conclusione per la risurrezione. Tale riduzione sarebbe un utile primo passo verso l'eliminazione di tutte le "alternative non ortodosse" e aggiungerebbe chiarezza alla discussione. Analizzando sillogisticamente la struttura della dialettica relativa alle apparizioni ''post mortem'', si dimostrerà che tutte le possibili alternative naturalistiche alla risurrezione di Gesù riguardo alle affermazioni sulle apparizioni ''post mortem'' di Gesù possono essere essenzialmente ridotte a poche conosciute, come segue. (Si noti che ipotesi come "le donne andarono alla tomba sbagliata mentre il corpo di Gesù rimase sepolto altrove", il furto del corpo trafugato dalla tomba, e così via, sono alternative riguardanti la tomba vuota [cfr. punti da (7) a (9.2.2.2) nel testo seguente], non le apparizioni ''post mortem''. Ipotesi come "Gesù fu risuscitato dai morti da alieni o angeli" sono alternative a Dio quale causa della risurrezione di Gesù [cfr. Capitolo 7], non alternative alla risurrezione di Gesù di per sé):
:(1) ⇒ (1.1) o (1.2) è vero:<ref>Si noti che "o" è inteso in senso esclusivo in questo sillogismo come anche nel successivo.</ref>
::(1.1) Nella Palestina della metà del I secolo (30-70 e.v.) non c'erano persone che affermassero di aver assistito al Gesù risorto (i resoconti del Nuovo Testamento su tali persone sono tutte leggende: chiamate questa l'ipotesi leggendaria).
::(1.2) C'erano persone nella Palestina della metà del I secolo che affermavano di aver visto il Gesù risorto, nel qual caso è vero sia (2.1) che (2.2):
:(2.1) Tutti loro non sperimentarono nulla che pensavano fosse Gesù risorto (nessuna ipotesi di esperienza).
:(2.2) Almeno alcuni (se non tutti) fecero esperienza di qualcosa che pensavano fosse Gesù risorto, nel qual caso è vero sia (3.1) che (3.2):
::(3.1) Tutte queste "esperienze di Gesù" furono causate intramentalmente in assenza di stimoli sensoriali appropriati<ref>"Assenza di... appropriati" significa assenza di ciò che è stato considerato dal percipiente un'entità extramentale. Ad esempio, il percipiente pensava di aver visto o toccato un'entità extramentale, ma non ce n'era.</ref> (chiamatela ipotesi intramentale; gli esempi includono allucinazioni, "visione soggettiva", "stimolo", "intossicazione religiosa", "entusiasmo", e "illuminazione").
::(3.2) Almeno alcune (se non tutte) di queste "esperienze di Gesù" furono causate da un'entità extramentale, nel qual caso è vera la (4.1) o la (4.2):
:(4.1) Per tutte queste esperienze, l'entità extramentale non era Gesù (per esempio, scambiarono un'altra persona per Gesù: ipotesi di identità errata).
:(4.2) Per almeno alcune (se non tutte) di queste esperienze, l'entità extramentale era Gesù, nel qual caso o (5.1) o (5.2) è vera:
::(5.1) Gesù non è morto sulla croce (ipotesi di svenimento/fuga: cioè, o Gesù svenne sulla croce, uscì dal sepolcro e si mostrò più tardi ai discepoli ["svenimento"], oppure Gesù era fuggito segretamente prima della crocifissione, qualcun altro fu crocifisso e Gesù si mostrò più tardi ai discepoli ["fuga"]).
::(5.2) Gesù morì sulla croce (cioè l'entità extramentale che sperimentarono era Gesù risorto dai morti), nel qual caso
:(6) ⇒ Gesù risorse dai morti (risurrezione).
Il sillogismo copre tutte le possibilità in modo esaustivo. Sebbene ciascuna delle ipotesi annotate nel sillogismo sia stata discussa da altri in letteratura, una riduzione logicamente esaustiva di tutte le possibili ipotesi non è stata realizzata da nessun autore prima, da qui il mio contributo unico alla discussione. Tale riduzione è significativa almeno per i seguenti aspetti...
'''Primo''', mentre un numero significativo di studiosi sarebbe d'accordo che una qualche esperienza venne provata dai discepoli subito dopo la crocifissione di Gesù, molti affermerebbero con [[w:Ed Parish Sanders|E. P. Sanders]] che "non so quale sia stata la realtà che diede origine alle esperienze" (Sanders 1993, p. 280). Una delle ragioni principali di questo [[w:agnosticismo|agnosticismo]] è che molte spiegazioni sembrano possibili per tali esperienze. Sulla base del suddetto sillogismo, tuttavia, possiamo sapere che essenzialmente ci sono sette e solo sette possibili categorie di spiegazioni riguardanti le affermazioni delle apparizioni ''post mortem'' di Gesù, vale a dire: leggende, nessuna esperienza, intramentale, identità sbagliata, svenimento, fuga e risurrezione. Va sottolineato che essenzialmente non ci sono altre possibilità oltre a quelle elencate in precedenza (sebbene siano possibili varie combinazioni di queste possibilità; queste combinazioni sono considerate nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 6|Capitolo 6]]). L'elenco è quindi un importante punto di partenza per rispondere alla domanda: "Cosa ha dato origine alle esperienze?"
'''Secondo''', l'elenco aiuta a garantire che tutte le possibili categorie di ipotesi e le loro combinazioni siano prese in considerazione prima di giungere alla conclusione relativa al fatto che la risurrezione sia la migliore spiegazione.
'''Terzo''', riducendo la miriade di teorie alternative che sono state (nelle parole di Ehrman) "immaginate" (o ancora non immaginate) essenzialmente a sei, si dimostrerà nei Capitoli successivi che, una volta stabilite certe considerazioni, tutte le alternative e le loro combinazioni possono essere ragionevolmente escluse.<ref>Ho già affermato in vari wikilibri della ''[[Serie cristologica]]'' che tutte le spiegazioni naturalistiche alternative possono naufragare una volta stabiliti alcuni dettagli evidentemente significativi nei Vangeli (ad esempio in {{passo biblico2|Luca|24:36-43}}). Ora penso che si possa dimostrare che tutte le spiegazioni naturalistiche alternative falliscono anche senza dover stabilire quei dettagli evidentemente significativi (sebbene io pensi che si possa ancora fare una buona argomentazione riguardo a Luca 24:36-43; cfr. il Capitolo 3). Per i dettagli, vedere i capitoli susseguenti.</ref>
Tutte le possibili alternative naturalistiche riguardanti la tomba vuota si possono altresì ridurre a poche conosciute, come dimostra il seguente sillogismo:
:(7) ⇒ (7.1), (7.2) o (7.3) è vero:
::(7.1) Gesù non fu crocifisso (ipotesi di fuga).
::(7.2) Gesù fu crocifisso e non fu sepolto (ipotesi insepolta).
::(7.3) Gesù fu crocifisso e fu sepolto, nel qual caso è vero o (8.1) o (8.2):
::(8.1) Il corpo di Gesù è rimasto sepolto (ipotesi "rimasto sepolto").
::(8.2) Il corpo di Gesù non è rimasto sepolto, nel qual caso è vero sia (9.1) che (9.2):
::(9.1) Il corpo venne rimosso da non-agente/i, ad es. terremoti (Allison 2005a, p. 204), animali, ecc. (rimozione per ipotesi non agente)
::(9.2) Il corpo venne rimosso da agente/i, nel qual caso è vero sia (9.2.1) che (9.2.2):
:::(9.2.1) Altri hanno rimosso il corpo, o
::::(9.2.1.1) Amici di Gesù (rimozione per ipotesi amici),
::::(9.2.1.2) Nemici di Gesù (rimozione per ipotesi nemici), o
::::(9.2.1.3) Né amici né nemici, ad es. ladri di tombe, [[w:tombarolo|tombaroli]] (rimozione per ipotesi neutrale).
:::(9.2.2) Gesù stesso rimosse il suo corpo, nel qual caso è vero o (9.2.2.1) o (9.2.2.2):
::::(9.2.2.1) Gesù non morì sulla croce: svenne sulla croce e uscì più tardi dal sepolcro (ipotesi svenimento), oppure
::::(9.2.2.2) Gesù morì sulla croce, risorse dai morti e uscì dal sepolcro (risurrezione).
Questo sillogismo copre esaurientemente tutte le possibilità. Il significato di un elenco di ipotesi così logicamente esaustivo è simile a quello delle apparizioni ''post mortem''.
Innanzitutto, sulla base dell'elenco possiamo sapere che essenzialmente ci sono nove e solo nove possibili categorie di ipotesi riguardanti la tomba vuota, cioè: fuga, insepolto, rimasto sepolto, rimozione da non agente, rimozione da amici, rimozione da nemici, rimozione da parte neutrale, svenimento e resurrezione.
In secondo luogo, l'elenco aiuta a garantire che tutte le possibili categorie di ipotesi e le loro combinazioni siano prese in considerazione prima di concludere se la risurrezione sia la migliore spiegazione raggiunta. In terzo luogo, riducendo la miriade di teorie alternative essenzialmente a otto, si dimostrerà nei Capitoli successivi che, una volta stabilite determinate considerazioni, tutte le alternative e le loro combinazioni possono essere ragionevolmente escluse.
=== Sulla questione se sia possibile per gli storici arrivare alla risurrezione di Gesù partendo da alcuni fatti storici ===
Passando alla prossima difficoltà relativa alla possibilità in linea di principio per gli storici di ragionare da alcuni fatti storici e arrivare alla risurrezione di Gesù, si può porre la seguente domanda: perché uno storico non può – in linea di principio – sostenere che ci sono ragioni e prove per pensare che (I), (II), (III) e (IV) siano vere:
:(I) C'erano persone che affermavano di aver visto Gesù risorto poco dopo la sua crocifissione,
:(II) ebbero qualche tipo di esperienza,
:(III) ciò che provarono non fu causato intramentalmente ma extramentalmente,
:(IV) l'entità extramentale non era un'altra persona ma lo stesso Gesù che era morto sulla croce.<br/>
::Ciò che segue logicamente da (I), (II), (III) e (IV) è
:(V) Pertanto Gesù risorse.
[[w:Larry Hurtado|Hurtado]] pensa che gli storici non possano "provare" che la risurrezione di Gesù sia avvenuta perché la storia si basa su analogie, e non c'è nulla di analogo alla risurrezione<ref>Hurtado solleva anche un'obiezione teologica dicendo che secondo {{passo biblico2|Atti|10:41}} Dio scelse di far apparire Gesù risorto solo ad alcune persone ma non a tutte, e quindi Dio non intende fornire una "prova". Hurtado non nota che in {{passo biblico2|Atti|1:3}} e {{passo biblico|Atti|17:31}} la "prova" è menzionata in riferimento alla risurrezione di Gesù. La mancanza di ulteriori testimonianze (per es., apparire a tutti) non significa la mancanza di prove (per es., apparire ad alcuni). Riguardo alla domanda sul perché il Dio della Bibbia non fornisca ulteriori prove, si vedano le citazioni di Moreland e O'Collins nella Sezione 1.2.</ref> (cfr. il principio di analogia in Troeltsch 1898/1991). Per quanto riguarda la tesi pro o contro la storicità della risurrezione di Gesù, Novakovic (2016, p. 128) ritiene che la difficoltà principale sia causata "dal mancato accordo su quale sia il compito della ricerca storica e fino a che punto possano le convinzioni di fede influenzare la valutazione delle prove disponibili." Spiega quanto segue:
{{q|For some, the term ‘historical’ means that an event took place in time and space regardless of whether it is caused by natural or divine activity, while for others the term ‘historical’ is applicable only to the events
whose occurrence can be demonstrated with historical arguments based on empirical evidence that are independent of someone’s religious beliefs.|''ibid.''}}
[[:en:w:Dale Martin|Dale Martin]] (2017) sostiene che, mentre gli storici possono ragionevolmente affermare che "Paolo e alcuni altri discepoli di Gesù credevano sinceramente di averlo visto qualche volta, da qualche parte dopo la sua morte", gli storici non possono ragionevolmente concludere nulla su ciò che videro questi primi cristiani (p. 212), solo che "ebbero una visione, o videro una figura da lontano che credettero fosse Gesù, o videro un gioco di luci che poi decisero fosse il corpo di Gesù" (''ibid.'').
Tuttavia, rispetto a (I), (II), (III) e (IV), gli storici valutano regolarmente se le persone hanno fatto certe affermazioni nella storia, se le persone sono state testimoni di qualcuno piuttosto che vedere un'allucinazione o scambiato qualcos'altro per un'altra persona, e se le persone sono morte, e si possano trovare analogie con queste. Tali sono le spiegazioni naturalistiche, e poiché è incontrovertibile che tali spiegazioni naturalistiche siano adatte all'indagine storica, gli storici che si preoccupano delle origini storiche del cristianesimo possono e dovrebbero valutarle. Nei capitoli successivi verrà mostrato che (I), (II), (III) e (IV) possono essere effettivamente dimostrati con argomenti storici basati su prove empiriche che sono indipendenti dalle convinzioni di fede e dalle credenze religiose di chicchessia.
Alcuni storici potrebbero replicare che il problema è che nella risurrezione è presumibilmente coinvolto il soprannaturale .
Tuttavia, la necessità di considerare la causalità soprannaturale non è nemmeno presente fino al punto di stabilire (I), (II), (III) e (IV). Piuttosto la necessità sorge solo dopo che si è raggiunta la conclusione (V), "Pertanto Gesù risorse". È solo allora che dobbiamo riflettere sul fatto che "Gesù risorse" abbia una causa naturale o soprannaturale (questo è discusso nel Capitolo 7). Non c'è alcuna necessità logica che la risurrezione di Gesù debba essere causata in modo soprannaturale. Contro la visione di Ehrman che la risurrezione di Gesù sarebbe stata impossibile se non per l'azione miracolosa di un agente divino, Licona suggerisce la possibilità logica alternativa di un "alieno in un universo parallelo il cui progetto di dottorato era di ingannare gli umani facendogli credere di essere divino" (Licona 2014, p. 124) – questo illustra il punto sulla mancanza di necessità logica menzionato in precedenza (riguardo all'ipotesi dell'alieno, ecc., cfr. Capitolo 7). Licona osserva che "gli storici possono dare un giudizio positivo sulla storicità di un evento lasciandone indeterminata la causa. Questa è una pratica comune degli storici al di fuori della corporazione dei biblisti" (Licona 2014, p. 122). Per esempio:
{{q|Plutarch noted that, although the corpse of Scipio Africanus laid dead for all to see, there were three competing hypotheses pertaining to the cause of his death: He died of natural causes, he intentionally drank poison and committed suicide, he was smothered by thugs while he slept well.|Licona 2014, p. 122}}
Braaten (1999) scrive: "La resurrezione è da considerarsi un evento storico perché è oggetto di resoconti che la collocano nel tempo e nello spazio. Accadde a Gerusalemme poco tempo dopo che Gesù fu crocifisso" (p. 155). Stabilire la causa di questo evento (se accadde) è distinto dallo stabilire l'evento stesso.
Pertanto, non vi è alcuna necessità logica che impedisca agli storici di ragionare partendo da certi fatti storici per arrivare alla risurrezione di Gesù, cosa che in linea di principio possono fare sostenendo che ci sono ragioni e prove per pensare che (I), (II), (III), e (IV) sono vere, come spiegato in precedenza. D'altra parte, se uno storico escludesse ''a priori'' la possibilità che sia avvenuta la risurrezione di Gesù, significherebbe importare nel suo giudizio assunzioni filosofiche ingiustificate (vedi Capitolo 7). Riguardo alla questione storica se Gesù sia stato osservato morto e sia stato osservato vivo – questione empirica! – uno storico dovrebbe formulare il suo giudizio sulla base di considerazioni storiche – come quelle che difenderò nei capitoli successivi – piuttosto che assumere in anticipo sul base di presupposti filosofici o teologici ingiustificati se la risurrezione di Gesù sia o meno possibile e quindi esprimere il proprio giudizio sulla base di tali presupposti.
Può uno storico dedurre una causa soprannaturale per un evento? Quanto al presupposto del naturalismo metodologico per la pratica della storia, osserva Licona, "il termine ‘storia’ è esso stesso un concetto essenzialmente contestato; cioè, non esiste una definizione ampiamente accettata per il termine" (Licona 2014, p. 119). Tuttavia, è utile chiarire che l'indagine storica "riguarda eventi del passato che coinvolgono gli esseri umani come agenti" (Webb 2010, p. 16), il coinvolgimento degli esseri umani come agenti distingue la disciplina della storia da altre discipline che studiano il passato (ad es. [[w:Cosmologia (astronomia)|cosmologia]], che studia la formazione delle galassie).
Licona (2014) solleva una serie di obiezioni all'assunzione di [[w:naturalismo (filosofia)|naturalismo]] metodologico per la pratica della storia, vale a dire:
# Gli storici non hanno bisogno di adottare una definizione di storia basata sul minimo comune denominatore di credenze tra gli storici.
# Il [[:en:w:Naturalism (philosophy)#Methodological naturalism|naturalismo metodologico]] può ostacolare gli storici, impedendo loro in alcuni casi di fornire un resoconto più completo e più accurato del passato.
# I confini tra le discipline sono alquanto artificiali.
# È discutibile se il naturalismo metodologico avrebbe il vantaggio pragmatico che i suoi sostenitori desiderano.
Per quanto riguarda 1, 3 e 4, le questioni relative al "minimo comune denominatore delle credenze", ai "confini tra le discipline" e al "vantaggio pragmatico" sono di secondaria importanza. La questione più importante è la qualità della giustificazione offerta per le credenze, i confini e i vantaggi in questione, in particolare se questi aiutano o ostacolano il compito dello storico nella sua indagine sul passato. A questo proposito ritengo che l'obiezione 2 sia la più importante. Qui Licona cita la sfida del biologo molecolare [[w:Michael Behe|Michael Behe]] nella forma della seguente illustrazione:
{{q|Imagine a room in which a body lies crushed, flat as a pancake. A dozen detectives crawl around, examining the floor with magnifying glasses for any clues to the identity of the perpetrator. In the middle of the room, next to the body, stands a large, grey elephant. The detectives carefully avoid bumping into the pachyderm’s legs as they crawl, and never even glance at it. Over time the detectives get frustrated with their lack of progress but resolutely press on, looking even more closely at the floor. You see, textbooks say detectives must ‘get their man,’ so they never consider elephants.|Behe 1996, p. 192}}
Licona fornisce anche un esperimento mentale: "un certo numero di veicoli spaziali atterrano improvvisamente sulla Terra, occupati da esseri alieni intelligenti che sono in grado di comunicare con noi" e sostiene che lo studio della storia umana può includere un impegno con l'interazione con questi esseri anche se non sono umani. Gli storici non dovrebbero escludere ''a priori'' la possibilità che Dio interagisca con gli esseri umani.
In risposta, l'illustrazione di Behe mostra efficacemente come la restrizione metodologica possa impedire di scoprire cosa è successo nel passato, e l'esperimento mentale di Licona è utile per illustrare che la storia coinvolge gli umani ma dovrebbe essere aperta alla possibilità di interazione con persone non umane. Tuttavia, si potrebbe obiettare che questi esempi non affrontano realmente le ragioni per cui molti storici opterebbero per il naturalismo metodologico ed eviterebbero la conclusione di una causa divina. Alcune di queste ragioni sono le seguenti: la difficoltà di esaminare la causalità divina, la preoccupazione che l'accettazione di una causa divina per un evento passato ostacolerebbe l'indagine, e la preoccupazione per la spiegazione del Dio delle lacune. Ritengo che la prima ragione sia importante e ne parlerò qui; gli altri due motivi saranno discussi nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 7|Capitolo 7]].
Riguardo alla prima ragione e alle illustrazioni di Behe e Licona, alcuni storici potrebbero obiettare che elefanti o alieni sono suscettibili di conferma empirica, mentre un Dio invisibile non lo è. Licona ha anticipato questa obiezione e ha sostenuto che, proprio come gli scienziati postulano regolarmente entità teoriche non osservate (ad esempio [[w:buco nero|buchi neri]], [[w:quark|quark]], [[w:stringa (fisica)|stringhe]] e [[w:gluone|gluoni]]) per spiegare i fenomeni osservabili, gli storici possono fare lo stesso. In ogni caso, ha anche osservato quanto segue:
{{q|Ancient human agents, such as Pontius Pilate and Herod Agrippa, are no more observable to modern historians than are ancient divine agents, such as the three persons who appeared to Abraham and the angels who appeared to the women at the empty tomb of Jesus. Since we have no direct access to the past, all ancient history is known to varying degrees through inference.}}
Altrove Licona (2010, p. 103) scrive:
{{q|Although a historian does not have direct access to the past, a scientist does not have direct access to the experiments she performed last year in the lab but can only refer to her notes... physicists posit numerous entities to which they have no direct access, such as quarks and strings. Zammito comments that ‘an electron is no more immediately accessible to perception than the Spanish Inquisition. Each must be inferred from actual evidence. Yet neither is utterly indeterminable.’}}
Licona presenta ottime ragioni. Tuttavia, rimane un'importante differenza tra postulare un'entità fisica non osservata e un'entità soprannaturale non osservata. La differenza è che non si possono esaminare tutti i processi causali intermedi appropriati che collegano (diciamo) una causa divina agli effetti allo stesso modo in cui si esaminano i meccanismi fisici (Grünbaum 1991), poiché il primo coinvolge un'entità non fisica e non è una legge naturale che possa essere testata, scoperta o controllata in laboratorio. Inoltre, essendo un agente personale e libero, non ci si può aspettare che Dio si comporti in modi simili alle entità fisiche o alle leggi naturali. Per di più, Dio è, secondo la comprensione di molte tradizioni monoteistiche, una [[w:Motore immobile|Causa Prima]] dell'universo, senza inizio e senza tempo, e le osservazioni scientifiche non possono confermare o escludere un'entità che è senza inizio e senza tempo, poiché le osservazioni scientifiche sono limitate all'osservazione di processi che si verificano nel tempo. Pertanto, la scienza non può confermare o escludere l'esistenza di Dio in questo senso. Tuttavia, si può sostenere che la scienza può fornire l'evidenza che può essere utilizzata dalle premesse di argomentazioni filosofiche deduttive e induttive per l'esistenza di Dio (per degli esempi, si vedano Craig e Moreland 2009).
Nella misura in cui la disciplina della storia si modella strettamente alla scienza, essa affronterebbe gli stessi problemi metodologici relativi alla conferma di Dio (piuttosto che, diciamo, un angelo, un demone o una spiegazione naturalistica precedentemente sconosciuta come un alieno) come causa di un evento. La distinzione tra Dio e le altre cause appartiene al regno della filosofia e della teologia piuttosto che della storia e della scienza. Licona (2014, p. 124) sembra essere d'accordo quando dice: "In effetti, non riesco a pensare a nessuna forte ragione ‘storica’ per preferire Dio a un alieno come causa della risurrezione di Gesù". Il filosofo Alan Padgett osserva che se la risurrezione di Gesù è veramente avvenuta, è un evento passato che ha avuto luogo nello spazio e nel tempo. "Se Gesù è risorto dai morti, questo evento ha una data ed è avvenuto in un determinato luogo nello spazio, appena fuori Gerusalemme" (Padgett 1998, pp. 303-304). Tuttavia, prosegue osservando, "la scienza storica è incapace di esprimere un giudizio teologico sul fatto che Dio possa o meno risuscitare Gesù" (''ibid.''). Per concludere che è il Dio d'Israele che ha risuscitato Gesù dai morti sarebbero necessari ulteriori argomenti dalle discipline della filosofia della religione (compresa la religione comparata; si veda il Capitolo 7), e lo studio di questi argomenti va oltre la consueta disciplina propria degli storici.
Rae (2016) lamenta che il metodo metodologico naturalistico della critica storica è incapace di discernere l'opera di Dio. Questo fa sì che il biblista indaghi sulla Bibbia come se Dio non fosse attivo nella storia e quindi non sia in grado di comprendere la Bibbia nei suoi termini. Evans (1996, p. 349) osserva:
{{q|Ironically.. the historical assumptions governing this quest seem designed to make it difficult if not impossible to recognize anything really special about Jesus. If Jesus really performed miracles, or thought of himself as divine, the assumptions of historical criticism would make it nearly impossible to discern this.}}
Ora, un conto è comprendere la Bibbia dall'interno del mondo concettuale del testo stesso, con la sua affermazione di Dio che ha creato l'universo e ne realizza i propositi nella storia come sottolinea Rae (2005, 2016). Un'altra cosa è pensare se ciò che si comprende è vero e se si può dimostrare che è vero. (Si potrebbero fare osservazioni simili riguardo allo studio del Corano, per esempio.) Il metodo naturalistico metodologico della critica storica dovrebbe essere inteso come uno dei metodi ma non l'unico metodo a disposizione del biblista (Evans 1999). Questo metodo può produrre molte conclusioni sul passato, senza fornire tutto ciò che si può sapere sul passato, come il discernere se Dio è all'opera. Quest'ultimo richiederebbe argomenti filosofici e teologici che il biblista può consultare (cfr. Capitolo 7; per un esempio di un eminente biblista che usa tali argomenti, si veda il libro di Craig Keener sui miracoli [2011]).
Va notato che la scienza e la storia non possiedono il monopolio della verità riguardante il passato e il presente e che gli argomenti filosofici possono portare alla conoscenza. È un errore sostenere che le conclusioni non raggiungibili dal naturalismo metodologico siano illegittime (Evans 1999, p. 182). I fautori dello scientismo potrebbero obiettare affermando che la scienza è l'unico modo per conoscere la natura della realtà.<ref>In un utile articolo, [[:en:w:Mikael Stenmark|Mikael Stenmark]] (1997) discute varie forme di scientismo e osserva che mentre la parola "scienza" ha una varietà di significati, "ciò che è caratteristico dello scientismo è che funziona con una definizione ristretta di scienza... i sostenitori dello scientismo usano la nozione di scienza per coprire solo le scienze naturali e forse anche quelle aree delle scienze sociali che sono molto simili nella metodologia alle scienze naturali" (p. 20). Tale metodologia in genere comporta uno studio sistematico che utilizza l'osservazione e la sperimentazione.</ref> Lo scientismo, tuttavia, è suscettibile all'obiezione che lo scientismo non può essere dimostrato dalla scienza stessa e che i suoi sostenitori "si basano sulle loro argomentazioni non solo su premesse scientifiche ma anche su premesse filosofiche" (Stenmark 2003, pp. 783-785). Inoltre, lo stesso metodo scientifico richiede varie forme di ragionamento filosofico, come il ragionamento deduttivo e induttivo, per lo sviluppo delle sue spiegazioni. Per di più, la scienza stessa non può rispondere alla domanda "perché i risultati scientifici dovrebbero essere valutati"; la risposta a questa domanda è filosofica piuttosto che scientifica. I criteri per una buona teoria scientifica sono di per sé di natura filosofica (Ellis 2007, Sezione 8.1; Loke 2014b). Ho sostenuto altrove (''[[Serie cristologica]]'') che le conclusioni di quegli argomenti filosofici (ad esempio l'argomento per una Causa Prima Divina) che possono fornire risposte che sono più epistemicamente certe delle scoperte scientifiche, dovrebbero essere considerate come conoscenza della realtà almeno allo stesso livello dei fatti scientifici. Mentre la scienza è un modo di conoscere, la filosofia è un altro modo di conoscere.
McGrath (2018) osserva l'emergere e l'importanza della nozione di razionalità situate multiple, che afferma la legittimità intellettuale del dialogo transdisciplinare. Prendendo atto della nozione di molteplici livelli di realtà, McGrath spiega che le scienze naturali stesse adottano una pluralità di metodi e criteri di razionalità, avvalendosi di una serie di strumenti concettuali adeguati a compiti e situazioni specifici, in modo da dare un resoconto il più completo possibile del nostro mondo (p. 2). Ad esempio, per quanto riguarda lo studio scientifico di una rana che salta in uno stagno:
{{q|The physiologist explains that the frog’s leg muscles were stimulated by impulses from its brain. The biochemist supplements this by pointing out that the frog jumps because of the properties of fibrous proteins, which enabled them to slide past each other, once stimulated by ATP. The developmental biologist locates the frog’s capacity to jump in the first place in the ontogenetic process which gave rise to its nervous system and muscles. The animal behaviourist locates the explanation for the frog’s jumping in its attempt to escape from a lurking predatory
snake. The evolutionary biologist adds that the process of natural selection ensures that only those ancestors of frogs which could detect and evade snakes would be able to survive and breed.}}
McGrath conclude che "tutte e cinque le spiegazioni fanno parte di un quadro più ampio. Hanno tutti ragione; sono, tuttavia, differenti" (pp. 59-60). Proprio come la scienza stessa mette insieme diverse spiegazioni per aiutarci a vedere il quadro più ampio, è necessario riunire diverse discipline che si integrino a vicenda nel nostro tentativo di ottenere una comprensione più completa della realtà. Mostrerò nel Capitolo 7 che si possono offrire argomenti filosofici a favore di Dio piuttosto che di un demone o di un angelo come causa della risurrezione di Gesù. Mentre la scienza di per sé non può identificare un miracolo, la scienza può essere utilizzata con argomentazione filosofica ad escludere alcune alternative naturalistiche come uno dei passi verso l'identificazione di un miracolo. Per esempio, uno studio recente conclude che le allucinazioni collettive non si trovano nella letteratura medica sottoposta a revisione paritaria e che "l'allucinazione collettiva come spiegazione per le esperienze di gruppo post-crocifissione dei discepoli di Gesù è indifendibile" (Bergeron e Habermas 2015; cfr. oltre, Capitolo 3). L'identificazione del miracolo è veramente transdisciplinare e richiede non solo la scienza, ma anche la storia, la filosofia e la teologia.
In questo mio studio si dimostrerà che il metodo naturalistico metodologico della critica storica può portare alla conclusione empirica che Gesù fu crocifisso e fu visto vivo tre giorni dopo (Capitoli da 2 a 7), che la causa di questa conclusione può essere spiegata da considerazioni filosofiche (non limitate al metodo naturalistico metodologico) che indicano che la migliore spiegazione è che Dio ha risuscitato Gesù dai morti (Capitolo 7), e che ciò garantisce la comprensione teologica della storia come il luogo in cui "Dio realizza il suo scopo di riconciliazione e di vita nuova» (Rae 2005, p. 155; cfr. Capitolo 8).
=== Sulla questione del pregiudizio ===
Per quanto riguarda la questione del [[w:bias cognitivo|pregiudizio (''bias'')]], in risposta a [[w:Martin Kähler|Kähler]] e ai [[w:postmodernismo|postmodernisti]], si può ammettere che potrebbe non esserci stata alcuna registrazione storica imparziale di Gesù scritta da osservatori completamente neutrali e che gli autori dei documenti del Nuovo Testamento potrebbero essere stati prevenuti a favore dell'affermare la sua risurrezione. Tuttavia, la domanda da porsi è cosa potrebbe aver causato il pregiudizio di questi autori (se ne avevano) in primo luogo. Come verrà argomentato nel resto di questo libro, la spiegazione più ragionevole per tale pregiudizio (se presente) è che Gesù sia veramente risorto. Va notato che, mentre le "[[w:apparizioni di Gesù|apparizioni di Gesù]]" sono interpretazioni di certe esperienze, ciò che causò queste esperienze deve comunque essere spiegato. Contro l'idea che il Gesù "pre-risurrezione" sia "storico" mentre il Gesù "post-risurrezione" è "interpretato", Jens Schröter sostiene che questa dicotomia è falsa, poiché tutto ciò che diciamo sul passato è interpretato (Schröter 2014, p. 201). La posizione di Schröter è coerente con una posizione epistemologica nota come [[w:realismo critico|realismo critico]].
Il realismo critico afferma l'esistenza di un mondo reale indipendente dal conoscitore ([[w:realismo (filosofia)|realismo]]). Allo stesso tempo, riconosce che l'unico accesso che abbiamo a questa realtà è attraverso la mente umana che implica la riflessione, l'interpretazione delle informazioni attraverso una griglia di stati psicologici come aspettative, ricordi e credenze e l'espressione e l'accomodamento di quella realtà con strumenti come formule matematiche o modelli mentali (quindi critici) (A. McGrath 2001–2003, Vol. II, cap. 10; Wright 1992, pp. 32–44). Il realismo della critica tiene conto dell'osservazione di Evans (1999, p. 185) secondo cui la "nozione di soppesare le prove è piuttosto complessa. Il modo in cui le prove dovrebbero essere ponderate dipende, tra le altre cose, dalla propria valutazione dell'onestà di una fonte e dalle proprie convinzioni generali di fondo, comprese le convinzioni metafisiche". Evans nota anche:
{{q|The facts cannot be settled in isolation from broader theories. Even a criterion so apparently objective as multiple attestation cannot be applied in isolation from one’s theories about the relations the Synoptic Gospels have to each other and to ''Q'' (if ''Q'' existed), to the dating of the fourth Gospel, to Thomas and to many other factors.|p. 187}}
Per quanto riguarda l'interpretazione, il "Jesus-memory approach" sostenuto da Keith (2011) sottolinea:
{{q|All memory is dually hermeneutical insofar as memory is a selective/deselective process (some of the past is remembered and some is forgotten) and memories are, from the start, produced and organized by language and thought categories that the individual has borrowed from his or her social context. In other words, there is no memory, no
preserved past and no access to it, without interpretation.|p. 170}}
Detto questo, il tentativo di scoprire solo il passato oggettivo reale andando "dietro" il testo è una facciata, perché tutta la tradizione di Gesù e tutta la memoria è un misto indissolubile di passato e presente. "Il presente non avrebbe nulla da ricordare se non fosse per il passato; il passato non potrebbe essere ricordato se non fosse per le strutture del presente" (p. 170). Dato che il passato reale è accaduto e parte di esso è stato preservato
mediante la memoria sociale, per scoprire "Cosa è successo veramente?", si dovrebbe prestare molta attenzione alle tradizioni di Gesù all'interno della loro struttura narrativa nella tradizione scritta, piuttosto che respingere tutte queste strutture interpretative dei Vangeli. Mentre è necessario considerare se il passato sia stato accuratamente ricordato e interpretato, non si dovrebbe presumere che per scoprire il passato si debba rimuovere tutti gli elementi di interpretazione:
{{q|The interpretations of the past themselves are what preserve any connection to the actual past. If the influence of the actual past is observable only through the present interpretations of the past that it enables, then removing Jesus traditions from the written Gospels also removes any bridge to the actual past.|p. 173}}
Le Donne (2009) osserva che mentre non esiste una storia non mediata e non rifratta da categorie culturalmente significative, l'analisi storica di Gesù è possibile in virtù della connessione essenziale che esiste tra le percezioni di Gesù e le interpretazioni di Gesù nella tradizione, e le rappresentazioni culturali sono vincolate dalla realtà empirica degli eventi e delle persone. Scrive: "Il Gesù storico è il Gesù memorabile; è lui che ha messo in moto le traiettorie di rifrazione e che ha fissato i parametri iniziali di come i suoi ricordi dovevano essere interpretati dai suoi contemporanei" (''ibid.'', p. 268). Perciò:
{{q|The historian’s job is to tell the stories of memory in a way that most plausibly accounts for the mnemonic evidence. With this in mind, the historical Jesus is not veiled by the interpretations of him. He is most available for analysis when these interpretations are most pronounced. Therefore, the historical Jesus is clearly seen through the lenses of editorial agenda, theological reflection, and intentional counter-memory.|p. 134}}
Riguardo al processo critico della conoscenza, Little osserva perspicacemente:
{{q|There is no fundamental difficulty in reconciling the idea of a researcher with one set of religious values, who nonetheless carefully traces out the religious values of a historical actor possessing radically different values.
This research can be done badly, of course; but there is no inherent epistemic barrier that makes it impossible for the researcher to examine the body of statements, behaviors, and contemporary cultural institutions corresponding to the other, and to come to a justified representation of the other... The set of epistemic values that we impart to
scientists and historians include the value of intellectual discipline and a willingness to subject their hypotheses to the test of uncomfortable facts. Once again, review of the history of science and historical writing makes it apparent that this intellectual value has effect. There are plentiful examples of scientists and historians whose conclusions are guided by their interrogation of the evidence rather than their ideological presuppositions. Objectivity in pursuit of truth is itself a value, and one that can be followed.|Little 2012, Sez. 3.2}}
Secondo lo storico [[:en:w:Brian Fay|Brian Fay]]:
{{q|Historians seek to describe accurately and to explain cogently how and why a certain event or situation occurred... For all the talk of narrativism, presentism, postmodernism, and deconstruction, historians write pretty much the same way as they always have (even though what they write about may be quite new).|Fay 1998, p. 83}}
È vero che l'unicità di Gesù, sottolineata da Kähler, potrebbe rendere più difficile il compito descritto da Little e Fay. Alcuni studiosi hanno sostenuto che i tentativi della modernità di scoprire il Gesù storico sono stati caratterizzati da diverse conclusioni che sono largamente influenzate dalle agende socioculturali, politiche e religiose (o antireligiose) di coloro che vi si dedicano (Torrance 2001, pp. 216-217). Perimenti, il possesso di diverse visioni del mondo (ad esempio ateo, teista) con la loro diversa comprensione dell'ontologia può influenzare le loro conclusioni riguardanti affermazioni miracolose come la risurrezione. Tali differenze nei programmi e nelle visioni del mondo potrebbero spiegare la mancanza di consenso sul fatto che Gesù sia risorto. Tuttavia, ciò non implica che il compito sia in linea di principio impossibile o che ogni conclusione sia buona quanto un'altra. D'altra parte, è interessante notare che nel corso della storia ci sono stati coloro che avevano confessato la loro propensione contro la risurrezione di Gesù o che si erano avvicinati ad essa da una visione del mondo contraria (ad esempio il [[w:buddhismo|buddhismo]]), ma che hanno cambiato punto di vista dopo aver esaminato le prove (ad esempio Morison 1930; Williams 2002). Casi come questi confutano il diffuso equivoco espresso da Vermès (2008, p. 141: "Per dirla senza mezzi termini, nemmeno un credulone non-credente rischia di essere persuaso dai vari resoconti della risurrezione; convincono solo i già convertiti"). Questi casi illustrano anche che si possono superare pregiudizi o preconcetti riguardo a Gesù.
Particolarmente illuminante è il caso del professor [[w:Paul Williams (storico delle religioni)|Paul Williams]], eminente storico e filosofo buddhista che per oltre 20 anni è stato egli stesso buddhista praticante. In un libro che descriveva in dettaglio la sua conversione dal buddhismo al cristianesimo cattolico, ha spiegato che sentiva la forza dell'evidenza della risurrezione di Gesù. Nelle sue stesse parole, "L'evidenza della risurrezione come la spiegazione più probabile di ciò che accadde alla prima Pasqua è molto forte. La maggior parte delle persone non si rende conto di quanto siano straordinariamente forti le testimonianze" (Williams 2002, p. 20). Dopo aver esaminato le prove storiche pertinenti, è giunto alla seguente conclusione:
{{q|I am not convinced by alternative explanations of the resurrection. Thus I have to accept that as far as I can see it is more rational to believe in the resurrection than in the alternatives... I have thus chosen to believe. And my belief is based on reasons. I argue that it is a rationally based belief that for me makes more sense than the alternatives.|''ibid.'', pp. 20–21}}
Quindi non è vero che il pregiudizio (''[[w:bias cognitivo|bias]]'') dello studioso e degli autori di testi antichi<ref>Esamino la questione del [[w:bias di conferma|bias di conferma]] nel [[Indagine Post Mortem/Capitolo 6|Capitolo 6]]</ref> pregiudicherebbe necessariamente il progetto storico riguardante la risurrezione di Gesù (sebbene sia utile essere consapevoli del pregiudizio nella propria interpretazione, compresa quella del mio ragionamento!). Ciò che importa è se l'ipotesi proposta è in grado di spiegare le prove, compresi i "fatti scomodi".<ref>Per un'ulteriore discussione di altre questioni relative alla critica della storia dei postmodernisti e per le risposte a queste critiche, si vedano, ad esempio, McCullagh (1998); Thiselton (1992); Wolterstorff (1995); Murphy (1997).</ref>
== Una panoramica del resto del libro ==
In questo Capitolo ho dimostrato che gli storici possono in linea di principio argomentare a favore o contro la conclusione che Gesù sia risorto. Tuttavia, è al di là della disciplina della storia giudicare se questo evento (se accadde) fu causato da Dio piuttosto che, diciamo, da un alieno o da un angelo. (Ciò non significa che non si possano offrire buone ragioni filosofiche e/o teologiche per pensare che sia stato causato da Dio.) Nel resto di questo libro, dimostrerò usando argomenti storici che la migliore spiegazione per l'origine della credenza che Gesù sia risorto è che successe, e dimostrerò usando argomenti filosofici e teologici che la migliore spiegazione per il verificarsi di questo evento è che Dio abbia risuscitato Gesù dai morti.
Va oltre lo scopo di questo libro entrare nei dettagli riguardanti l'esegesi di tutti i testi rilevanti. Ciò richiederebbe diverse monografie e comunque è stato ampiamente trattato nella letteratura recente (cfr. Craig 1989; Wright 2003; Allison 2005a; Licona 2010; Bryan 2011; Ware 2014). Mi concentrerò invece sulla valutazione delle alternative naturalistiche alla risurrezione di Gesù che sono state discusse in letteratura, utilizzando l'approccio transdisciplinare spiegato in precedenza. Ho dimostrato che, oltre alla risurrezione di Gesù, ci sono sei e solo sei possibili categorie di ipotesi naturalistiche riguardanti le affermazioni sulle apparizioni ''post mortem'' di Gesù. Nei Capitoli seguenti, ciascuna di esse sarà valutata rispetto alla sua alternativa, come segue: ipotesi delle leggende (Capitolo 1), ipotesi nessuna esperienza (Capitolo 2), ipotesi intramentale (Capitolo 3) e ipotesi scambio di identità, svenimento e fuga (Capitolo 4). Ho anche dimostrato che oltre alla risurrezione di Gesù, ci sono otto e solo otto possibili categorie di ipotesi naturalistiche riguardanti l'esito del corpo di Gesù, cioè: fuga, insepolto, rimasto sepolto, rimozione da non-agente, rimozione da amici, rimozione da nemici, rimozione da parte neutrale e ipotesi svenimento. Queste categorie saranno valutate nel Capitolo 5. Valuterò varie combinazioni di ipotesi naturalistiche nel Capitolo 6.
In breve, dimostrerò nei Capitoli successivi che (I) "c'erano persone che affermavano di aver visto Gesù risorto poco dopo la sua crocifissione", (II) "ebbero qualche tipo di esperienza", (III) "ciò che provarono non fu causato intramentalmente ma extramentalmente", e (IV) "l'entità extramentale non fu un'altra persona ma lo stesso Gesù che morì sulla croce". Come spiegato in precedenza, ciò che segue logicamente da (I), (II), (III ), e (IV) è la conclusione che Gesù sia risorto. Nel Capitolo 7, discuterò le obiezioni alla risurrezione di Gesù basate sulla sua natura apparentemente miracolosa. Le conclusioni e le implicazioni di questo libro saranno riassunte nella ''[[Indagine Post Mortem/Conclusione|Conclusione]]''.
{{Immagine grande|A white halo of roses. Mironov.jpg|800px|''Una corona di rose'' (dipinto di [[:en:w:Andrei Mironov (painter)|Andrei Mironov]], 2015)}}
== Note ==
{{Vedi anche|Gesù e il problema di una vita|Messianismo Chabad e la redenzione del mondo}}
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div>
{{Avanzamento|100%|14 ottobre 2021}}
[[Categoria:Indagine Post Mortem|Introduzione]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lazio/Città metropolitana di Roma/Roma/Roma - Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi
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{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
{{Doppia immagine|center|Roma-SS.Vincenzo e Anastasio a Trevi-organo Werle.jpg|420|Roma-SS.Vincenzo e Anastasio a Trevi-consolle organo J.C.Werle.jpg|240}}]
* '''Costruttore:''' Johann Conrad Werle
* '''Anno:''' 1772
* '''Restauri/modifiche:''' A. Fedeli (restauro, 1808), G. Priori (restauro, 1857), B. Formentelli (restauro, 2000)
* '''Registri:''' 17
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica
* '''Consolle:''' a finestra al centro della parete anteriore della cassa
* '''Tastiere:''' 1 di 45 note scavezza (''Do<small>1</small>''-''Do<small>5</small>'')
* '''Pedaliera:''' dritta corta di 9 note, scavezza (''Do<small>1</small>''-''Do<small>2</small>'')
* '''Collocazione:''' in corpo unico, al centro della cantoria in controfacciata
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Colonna di destra interna'''
----
|-
|Principale B.
|-
|Principale S.
|-
|2° Principale B.
|-
|2° Principale S.
|-
|Ottava
|-
|Decimaquinta
|-
|Decimanona
|-
|Vigesima 2a e 6a
|-
|Repliconi 3a
|-
|Contrabassi
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Colonna di destra esterna'''
----
|-
|Flauto di Legno B.
|-
|Flauto di Legno S.
|-
|Voce Umana
|-
|Flauto in 5a
|-
|Cornetto S.
|-
|Regale B.
|-
|Regale S.
|-
|}
|}
== Altri progetti ==
{{interprogetto|w=Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi|w_preposizione=sulla|etichetta= chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi}}
{{Avanzamento|100%|25 agosto 2023}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Sulla resurrezione di Gesù/Appendice
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{{Immagine grande|Benvenuto Tisi, gen. Il Garofalo, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie - Auferstehung Christi - GG 9551 - Kunsthistorisches Museum.jpg|840px|}}
= LA RESURREZIONE =
== Salmi 16:8-10 ==
Io ho sempre posto il SIGNORE davanti agli occhi miei;<br/>
poich'egli è alla mia destra, io non sarò affatto smosso.<br/>
Perciò il mio cuore si rallegra,<br/>
l'anima mia esulta;<br/>
anche la mia carne dimorerà al sicuro;<br/>
poiché tu non abbandonerai l'anima mia in potere della morte,<br/>
né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione.
== Marco 16 ==
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni. Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere.
Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere.
Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato.
Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.
== Matteo 28 ==
Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l'angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.
Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».
Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia». Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
== Luca 24 ==
Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno». Ed esse si ricordarono delle sue parole.
E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse.
Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto. Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto».
Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
== Giovanni 20 ==
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.
Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
== Atti 2:23-32 ==
Quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo risuscitò, avendolo sciolto dagli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto. Infatti Davide dice di lui:<br/>
''"Io ho avuto il Signore continuamente davanti agli occhi,<br/>
''perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso.<br/>
''Per questo si è rallegrato il mio cuore, la mia lingua ha giubilato<br/>
''e anche la mia carne riposerà nella speranza;<br/>
''perché tu non lascerai l'anima mia nell'Ades<br/>
''e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione.<br/>
''Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita.<br/>
''Tu mi riempirai di letizia con la tua presenza".''<br/>
Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d'oggi tra di noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò noi tutti siamo testimoni.
== Atti 26:8 ==
Perché mai si giudica da voi cosa incredibile che Dio risusciti i morti?
== Apocalisse 1:17-18 ==
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi.»
== 1 Tessalonicesi 4:13-14 ==
Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui.
== Romani 10:9 ==
Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
== 1 Corinzi 15 ==
Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro? E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore! Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. Non lasciatevi ingannare: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi». Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.
Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.
Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità.
Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.
Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:<br/>
''La morte è stata ingoiata per la vittoria.<br/>
''Dov'è, o morte, la tua vittoria?<br/>
''Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?''<br/>
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
<div style="text-align: center;"><font size=5>
~ * ~
</div></font>
<small>(da ''laparola.net'')
</small>
{{-}}
<div style="text-align: center; font-size: 1.3em;">'''[[Sulla resurrezione di Gesù|<< Torna all'Indice]]'''</div>
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{{Avanzamento|100%|28 luglio 2024}}
[[Categoria:Sulla resurrezione di Gesù|Appendice]]
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Storia del femminismo italiano/2. Premesse storiche del femminismo: dalla Querelle des femmes all'età dei Lumi
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{{Storia del femminismo italiano}}
{{Storia del femminismo italiano 1}}
== 2. Premesse storiche del femminismo: dalla ''Querelle des femmes'' all'età dei Lumi ==
=== 2.1. La querelle des femmes ===
La consapevolezza delle asimmetrie di potere tra donne e uomini e la messa in discussione della cultura patriarcale si manifestarono in forme diverse e con livelli variabili di articolazione ben prima dell'emergere del femminismo come movimento politico strutturato nel XIX secolo e della stessa coniazione del termine “femminismo”.
Uno dei primi ambiti in cui si sviluppò una riflessione sistematica sulla condizione femminile fu la cosiddetta ''[[w:Querelle_des_femmes|Querelle des femmes]]'' (lett.: ''disputa sulle donne''), una lunga controversia culturale che attraversò l’Europa tra la fine del XIV e il XVIII secolo. In questo contesto, intellettuali di entrambi i sessi si confrontarono in un dibattito che anticipò molti temi ripresi in seguito dal pensiero femminista moderno, come l’eguaglianza dei sessi, il diritto all’istruzione, la critica degli stereotipi misogini e la valorizzazione dell’esperienza storica femminile.[[Immagine:Meister der 'Cité des Dames' 002.jpg|350px|miniatura|sinistra|Le Livre de la Cité des dames|destra]]Una delle prime espressioni compiute di questa disputa si trova nell’opera di [[w:Christine_de_Pisan|Christine de Pisan]], che nella sua ''[[w:La_città_delle_dame|La città delle dame]]'' (1405) immagina una città ideale costruita e abitata da donne illustri del passato. L'autrice costruisce una narrazione alternativa alla tradizione misogina della letteratura medievale, confutando sistematicamente i pregiudizi maschili sulla natura femminile e rivendicando la dignità, l'intelligenza e la capacità morale delle donne.<ref>{{Cita|Kelly|p. 4}}</ref>
La ''querelle'' diede luogo a una vasta produzione letteraria e filosofica, articolata in due principali filoni: da un lato, gli scritti [[w:misoginia|misogini]], che reiteravano la rappresentazione della donna come essere inferiore, irrazionale e pericoloso; dall'altro, gli scritti “in difesa delle donne” (''pro femina''), che ne esaltavano le virtù, ne difendevano le capacità intellettuali e morali, e ne rivendicavano la piena umanità.<ref>{{Cita|Kelly|p. 6}}</ref>
Nel corpus misogino, ricorrevano argomentazioni che riflettevano i principali stereotipi culturali dell'epoca: la [[w:Lussuria|lussuria]], contrapposta all’ideale della castità femminile; il desiderio di potere, visto come trasgressione dei ruoli sociali prescritti; la condanna della parola femminile, vista come perniciosa loquacità o strumento di [[w:Seduzione|seduzione]], con riferimenti al mito di [[w:Eva|Eva]]; il corpo, considerato strumento di seduzione e vanità; e infine la conoscenza, bollata come indice di superbia e disordine quando perseguita dalle donne.<ref>{{Cita libro|autore=Margaret L. King, Albert Rabil|titolo=The other Voice in Early Modern Europe: Introduction to the series|anno=2005|editore=University of Chicago Press|città=Chicago|cid=|OCLC=|lingua=en|pp=xxiv-xxix|curatore=Rebecca Messbarger, Paula Findlen|opera=The contest for knowledge : debates over women's learning in Eighteenth-century Italy}}</ref>
Durante il [[w:Rinascimento|Rinascimento]], alle donne colte veniva spesso attribuito lo status di ''[[w:virago|virago]]'', termine che designava eccezioni alla presunta inferiorità del sesso femminile. Tali eccezioni, paradossalmente, servivano a confermare la regola: le qualità intellettuali erano ammesse solo in quanto considerate “maschili” e quindi incompatibili con la femminilità “naturale”.<ref>{{Cita|Kelly|p. 8}}</ref>
==== 2.1.1. Contributi delle autrici italiane tra XVI e XVII secolo ====
Tra XVI e XVII secolo, il dibattito sulla condizione femminile conobbe in Italia un notevole sviluppo grazie al contributo di intellettuali che elaborarono risposte articolate alla tradizione misogina. [[w:Lucrezia_Marinella|Lucrezia Marinella]] con ''La nobiltà et l'eccellenza delle donne'' (1600), [[w:Moderata_Fonte|Moderata Fonte]] con ''Il merito delle donne'' (1600) e [[w:Arcangela_Tarabotti|Arcangela Tarabotti]] con ''Che le donne siano della spetie degli'' ''huomini"'' (1651), intervennero nel dibattito per affermare le capacità intellettuali, la dignità morale e la piena umanità delle donne.<ref>{{Cita|Messbarger|pp. 2-7}}</ref><ref>{{Cita libro|cognome=|nome=|curatore=Diana Robin, Anne R. Larsen, Carole Levin|titolo=Encyclopedia of Women in the Renaissance: Italy, France, and England|editore=ABC-CLIO|anno=2007|isbn=|pagina=|autore=|p=|ISBN=9781851097722|lingua=en|pp=213-216}}</ref>
Queste autrici operavano spesso da posizioni di marginalità culturale e sociale, come nel caso Tarabotti che scriveva dal convento in cui era stata forzatamente rinchiusa. Tale condizione di isolamento rese i loro scritti particolarmente significativi, trasformando i luoghi di reclusione in spazi di riflessione e produzione intellettuale.<ref name=":1">{{Cita|Messbarger|p. 7}}</ref><ref>{{Cita libro|cognome=|nome=|curatore=Meredith Kennedy Ray, Lynn Lara Westwater|titolo=Introduzione|autore=Gabriella Zarri|editore=Rosenberg & Sellier|anno=2005|luogo=|isbn=|capitolo=Introduzione|città=Torino|autore2=Arcangela Tarabotti|opera=Lettere familiari e di complimento|ISBN=9788870118988}}</ref>
La storica Margaret King ha definito questo contesto come una ''"cella foderata di libri''" ("''book-lined cell''"), evidenziando come queste donne fossero capaci di sovvertire i limiti imposti, trasformando la clausura in una forma alternativa di autorità intellettuale.<ref>{{Cita libro|autore=Margaret L. King|titolo=Book-Lined Cells: Women and Humanism in the Early Italian Renaissance|anno=1988|editore=University of Pennsylvania Press|città=Philadelphia|pp=434-454|opera=Renaissance Humanism, Volume 1: Foundations, Forms, and Legacy|curatore=Albert Rabil Jr.|lingua=en}}</ref>
=== 2.2. Illuminismo e diritti delle donne ===
[[File:Olympe gouges.jpg|sinistra|miniatura|Esecuzione di [[w:Olympe_de_Gouges|Olympe de Gouges]].]]
Nel XVIII secolo l'affermazione dell'[[w:Illuminismo|Illuminismo]] e dei suoi ideali di ragione, uguaglianza e diritti naturali, offrì un terreno fertile per nuove rivendicazioni femminili. L'enfasi illuminista sulla razionalità e sull'universalità dei diritti fornì inedite basi teoriche per contestare la subordinazione femminile. Tuttavia l'applicazione concreta di questi principi restò contraddittoria: molti pensatori illuministi, pur proclamando l'uguaglianza, continuarono a sostenere l'inferiorità del sesso femminile, spesso appellandosi alla natura "emotiva" femminile, e negarono alle donne pari accesso all'educazione, alla cittadinanza e ai diritti politici.<ref>{{Cita web|autore=Tiziana Bernardi|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/le-donne-nella-societa-dei-lumi_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/|titolo=Le donne nella società dei Lumi|accesso=5 maggio 2025|volume=Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)}}</ref>
Un esempio emblematico di questa ambiguità è rappresentato da [[w:Jean-Jacques Rousseau|Jean-Jacques Rousseau]] che nel suo ''[[w:Emilio_o_dell'educazione|Émile]]'' (1762), pur proponendo innovazioni pedagogiche, affermò che l'educazione femminile dovesse essere finalizzata alla subordinazione domestica, preparando le donne a essere compagne e madri, non soggetti autonomi. Durante la [[w:Rivoluzione_francese|Rivoluzione francese]] [[w:Olympe de Gouges|Olympe de Gouges]] redasse la ''[[w:Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina|Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne]]'' (1791), nella quale rivendicò l'estensione dei diritti civili e politici alle donne. Tuttavia, la [[w:Convenzione_nazionale|Convenzione]] rigettò le sue proposte nell'aprile 1793, negando alle donne lo status di cittadine.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Joan Wallach Scott|anno=1989|titolo=French Feminists and the Rights of 'Man': Olympe de Gouges's Declarations|rivista=History Workshop|volume=28|pp=1-21|lingua=inglese|url=https://www.jstor.org/stable/4288921}}</ref>
Nonostante le resistenze alcune intellettuali svilupparono una critica radicale alla discriminazione di genere. [[w:Mary Wollstonecraft|Mary Wollstonecraft]], nella ''[[w:Rivendicazione dei diritti della donna|Vindication of the Rights of Woman]]'' (1792), offrì una delle prime e più radicali difese dell'uguaglianza intellettuale tra i sessi e rivendicò l'importanza dell'educazione come strumento di emancipazione femminile.<ref name=":0">{{Cita libro|autore=Karen M. Offen|titolo=European feminisms, 1700-1950 : a political history|anno=2000|editore=Stanford University Press, Stanford, CA, ©2000|lingua=inglese|OCLC=43167893}}</ref>
=== 2.3. Il dibattito sull'istruzione femminile ===
[[File:Elena Piscopia portrait.jpg|miniatura|[[w:Elena Lucrezia Corner|Elena Cornaro Piscopia]]]]
In Italia il dibattito sull'istruzione femminile registrò posizioni diversificate. Mentre nel 1723 [[w:Giovanni_Antonio_Volpi|Giovanni Antonio Volpi]] si espresse contro l'ammissione delle donne nell'[[w:Accademia_galileiana_di_scienze,_lettere_ed_arti|Accademia dei Ricovrati di Padova]], Giovanni Niccolò Bandiera, nel suo ''Trattato degli studi delle donne'' (1740), sostenne l'uguaglianza spirituale tra i sessi.
Rispetto alla Francia e alla Gran Bretagna, l'Italia offrì in alcuni contesti maggiori spazi di riconoscimento alle donne colte: le accademie letterarie come l'[[w:Accademia_dell'Arcadia|Arcadia]], ammisero diverse donne tra i propri membri e ne favorirono la partecipazione al dibattito intellettuale. [[w:Madame de Staël|Germaine de Staël]], nel suo romanzo ''[[w:Corinne_ou_l'Italie|Corinne ou l'Italie]]'' (1807), celebrò la poetessa arcadica [[w:Maria_Maddalena_Morelli|Corilla Olimpica]] come emblema di un'Italia femminile e colta.<ref>{{Cita|Green|pp. 90-91}}</ref>
In ambito accademico si registrarono esempi di eccellenza femminile: nel 1678 [[w:Elena Lucrezia Corner|Elena Cornaro Piscopia]] fu la prima donna che conseguì una laurea presso l'Università di Padova, considerata la prima laurea al mondo attribuita ad una donna. Pochi decenni più tardi, nel 1732, [[w:Laura Bassi|Laura Bassi]] divenne docente di [[w:Fisica_classica|fisica newtoniana]] presso l'Università di Bologna.<ref>{{Cita|Green|p. 91}}</ref>
Accanto alla presenza femminile nelle accademie, i [[w:Salotto_letterario|salotti letterari]] si affermarono come spazi fondamentali per la circolazione delle idee illuministe e per l'affermazione di una cultura femminile. In questi ambienti le donne partecipavano attivamente a discussioni filosofiche, scientifiche e letterarie, contribuendo alla formazione di un'opinione pubblica più ampia.
=== 2.4. Pioniere del giornalismo femminile ===
[[File:Eleonora_Fonseca_Pimentel.jpg|miniatura|184px|sinistra|Ritratto immaginario di Eleonora de Fonseca Pimentel]]
Negli ultimi decenni del Settecento nacquero in Italia i primi periodici rivolti al pubblico femminile o redatti da donne, come ''[[w:Il Giornale delle dame e delle mode di Francia|Il Giornale delle dame e delle mode di Francia]]'' pubblicato a Milano dal 1786 al 1794 e il quindicinale ''La donna galante ed erudita'' (1786-1788), stampato a Venezia sotto la direzione di Gioseffa Cornoldi.<ref>{{Cita libro|autore=Gioseffa Cornoldi Caminer|titolo=« La donna galante ed erudita ». Giornale dedicato al bel sesso|anno=1983|editore=Marsilio|città=Venezia|curatore=Cesare De Michelis}}</ref>
Figura centrale fu [[w:Elisabetta Caminer|Elisabetta Caminer]] che intraprese la carriera di editrice, diventando una delle prime donne a dirigere una rivista in Italia. Dopo una prima fase di collaborazione con il padre, assunse la direzione autonoma del ''Giornale Enciclopedico'' (1773), considerato uno dei periodici più innovativi e aggiornati della cultura settecentesca.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Cesare De Michelis|titolo=Caminer, Elisabetta|rivista=Dizionario Biografico degli Italiani|editore=Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani|volume=17|lingua=|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/elisabetta-caminer_(Dizionario-Biografico)/}}</ref>
=== 2.5. La Repubblica napoletana del 1799 e il protagonismo femminile ===
L'esperienza della [[w:Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napoletana]] del 1799, ispirata ai principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, vide la partecipazione attiva di diverse figure femminili. La più nota fu [[w:Eleonora de Fonseca Pimentel|Eleonora de Fonseca Pimentel]], giornalista e intellettuale, che utilizzò il ''Monitore Napoletano'' per promuovere i valori repubblicani di libertà e uguaglianza.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Annarita Buttafuoco|anno=1977|titolo=Eleonora Fonseca Pimentel: una donna nella Rivoluzione|rivista=DWF|numero=3|pp=51-92}}</ref>
La sua impiccagione nella piazza del mercato di Napoli il 20 agosto 1799, insieme ad altri rivoluzionari, segnò la fine della breve esperienza repubblicana e rappresentò uno dei momenti più simbolici del coinvolgimento politico femminile nell'età delle rivoluzioni.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Maria Rosaria Pelizzari|anno=2008|titolo=Eleonora de Fonseca Pimentel: morire per la rivoluzione|rivista=Storia delle donne: concepire, generare, nascere|editore=Firenze University Press|volume=|numero=4|pp=103-121|lingua=|url=https://oaj.fupress.net/index.php/sdd/article/download/2465/2465/2441}}</ref>
Nonostante i limiti sociali e l'esclusione politica, queste figure incarnarono un nuovo protagonismo femminile nello spazio pubblico, anticipando molte delle tematiche e delle forme di partecipazione che sarebbero diventate centrali nel lungo Ottocento e nei movimenti risorgimentali.
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore=Karen Green|titolo=A History of Women's Political Thought in Europe, 1700–1800|anno=2014|editore=Cambridge University Press|città=Cambridge|lingua=en|OCLC=|cid=Green}}
* {{Cita pubblicazione|autore=Joan Kelly|anno=1982|titolo=Early Feminist Theory and the "Querelle des Femmes", 1400-1789|rivista=Signs|volume=8|numero=1|pp=4-28|lingua=en|cid=Kelly}}
* {{Cita libro|autore=Margaret L. King|titolo=Book-Lined Cells: Women and Humanism in the Early Italian Renaissance|anno=1988|editore=University of Pennsylvania Press|città=Philadelphia|pp=434-454|opera=Renaissance Humanism, Volume 1: Foundations, Forms, and Legacy|curatore=Albert Rabil Jr.|lingua=en}}
* {{Cita libro|autore=|titolo=The contest for knowledge : debates over women's learning in Eighteenth-century Italy|anno=2005|editore=University of Chicago Press|città=Chicago|cid=Messbarger|OCLC=|lingua=en|pp=|curatore=Rebecca Messbarger, Paula Findlen|opera=}}
* {{Cita libro|cognome=|nome=|curatore=Diana Robin, Anne R. Larsen, Carole Levin|titolo=Encyclopedia of Women in the Renaissance: Italy, France, and England|editore=ABC-CLIO|anno=2007|isbn=|pagina=|autore=|p=|ISBN=|lingua=en|pp=}}
[[Categoria:Storia del femminismo italiano]]
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|NoteNascita = <ref name=":1">{{cita libro|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Gáll Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|pp=266-276|lingua=ro}}</ref>
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|NoteMorte = <ref name=":0">{{cita libro|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394|pp=266-276}}</ref>
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Meissner nacque a Huși, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Si iscrisse inizialmente alla Facoltà di scienze dell'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]], che frequentò per un anno prima di decidere di proseguire gli studi presso la Facoltà di lettere, dove conseguì la laurea<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref><ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Elena Meissner fu sposata con Constantin Meissner, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name=":0"/>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="enciclopediaromaniei"/>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]], Calypso Botez, Ana Conta-Kernbach, Izabela Sadoveanu, Ortansa Satmary e Olga Sturdza, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name=":0" />.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu">{{cita libro|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|NoteNascita = <ref name=":1">{{cita libro|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Gáll Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|pp=266-276|lingua=ro}}</ref>
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|NoteMorte = <ref name=":0">{{cita libro|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394|pp=266-276}}</ref>
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="Marcu"/>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Nel 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="Marcu"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name=":0"/>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="enciclopediaromaniei"/>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]], Calypso Botez, Ana Conta-Kernbach, Izabela Sadoveanu, Ortansa Satmary e Olga Sturdza, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name=":0" />.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu">{{cita libro|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|NoteNascita = <ref name=":1">{{cita libro|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Gáll Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|pp=266-276|lingua=ro}}</ref>
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|NoteMorte = <ref>{{Cita|de Haan|p. 8}}</ref>
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Nel 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="deHaan308"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name=":0"/>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="enciclopediaromaniei"/>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]], Calypso Botez, Ana Conta-Kernbach, Izabela Sadoveanu, Ortansa Satmary e Olga Sturdza, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name=":0" />.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu">{{cita libro|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
== Altri progetti ==
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{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|NoteNascita = <ref name=":1">{{cita libro|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Gáll Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|pp=266-276|lingua=ro}}</ref>
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|NoteMorte = <ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Nel 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="deHaan306"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="enciclopediaromaniei"/>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu">{{cita libro|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
== Altri progetti ==
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{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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/* Attivista */
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Educatrice==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivista==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
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Rinomino sezioni
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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/* Biografia */
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wikitext
text/x-wiki
<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla Facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in Lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di insegnante, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito, dopo il pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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/* Insegnamento */
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text/x-wiki
<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito al pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, co-fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Elena Meissner ebbe una ricca vita politica. Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito al pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Elena Meissner ebbe anche una ricca vita politica. Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|pp=292-293|lingua=ro}}
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text/x-wiki
<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito al pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Elena Meissner ebbe anche una ricca vita politica. Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese. [[w:ro:Elena Meissner|Qui]] la versione in rumeno.</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito al pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Elena Meissner ebbe anche una ricca vita politica. Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
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== Altri progetti ==
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Aggiungo Pedagogia speciale
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese. [[w:ro:Elena Meissner|Qui]] la versione in rumeno.</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
|Immagine = Elena_Meissner.jpg
|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Figlia di Constantin Gh. Buznea, sindaco della città nel 1880, ebbe una sorella, Maria<ref name="orizonturiculturale">{{cita web|url=http://www.orizonturiculturale.ro/ro_studii_Monica-Negru-9.html|titolo=Elena Meissner, o educatoare reformatoare și o feministă activă|sito=Orizonturi Culturale|accesso=20 giugno 2025|lingua=ro}}</ref>. Fu tra le prime donne a frequentare l'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]] nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>; iscritta inizialmente alla facoltà di scienze, che frequentò per un anno prima di decidere di cambiare il percorso di studi<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>, si laureò successivamente in lettere<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref>.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito al pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
Meissner aprì una scuola speciale per bambini con disabilità, scuola operante a Bucium nella villa Greierul ("La cicala") fino al 1958, gettando in questo modo le basi della [[pedagogia speciale]] in Romania<ref name="cnmeiasi">{{cita web|url=https://cnmeiasi.ro/fostii-nostri-profesori/|titolo=Foștii noștri profesori|sito=Colegiul National "Mihai Eminescu" Iasi|accesso=20 giugno 2025|lingua=ro}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Elena Meissner ebbe anche una ricca vita politica. Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Elena Meissner|Elena Meissner]] da Wikipedia in inglese. [[w:ro:Elena Meissner|Qui]] la versione in rumeno.</big>
{{Bio
|Nome = Elena
|Cognome = Meissner
|Sesso = F
|PreData = nata Elena Buznea
|LuogoNascita = Huși
|AnnoNascita = 1867
|LuogoMorte = Iaşi
|AnnoMorte = 1940
|Epoca = 1900
|Epoca2 = 2000
|Attività = educatrice
|Attività2 = attivista
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità = per l'[[Femminismo|emancipazione femminile]], cofondatrice dell'organizzazione del movimento delle donne rumene ''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'' (1918).
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|Didascalia = Elena Meissner
}}
==Biografia==
Nacque come Elena Buznea nella città moldava di Huşi, l'ex capoluogo del distretto di Fălciu, nella regione storica della [[Moldavia (Romania)|Moldavia occidentale]]. Figlia di Constantin Gh. Buznea, sindaco della città nel 1880, ebbe una sorella, Maria<ref name="orizonturiculturale">{{cita web|url=http://www.orizonturiculturale.ro/ro_studii_Monica-Negru-9.html|titolo=Elena Meissner, o educatoare reformatoare și o feministă activă|sito=Orizonturi Culturale|accesso=20 giugno 2025|lingua=ro}}</ref>. Dopo aver completato la scuola primaria, Meissner partecipò a un concorso per ottenere una borsa di studio presso la Scuola centrale femminile di Iaşi, classificandosi al primo posto su 64 candidate<ref name="orizonturiculturale"/>. Frequentò l'istituto per cinque anni, ottenendo buoni risultati, proseguendo poi per altri tre anni presso l'Istituto liceale femminile "Humpel" di Iaşi. In seguito si iscrisse alla facoltà di scienze dell'[[Università Alexandru Ioan Cuza|Università di Iași]]<ref name="enciclopediaromaniei">{{cita web|titolo=Elena Buznea-Meissner|url=https://enciclopediaromaniei.ro/wiki/Elena_Meissner|sito=Enciclopedia Romaniei|lingua=ro}}</ref> (tra le prime donne a frequentare l'ateneo nella seconda metà degli anni Ottanta dell'[[Ottocento]]<ref name="deHaan306">{{Cita|de Haan|p. 306}}</ref>), che abbandonò dopo un anno per dedicarsi alla facoltà di lettere e laurearsi in letteratura<ref name="cnelenacuza">{{cita web|titolo=Schita istorica Liceul Industrial de fete "Azilul Elena Doamna"|url=http://cnelenacuza.3x.ro/Istoric/|sito=Collegiul Național Elena Cuza București|lingua=ro}}</ref>. Ansieme a Elvira Zamfirescu, Lucia Manolescu e Natalia Davidel, Elena Buznea fu tra le prime studentesse, nell'anno accademico 1888–1889, a scegliere il percorso letterario dopo essere state inizialmente iscritte alla facoltà di scienze.
Il 2 gennaio 1905 sposò Constantin Meissner<ref name="ANR"/>, membro onorario dell'[[Accademia romena|Accademia rumena]] e più volte ministro<ref name="Marcu292">{{cita|Marcu|p. 292}}</ref>.
==Insegnamento==
Nel corso della sua carriera di educatrice, lavorò a Iaşi, [[Botoşani]] e [[Bucarest]]. Iniziò la carriera di insegnante nel 1893, alla Scuola professionale femminile rumena di Iaşi. In seguito, insegnò per un periodo a [[Botoşani]], prima di essere nominata direttrice della Scuola normale annessa all'Asilo "Elena Doamna" di Bucarest<ref name="ANR"/>. Durante questo periodo si recò in [[Svezia]] per studiare la [[Tessitura|tessitura]] al [[Telaio (tessitura)|telaio]]. L'asilo accoglieva orfani provenienti da famiglie povere, con genitori malati, sacerdoti o insegnanti privi di mezzi e offriva loro l'opportunità di imparare un mestiere, tra cui anche quello di tessitrice<ref name="cnelenacuza"/>.
Nel 1898, a sua richiesta, fu trasferita alla Scuola magistrale di Iaşi. In seguito al pensionamento di Emilie Maiorescu-Humpel, fu per diversi anni direttrice della Scuola secondaria femminile di Iaşi (Istituto Humpel)<ref name="ANR">{{Cita manoscritto|titolo=Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|url=https://arhivelenationale.ro/site/download/inventare/Meissner-familial.-1837-1840-1943.-Inv.-1077.PDF|autore=Fondul Meissner|editore=Arhivele Naţionale ale României|lingua=ro|anno=1840 - 1943|p=3}}</ref> e successivamente insegnò [[pedagogia]], [[filosofia]] e [[storia]] presso il Liceo "Oltea Doamna" della stessa città, fino al suo pensionamento nel 1929. Parallelamente all'attività pedagogica, Meissner si dedicò attivamente al sociale, fondando diverse associazioni, tra cui la "Colonia scolastica", i "Circoli delle casalinghe", e la "Protezione dei bambini con disabilità". Collaborò inoltre con numerose realtà già esistenti, come la "Mensa scolastica", la "Carovana di beneficenza", la "Società nazionale ortodossa delle donne rumene", la Croce Rossa e altre ancora<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>.
Meissner aprì una scuola speciale per bambini con disabilità, scuola operante a Bucium nella villa Greierul ("La cicala") fino al 1958, gettando in questo modo le basi della [[pedagogia speciale]] in Romania<ref name="cnmeiasi">{{cita web|url=https://cnmeiasi.ro/fostii-nostri-profesori/|titolo=Foștii noștri profesori|sito=Colegiul National "Mihai Eminescu" Iasi|accesso=20 giugno 2025|lingua=ro}}</ref>.
==Attivismo==
{{citazione
|Ci sono oggi 138 milioni di donne nel mondo che partecipano all'amministrazione dei comuni, all'amministrazione del paese in Parlamento e, grazie a Dio, in quei paesi i risultati sono molto soddisfacenti. Chiediamo all'Assemblea Costituente di non iniziare con un atto di ingiustizia nei confronti della maggioranza della popolazione di questo paese, privandola dei diritti concessi solo all'altro sesso.
|<ref name="Mihăilescu41">{{cita|Mihăilescu|pp. 41-42}}</ref>
|Sunt astăzi în lume 138 milioane de femei care participă la administrarea comunelor, la administraţia ţării în parlament, şi, slavă Domnului, în acele ţări rezultatele sunt foarte satisfăcătoare. Cerem Constituantei să nu înceapă cu un act de nedreptate faţă de cea mai mare parte a populaţiunii acestei ţări, privând-o de drepturile acordate doar celuilalt sex.
|lingua=ro}}
Elena Meissner ebbe anche una ricca vita politica. Nel 1918, insieme a Maria Baiulescu, [[Ella Negruzzi]] e Calypso Botez<ref name="deHaan308">{{Cita|de Haan|p. 308}}</ref>, fondò l'''Associazione per l'Emancipazione Civile e Politica delle Donne Rumene'' (''Asociația de Emancipare Civilă și Politică a Femeii Române'')<ref>{{cita pubblicazione|autore=Andreea Dimitriu|titolo=Le féminisme roumain et ses affinitésavec le féminisme français (1918–1940)|data=29 settembre 2011|editore=Alexandru Ioan Cuza University|città=Iași|lingua=fr|p=105}}</ref>. In veste di presidente dell'associazione e come delegata della Romania, Elena Buznea-Meissner partecipò ai congressi dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile (The International Woman Suffrage Alliance), che si tennero a Roma nel 1923, a Parigi nel 1926, a Berlino nel 1929 e a Istanbul nel 1935<ref name="deHaan309">{{Cita|de Haan|p. 309}}</ref>.
Nel 1932, durante un congresso femminista organizzato dall'Unione delle donne rumene a Iași, chiese a tutte le partecipanti di concentrarsi sull'[[istruzione]] delle [[Agricoltore|contadine]], affinché conoscessero i propri diritti e doveri all'interno della comunità, soprattutto perché dal 1932 il Codice civile aveva concesso a tutte le donne pieni [[diritti civili]]. Le attività educative avrebbero dovuto incoraggiare il senso di responsabilità verso la famiglia e promuovere una forte etica del lavoro, scoraggiando al contempo la migrazione - dai villaggi verso le città - delle donne di età inferiore ai 20 anni<ref name="deHaan307">{{Cita|de Haan|p. 307}}</ref>. Contribuì attivamente al sostegno di enti impegnati nell'assistenza e nella tutela delle donne giovani e indigenti, aderendo a organizzazioni come la [[Croce Rossa Rumena]] o la "Riunione delle donne rumene"<ref name="deHaan307"/>.
== Pubblicazioni ==
* ''La giustizia della causa femminista'' (''Dreptatea causei feministe''), Iaşi, 1923<ref name="Marcu293">{{cita|Marcu|p. 293}}</ref>
* ''L'estensione dell'attività femminile fuori casa'' (''Extensiunea activității femeii în afară de casă''), 1924
* ''Qualche parola sull'alcolismo'' (''Câteva cuvinte în chestia alcoolismului''), 1924, insieme a Paula Petrea
* ''Lotta contro l'amoralità'' (''Lupta contra imoralității''), Buletin Eugenic şi Biopolitic n. 11-12 (novembre - dicembre 1928)
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{cita libro|cid=Mihăilescu|titolo=Din istoria feminismului românesc: antologie de texte (1838-1929), Volume 1|autore=Ștefania Mihăilescu|url=https://books.google.it/books/about/Din_istoria_feminismului_rom%C3%A2nesc.html?id=LRy3AAAAIAAJ&redir_esc=y|editore=Polirom|città=Bucarest|anno=2002|ISBN=9789736810121|lingua=ro}}
* {{cita libro|cid=Marcu|titolo=Femei de seamă din România. De ieri și de azi.|autore=George Marcu|editore=Editura Meronia|città=Bucarest|anno=2017|lingua=ro}}
== Altri progetti ==
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Connessioni/Capitolo 6
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/* L'appropriazione della parola */ testo
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
{{clear}}
{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
<div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div>
{{Avanzamento|25%|17 giugno 2025}}
[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è nel mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
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{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è nel mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
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{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
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[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è ''nel'' mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
"L'anima", insegna [[w:Abraham Isaac Kook|Abraham Isaac Kook]], "è piena di lettere [ebraiche] che abbondano della luce della vita, dell'intelletto e della volontà, di uno spirito di visione e di un'esistenza completa".<ref>Abraham Isaac Kook, ''Orot'', trad. Bezalel Naor (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 93.</ref> E il cabalista del XIII secolo [[Abraham Abulafia]] (1240 – ca. 1291) afferma che "le lettere sono senza dubbio la radice di ogni saggezza e conoscenza".<ref>Citato in Moshe Idel, ''The Mystical Experience in Abraham Abulafia'' (Albany, NY: SUNY Press, 1988), 101. Cfr. anche il mio ''[[Abulafia e i segreti della Torah]]'' (2022).</ref> Racchiuso tra le lettere c'è l'eloquente silenzio che precede e riverbera in quello che [[w:Martin Buber|Martin Buber]] chiama "il silenzio di tutte le lingue".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 89.</ref> L'ebraico è la lingua che conferisce un significato trascendente al linguaggio. Pertanto è la lingua che l'antisemita deve cancellare o appropriarsi. Quando Dio parla sul Monte Sinai, parla Torah; se Egli parla ebraico, allora anche quello è Torah. Quindi l'ebraico è la Lingua Santa non perché la Torah sia scritta in ebraico, ma piuttosto la Torah è scritta in ebraico perché è la Lingua Santa, la lingua di ciò che il Midrash chiama fuoco nero su fuoco bianco (''Devarim Rabbah'' 3:12), sia come mezzo che come messaggio. Lo ''[[Zohar]]'' descrive la Torah come il progetto – l'anima e la sostanza – di tutta la creazione: quattro volte, dice Rabbi Shimon, il Santo guardò nella Torah prima di iniziare la Sua opera di creazione (''Zohar'' I, 5a; cfr. anche ''Bereshit Rabbah'' 1:1; ''Tanchuma Bereshit'' 1).
Poiché la Torah si riveste di abiti ebraici, la sua forma e la sua sostanza sono un tutt'uno: la lingua ebraica stessa è parte della rivelazione che è la Torah. L'ebraico deriva la sua santità non dal fatto di essere la lingua della Scrittura, ma dal suo status di fondamento primordiale della verità e del significato della creazione – di conseguenza diventa la lingua della Scrittura, la Parola agiografica di cui l'antisemita deve appropriarsi. "All'ebraico", dice Judah Halevi (ca. 1075-1141), "appartiene il primo posto, sia per quanto riguarda la ''natura della lingua'', sia per quanto riguarda la ''pienezza dei significati''" (''Kitav al-khazari'' 2:66, corsivo aggiunto). E l'ebraico, la Parola agiografica, è il primo bersaglio dell'antisemita, sia teologicamente che ideologicamente. Non c'è insegnamento e testimonianza ebraica che non sia guidata dalla Lingua Sacra, la lingua della Scrittura. Pertanto, l'antisemita deve istituire una nuova Scrittura che sostituisca o ovvii alla testimonianza scritturale del popolo ebraico.
[[Emmanuel Levinas]] sottolinea un punto importante a questo proposito. "Non conosciamo più la differenza che distingue il Libro dalla documentazione", lamenta:
{{citazione|In the former there is an inspiration purified of all the vicissitudes and all the “experiences” that had been its occasion, offering itself as Scripture whereby each soul is called to exegesis, which is both regulated by the rigorous reading of the text and by the unicity – unique in all eternity – of its own contribution, which is also its discovery, the soul’s share.|[[Emmanuel Levinas]], ''New Talmudic Readings'', trad. {{Lingue|en}} Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1999), 75–76}}
Ecco perché l'antisemita deve appropriarsi della Parola agiografica nel suo assalto non solo al corpo dell'ebreo, ma anche all'anima dell'ebreo e, per estensione, all'anima di ogni essere umano. Nel corso dei secoli, l'appropriazione antisemita della Parola ha assunto una varietà di forme, a partire dal progetto dei Padri della Chiesa di degiudaizzare il cristianesimo. Questo inizia con la traduzione dei testi sacri dall'ebraico al latino da parte di [[w:San Girolamo|Girolamo]] (342/7-420) tra il 390 e il 405, un'iniziativa che coincise con l'istituzione del cristianesimo come religione ufficiale dell'autorità romana nel 380: la lingua del potere e la lingua della Scrittura divennero la stessa cosa. Nei secoli successivi, relativamente pochi teologi cristiani studiarono effettivamente le Scritture in ebraico, ma si affidarono piuttosto alla ''[[w:Vulgata|Vulgata]]'', così che nella Chiesa romana il latino soppiantò l'ebraico come nuova Lingua Sacra, 12 la lingua della Scrittura e la lingua della preghiera. Questa iniziativa è essenziale per il superamento e sostituzione dell'ebraismo.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
{{clear}}
{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
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[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è ''nel'' mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
"L'anima", insegna [[w:Abraham Isaac Kook|Abraham Isaac Kook]], "è piena di lettere [ebraiche] che abbondano della luce della vita, dell'intelletto e della volontà, di uno spirito di visione e di un'esistenza completa".<ref>Abraham Isaac Kook, ''Orot'', trad. Bezalel Naor (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 93.</ref> E il cabalista del XIII secolo [[Abraham Abulafia]] (1240 – ca. 1291) afferma che "le lettere sono senza dubbio la radice di ogni saggezza e conoscenza".<ref>Citato in Moshe Idel, ''The Mystical Experience in Abraham Abulafia'' (Albany, NY: SUNY Press, 1988), 101. Cfr. anche il mio ''[[Abulafia e i segreti della Torah]]'' (2022).</ref> Racchiuso tra le lettere c'è l'eloquente silenzio che precede e riverbera in quello che [[w:Martin Buber|Martin Buber]] chiama "il silenzio di tutte le lingue".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 89.</ref> L'ebraico è la lingua che conferisce un significato trascendente al linguaggio. Pertanto è la lingua che l'antisemita deve cancellare o appropriarsi. Quando Dio parla sul Monte Sinai, parla Torah; se Egli parla ebraico, allora anche quello è Torah. Quindi l'ebraico è la Lingua Santa non perché la Torah sia scritta in ebraico, ma piuttosto la Torah è scritta in ebraico perché è la Lingua Santa, la lingua di ciò che il Midrash chiama fuoco nero su fuoco bianco (''Devarim Rabbah'' 3:12), sia come mezzo che come messaggio. Lo ''[[Zohar]]'' descrive la Torah come il progetto – l'anima e la sostanza – di tutta la creazione: quattro volte, dice Rabbi Shimon, il Santo guardò nella Torah prima di iniziare la Sua opera di creazione (''Zohar'' I, 5a; cfr. anche ''Bereshit Rabbah'' 1:1; ''Tanchuma Bereshit'' 1).
Poiché la Torah si riveste di abiti ebraici, la sua forma e la sua sostanza sono un tutt'uno: la lingua ebraica stessa è parte della rivelazione che è la Torah. L'ebraico deriva la sua santità non dal fatto di essere la lingua della Scrittura, ma dal suo status di fondamento primordiale della verità e del significato della creazione – di conseguenza diventa la lingua della Scrittura, la Parola agiografica di cui l'antisemita deve appropriarsi. "All'ebraico", dice Judah Halevi (ca. 1075-1141), "appartiene il primo posto, sia per quanto riguarda la ''natura della lingua'', sia per quanto riguarda la ''pienezza dei significati''" (''Kitav al-khazari'' 2:66, corsivo aggiunto). E l'ebraico, la Parola agiografica, è il primo bersaglio dell'antisemita, sia teologicamente che ideologicamente. Non c'è insegnamento e testimonianza ebraica che non sia guidata dalla Lingua Sacra, la lingua della Scrittura. Pertanto, l'antisemita deve istituire una nuova Scrittura che sostituisca o ovvii alla testimonianza scritturale del popolo ebraico.
[[Emmanuel Levinas]] sottolinea un punto importante a questo proposito. "Non conosciamo più la differenza che distingue il Libro dalla documentazione", lamenta:
{{citazione|In the former there is an inspiration purified of all the vicissitudes and all the “experiences” that had been its occasion, offering itself as Scripture whereby each soul is called to exegesis, which is both regulated by the rigorous reading of the text and by the unicity – unique in all eternity – of its own contribution, which is also its discovery, the soul’s share.|[[Emmanuel Levinas]], ''New Talmudic Readings'', trad. {{Lingue|en}} Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1999), 75–76}}
Ecco perché l'antisemita deve appropriarsi della Parola agiografica nel suo assalto non solo al corpo dell'ebreo, ma anche all'anima dell'ebreo e, per estensione, all'anima di ogni essere umano. Nel corso dei secoli, l'appropriazione antisemita della Parola ha assunto una varietà di forme, a partire dal progetto dei Padri della Chiesa di degiudaizzare il cristianesimo. Questo inizia con la traduzione dei testi sacri dall'ebraico al latino da parte di [[w:San Girolamo|Girolamo]] (342/7-420) tra il 390 e il 405, un'iniziativa che coincise con l'istituzione del cristianesimo come religione ufficiale dell'autorità romana nel 380: la lingua del potere e la lingua della Scrittura divennero la stessa cosa. Nei secoli successivi, relativamente pochi teologi cristiani studiarono effettivamente le Scritture in ebraico, ma si affidarono piuttosto alla ''[[w:Vulgata|Vulgata]]'', così che nella Chiesa romana il latino soppiantò l'ebraico come nuova Lingua Sacra,<ref>1Cfr. Andrew Cain e Josef Lössl, eds., ''Jerome of Stridon: His Life, Writings and Legacy'' (Farnham: Ashgate Publishing, 2009), 124–125.</ref> la lingua della Scrittura e la lingua della preghiera. Questa iniziativa è essenziale per il superamento e sostituzione dell'ebraismo.
Questa degiudaizzazione delle Scritture ebraiche comporta non solo l'appropriazione delle Scritture, ma anche la santificazione degli insegnamenti dei santi, che diventano essi stessi parte della nuova Parola agiografica. Nel quarto secolo Giovanni Crisostomo (347–407) descrisse il giudaizzare come una "malattia"<ref>{{en}}John Chrysostom, ''Discourses Against Judaizing Christians'', trad. Paul W. Harkins (Washington, DC: Catholic University Press of America, 1979), 15.</ref> (un tropo antisemita da affrontare in relazione al sangue), e il suo contemporaneo Girolamo "scrisse ad Agostino che se agli ebrei convertiti fosse stato permesso di praticare anche un solo frammento della loro precedente religione, ‘non diventeranno cristiani, ma ci renderanno ebrei... Le cerimonie degli ebrei sono perniciose e mortali; e chiunque le osservi, sia ebreo che gentile, è caduto nella fossa del diavolo’".<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 21.</ref> In effetti, Agostino (354–430) sosteneva che i cristiani che osservavano anche il più piccolo dei rituali ebraici erano eretici (ci si chiede se questo includesse Gesù e i suoi discepoli!).<ref>Citato in ''ibid.'', 29.</ref> Il [[w:Concilio di Antiochia (341)|Concilio di Antiochia]] (341), inoltre, proibì ai cristiani di celebrare la Pesach (Pasqua) e il [[w:Sinodo di Laodicea|Concilio di Laodicea]] (363-364) proibì ai cristiani di osservare il Sabbath ebraico.<ref>Cfr. Dan Cohn-Sherbok, ''Anti-Semitism'' (Stroud: The History Press, 2002), 48.</ref> Secoli dopo il giudaizzare sarebbe divenuto l'eresia principale presa di mira dall'Inquisizione spagnola (1478-1834); secondo [[w:Henry Kamen|Henry Kamen]], delle oltre duemila persone sottoposte ad ''autodafé'' tra il 1480 e il 1530, circa il 99,3 per cento erano cosiddetti cripto-ebrei.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 60.</ref>
Nel 1534 [[w:Martin Lutero|Martin Lutero]] (1483-1546) completò la traduzione della Bibbia ebraica in tedesco, un progetto simile di appropriazione della Parola per adattarla al suo programma antisemita, che chiarisce in ''[[w:Degli ebrei e delle loro menzogne|Degli ebrei e delle loro menzogne]]'' (1543):
{{citazione|[Sono] passati millecinquecento anni da quando Vespasiano e Tito distrussero Gerusalemme ed espulsero gli ebrei dalla città... Un'ira così spietata di Dio è prova sufficiente che essi hanno sicuramente errato e si sono sviati... Infatti non si osa considerare Dio così crudele da punire il suo popolo tanto a lungo, così terribilmente, così spietatamente, e per di più tacere, confortandolo né con parole né con fatti, e non fissando alcun limite di tempo né alcuna fine... Pertanto quest'opera d'ira è la prova che gli ebrei, sicuramente rigettati da Dio, non sono più il suo popolo, e neppure lui è più il loro Dio.|{{en}}Martin Luther, ''On the Jews and Their Lies'', 1543, mia trad.}}
Se Egli non è più il loro Dio, allora la Santa Parola non è più la loro Parola; né, per il Riformatore, la Parola della Vulgata è più la Santa Parola. Da qui la necessità di una nuova traduzione, in cui è incastonata una nuova dispensazione. Con la nuova dispensazione che accompagna la nuova appropriazione della Parola giunge una nuova ascesa al Trono del Giudizio Divino. Colui che detiene la chiave della salvezza infligge anche dannazione, e colui che infligge dannazione inevitabilmente infligge morte, a cominciare dagli ebrei. Nel suo ''Von Schem Hemphoras'' (1543), Lutero scrisse che "il Dio degli ebrei è il diavolo".<ref>Citato in Michael, ''Holy Hatred'', 111.</ref> In quanto coloro il cui Dio è il diavolo, gli ebrei sono l'antitesi di coloro il cui padre è Dio; in quanto incarnazione dell'Anticristo, devono necessariamente rifiutare il Cristo. Il loro disprezzo per l'evidente verità della Parola appropriata li rende non solo spregevoli, ma i nemici per eccellenza della Verità, i figli del Padre della Menzogna. Poiché gli ebrei sono seguaci del Padre della Menzogna, Hitler proclama che "l’intera esistenza di questo popolo [gli ebrei]... si basa su una menzogna continua", un’affermazione la cui verità, dice il Führer, è dimostrata da un altro testo che eclissa la Parola: ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|I Protocolli dei Savi di Sion]]'' (vedi sotto).<ref>Adolf Hitler, ''Mein Kampf'', trad. {{en}} Ralph Manheim (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1971), 307. Mia trad. {{it}}.</ref>
L'Islam intraprende la propria appropriazione della Parola agiografica, la Parola di Verità, non attraverso una traduzione della Bibbia ebraica in arabo, ma sostituendo la falsa Bibbia ebraica con la vera Bibbia, la vera Parola dell'Islam: il Corano. "Questo è il Libro!" dice il Profeta ([https://sufi.it/il-sacro-corano/2-surat-al-baqara/ 2:2]).<ref>Cfr. ''The Clear Quran'', trad. Mustafa Khattab (Lombard, IL: Book of Signs Foundation, 2016). In italiano cfr. ''[https://sufi.it/il-sacro-corano/ Il Sacro Corano]''.</ref> Poiché il Corano è il Libro, la Sacra Parola di Verità, le Scritture degli ebrei e dei cristiani sono piene di menzogne. "I malfattori [gli ebrei] alterarono le parole che era stato loro comandato di dire" (2:59).<ref>''Ibid.''</ref> E: "In verità, c'è tra loro [gli ebrei] un gruppo che altera la Scrittura con le loro lingue, così che tu possa pensare che provenga dalla Scrittura, ma non è dalla Scrittura. E dicono: "Questo viene da Allah", ma non viene da Allah. E dicono falsità contro Allah" ([https://sufi.it/il-sacro-corano/3-surat-al-imran/ 3:78]).<ref>Cfr. anche {{en}}''The Quran'', trad. Saheeh International (Lake City, MN: Saheeh International, 1997).</ref> Come corruttori della legge e degli insegnamenti di Allah, afferma il principale ideologo dei Fratelli Musulmani e del Jihad Islamico Sayyid Qutb, “i Figli di Israele, sia prima che dopo Mosè, macchiarono e pervertirono il suo messaggio”.<ref>Sayyid Qutb, ''Basic Principles of the Islamic Worldview'', traf. Rami David, prefazione di Hamid Algar (North Haledon, NJ: Islamic Publications International, 2006), 207.</ref> ''Prima'' di Mosè, ''prima'' della rivelazione della Parola sul Monte Sinai, gli ebrei pervertono la Parola Santa perché tale malvagità è la loro essenza: pervertono il messaggio prima che ci sia un messaggio.
Nella tradizione ebraica, la ''Mishnah'', il ''Midrash'' e la ''[[Kabbalah]]'' costituiscono quella che è nota come Torah Orale. L'Islam ha una tradizione orale sacra simile negli Hadith, che comprende insegnamenti basati sulle parole e le azioni del Profeta che non fanno parte del Corano. Il primo compilatore noto di tradizioni tratte dagli Hadith è [[:en:w:Abd Allah ibn al-Mubarak|Abdallah ibn al-Mubarak]] (m. 797).<ref>Cfr. David Cook, ''Understanding Jihad'' (Berkeley: University of California Press, 2005), 14.</ref> Le sei principali raccolte che compongono gli Hadith sono Sahih al-Bukhari, compilata da Muhammad ibn Ismail al-Bukhari (810-70); Sahih Muslim, raccolta da Muslim ibn al-Hajjaj (821-75); Sunan Abu Daud, raccolta da Abu Daud al-Sijistani (817-88); Sunan al-Tirmidi, messa insieme da 'Isa Muhammad ibn 'Isa al-Tirmidi (824-92); Sunan Ibn Majah, raccolta da Muhammad ibn Yazid ibn Majah (824-87); e Sunan al-Nasai, compilata da Ahmad ibn al-Nasai (829-915). Questi testi sono secondi solo al Corano come fonti autorevoli su cosa credere e come vivere; anch'essi appartengono alla Parola agiografica di cui l'Islam si è appropriato.
Lo studioso musulmano [[:en:w:Khaleel Mohammed|Khaleel Mohammed]] spiega che l'Hadith è la fonte primaria degli insegnamenti islamici più antisemiti, al punto che, basandosi solo sull'Hadith, l'odio per gli ebrei sembrerebbe essere un principio fondamentale dell'Islam.<ref>Khaleel Mohammed, “Antisemitism in Islamic Texts and Traditions,” ''lecture given at the University of Memphis, March 14, 2007''.</ref> Nell'Hadith, ad esempio, troviamo l'insegnamento che "l'ultima ora non arriverà a meno che i musulmani non combattano contro gli ebrei e i musulmani non li uccidano finché gli ebrei non si nascondano dietro una pietra o un albero e una pietra o un albero non dicano: musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me; vieni e uccidilo" (''Sahih Muslim'', Libro 41, Numero 6985).<ref>Citato in David Aaron, ''In Their Own Words: Voices of Jihad'' (Santa Monica, CA: Rand Corporation, 2008), 43–44.</ref> La natura stessa vomita gli ebrei nel processo di redenzione dell'umanità. Perché? Perché gli ebrei non rappresentano una menzogna o una falsità qualsiasi, ma una menzogna che gli ebrei spacciano per la Sacra Parola di Dio, una menzogna che mina la creazione stessa. Pertanto non può esserci posto per gli ebrei nella creazione di Dio. Condurre una guerra santa contro gli ebrei significa condurre una guerra per amore della Verità Divina. Gli ebrei, dichiara Sayyid Qutb, sono "falsificatori della Verità Divina".<ref>Citato in Ronald L. Nettler, ''Past Trials and Present Tribulations: A Muslim Fundamentalist’s View of the Jews'' (Oxford, UK: Pergamon, 1987), 2, 7.</ref> Se si ama la verità e si odia la menzogna, allora l'odio per gli ebrei è un segno di rettitudine. Lo scopo dell'appropriazione della Parola agiografica, quindi, è giustificare l'odio per gli ebrei, fornirgli una sanzione divina, rendendolo qualcosa di santo e gradito a Dio.
L'appropriazione islamica della Parola nella sua forma jihadista è esemplificata nella [[:en:w:1988 Hamas charter|Carta di Hamas]], nota come Carta di Allah, con l'implicazione che Hamas ''sia'' Allah (che verrà esaminata in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 8|Capitolo 8]]). La Carta di Allah invoca tre categorie di testi probatori per dimostrare la veridicità del manifesto, tutti e tre i quali rappresentano un'appropriazione della Parola agiografica: il Corano, gli Hadith e i ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'', la famigerata falsificazione di appunti presumibilmente presi in una riunione segreta dei leader dell'ebraismo globale che complottavano per conquistare il mondo.
[[File:The Protocols of the Elders of Zion by Nilus (1912) - cleaned.jpg|200|right|thumb|Edizione russa dei ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|Protocolli]]'' del 1912]]
''I Protocolli'' videro la luce per la prima volta nel 1903 su ''Znamya (La Bandiera)'', un giornale antisemita pubblicato a San Pietroburgo. "Agenti dei servizi segreti russi sotto la guida di Pëtr Ivanovič Račkovskij [1853-1910]", spiega Stephen Atkins, "plagiarono due opere – ''Biarritz'' (1868) di Hermann Goedsche [1815-1878] e ''A Dialogue in Hell: Conversations between Machiavelli and Montesquieu about Power and Right'' (1864) di Maurice Joly [1829-1878] – per produrre la versione finale dei ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'' [come è anche noto] tra il 1897 e il 1899".<ref>Stephen E. Atkins, ''Holocaust Denial as an International Movement'' (Westport, CT: Praeger, 2009), 16.</ref> Poco dopo la loro comparsa su ''Znamya'', il giurista russo Sergej Aleksandrovič Nilus (1863-1929) assunse la direzione della pubblicazione e della diffusione dei ''Protocolli''.
Il Primo Protocollo dichiara che, in quanto incarnazione del male, gli ebrei sono decisi a sradicare "l'alto carattere morale: franchezza, onore, onestà".<ref>"Protocols of the Elders of Zion", in Richard S. Levy, ''Antisemitism in the Modern World: An Anthology of Texts'' (Lexington, MA: D. C. Heath and Company, 1991), 152.</ref> Gli ebrei portano avanti questo nefasto progetto corrompendo la cultura e plasmando l'opinione pubblica. "Attraverso la stampa", afferma il Secondo Protocollo, "otteniamo influenza ma rimaniamo nell'ombra",<ref>''Ibid.'', 156.</ref> atroci e nascosti. Nascosti nell'ombra, gli ebrei manipolano i registri del mondo: "Con l'aiuto dell'oro, che controlliamo completamente, e con i metodi subdoli a nostra disposizione, provocheremo una crisi economica universale".<ref>''Ibid.'', 159</ref> Interessati solo al loro potere, gli ebrei sono i veri razzisti, che considerano i non-ebrei come "un gregge di pecore castrate" e se stessi come "i lupi", che naturalmente predano le pecore, non apertamente ma segretamente infiltrandosi nei governi e nelle organizzazioni segrete come la Massoneria.<ref>''Ibid.'', 161.</ref> Una volta ottenuto il controllo, il loro piano è quello di eliminare chiunque si opponga a loro.<ref>''Ibid.'', 164.</ref> Così nei ''Protocolli'', la Parola agiografica laica, vediamo proiettati sugli ebrei tutti i classici tropi dell'antisemitismo: sono la più grande minaccia alla società morale, decisi a un governo totalitario, decisi ad accumulare la ricchezza del mondo, i sinistri manipolatori del pensiero stesso.
La stragrande maggioranza dei promotori tedeschi dei ''Protocolli'' erano professori universitari e intellettuali culturali,<ref>Michael Mack, ''German Idealism and the Jew: The Inner Anti-Semitism of Philosophy and German Jewish Responses'' (Chicago: University of Chicago Press, 2003), 170.</ref> il cui pensiero derivava dall'idealismo tedesco o dal Volkismo tedesco, guidati da un modo di pensare che non poteva che categorizzare gli ebrei come la più grande di tutte le minacce possibili: il male dell'ebreo è l'essenza dell'ebreo. Nella sua appropriazione filosofica, politica e culturale della Parola agiografica, l'antisemitismo si basa sul pensare in termini di essenza, e non in termini di un nome o di un fatto temporalmente determinato. "I termini della vita", afferma [[Franz Rosenzweig]], "non sono ‘essenziali’ ma ‘reali’; non riguardano l’‘essenza’ ma il ‘fatto’. Ciononostante, la parola del filosofo rimane ‘essenziale’. Cedendo allo stupore, fermandosi e trascurando le operazioni della realtà, egli si costringe a ritirarsi e si limita ad affrontare l'essenza",<ref>Franz Rosenzweig, ''Understanding the Sick and the Healthy'', trad. Nahum Glatzer (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1999), 42.</ref> che è senza volto. Lo spirito universale genera una collettività cieca al volto e perciò totalitaria, e il totalitarismo si fonda sull'appropriazione della Parola.
L'antisemitismo laico dei ''Protocolli'', con la sua promulgazione della cospirazione ebraica mondiale, ha i suoi precedenti nell'antisemitismo cristiano. Nel XII secolo, Teobaldo di Cambridge (ca. 1090-1161) sosteneva che ogni anno gli ebrei convocassero un consiglio segreto di rabbini per scegliere un bambino cristiano da sacrificare.<ref>Cfr. Dennis Prager e Joseph Telushkin, ''Why the Jews? The Reason for Antisemitism'' (New York: Simon & Schuster, 2003), 82.</ref> Nel 1307 si affermò che gli ebrei cospirassero con il re Muhammad I di Tunisi per sterminare i cristiani avvelenando tutti i pozzi.<ref>Cfr. Edward H. Flannery, ''The Anguish of the Jews: Twenty-Three Centuries of Anti-Semitism'' (New York:Macmillan, 1965), 107–108.</ref> Gli ebrei, in altre parole, rappresentavano un male pervasivo e invisibile che minacciava l'intera umanità. Qui troviamo un legame tra l'appropriazione della Parola e la diffamazione del sangue, in cui gli ebrei non solo consumano il sangue, ma avvelenano anche la linfa vitale del mondo. In questo modo, lo spargimento di sangue ebraico viene santificato.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
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{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
<div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div>
{{Avanzamento|50%|20 giugno 2025}}
[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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wikitext
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è ''nel'' mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
"L'anima", insegna [[w:Abraham Isaac Kook|Abraham Isaac Kook]], "è piena di lettere [ebraiche] che abbondano della luce della vita, dell'intelletto e della volontà, di uno spirito di visione e di un'esistenza completa".<ref>Abraham Isaac Kook, ''Orot'', trad. Bezalel Naor (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 93.</ref> E il cabalista del XIII secolo [[Abraham Abulafia]] (1240 – ca. 1291) afferma che "le lettere sono senza dubbio la radice di ogni saggezza e conoscenza".<ref>Citato in Moshe Idel, ''The Mystical Experience in Abraham Abulafia'' (Albany, NY: SUNY Press, 1988), 101. Cfr. anche il mio ''[[Abulafia e i segreti della Torah]]'' (2022).</ref> Racchiuso tra le lettere c'è l'eloquente silenzio che precede e riverbera in quello che [[w:Martin Buber|Martin Buber]] chiama "il silenzio di tutte le lingue".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 89.</ref> L'ebraico è la lingua che conferisce un significato trascendente al linguaggio. Pertanto è la lingua che l'antisemita deve cancellare o appropriarsi. Quando Dio parla sul Monte Sinai, parla Torah; se Egli parla ebraico, allora anche quello è Torah. Quindi l'ebraico è la Lingua Santa non perché la Torah sia scritta in ebraico, ma piuttosto la Torah è scritta in ebraico perché è la Lingua Santa, la lingua di ciò che il Midrash chiama fuoco nero su fuoco bianco (''Devarim Rabbah'' 3:12), sia come mezzo che come messaggio. Lo ''[[Zohar]]'' descrive la Torah come il progetto – l'anima e la sostanza – di tutta la creazione: quattro volte, dice Rabbi Shimon, il Santo guardò nella Torah prima di iniziare la Sua opera di creazione (''Zohar'' I, 5a; cfr. anche ''Bereshit Rabbah'' 1:1; ''Tanchuma Bereshit'' 1).
Poiché la Torah si riveste di abiti ebraici, la sua forma e la sua sostanza sono un tutt'uno: la lingua ebraica stessa è parte della rivelazione che è la Torah. L'ebraico deriva la sua santità non dal fatto di essere la lingua della Scrittura, ma dal suo status di fondamento primordiale della verità e del significato della creazione – di conseguenza diventa la lingua della Scrittura, la Parola agiografica di cui l'antisemita deve appropriarsi. "All'ebraico", dice Judah Halevi (ca. 1075-1141), "appartiene il primo posto, sia per quanto riguarda la ''natura della lingua'', sia per quanto riguarda la ''pienezza dei significati''" (''Kitav al-khazari'' 2:66, corsivo aggiunto). E l'ebraico, la Parola agiografica, è il primo bersaglio dell'antisemita, sia teologicamente che ideologicamente. Non c'è insegnamento e testimonianza ebraica che non sia guidata dalla Lingua Sacra, la lingua della Scrittura. Pertanto, l'antisemita deve istituire una nuova Scrittura che sostituisca o ovvii alla testimonianza scritturale del popolo ebraico.
[[Emmanuel Levinas]] sottolinea un punto importante a questo proposito. "Non conosciamo più la differenza che distingue il Libro dalla documentazione", lamenta:
{{citazione|In the former there is an inspiration purified of all the vicissitudes and all the “experiences” that had been its occasion, offering itself as Scripture whereby each soul is called to exegesis, which is both regulated by the rigorous reading of the text and by the unicity – unique in all eternity – of its own contribution, which is also its discovery, the soul’s share.|[[Emmanuel Levinas]], ''New Talmudic Readings'', trad. {{Lingue|en}} Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1999), 75–76}}
Ecco perché l'antisemita deve appropriarsi della Parola agiografica nel suo assalto non solo al corpo dell'ebreo, ma anche all'anima dell'ebreo e, per estensione, all'anima di ogni essere umano. Nel corso dei secoli, l'appropriazione antisemita della Parola ha assunto una varietà di forme, a partire dal progetto dei Padri della Chiesa di degiudaizzare il cristianesimo. Questo inizia con la traduzione dei testi sacri dall'ebraico al latino da parte di [[w:San Girolamo|Girolamo]] (342/7-420) tra il 390 e il 405, un'iniziativa che coincise con l'istituzione del cristianesimo come religione ufficiale dell'autorità romana nel 380: la lingua del potere e la lingua della Scrittura divennero la stessa cosa. Nei secoli successivi, relativamente pochi teologi cristiani studiarono effettivamente le Scritture in ebraico, ma si affidarono piuttosto alla ''[[w:Vulgata|Vulgata]]'', così che nella Chiesa romana il latino soppiantò l'ebraico come nuova Lingua Sacra,<ref>1Cfr. Andrew Cain e Josef Lössl, eds., ''Jerome of Stridon: His Life, Writings and Legacy'' (Farnham: Ashgate Publishing, 2009), 124–125.</ref> la lingua della Scrittura e la lingua della preghiera. Questa iniziativa è essenziale per il superamento e sostituzione dell'ebraismo.
Questa degiudaizzazione delle Scritture ebraiche comporta non solo l'appropriazione delle Scritture, ma anche la santificazione degli insegnamenti dei santi, che diventano essi stessi parte della nuova Parola agiografica. Nel quarto secolo Giovanni Crisostomo (347–407) descrisse il giudaizzare come una "malattia"<ref>{{en}}John Chrysostom, ''Discourses Against Judaizing Christians'', trad. Paul W. Harkins (Washington, DC: Catholic University Press of America, 1979), 15.</ref> (un tropo antisemita da affrontare in relazione al sangue), e il suo contemporaneo Girolamo "scrisse ad Agostino che se agli ebrei convertiti fosse stato permesso di praticare anche un solo frammento della loro precedente religione, ‘non diventeranno cristiani, ma ci renderanno ebrei... Le cerimonie degli ebrei sono perniciose e mortali; e chiunque le osservi, sia ebreo che gentile, è caduto nella fossa del diavolo’".<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 21.</ref> In effetti, Agostino (354–430) sosteneva che i cristiani che osservavano anche il più piccolo dei rituali ebraici erano eretici (ci si chiede se questo includesse Gesù e i suoi discepoli!).<ref>Citato in ''ibid.'', 29.</ref> Il [[w:Concilio di Antiochia (341)|Concilio di Antiochia]] (341), inoltre, proibì ai cristiani di celebrare la Pesach (Pasqua) e il [[w:Sinodo di Laodicea|Concilio di Laodicea]] (363-364) proibì ai cristiani di osservare il Sabbath ebraico.<ref>Cfr. Dan Cohn-Sherbok, ''Anti-Semitism'' (Stroud: The History Press, 2002), 48.</ref> Secoli dopo il giudaizzare sarebbe divenuto l'eresia principale presa di mira dall'Inquisizione spagnola (1478-1834); secondo [[w:Henry Kamen|Henry Kamen]], delle oltre duemila persone sottoposte ad ''autodafé'' tra il 1480 e il 1530, circa il 99,3 per cento erano cosiddetti cripto-ebrei.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 60.</ref>
Nel 1534 [[w:Martin Lutero|Martin Lutero]] (1483-1546) completò la traduzione della Bibbia ebraica in tedesco, un progetto simile di appropriazione della Parola per adattarla al suo programma antisemita, che chiarisce in ''[[w:Degli ebrei e delle loro menzogne|Degli ebrei e delle loro menzogne]]'' (1543):
{{citazione|[Sono] passati millecinquecento anni da quando Vespasiano e Tito distrussero Gerusalemme ed espulsero gli ebrei dalla città... Un'ira così spietata di Dio è prova sufficiente che essi hanno sicuramente errato e si sono sviati... Infatti non si osa considerare Dio così crudele da punire il suo popolo tanto a lungo, così terribilmente, così spietatamente, e per di più tacere, confortandolo né con parole né con fatti, e non fissando alcun limite di tempo né alcuna fine... Pertanto quest'opera d'ira è la prova che gli ebrei, sicuramente rigettati da Dio, non sono più il suo popolo, e neppure lui è più il loro Dio.|{{en}}Martin Luther, ''On the Jews and Their Lies'', 1543, mia trad.}}
Se Egli non è più il loro Dio, allora la Santa Parola non è più la loro Parola; né, per il Riformatore, la Parola della Vulgata è più la Santa Parola. Da qui la necessità di una nuova traduzione, in cui è incastonata una nuova dispensazione. Con la nuova dispensazione che accompagna la nuova appropriazione della Parola giunge una nuova ascesa al Trono del Giudizio Divino. Colui che detiene la chiave della salvezza infligge anche dannazione, e colui che infligge dannazione inevitabilmente infligge morte, a cominciare dagli ebrei. Nel suo ''Von Schem Hemphoras'' (1543), Lutero scrisse che "il Dio degli ebrei è il diavolo".<ref>Citato in Michael, ''Holy Hatred'', 111.</ref> In quanto coloro il cui Dio è il diavolo, gli ebrei sono l'antitesi di coloro il cui padre è Dio; in quanto incarnazione dell'Anticristo, devono necessariamente rifiutare il Cristo. Il loro disprezzo per l'evidente verità della Parola appropriata li rende non solo spregevoli, ma i nemici per eccellenza della Verità, i figli del Padre della Menzogna. Poiché gli ebrei sono seguaci del Padre della Menzogna, Hitler proclama che "l’intera esistenza di questo popolo [gli ebrei]... si basa su una menzogna continua", un’affermazione la cui verità, dice il Führer, è dimostrata da un altro testo che eclissa la Parola: ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|I Protocolli dei Savi di Sion]]'' (vedi sotto).<ref>Adolf Hitler, ''Mein Kampf'', trad. {{en}} Ralph Manheim (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1971), 307. Mia trad. {{it}}.</ref>
L'Islam intraprende la propria appropriazione della Parola agiografica, la Parola di Verità, non attraverso una traduzione della Bibbia ebraica in arabo, ma sostituendo la falsa Bibbia ebraica con la vera Bibbia, la vera Parola dell'Islam: il Corano. "Questo è il Libro!" dice il Profeta ([https://sufi.it/il-sacro-corano/2-surat-al-baqara/ 2:2]).<ref>Cfr. ''The Clear Quran'', trad. Mustafa Khattab (Lombard, IL: Book of Signs Foundation, 2016). In italiano cfr. ''[https://sufi.it/il-sacro-corano/ Il Sacro Corano]''.</ref> Poiché il Corano è il Libro, la Sacra Parola di Verità, le Scritture degli ebrei e dei cristiani sono piene di menzogne. "I malfattori [gli ebrei] alterarono le parole che era stato loro comandato di dire" (2:59).<ref>''Ibid.''</ref> E: "In verità, c'è tra loro [gli ebrei] un gruppo che altera la Scrittura con le loro lingue, così che tu possa pensare che provenga dalla Scrittura, ma non è dalla Scrittura. E dicono: "Questo viene da Allah", ma non viene da Allah. E dicono falsità contro Allah" ([https://sufi.it/il-sacro-corano/3-surat-al-imran/ 3:78]).<ref>Cfr. anche {{en}}''The Quran'', trad. Saheeh International (Lake City, MN: Saheeh International, 1997).</ref> Come corruttori della legge e degli insegnamenti di Allah, afferma il principale ideologo dei Fratelli Musulmani e del Jihad Islamico Sayyid Qutb, “i Figli di Israele, sia prima che dopo Mosè, macchiarono e pervertirono il suo messaggio”.<ref>Sayyid Qutb, ''Basic Principles of the Islamic Worldview'', traf. Rami David, prefazione di Hamid Algar (North Haledon, NJ: Islamic Publications International, 2006), 207.</ref> ''Prima'' di Mosè, ''prima'' della rivelazione della Parola sul Monte Sinai, gli ebrei pervertono la Parola Santa perché tale malvagità è la loro essenza: pervertono il messaggio prima che ci sia un messaggio.
Nella tradizione ebraica, la ''Mishnah'', il ''Midrash'' e la ''[[Kabbalah]]'' costituiscono quella che è nota come Torah Orale. L'Islam ha una tradizione orale sacra simile negli Hadith, che comprende insegnamenti basati sulle parole e le azioni del Profeta che non fanno parte del Corano. Il primo compilatore noto di tradizioni tratte dagli Hadith è [[:en:w:Abd Allah ibn al-Mubarak|Abdallah ibn al-Mubarak]] (m. 797).<ref>Cfr. David Cook, ''Understanding Jihad'' (Berkeley: University of California Press, 2005), 14.</ref> Le sei principali raccolte che compongono gli Hadith sono Sahih al-Bukhari, compilata da Muhammad ibn Ismail al-Bukhari (810-70); Sahih Muslim, raccolta da Muslim ibn al-Hajjaj (821-75); Sunan Abu Daud, raccolta da Abu Daud al-Sijistani (817-88); Sunan al-Tirmidi, messa insieme da 'Isa Muhammad ibn 'Isa al-Tirmidi (824-92); Sunan Ibn Majah, raccolta da Muhammad ibn Yazid ibn Majah (824-87); e Sunan al-Nasai, compilata da Ahmad ibn al-Nasai (829-915). Questi testi sono secondi solo al Corano come fonti autorevoli su cosa credere e come vivere; anch'essi appartengono alla Parola agiografica di cui l'Islam si è appropriato.
Lo studioso musulmano [[:en:w:Khaleel Mohammed|Khaleel Mohammed]] spiega che l'Hadith è la fonte primaria degli insegnamenti islamici più antisemiti, al punto che, basandosi solo sull'Hadith, l'odio per gli ebrei sembrerebbe essere un principio fondamentale dell'Islam.<ref>Khaleel Mohammed, “Antisemitism in Islamic Texts and Traditions,” ''lecture given at the University of Memphis, March 14, 2007''.</ref> Nell'Hadith, ad esempio, troviamo l'insegnamento che "l'ultima ora non arriverà a meno che i musulmani non combattano contro gli ebrei e i musulmani non li uccidano finché gli ebrei non si nascondano dietro una pietra o un albero e una pietra o un albero non dicano: musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me; vieni e uccidilo" (''Sahih Muslim'', Libro 41, Numero 6985).<ref>Citato in David Aaron, ''In Their Own Words: Voices of Jihad'' (Santa Monica, CA: Rand Corporation, 2008), 43–44.</ref> La natura stessa vomita gli ebrei nel processo di redenzione dell'umanità. Perché? Perché gli ebrei non rappresentano una menzogna o una falsità qualsiasi, ma una menzogna che gli ebrei spacciano per la Sacra Parola di Dio, una menzogna che mina la creazione stessa. Pertanto non può esserci posto per gli ebrei nella creazione di Dio. Condurre una guerra santa contro gli ebrei significa condurre una guerra per amore della Verità Divina. Gli ebrei, dichiara Sayyid Qutb, sono "falsificatori della Verità Divina".<ref>Citato in Ronald L. Nettler, ''Past Trials and Present Tribulations: A Muslim Fundamentalist’s View of the Jews'' (Oxford, UK: Pergamon, 1987), 2, 7.</ref> Se si ama la verità e si odia la menzogna, allora l'odio per gli ebrei è un segno di rettitudine. Lo scopo dell'appropriazione della Parola agiografica, quindi, è giustificare l'odio per gli ebrei, fornirgli una sanzione divina, rendendolo qualcosa di santo e gradito a Dio.
L'appropriazione islamica della Parola nella sua forma jihadista è esemplificata nella [[:en:w:1988 Hamas charter|Carta di Hamas]], nota come Carta di Allah, con l'implicazione che Hamas ''sia'' Allah (che verrà esaminata in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 8|Capitolo 8]]). La Carta di Allah invoca tre categorie di testi probatori per dimostrare la veridicità del manifesto, tutti e tre i quali rappresentano un'appropriazione della Parola agiografica: il Corano, gli Hadith e i ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'', la famigerata falsificazione di appunti presumibilmente presi in una riunione segreta dei leader dell'ebraismo globale che complottavano per conquistare il mondo.
[[File:The Protocols of the Elders of Zion by Nilus (1912) - cleaned.jpg|200|right|thumb|Edizione russa dei ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|Protocolli]]'' del 1912]]
''I Protocolli'' videro la luce per la prima volta nel 1903 su ''Znamya (La Bandiera)'', un giornale antisemita pubblicato a San Pietroburgo. "Agenti dei servizi segreti russi sotto la guida di Pëtr Ivanovič Račkovskij [1853-1910]", spiega Stephen Atkins, "plagiarono due opere – ''Biarritz'' (1868) di Hermann Goedsche [1815-1878] e ''A Dialogue in Hell: Conversations between Machiavelli and Montesquieu about Power and Right'' (1864) di Maurice Joly [1829-1878] – per produrre la versione finale dei ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'' [come è anche noto] tra il 1897 e il 1899".<ref>Stephen E. Atkins, ''Holocaust Denial as an International Movement'' (Westport, CT: Praeger, 2009), 16.</ref> Poco dopo la loro comparsa su ''Znamya'', il giurista russo Sergej Aleksandrovič Nilus (1863-1929) assunse la direzione della pubblicazione e della diffusione dei ''Protocolli''.
Il Primo Protocollo dichiara che, in quanto incarnazione del male, gli ebrei sono decisi a sradicare "l'alto carattere morale: franchezza, onore, onestà".<ref>"Protocols of the Elders of Zion", in Richard S. Levy, ''Antisemitism in the Modern World: An Anthology of Texts'' (Lexington, MA: D. C. Heath and Company, 1991), 152.</ref> Gli ebrei portano avanti questo nefasto progetto corrompendo la cultura e plasmando l'opinione pubblica. "Attraverso la stampa", afferma il Secondo Protocollo, "otteniamo influenza ma rimaniamo nell'ombra",<ref>''Ibid.'', 156.</ref> atroci e nascosti. Nascosti nell'ombra, gli ebrei manipolano i registri del mondo: "Con l'aiuto dell'oro, che controlliamo completamente, e con i metodi subdoli a nostra disposizione, provocheremo una crisi economica universale".<ref>''Ibid.'', 159</ref> Interessati solo al loro potere, gli ebrei sono i veri razzisti, che considerano i non-ebrei come "un gregge di pecore castrate" e se stessi come "i lupi", che naturalmente predano le pecore, non apertamente ma segretamente infiltrandosi nei governi e nelle organizzazioni segrete come la Massoneria.<ref>''Ibid.'', 161.</ref> Una volta ottenuto il controllo, il loro piano è quello di eliminare chiunque si opponga a loro.<ref>''Ibid.'', 164.</ref> Così nei ''Protocolli'', la Parola agiografica laica, vediamo proiettati sugli ebrei tutti i classici tropi dell'antisemitismo: sono la più grande minaccia alla società morale, decisi a un governo totalitario, decisi ad accumulare la ricchezza del mondo, i sinistri manipolatori del pensiero stesso.
La stragrande maggioranza dei promotori tedeschi dei ''Protocolli'' erano professori universitari e intellettuali culturali,<ref>Michael Mack, ''German Idealism and the Jew: The Inner Anti-Semitism of Philosophy and German Jewish Responses'' (Chicago: University of Chicago Press, 2003), 170.</ref> il cui pensiero derivava dall'idealismo tedesco o dal Volkismo tedesco, guidati da un modo di pensare che non poteva che categorizzare gli ebrei come la più grande di tutte le minacce possibili: il male dell'ebreo è l'essenza dell'ebreo. Nella sua appropriazione filosofica, politica e culturale della Parola agiografica, l'antisemitismo si basa sul pensare in termini di essenza, e non in termini di un nome o di un fatto temporalmente determinato. "I termini della vita", afferma [[Franz Rosenzweig]], "non sono ‘essenziali’ ma ‘reali’; non riguardano l’‘essenza’ ma il ‘fatto’. Ciononostante, la parola del filosofo rimane ‘essenziale’. Cedendo allo stupore, fermandosi e trascurando le operazioni della realtà, egli si costringe a ritirarsi e si limita ad affrontare l'essenza",<ref>Franz Rosenzweig, ''Understanding the Sick and the Healthy'', trad. Nahum Glatzer (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1999), 42.</ref> che è senza volto. Lo spirito universale genera una collettività cieca al volto e perciò totalitaria, e il totalitarismo si fonda sull'appropriazione della Parola.
L'antisemitismo laico dei ''Protocolli'', con la sua promulgazione della cospirazione ebraica mondiale, ha i suoi precedenti nell'antisemitismo cristiano. Nel XII secolo, Teobaldo di Cambridge (ca. 1090-1161) sosteneva che ogni anno gli ebrei convocassero un consiglio segreto di rabbini per scegliere un bambino cristiano da sacrificare.<ref>Cfr. Dennis Prager e Joseph Telushkin, ''Why the Jews? The Reason for Antisemitism'' (New York: Simon & Schuster, 2003), 82.</ref> Nel 1307 si affermò che gli ebrei cospirassero con il re Muhammad I di Tunisi per sterminare i cristiani avvelenando tutti i pozzi.<ref>Cfr. Edward H. Flannery, ''The Anguish of the Jews: Twenty-Three Centuries of Anti-Semitism'' (New York:Macmillan, 1965), 107–108.</ref> Gli ebrei, in altre parole, rappresentavano un male pervasivo e invisibile che minacciava l'intera umanità. Qui troviamo un legame tra l'appropriazione della Parola e la diffamazione del sangue, in cui gli ebrei non solo consumano il sangue, ma avvelenano anche la linfa vitale del mondo. In questo modo, lo spargimento di sangue ebraico viene santificato.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
L'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]] è al tempo stesso antica e moderna. Nei suoi commenti sui pagani Democrito, Manetone, Apione e Tacito, Robert Michael osserva che tutti accusavano gli ebrei di consumare il sangue dei non-ebrei nei loro rituali del Tempio.<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 16.</ref> Potevano concepire tali riti, tuttavia, solo in termini pagani, e non nei termini teologici che accompagnavano l'accusa di omicidio di Dio. Con l'avvento del cristianesimo, l'accusa del sangue assunse dimensioni teologiche e fu associata all'omicidio rituale di Dio; non solo gli ebrei assassinavano i bambini cristiani, gli agnelli immacolati, ma li crocifiggevano in una rievocazione ritualizzata dell'uccisione di Cristo. Alla base dell'accusa del sangue, come suggerito nel Capitolo precedente, c'è il desiderio del cristiano di liberarsi dal compito che Cristo gli avrebbe imposto. Perché? Perché Gesù è l'ebreo completo che annuncia l'infinita responsabilità di ciascuno per tutti. Egli non prende il nostro posto sulla croce, ma ci chiama alla croce come sostituto ultimo del nostro prossimo: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» ({{passo biblico2|Gv|15:12-14}}). Senza questa sostituzione non può esserci alcun significato, alcuna importanza nella vita; senza questa sostituzione l'anima è perduta.
Levinas spiega: "Vulnerabilità, esposizione all’oltraggio, alle ferite, passività più passiva di ogni pazienza, passività dell’accusativo, trauma dell’accusa sofferto da un ostaggio fino alla persecuzione, che implica l’identità dell’ostaggio che si sostituisce agli altri... È una sostituzione con un altro, uno al posto di un altro, espiazione".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 14–15.</ref> Comandando con l’esempio, l’ebreo Gesù chiama ciascuno di noi a una sostituzione radicalissima, all’espiazione per i peccati dell’altro. Questa espiazione per l’altro è la via singolare verso la propria redenzione. È l’opposto della "redenzione" acquistata a prezzo di spargimento di sangue, dove l’omicidio si trasforma in "martirio". Se l’ebreo Gesù ci "salva", non è attraverso il suo sangue, ma attraverso il suo insegnamento sulla nostra infinita responsabilità verso e per l’altro, fino alla morte, un insegnamento che egli trasmette con l’esempio. E noi vogliamo ucciderlo, l’ebreo, per questo.
L'unica appropriazione del Divino che potrebbe eccedere l'assassinio di Dio sarebbe il consumo di Dio, il diventare Dio rendendo Dio parte di sé stessi nell'apoteosi suprema del sé. In fondo, la calunnia del sangue, l'affermazione che gli ebrei uccidono i bambini e ne consumano il sangue, è l'accusa che gli ebrei si approprino di Cristo assorbendo in sé colui che è simile a Cristo. Nella calunnia del sangue vediamo una cupa perversione del Sacramento dell'Eucaristia, mediante la quale il credente consuma il sangue e il corpo di Cristo – in un atto non solo di appropriazione, ma di assorbimento. Quando l'antisemita proietta questo consumo di sangue sull'ebreo nella forma della calunnia del sangue, ciò esprime in effetti il suo desiderio di essere come Dio uccidendoLo e consumandoLo. Questa associazione eucaristica sottolinea la natura ritualizzata di questo assassinio; in effetti, non è presentato esattamente come un omicidio, ma come una sorta di sacrificio di sangue satanico, sancito non dal Santo ma dal Maligno.
Nel XIV secolo il rituale fu associato all'osservanza della Pasqua ebraica (Pesach), che è il periodo della Crocifissione. Anche in questo caso, l'accusa di profanazione dell'ostia – prendere il pane sacro della comunione e profanarlo, persino conficcandovi dei chiodi – è associata alla calunnia del sangue come rievocazione dell'omicidio e della consumazione di Dio. Nel 1298, ad esempio, a Röttingen si vociferava che degli ebrei avessero profanato l'ostia, dopodiché, guidati da un nobile tedesco di nome Rindfleisch, gli ''Judenschächter'' o "massacratori di ebrei" uccisero {{FORMATNUM:100000}} ebrei in Germania e distrussero 140 comunità.<ref>Flannery, ''The Anguish of the Jews'', 106–107.</ref> L'accusa persiste nell'epoca moderna. Nel 1881 la rivista vaticana ''[[w:La Civiltà Cattolica|Civiltà Cattolica]]'' tentò di dimostrare che l'omicidio rituale era parte integrante dell'ebraismo; gran parte della loro affermazione si basava sul lavoro del teologo cattolico tedesco August Rohling (1839–1931),<ref>Cfr. Bernard Lewis, ''Semites and Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice'' (New York: W. W. Norton, 1999), 106–107.</ref> che attribuiva agli ebrei l’insegnamento secondo cui "chiunque versi il sangue di un empio [cioè un non-ebreo] porta in tal modo un’offerta sacrificale a Dio”.<ref>August Rohling, ''Der Talmudjude'', 4a ed. (Münster: Adolph Russell’s Verlag, 1872), 41; mia trad.</ref> A dire il vero, secondo Robert Michael tra il 1880 e il 1945 ci furono tanti casi di accuse del sangue quanti ce ne furono durante l’intero Medioevo.<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 170.</ref>
Con l'avvento della modernità, l'attingere alle tradizionali manifestazioni cristiane della calunnia del sangue divenne naturale per gran parte del mondo musulmano. L'affare di Damasco del 1840, quando otto ebrei della città furono accusati di omicidio rituale in seguito alla scomparsa del monaco cappuccino Padre Thomas,<ref>Cfr. Jonathan Frankel, ''The Damascus Affair: “Ritual Murder,” Politics, and the Jews in 1840'' (Cambridge, UK: Cambridge University Press, 1997).</ref> è forse il più famigerato, ma non fu l'unico. C'erano già stati casi ad Hama (1829), Beirut (1824) e Antiochia (1826); nel 1872 ci fu un pogrom contro gli ebrei di Smirne in seguito all'ennesima calunnia del sangue.<ref>Cfr. Robert Wistrich, ''A Lethal Obsession: Anti-Semitism from Antiquity to the Global Jihad'' (New York: Random House, 2010), 787.</ref> La calunnia continua ancora oggi. Il 24 aprile 1970 la radio Fatah riferì che i sionisti stavano rapendo bambini dalle strade per prelevarne il sangue. Nel 1983 l’ex ministro della Difesa siriano [[w:Mustafa Tlass|Mustafa Tlas]] (1932–2017) pubblicò un libro intitolato ''[[:en:w:Mustafa Tlass#The Matzah of Zion|The Matzah of Sion]]'', in cui sosteneva che gli ebrei uccidono i bambini per ottenere il sangue per la [[w:matzah|matzah]] di [[w:Pesach|Pesach]].<ref>Cfr. Barry Rubin, ''Revolution Until Victory? The Politics and History of the PLO'' (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1994), 125.</ref> Un anno dopo, in una conferenza della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla tolleranza religiosa, il rappresentante saudita Dr. Maruf al-Dawalibi (1909–2004) affermò: "Se un ebreo non beve ogni anno il sangue di un uomo non ebreo, allora sarà dannato per tutta l’eternità".<ref>Cfr. Lewis, ''Semites and Anti-Semites'', 194.</ref> Nel 2002 il Dr. Umayma Ahmad al-Jalahma della King Faisal University pubblicò un articolo sul quotidiano saudita ''Al-Riyadh'' accusando gli ebrei della diffamazione del sangue.<ref>Cfr. Kenneth R. Timmerman, ''Preachers of Hate: Islam and the War on America'' (New York: Three Rivers Press, 2004), 74–76.</ref> Nel 2003 una società cinematografica privata siriana produsse una serie intitolata ''Ash-Shatat (La diaspora)'', che era basata in parte sui famigerati ''Protocolli dei Savi di Sion'' e ritraeva drammatiche ricostruzioni della diffamazione del sangue; La serie è andata in onda sulla stazione televisiva satellitare di Hezbollah, Al-Manar. In una conferenza all'Università della California, a Riverside, nel 2014, [[:en:w:Omar Barghouti|Omar Barghouti]] (n. 1964), fondatore del ''[[w:Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni|Boycott, Divestment, Sanctions Movement]]'' (2005), ha incitato all'odio verso gli ebrei ribadendo la calunnia del sangue nella sua affermazione che i soldati israeliani "davano la caccia ai bambini" ogni notte.<ref>“Palestinian BDS National Committee,” BDS.</ref>
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
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{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
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[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è ''nel'' mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
"L'anima", insegna [[w:Abraham Isaac Kook|Abraham Isaac Kook]], "è piena di lettere [ebraiche] che abbondano della luce della vita, dell'intelletto e della volontà, di uno spirito di visione e di un'esistenza completa".<ref>Abraham Isaac Kook, ''Orot'', trad. Bezalel Naor (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 93.</ref> E il cabalista del XIII secolo [[Abraham Abulafia]] (1240 – ca. 1291) afferma che "le lettere sono senza dubbio la radice di ogni saggezza e conoscenza".<ref>Citato in Moshe Idel, ''The Mystical Experience in Abraham Abulafia'' (Albany, NY: SUNY Press, 1988), 101. Cfr. anche il mio ''[[Abulafia e i segreti della Torah]]'' (2022).</ref> Racchiuso tra le lettere c'è l'eloquente silenzio che precede e riverbera in quello che [[w:Martin Buber|Martin Buber]] chiama "il silenzio di tutte le lingue".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 89.</ref> L'ebraico è la lingua che conferisce un significato trascendente al linguaggio. Pertanto è la lingua che l'antisemita deve cancellare o appropriarsi. Quando Dio parla sul Monte Sinai, parla Torah; se Egli parla ebraico, allora anche quello è Torah. Quindi l'ebraico è la Lingua Santa non perché la Torah sia scritta in ebraico, ma piuttosto la Torah è scritta in ebraico perché è la Lingua Santa, la lingua di ciò che il Midrash chiama fuoco nero su fuoco bianco (''Devarim Rabbah'' 3:12), sia come mezzo che come messaggio. Lo ''[[Zohar]]'' descrive la Torah come il progetto – l'anima e la sostanza – di tutta la creazione: quattro volte, dice Rabbi Shimon, il Santo guardò nella Torah prima di iniziare la Sua opera di creazione (''Zohar'' I, 5a; cfr. anche ''Bereshit Rabbah'' 1:1; ''Tanchuma Bereshit'' 1).
Poiché la Torah si riveste di abiti ebraici, la sua forma e la sua sostanza sono un tutt'uno: la lingua ebraica stessa è parte della rivelazione che è la Torah. L'ebraico deriva la sua santità non dal fatto di essere la lingua della Scrittura, ma dal suo status di fondamento primordiale della verità e del significato della creazione – di conseguenza diventa la lingua della Scrittura, la Parola agiografica di cui l'antisemita deve appropriarsi. "All'ebraico", dice Judah Halevi (ca. 1075-1141), "appartiene il primo posto, sia per quanto riguarda la ''natura della lingua'', sia per quanto riguarda la ''pienezza dei significati''" (''Kitav al-khazari'' 2:66, corsivo aggiunto). E l'ebraico, la Parola agiografica, è il primo bersaglio dell'antisemita, sia teologicamente che ideologicamente. Non c'è insegnamento e testimonianza ebraica che non sia guidata dalla Lingua Sacra, la lingua della Scrittura. Pertanto, l'antisemita deve istituire una nuova Scrittura che sostituisca o ovvii alla testimonianza scritturale del popolo ebraico.
[[Emmanuel Levinas]] sottolinea un punto importante a questo proposito. "Non conosciamo più la differenza che distingue il Libro dalla documentazione", lamenta:
{{citazione|In the former there is an inspiration purified of all the vicissitudes and all the “experiences” that had been its occasion, offering itself as Scripture whereby each soul is called to exegesis, which is both regulated by the rigorous reading of the text and by the unicity – unique in all eternity – of its own contribution, which is also its discovery, the soul’s share.|[[Emmanuel Levinas]], ''New Talmudic Readings'', trad. {{Lingue|en}} Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1999), 75–76}}
Ecco perché l'antisemita deve appropriarsi della Parola agiografica nel suo assalto non solo al corpo dell'ebreo, ma anche all'anima dell'ebreo e, per estensione, all'anima di ogni essere umano. Nel corso dei secoli, l'appropriazione antisemita della Parola ha assunto una varietà di forme, a partire dal progetto dei Padri della Chiesa di degiudaizzare il cristianesimo. Questo inizia con la traduzione dei testi sacri dall'ebraico al latino da parte di [[w:San Girolamo|Girolamo]] (342/7-420) tra il 390 e il 405, un'iniziativa che coincise con l'istituzione del cristianesimo come religione ufficiale dell'autorità romana nel 380: la lingua del potere e la lingua della Scrittura divennero la stessa cosa. Nei secoli successivi, relativamente pochi teologi cristiani studiarono effettivamente le Scritture in ebraico, ma si affidarono piuttosto alla ''[[w:Vulgata|Vulgata]]'', così che nella Chiesa romana il latino soppiantò l'ebraico come nuova Lingua Sacra,<ref>1Cfr. Andrew Cain e Josef Lössl, eds., ''Jerome of Stridon: His Life, Writings and Legacy'' (Farnham: Ashgate Publishing, 2009), 124–125.</ref> la lingua della Scrittura e la lingua della preghiera. Questa iniziativa è essenziale per il superamento e sostituzione dell'ebraismo.
Questa degiudaizzazione delle Scritture ebraiche comporta non solo l'appropriazione delle Scritture, ma anche la santificazione degli insegnamenti dei santi, che diventano essi stessi parte della nuova Parola agiografica. Nel quarto secolo Giovanni Crisostomo (347–407) descrisse il giudaizzare come una "malattia"<ref>{{en}}John Chrysostom, ''Discourses Against Judaizing Christians'', trad. Paul W. Harkins (Washington, DC: Catholic University Press of America, 1979), 15.</ref> (un tropo antisemita da affrontare in relazione al sangue), e il suo contemporaneo Girolamo "scrisse ad Agostino che se agli ebrei convertiti fosse stato permesso di praticare anche un solo frammento della loro precedente religione, ‘non diventeranno cristiani, ma ci renderanno ebrei... Le cerimonie degli ebrei sono perniciose e mortali; e chiunque le osservi, sia ebreo che gentile, è caduto nella fossa del diavolo’".<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 21.</ref> In effetti, Agostino (354–430) sosteneva che i cristiani che osservavano anche il più piccolo dei rituali ebraici erano eretici (ci si chiede se questo includesse Gesù e i suoi discepoli!).<ref>Citato in ''ibid.'', 29.</ref> Il [[w:Concilio di Antiochia (341)|Concilio di Antiochia]] (341), inoltre, proibì ai cristiani di celebrare la Pesach (Pasqua) e il [[w:Sinodo di Laodicea|Concilio di Laodicea]] (363-364) proibì ai cristiani di osservare il Sabbath ebraico.<ref>Cfr. Dan Cohn-Sherbok, ''Anti-Semitism'' (Stroud: The History Press, 2002), 48.</ref> Secoli dopo il giudaizzare sarebbe divenuto l'eresia principale presa di mira dall'Inquisizione spagnola (1478-1834); secondo [[w:Henry Kamen|Henry Kamen]], delle oltre duemila persone sottoposte ad ''autodafé'' tra il 1480 e il 1530, circa il 99,3 per cento erano cosiddetti cripto-ebrei.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 60.</ref>
Nel 1534 [[w:Martin Lutero|Martin Lutero]] (1483-1546) completò la traduzione della Bibbia ebraica in tedesco, un progetto simile di appropriazione della Parola per adattarla al suo programma antisemita, che chiarisce in ''[[w:Degli ebrei e delle loro menzogne|Degli ebrei e delle loro menzogne]]'' (1543):
{{citazione|[Sono] passati millecinquecento anni da quando Vespasiano e Tito distrussero Gerusalemme ed espulsero gli ebrei dalla città... Un'ira così spietata di Dio è prova sufficiente che essi hanno sicuramente errato e si sono sviati... Infatti non si osa considerare Dio così crudele da punire il suo popolo tanto a lungo, così terribilmente, così spietatamente, e per di più tacere, confortandolo né con parole né con fatti, e non fissando alcun limite di tempo né alcuna fine... Pertanto quest'opera d'ira è la prova che gli ebrei, sicuramente rigettati da Dio, non sono più il suo popolo, e neppure lui è più il loro Dio.|{{en}}Martin Luther, ''On the Jews and Their Lies'', 1543, mia trad.}}
Se Egli non è più il loro Dio, allora la Santa Parola non è più la loro Parola; né, per il Riformatore, la Parola della Vulgata è più la Santa Parola. Da qui la necessità di una nuova traduzione, in cui è incastonata una nuova dispensazione. Con la nuova dispensazione che accompagna la nuova appropriazione della Parola giunge una nuova ascesa al Trono del Giudizio Divino. Colui che detiene la chiave della salvezza infligge anche dannazione, e colui che infligge dannazione inevitabilmente infligge morte, a cominciare dagli ebrei. Nel suo ''Von Schem Hemphoras'' (1543), Lutero scrisse che "il Dio degli ebrei è il diavolo".<ref>Citato in Michael, ''Holy Hatred'', 111.</ref> In quanto coloro il cui Dio è il diavolo, gli ebrei sono l'antitesi di coloro il cui padre è Dio; in quanto incarnazione dell'Anticristo, devono necessariamente rifiutare il Cristo. Il loro disprezzo per l'evidente verità della Parola appropriata li rende non solo spregevoli, ma i nemici per eccellenza della Verità, i figli del Padre della Menzogna. Poiché gli ebrei sono seguaci del Padre della Menzogna, Hitler proclama che "l’intera esistenza di questo popolo [gli ebrei]... si basa su una menzogna continua", un’affermazione la cui verità, dice il Führer, è dimostrata da un altro testo che eclissa la Parola: ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|I Protocolli dei Savi di Sion]]'' (vedi sotto).<ref>Adolf Hitler, ''Mein Kampf'', trad. {{en}} Ralph Manheim (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1971), 307. Mia trad. {{it}}.</ref>
L'Islam intraprende la propria appropriazione della Parola agiografica, la Parola di Verità, non attraverso una traduzione della Bibbia ebraica in arabo, ma sostituendo la falsa Bibbia ebraica con la vera Bibbia, la vera Parola dell'Islam: il Corano. "Questo è il Libro!" dice il Profeta ([https://sufi.it/il-sacro-corano/2-surat-al-baqara/ 2:2]).<ref>Cfr. ''The Clear Quran'', trad. Mustafa Khattab (Lombard, IL: Book of Signs Foundation, 2016). In italiano cfr. ''[https://sufi.it/il-sacro-corano/ Il Sacro Corano]''.</ref> Poiché il Corano è il Libro, la Sacra Parola di Verità, le Scritture degli ebrei e dei cristiani sono piene di menzogne. "I malfattori [gli ebrei] alterarono le parole che era stato loro comandato di dire" (2:59).<ref>''Ibid.''</ref> E: "In verità, c'è tra loro [gli ebrei] un gruppo che altera la Scrittura con le loro lingue, così che tu possa pensare che provenga dalla Scrittura, ma non è dalla Scrittura. E dicono: "Questo viene da Allah", ma non viene da Allah. E dicono falsità contro Allah" ([https://sufi.it/il-sacro-corano/3-surat-al-imran/ 3:78]).<ref>Cfr. anche {{en}}''The Quran'', trad. Saheeh International (Lake City, MN: Saheeh International, 1997).</ref> Come corruttori della legge e degli insegnamenti di Allah, afferma il principale ideologo dei Fratelli Musulmani e del Jihad Islamico Sayyid Qutb, “i Figli di Israele, sia prima che dopo Mosè, macchiarono e pervertirono il suo messaggio”.<ref>Sayyid Qutb, ''Basic Principles of the Islamic Worldview'', traf. Rami David, prefazione di Hamid Algar (North Haledon, NJ: Islamic Publications International, 2006), 207.</ref> ''Prima'' di Mosè, ''prima'' della rivelazione della Parola sul Monte Sinai, gli ebrei pervertono la Parola Santa perché tale malvagità è la loro essenza: pervertono il messaggio prima che ci sia un messaggio.
Nella tradizione ebraica, la ''Mishnah'', il ''Midrash'' e la ''[[Kabbalah]]'' costituiscono quella che è nota come Torah Orale. L'Islam ha una tradizione orale sacra simile negli Hadith, che comprende insegnamenti basati sulle parole e le azioni del Profeta che non fanno parte del Corano. Il primo compilatore noto di tradizioni tratte dagli Hadith è [[:en:w:Abd Allah ibn al-Mubarak|Abdallah ibn al-Mubarak]] (m. 797).<ref>Cfr. David Cook, ''Understanding Jihad'' (Berkeley: University of California Press, 2005), 14.</ref> Le sei principali raccolte che compongono gli Hadith sono Sahih al-Bukhari, compilata da Muhammad ibn Ismail al-Bukhari (810-70); Sahih Muslim, raccolta da Muslim ibn al-Hajjaj (821-75); Sunan Abu Daud, raccolta da Abu Daud al-Sijistani (817-88); Sunan al-Tirmidi, messa insieme da 'Isa Muhammad ibn 'Isa al-Tirmidi (824-92); Sunan Ibn Majah, raccolta da Muhammad ibn Yazid ibn Majah (824-87); e Sunan al-Nasai, compilata da Ahmad ibn al-Nasai (829-915). Questi testi sono secondi solo al Corano come fonti autorevoli su cosa credere e come vivere; anch'essi appartengono alla Parola agiografica di cui l'Islam si è appropriato.
Lo studioso musulmano [[:en:w:Khaleel Mohammed|Khaleel Mohammed]] spiega che l'Hadith è la fonte primaria degli insegnamenti islamici più antisemiti, al punto che, basandosi solo sull'Hadith, l'odio per gli ebrei sembrerebbe essere un principio fondamentale dell'Islam.<ref>Khaleel Mohammed, “Antisemitism in Islamic Texts and Traditions,” ''lecture given at the University of Memphis, March 14, 2007''.</ref> Nell'Hadith, ad esempio, troviamo l'insegnamento che "l'ultima ora non arriverà a meno che i musulmani non combattano contro gli ebrei e i musulmani non li uccidano finché gli ebrei non si nascondano dietro una pietra o un albero e una pietra o un albero non dicano: musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me; vieni e uccidilo" (''Sahih Muslim'', Libro 41, Numero 6985).<ref>Citato in David Aaron, ''In Their Own Words: Voices of Jihad'' (Santa Monica, CA: Rand Corporation, 2008), 43–44.</ref> La natura stessa vomita gli ebrei nel processo di redenzione dell'umanità. Perché? Perché gli ebrei non rappresentano una menzogna o una falsità qualsiasi, ma una menzogna che gli ebrei spacciano per la Sacra Parola di Dio, una menzogna che mina la creazione stessa. Pertanto non può esserci posto per gli ebrei nella creazione di Dio. Condurre una guerra santa contro gli ebrei significa condurre una guerra per amore della Verità Divina. Gli ebrei, dichiara Sayyid Qutb, sono "falsificatori della Verità Divina".<ref>Citato in Ronald L. Nettler, ''Past Trials and Present Tribulations: A Muslim Fundamentalist’s View of the Jews'' (Oxford, UK: Pergamon, 1987), 2, 7.</ref> Se si ama la verità e si odia la menzogna, allora l'odio per gli ebrei è un segno di rettitudine. Lo scopo dell'appropriazione della Parola agiografica, quindi, è giustificare l'odio per gli ebrei, fornirgli una sanzione divina, rendendolo qualcosa di santo e gradito a Dio.
L'appropriazione islamica della Parola nella sua forma jihadista è esemplificata nella [[:en:w:1988 Hamas charter|Carta di Hamas]], nota come Carta di Allah, con l'implicazione che Hamas ''sia'' Allah (che verrà esaminata in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 8|Capitolo 8]]). La Carta di Allah invoca tre categorie di testi probatori per dimostrare la veridicità del manifesto, tutti e tre i quali rappresentano un'appropriazione della Parola agiografica: il Corano, gli Hadith e i ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'', la famigerata falsificazione di appunti presumibilmente presi in una riunione segreta dei leader dell'ebraismo globale che complottavano per conquistare il mondo.
[[File:The Protocols of the Elders of Zion by Nilus (1912) - cleaned.jpg|200|right|thumb|Edizione russa dei ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|Protocolli]]'' del 1912]]
''I Protocolli'' videro la luce per la prima volta nel 1903 su ''Znamya (La Bandiera)'', un giornale antisemita pubblicato a San Pietroburgo. "Agenti dei servizi segreti russi sotto la guida di Pëtr Ivanovič Račkovskij [1853-1910]", spiega Stephen Atkins, "plagiarono due opere – ''Biarritz'' (1868) di Hermann Goedsche [1815-1878] e ''A Dialogue in Hell: Conversations between Machiavelli and Montesquieu about Power and Right'' (1864) di Maurice Joly [1829-1878] – per produrre la versione finale dei ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'' [come è anche noto] tra il 1897 e il 1899".<ref>Stephen E. Atkins, ''Holocaust Denial as an International Movement'' (Westport, CT: Praeger, 2009), 16.</ref> Poco dopo la loro comparsa su ''Znamya'', il giurista russo Sergej Aleksandrovič Nilus (1863-1929) assunse la direzione della pubblicazione e della diffusione dei ''Protocolli''.
Il Primo Protocollo dichiara che, in quanto incarnazione del male, gli ebrei sono decisi a sradicare "l'alto carattere morale: franchezza, onore, onestà".<ref>"Protocols of the Elders of Zion", in Richard S. Levy, ''Antisemitism in the Modern World: An Anthology of Texts'' (Lexington, MA: D. C. Heath and Company, 1991), 152.</ref> Gli ebrei portano avanti questo nefasto progetto corrompendo la cultura e plasmando l'opinione pubblica. "Attraverso la stampa", afferma il Secondo Protocollo, "otteniamo influenza ma rimaniamo nell'ombra",<ref>''Ibid.'', 156.</ref> atroci e nascosti. Nascosti nell'ombra, gli ebrei manipolano i registri del mondo: "Con l'aiuto dell'oro, che controlliamo completamente, e con i metodi subdoli a nostra disposizione, provocheremo una crisi economica universale".<ref>''Ibid.'', 159</ref> Interessati solo al loro potere, gli ebrei sono i veri razzisti, che considerano i non-ebrei come "un gregge di pecore castrate" e se stessi come "i lupi", che naturalmente predano le pecore, non apertamente ma segretamente infiltrandosi nei governi e nelle organizzazioni segrete come la Massoneria.<ref>''Ibid.'', 161.</ref> Una volta ottenuto il controllo, il loro piano è quello di eliminare chiunque si opponga a loro.<ref>''Ibid.'', 164.</ref> Così nei ''Protocolli'', la Parola agiografica laica, vediamo proiettati sugli ebrei tutti i classici tropi dell'antisemitismo: sono la più grande minaccia alla società morale, decisi a un governo totalitario, decisi ad accumulare la ricchezza del mondo, i sinistri manipolatori del pensiero stesso.
La stragrande maggioranza dei promotori tedeschi dei ''Protocolli'' erano professori universitari e intellettuali culturali,<ref>Michael Mack, ''German Idealism and the Jew: The Inner Anti-Semitism of Philosophy and German Jewish Responses'' (Chicago: University of Chicago Press, 2003), 170.</ref> il cui pensiero derivava dall'idealismo tedesco o dal Volkismo tedesco, guidati da un modo di pensare che non poteva che categorizzare gli ebrei come la più grande di tutte le minacce possibili: il male dell'ebreo è l'essenza dell'ebreo. Nella sua appropriazione filosofica, politica e culturale della Parola agiografica, l'antisemitismo si basa sul pensare in termini di essenza, e non in termini di un nome o di un fatto temporalmente determinato. "I termini della vita", afferma [[Franz Rosenzweig]], "non sono ‘essenziali’ ma ‘reali’; non riguardano l’‘essenza’ ma il ‘fatto’. Ciononostante, la parola del filosofo rimane ‘essenziale’. Cedendo allo stupore, fermandosi e trascurando le operazioni della realtà, egli si costringe a ritirarsi e si limita ad affrontare l'essenza",<ref>Franz Rosenzweig, ''Understanding the Sick and the Healthy'', trad. Nahum Glatzer (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1999), 42.</ref> che è senza volto. Lo spirito universale genera una collettività cieca al volto e perciò totalitaria, e il totalitarismo si fonda sull'appropriazione della Parola.
L'antisemitismo laico dei ''Protocolli'', con la sua promulgazione della cospirazione ebraica mondiale, ha i suoi precedenti nell'antisemitismo cristiano. Nel XII secolo, Teobaldo di Cambridge (ca. 1090-1161) sosteneva che ogni anno gli ebrei convocassero un consiglio segreto di rabbini per scegliere un bambino cristiano da sacrificare.<ref>Cfr. Dennis Prager e Joseph Telushkin, ''Why the Jews? The Reason for Antisemitism'' (New York: Simon & Schuster, 2003), 82.</ref> Nel 1307 si affermò che gli ebrei cospirassero con il re Muhammad I di Tunisi per sterminare i cristiani avvelenando tutti i pozzi.<ref>Cfr. Edward H. Flannery, ''The Anguish of the Jews: Twenty-Three Centuries of Anti-Semitism'' (New York:Macmillan, 1965), 107–108.</ref> Gli ebrei, in altre parole, rappresentavano un male pervasivo e invisibile che minacciava l'intera umanità. Qui troviamo un legame tra l'appropriazione della Parola e la diffamazione del sangue, in cui gli ebrei non solo consumano il sangue, ma avvelenano anche la linfa vitale del mondo. In questo modo, lo spargimento di sangue ebraico viene santificato.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
L'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]] è al tempo stesso antica e moderna. Nei suoi commenti sui pagani Democrito, Manetone, Apione e Tacito, Robert Michael osserva che tutti accusavano gli ebrei di consumare il sangue dei non-ebrei nei loro rituali del Tempio.<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 16.</ref> Potevano concepire tali riti, tuttavia, solo in termini pagani, e non nei termini teologici che accompagnavano l'accusa di omicidio di Dio. Con l'avvento del cristianesimo, l'accusa del sangue assunse dimensioni teologiche e fu associata all'omicidio rituale di Dio; non solo gli ebrei assassinavano i bambini cristiani, gli agnelli immacolati, ma li crocifiggevano in una rievocazione ritualizzata dell'uccisione di Cristo. Alla base dell'accusa del sangue, come suggerito nel Capitolo precedente, c'è il desiderio del cristiano di liberarsi dal compito che Cristo gli avrebbe imposto. Perché? Perché Gesù è l'ebreo completo che annuncia l'infinita responsabilità di ciascuno per tutti. Egli non prende il nostro posto sulla croce, ma ci chiama alla croce come sostituto ultimo del nostro prossimo: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» ({{passo biblico2|Gv|15:12-14}}). Senza questa sostituzione non può esserci alcun significato, alcuna importanza nella vita; senza questa sostituzione l'anima è perduta.
Levinas spiega: "Vulnerabilità, esposizione all’oltraggio, alle ferite, passività più passiva di ogni pazienza, passività dell’accusativo, trauma dell’accusa sofferto da un ostaggio fino alla persecuzione, che implica l’identità dell’ostaggio che si sostituisce agli altri... È una sostituzione con un altro, uno al posto di un altro, espiazione".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 14–15.</ref> Comandando con l’esempio, l’ebreo Gesù chiama ciascuno di noi a una sostituzione radicalissima, all’espiazione per i peccati dell’altro. Questa espiazione per l’altro è la via singolare verso la propria redenzione. È l’opposto della "redenzione" acquistata a prezzo di spargimento di sangue, dove l’omicidio si trasforma in "martirio". Se l’ebreo Gesù ci "salva", non è attraverso il suo sangue, ma attraverso il suo insegnamento sulla nostra infinita responsabilità verso e per l’altro, fino alla morte, un insegnamento che egli trasmette con l’esempio. E noi vogliamo ucciderlo, l’ebreo, per questo.
L'unica appropriazione del Divino che potrebbe eccedere l'assassinio di Dio sarebbe il consumo di Dio, il diventare Dio rendendo Dio parte di sé stessi nell'apoteosi suprema del sé. In fondo, la calunnia del sangue, l'affermazione che gli ebrei uccidono i bambini e ne consumano il sangue, è l'accusa che gli ebrei si approprino di Cristo assorbendo in sé colui che è simile a Cristo. Nella calunnia del sangue vediamo una cupa perversione del Sacramento dell'Eucaristia, mediante la quale il credente consuma il sangue e il corpo di Cristo – in un atto non solo di appropriazione, ma di assorbimento. Quando l'antisemita proietta questo consumo di sangue sull'ebreo nella forma della calunnia del sangue, ciò esprime in effetti il suo desiderio di essere come Dio uccidendoLo e consumandoLo. Questa associazione eucaristica sottolinea la natura ritualizzata di questo assassinio; in effetti, non è presentato esattamente come un omicidio, ma come una sorta di sacrificio di sangue satanico, sancito non dal Santo ma dal Maligno.
Nel XIV secolo il rituale fu associato all'osservanza della Pasqua ebraica (Pesach), che è il periodo della Crocifissione. Anche in questo caso, l'accusa di profanazione dell'ostia – prendere il pane sacro della comunione e profanarlo, persino conficcandovi dei chiodi – è associata alla calunnia del sangue come rievocazione dell'omicidio e della consumazione di Dio. Nel 1298, ad esempio, a Röttingen si vociferava che degli ebrei avessero profanato l'ostia, dopodiché, guidati da un nobile tedesco di nome Rindfleisch, gli ''Judenschächter'' o "massacratori di ebrei" uccisero {{FORMATNUM:100000}} ebrei in Germania e distrussero 140 comunità.<ref>Flannery, ''The Anguish of the Jews'', 106–107.</ref> L'accusa persiste nell'epoca moderna. Nel 1881 la rivista vaticana ''[[w:La Civiltà Cattolica|Civiltà Cattolica]]'' tentò di dimostrare che l'omicidio rituale era parte integrante dell'ebraismo; gran parte della loro affermazione si basava sul lavoro del teologo cattolico tedesco August Rohling (1839–1931),<ref>Cfr. Bernard Lewis, ''Semites and Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice'' (New York: W. W. Norton, 1999), 106–107.</ref> che attribuiva agli ebrei l’insegnamento secondo cui "chiunque versi il sangue di un empio [cioè un non-ebreo] porta in tal modo un’offerta sacrificale a Dio”.<ref>August Rohling, ''Der Talmudjude'', 4a ed. (Münster: Adolph Russell’s Verlag, 1872), 41; mia trad.</ref> A dire il vero, secondo Robert Michael tra il 1880 e il 1945 ci furono tanti casi di accuse del sangue quanti ce ne furono durante l’intero Medioevo.<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 170.</ref>
Con l'avvento della modernità, l'attingere alle tradizionali manifestazioni cristiane della calunnia del sangue divenne naturale per gran parte del mondo musulmano. L'affare di Damasco del 1840, quando otto ebrei della città furono accusati di omicidio rituale in seguito alla scomparsa del monaco cappuccino Padre Thomas,<ref>Cfr. Jonathan Frankel, ''The Damascus Affair: “Ritual Murder,” Politics, and the Jews in 1840'' (Cambridge, UK: Cambridge University Press, 1997).</ref> è forse il più famigerato, ma non fu l'unico. C'erano già stati casi ad Hama (1829), Beirut (1824) e Antiochia (1826); nel 1872 ci fu un pogrom contro gli ebrei di Smirne in seguito all'ennesima calunnia del sangue.<ref>Cfr. Robert Wistrich, ''A Lethal Obsession: Anti-Semitism from Antiquity to the Global Jihad'' (New York: Random House, 2010), 787.</ref> La calunnia continua ancora oggi. Il 24 aprile 1970 la radio Fatah riferì che i sionisti stavano rapendo bambini dalle strade per prelevarne il sangue. Nel 1983 l’ex ministro della Difesa siriano [[w:Mustafa Tlass|Mustafa Tlas]] (1932–2017) pubblicò un libro intitolato ''[[:en:w:Mustafa Tlass#The Matzah of Zion|The Matzah of Sion]]'', in cui sosteneva che gli ebrei uccidono i bambini per ottenere il sangue per la [[w:matzah|matzah]] di [[w:Pesach|Pesach]].<ref>Cfr. Barry Rubin, ''Revolution Until Victory? The Politics and History of the PLO'' (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1994), 125.</ref> Un anno dopo, in una conferenza della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla tolleranza religiosa, il rappresentante saudita Dr. Maruf al-Dawalibi (1909–2004) affermò: "Se un ebreo non beve ogni anno il sangue di un uomo non ebreo, allora sarà dannato per tutta l’eternità".<ref>Cfr. Lewis, ''Semites and Anti-Semites'', 194.</ref> Nel 2002 il Dr. Umayma Ahmad al-Jalahma della King Faisal University pubblicò un articolo sul quotidiano saudita ''Al-Riyadh'' accusando gli ebrei della diffamazione del sangue.<ref>Cfr. Kenneth R. Timmerman, ''Preachers of Hate: Islam and the War on America'' (New York: Three Rivers Press, 2004), 74–76.</ref> Nel 2003 una società cinematografica privata siriana produsse una serie intitolata ''Ash-Shatat (La diaspora)'', che era basata in parte sui famigerati ''Protocolli dei Savi di Sion'' e ritraeva drammatiche ricostruzioni della diffamazione del sangue; La serie è andata in onda sulla stazione televisiva satellitare di Hezbollah, Al-Manar. In una conferenza all'Università della California, a Riverside, nel 2014, [[:en:w:Omar Barghouti|Omar Barghouti]] (n. 1964), fondatore del ''[[w:Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni|Boycott, Divestment, Sanctions Movement]]'' (2005), ha incitato all'odio verso gli ebrei ribadendo la calunnia del sangue nella sua affermazione che i soldati israeliani "davano la caccia ai bambini" ogni notte.<ref>“Palestinian BDS National Committee,” BDS.</ref>
L'accusa di sangue che i jihadisti attribuiscono agli ebrei è una proiezione della loro sete di sangue deicida. Il 28 novembre 1971, il primo ministro giordano [[:en:w:Wasfi Tal|Wasfi al-Tal]] (1919-1971) fu [[:en:w:Assassination of Wasfi Tal|assassinato]] dal gruppo palestinese [[w:Settembre nero in Giordania|Settembre Nero]] di fronte all'Hotel Sheraton del Cairo, dopodiché uno degli assassini si avvicinò, si chinò e leccò il sangue della sua vittima.<ref>Cfr. Rubin, ''Revolution Until Victory?'', 37–38. Settembre Nero fu fondato nel 1970 per vendicare l'uccisione di diverse migliaia di palestinesi da parte della Giordania nel settembre del 1970.</ref> Ancora più significativo è il video prodotto da Hamas nel febbraio 2006. Fu l'ultima testimonianza al mondo di un attentatore omicida: "Il mio messaggio agli ebrei odiati", dichiarò, "è che non c'è altro dio all'infuori di Allah [e] vi daremo la caccia ovunque! Siamo una nazione che beve sangue e sappiamo che non c'è sangue migliore del sangue degli ebrei. Non vi lasceremo soli finché non avremo placato la nostra sete con il vostro sangue e la sete dei nostri figli con il vostro sangue".<ref>Itamar Marcus e Barbara Cook, "Hamas Video: ‘We Will Drink the Blood of the Jews’" ''Palestine Media Watch, February 14, 2006''.</ref> Sì: la sete dei ''nostri figli con il vostro sangue''. Poi ci sono le fotografie di bambini dell'asilo, con le mani alzate e dipinte di rosso sangue, a imitare il gesto degli assassini insanguinati che massacrarono Yossi Avrahami e Vadim Norjitz a Ramallah il 13 ottobre 2000.<ref>Cfr. "The Ramallah Lynching", ''Think-Israel, September–October 2010'', [http://www.think-israel.org/freerepublic.octoberramallahlynch.html] (accesso 21/06/25).</ref> Episodi come questi riportano alla mente un'interpretazione rabbinica del significato di ''Amalek'', la tribù che attaccò i bambini e gli anziani tra gli Israeliti mentre uscivano dall'Egitto. ''Amalek'', dice il ''Midrash'', significa ''Am Lak'', un "popolo" che "lecca" il sangue (''Tanchuma Teitzei'' 9). Che lecchino il sangue o vi immergano le mani, i jihadisti prosperano sul sangue degli ebrei.
Chi, secondo la Torah, è il padre di Amalek? È Esaù ({{passo biblico2|Genesi|36:12}}). "Esaù disse a Giacobbe: ‘Versami, per favore, un po' di quella roba rossa, rossa, perché sono molto stanco’. Per questo lo chiamarono Edom [che significa ‘rosso’]" ({{passo biblico2|Genesi|25:30}}). Secondo il commentario di [[w:Rashi|Rashi]], questo incontro avvenne il giorno della morte di Abramo. Rashi, infatti, suggerisce che Abramo scelse di morire prima del tempo perché non voleva vivere abbastanza a lumgo da vedere cosa sarebbe diventato Esaù – o cosa sarebbero diventati i suoi discendenti. Questo è il momento della caduta di Esaù dall'Alleanza, quando barattò la sua eredità in cambio di una bevanda di "rossa, roba rossa" ― la roba da cui si deve bere per diventare come Dio. Perché l'unica alternativa al vivere nell'Alleanza con il Dio vivente è diventare come Dio, come disse il serpente. E dove il sangue dell'Alleanza della Circoncisione viene rifiutato, il sangue del nostro prossimo viene versato. Questo è il momento della transizione da Esaù a Edom, alla tradizione rosso sangue di Edom, che è Roma, che è il Cristianesimo con la sua accusa di sangue e le sue successive manifestazioni. Esaù fu chiamato Edom a causa della ''sostanza rossa'', il sangue di Giacobbe che i suoi discendenti avrebbero consumato.
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
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{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
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[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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[[File:Eduard Bendemann- Die trauernden Juden im Exil um 1832.jpg|740px|center|Jews Mourning in Exile, by Eduard Bendemann (1832)]]
== Parola, Sangue, Redenzione: l'essenza dell'antisemitismo ==
Ora che abbiamo compreso il ''Perché'' dell'antisemitismo, passiamo alla questione della sua essenza. Che sia teologico o ideologico, il quadro dell'antisemitismo sistematico e istituzionale richiede l'appropriazione o la rimozione della Parola Sacra, la Parola di Verità, affinché abbia l'ultima parola. Analogamente, deve esserci un'appropriazione dell'anima in vista della purificazione del corpo dei credenti o del corpo politico, che assume la forma dell'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]], dello spargimento e purificazione del sangue. Infine, l'appropriazione della Parola e lo spargimento di sangue consentono all'antisemita di determinare il progetto di redenzione, che risieda nell'ingresso dell'anima in un paradiso celeste o nell'ingresso del popolo in un'utopia terrena. In questo Capitolo, quindi, mostrerò che l'essenza dell'antisemitismo, così come rivelata nella sua storia, si manifesta in tre modi fondamentali, ognuno dei quali è legato all'altro: l'appropriazione della Parola, lo spargimento di sangue e la determinazione della redenzione.
=== L'appropriazione della parola ===
"There was among the pagans", osserva [[:en:w:Robert Michael (historian)|Robert Michael]], "no belief or feeling that eternal salvation depended on hating Jews. There was no array of theological ideas supporting, justifying, legitimizing, and sanctifying anti-Jewish hostilities".<ref>Robert Michael, ''Holy Hatred: Christianity, Antisemitism, and the Holocaust'' (New York: Palgrave Macmillan, 2006), 16.</ref> I pagani non avevano Scritture, nessuna Parola che fosse in principio (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|1:1}}), nessuna Parola che fosse la Via, la Verità e la Vita (cfr. {{passo biblico2|Giovanni|14:6}}). ''Santificare'', tuttavia, significa rendere qualcosa sacro, in modo da collocare l'odio per gli ebrei in una categoria che trascende le contingenze ontologiche. Una volta santificato l'odio per gli ebrei, l'ebreo viene inserito in una categoria metafisica, che richiede l'appropriazione della Parola agiografica, la Parola Santa, in modo tale da sostituire, eclissare e altrimenti ovviare alle Scritture ebraiche degli ebrei, scritte nella lingua del Santo.
L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] è il ''Lashon HaKodesh'', la "Lingua Santa", per diverse ragioni. Il Rebbe di Piaseczna, Rabbi [[:en:w:Kalonymus Kalman Shapira|Kalonymos Kalmish Shapira]], paragona la santità dell'ebraico alla santità dello Shabbat: così come lo Shabbat conferisce significato e santità agli altri giorni della settimana, così la lingua ebraica conferisce significato e santità alle altre lingue dell'umanità.<ref>Cfr. Kalonymos Kalmish Shapira, ''Sacred Fire: Torah from the Years of Fury 1939–1942'', trad. J. Hershy Worch, ed. Deborah Miller (Northvale, NJ: Jason Aronson, 2000), 46–47.</ref> L'attacco alla Parola, la privazione delle parole del loro significato, fu uno dei principali mezzi utilizzati dai nazisti per attaccare il Santo. Come ricorda [[:en:w:Sara Nomberg-Przytyk|Sara Nomberg-Przytyk]] (1915-1990) nelle sue memorie, "the new set of meanings that the Nazis imposed on words provided the best evidence of the devastation that Auschwitz created".<ref>Sara Nomberg-Przytyk, Auschwitz: True Tales from a Grotesque Land, trans. Roslyn Hirsch (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1985), 72.</ref> La Parola che subì l'attacco radicale dei nazisti fu la Parola Ebraica: mentre i nazisti lasciarono intatte le traduzioni tedesche della Bibbia, bruciarono le Bibbie ebraiche.<ref>Cfr. Alon Confino, "Why Did the Nazis Burn the Hebrew Bible? Nazi Germany, Representations of the Past, and the Holocaust", ''The Journal of Modern History'', 84 (giugno 2012): 369–400.</ref>
L'intuizione di Rabbi Shapira affonda le sue radici in un insegnamento del saggio talmudico [[:en:w:Johanan bar Nappaha|Rabbi Yochanan]], il quale sostiene che quando Dio creò i cieli e la terra, la Sua prima parola si divise in settanta scintille. Da quelle settanta scintille emersero le settanta lingue del mondo (''Shabbat'' 88b). Il ''Midrash'' sui Salmi contiene una variazione su questo tema: "Quando il Santo, benedetto Egli sia, emanò la Parola Divina, la voce si divise in sette voci e dalle sette voci passò nelle settanta lingue delle settanta nazioni" (''Midrash Tehilim'' 2.68.6). La lingua che accende le settanta lingue delle settanta nazioni è il ''Lashon HaKodesh''. "Poiché tutte le settanta lingue fluiscono dalla lingua santa", afferma Rabbi [[:en:w:Yehudah Aryeh Leib Alter|Yehudah Leib Alter di Ger]], il grande saggio chassidico del diciannovesimo secolo. "È la Torah che dà vita a tutte quelle lingue".<ref>Yehudah Leib Alter, ''The Language of Truth: The Torah Commentary of the Sefat Emet'', trad. {{en}} Arthur Green (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1998), 62.</ref> Quella scintilla di vita che scaturisce dalla Parola Divina è ciò che infonde significato nel linguaggio.
L'ebraico non è quindi solo una delle lingue delle nazioni; piuttosto, in quanto veicolo della voce divina, precede tali lingue. Infatti, secondo un antico testo mistico, il ''Sefer Yetzirah (Il Libro della Creazione)'', i trentadue riferimenti a Dio nel primo capitolo della Genesi corrispondono alle dieci ''sefirot'' e alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico (''Sefer Yetzirah'' 1:1). Michael Munk sottolinea un ulteriore insegnamento: "That the twenty-two letters of the ''Aleph-Bais'' [alphabet] were used to create the world is alluded to by the ''gematria'' [numerical value] of the first three words of the Torah ''bereshit bara Elokim'', ‘in the beginning God created’ (1202), which is the same as the ''gematria'' of ''bekh”v otiot bara'', ‘with 22 letters He created’ the world".<ref>Michael L. Munk, ''The Wisdom in the Hebrew Alphabet: The Sacred Letters as a Guide to Jewish Deed and Thought'' (Brooklyn, NY: Mesorah, 1983), 222.</ref> Pertanto, la tradizione vuole che l'ebraico sia più antico della creazione stessa, poiché è la materia stessa della creazione. A dimostrazione di ciò, il Talmud racconta che il giorno prima che il Faraone nominasse Giuseppe a governare l'Egitto, gli disse che lo avrebbe messo alla prova la mattina seguente per vedere se conosceva le settanta lingue delle settanta nazioni, così da poter possedere la saggezza necessaria per governare. Quella notte l'angelo Gabriele venne e insegnò a Giuseppe le settanta lingue, così che potesse dimostrare al Faraone di conoscerle tutte, più una: l'ebraico. E il Faraone gli chiese di non rivelare di conoscere una lingua in più rispetto al Faraone (''Sotah'' 33a; cfr. anche Bachya ben Asher su Numeri 19:2).
Da un punto di vista metafisico ebraico, l'ebraico non è ''nel'' mondo; piuttosto, il mondo – tutto il cielo e la terra – è racchiuso nella lingua ebraica, cosicché qui l'appropriazione della Parola agiografica è un'appropriazione della creazione e della realtà stessa. Il Baal Shem Tov insegna che in ogni lettera "ci sono mondi, anime e poteri divini che si interconnettono e si uniscono" (''Keter Shem Tov'' 1). Così, dice il Baal Shem, nelle lettere della Torah dimora la Luce vivente dell'Uno Infinito; quella luce è la sostanza delle nostre vite e del nostro apprendimento (cfr. ''Keter Shem Tov'' 96). Come ci avviciniamo a quella luce? Attraverso la Lingua Sacra. [[w:Yitzchak Ginsburgh|Yitzchak Ginsburgh]] spiega che ciascuna delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico possiede tre poteri creativi noti come ''koach'' o "energia", ''chiyut'' o "vita" e ''or'' "luce", corrispondenti rispettivamente alla materia fisica, alla materia organica e all'anima. Le lettere ebraiche, afferma Rabbi Ginsburgh, funzionano come "i mattoni energetici di tutta la realtà; come la manifestazione del battito vitale interiore che permea l'universo nel suo insieme e ciascuna delle sue singole creature...; e come i canali che dirigono l'afflusso della Rivelazione Divina nella coscienza creata".<ref>Yitzchak Ginsburgh, ''The Alef-Beit: Judaism Revealed Through the Hebrew Letters'' (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1991), 2–3.</ref> L'appropriazione della Parola che caratterizza l'essenza dell'antisemitismo comporta l'appropriazione della coscienza.
"L'anima", insegna [[w:Abraham Isaac Kook|Abraham Isaac Kook]], "è piena di lettere [ebraiche] che abbondano della luce della vita, dell'intelletto e della volontà, di uno spirito di visione e di un'esistenza completa".<ref>Abraham Isaac Kook, ''Orot'', trad. Bezalel Naor (Northvale, NJ: Jason Aronson, 1993), 93.</ref> E il cabalista del XIII secolo [[Abraham Abulafia]] (1240 – ca. 1291) afferma che "le lettere sono senza dubbio la radice di ogni saggezza e conoscenza".<ref>Citato in Moshe Idel, ''The Mystical Experience in Abraham Abulafia'' (Albany, NY: SUNY Press, 1988), 101. Cfr. anche il mio ''[[Abulafia e i segreti della Torah]]'' (2022).</ref> Racchiuso tra le lettere c'è l'eloquente silenzio che precede e riverbera in quello che [[w:Martin Buber|Martin Buber]] chiama "il silenzio di tutte le lingue".<ref>Martin Buber, ''I and Thou'', trad. Walter Kaufmann (New York: Charles Scribner’s Sons, 1970), 89.</ref> L'ebraico è la lingua che conferisce un significato trascendente al linguaggio. Pertanto è la lingua che l'antisemita deve cancellare o appropriarsi. Quando Dio parla sul Monte Sinai, parla Torah; se Egli parla ebraico, allora anche quello è Torah. Quindi l'ebraico è la Lingua Santa non perché la Torah sia scritta in ebraico, ma piuttosto la Torah è scritta in ebraico perché è la Lingua Santa, la lingua di ciò che il Midrash chiama fuoco nero su fuoco bianco (''Devarim Rabbah'' 3:12), sia come mezzo che come messaggio. Lo ''[[Zohar]]'' descrive la Torah come il progetto – l'anima e la sostanza – di tutta la creazione: quattro volte, dice Rabbi Shimon, il Santo guardò nella Torah prima di iniziare la Sua opera di creazione (''Zohar'' I, 5a; cfr. anche ''Bereshit Rabbah'' 1:1; ''Tanchuma Bereshit'' 1).
Poiché la Torah si riveste di abiti ebraici, la sua forma e la sua sostanza sono un tutt'uno: la lingua ebraica stessa è parte della rivelazione che è la Torah. L'ebraico deriva la sua santità non dal fatto di essere la lingua della Scrittura, ma dal suo status di fondamento primordiale della verità e del significato della creazione – di conseguenza diventa la lingua della Scrittura, la Parola agiografica di cui l'antisemita deve appropriarsi. "All'ebraico", dice Judah Halevi (ca. 1075-1141), "appartiene il primo posto, sia per quanto riguarda la ''natura della lingua'', sia per quanto riguarda la ''pienezza dei significati''" (''Kitav al-khazari'' 2:66, corsivo aggiunto). E l'ebraico, la Parola agiografica, è il primo bersaglio dell'antisemita, sia teologicamente che ideologicamente. Non c'è insegnamento e testimonianza ebraica che non sia guidata dalla Lingua Sacra, la lingua della Scrittura. Pertanto, l'antisemita deve istituire una nuova Scrittura che sostituisca o ovvii alla testimonianza scritturale del popolo ebraico.
[[Emmanuel Levinas]] sottolinea un punto importante a questo proposito. "Non conosciamo più la differenza che distingue il Libro dalla documentazione", lamenta:
{{citazione|In the former there is an inspiration purified of all the vicissitudes and all the “experiences” that had been its occasion, offering itself as Scripture whereby each soul is called to exegesis, which is both regulated by the rigorous reading of the text and by the unicity – unique in all eternity – of its own contribution, which is also its discovery, the soul’s share.|[[Emmanuel Levinas]], ''New Talmudic Readings'', trad. {{Lingue|en}} Richard A. Cohen (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1999), 75–76}}
Ecco perché l'antisemita deve appropriarsi della Parola agiografica nel suo assalto non solo al corpo dell'ebreo, ma anche all'anima dell'ebreo e, per estensione, all'anima di ogni essere umano. Nel corso dei secoli, l'appropriazione antisemita della Parola ha assunto una varietà di forme, a partire dal progetto dei Padri della Chiesa di degiudaizzare il cristianesimo. Questo inizia con la traduzione dei testi sacri dall'ebraico al latino da parte di [[w:San Girolamo|Girolamo]] (342/7-420) tra il 390 e il 405, un'iniziativa che coincise con l'istituzione del cristianesimo come religione ufficiale dell'autorità romana nel 380: la lingua del potere e la lingua della Scrittura divennero la stessa cosa. Nei secoli successivi, relativamente pochi teologi cristiani studiarono effettivamente le Scritture in ebraico, ma si affidarono piuttosto alla ''[[w:Vulgata|Vulgata]]'', così che nella Chiesa romana il latino soppiantò l'ebraico come nuova Lingua Sacra,<ref>1Cfr. Andrew Cain e Josef Lössl, eds., ''Jerome of Stridon: His Life, Writings and Legacy'' (Farnham: Ashgate Publishing, 2009), 124–125.</ref> la lingua della Scrittura e la lingua della preghiera. Questa iniziativa è essenziale per il superamento e sostituzione dell'ebraismo.
Questa degiudaizzazione delle Scritture ebraiche comporta non solo l'appropriazione delle Scritture, ma anche la santificazione degli insegnamenti dei santi, che diventano essi stessi parte della nuova Parola agiografica. Nel quarto secolo Giovanni Crisostomo (347–407) descrisse il giudaizzare come una "malattia"<ref>{{en}}John Chrysostom, ''Discourses Against Judaizing Christians'', trad. Paul W. Harkins (Washington, DC: Catholic University Press of America, 1979), 15.</ref> (un tropo antisemita da affrontare in relazione al sangue), e il suo contemporaneo Girolamo "scrisse ad Agostino che se agli ebrei convertiti fosse stato permesso di praticare anche un solo frammento della loro precedente religione, ‘non diventeranno cristiani, ma ci renderanno ebrei... Le cerimonie degli ebrei sono perniciose e mortali; e chiunque le osservi, sia ebreo che gentile, è caduto nella fossa del diavolo’".<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 21.</ref> In effetti, Agostino (354–430) sosteneva che i cristiani che osservavano anche il più piccolo dei rituali ebraici erano eretici (ci si chiede se questo includesse Gesù e i suoi discepoli!).<ref>Citato in ''ibid.'', 29.</ref> Il [[w:Concilio di Antiochia (341)|Concilio di Antiochia]] (341), inoltre, proibì ai cristiani di celebrare la Pesach (Pasqua) e il [[w:Sinodo di Laodicea|Concilio di Laodicea]] (363-364) proibì ai cristiani di osservare il Sabbath ebraico.<ref>Cfr. Dan Cohn-Sherbok, ''Anti-Semitism'' (Stroud: The History Press, 2002), 48.</ref> Secoli dopo il giudaizzare sarebbe divenuto l'eresia principale presa di mira dall'Inquisizione spagnola (1478-1834); secondo [[w:Henry Kamen|Henry Kamen]], delle oltre duemila persone sottoposte ad ''autodafé'' tra il 1480 e il 1530, circa il 99,3 per cento erano cosiddetti cripto-ebrei.<ref>Henry Kamen, ''The Spanish Inquisition: A Historical Revision'' (New Haven, CT: Yale University Press, 1998), 60.</ref>
Nel 1534 [[w:Martin Lutero|Martin Lutero]] (1483-1546) completò la traduzione della Bibbia ebraica in tedesco, un progetto simile di appropriazione della Parola per adattarla al suo programma antisemita, che chiarisce in ''[[w:Degli ebrei e delle loro menzogne|Degli ebrei e delle loro menzogne]]'' (1543):
{{citazione|[Sono] passati millecinquecento anni da quando Vespasiano e Tito distrussero Gerusalemme ed espulsero gli ebrei dalla città... Un'ira così spietata di Dio è prova sufficiente che essi hanno sicuramente errato e si sono sviati... Infatti non si osa considerare Dio così crudele da punire il suo popolo tanto a lungo, così terribilmente, così spietatamente, e per di più tacere, confortandolo né con parole né con fatti, e non fissando alcun limite di tempo né alcuna fine... Pertanto quest'opera d'ira è la prova che gli ebrei, sicuramente rigettati da Dio, non sono più il suo popolo, e neppure lui è più il loro Dio.|{{en}}Martin Luther, ''On the Jews and Their Lies'', 1543, mia trad.}}
Se Egli non è più il loro Dio, allora la Santa Parola non è più la loro Parola; né, per il Riformatore, la Parola della Vulgata è più la Santa Parola. Da qui la necessità di una nuova traduzione, in cui è incastonata una nuova dispensazione. Con la nuova dispensazione che accompagna la nuova appropriazione della Parola giunge una nuova ascesa al Trono del Giudizio Divino. Colui che detiene la chiave della salvezza infligge anche dannazione, e colui che infligge dannazione inevitabilmente infligge morte, a cominciare dagli ebrei. Nel suo ''Von Schem Hemphoras'' (1543), Lutero scrisse che "il Dio degli ebrei è il diavolo".<ref>Citato in Michael, ''Holy Hatred'', 111.</ref> In quanto coloro il cui Dio è il diavolo, gli ebrei sono l'antitesi di coloro il cui padre è Dio; in quanto incarnazione dell'Anticristo, devono necessariamente rifiutare il Cristo. Il loro disprezzo per l'evidente verità della Parola appropriata li rende non solo spregevoli, ma i nemici per eccellenza della Verità, i figli del Padre della Menzogna. Poiché gli ebrei sono seguaci del Padre della Menzogna, Hitler proclama che "l’intera esistenza di questo popolo [gli ebrei]... si basa su una menzogna continua", un’affermazione la cui verità, dice il Führer, è dimostrata da un altro testo che eclissa la Parola: ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|I Protocolli dei Savi di Sion]]'' (vedi sotto).<ref>Adolf Hitler, ''Mein Kampf'', trad. {{en}} Ralph Manheim (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1971), 307. Mia trad. {{it}}.</ref>
L'Islam intraprende la propria appropriazione della Parola agiografica, la Parola di Verità, non attraverso una traduzione della Bibbia ebraica in arabo, ma sostituendo la falsa Bibbia ebraica con la vera Bibbia, la vera Parola dell'Islam: il Corano. "Questo è il Libro!" dice il Profeta ([https://sufi.it/il-sacro-corano/2-surat-al-baqara/ 2:2]).<ref>Cfr. ''The Clear Quran'', trad. Mustafa Khattab (Lombard, IL: Book of Signs Foundation, 2016). In italiano cfr. ''[https://sufi.it/il-sacro-corano/ Il Sacro Corano]''.</ref> Poiché il Corano è il Libro, la Sacra Parola di Verità, le Scritture degli ebrei e dei cristiani sono piene di menzogne. "I malfattori [gli ebrei] alterarono le parole che era stato loro comandato di dire" (2:59).<ref>''Ibid.''</ref> E: "In verità, c'è tra loro [gli ebrei] un gruppo che altera la Scrittura con le loro lingue, così che tu possa pensare che provenga dalla Scrittura, ma non è dalla Scrittura. E dicono: "Questo viene da Allah", ma non viene da Allah. E dicono falsità contro Allah" ([https://sufi.it/il-sacro-corano/3-surat-al-imran/ 3:78]).<ref>Cfr. anche {{en}}''The Quran'', trad. Saheeh International (Lake City, MN: Saheeh International, 1997).</ref> Come corruttori della legge e degli insegnamenti di Allah, afferma il principale ideologo dei Fratelli Musulmani e del Jihad Islamico Sayyid Qutb, “i Figli di Israele, sia prima che dopo Mosè, macchiarono e pervertirono il suo messaggio”.<ref>Sayyid Qutb, ''Basic Principles of the Islamic Worldview'', traf. Rami David, prefazione di Hamid Algar (North Haledon, NJ: Islamic Publications International, 2006), 207.</ref> ''Prima'' di Mosè, ''prima'' della rivelazione della Parola sul Monte Sinai, gli ebrei pervertono la Parola Santa perché tale malvagità è la loro essenza: pervertono il messaggio prima che ci sia un messaggio.
Nella tradizione ebraica, la ''Mishnah'', il ''Midrash'' e la ''[[Kabbalah]]'' costituiscono quella che è nota come Torah Orale. L'Islam ha una tradizione orale sacra simile negli Hadith, che comprende insegnamenti basati sulle parole e le azioni del Profeta che non fanno parte del Corano. Il primo compilatore noto di tradizioni tratte dagli Hadith è [[:en:w:Abd Allah ibn al-Mubarak|Abdallah ibn al-Mubarak]] (m. 797).<ref>Cfr. David Cook, ''Understanding Jihad'' (Berkeley: University of California Press, 2005), 14.</ref> Le sei principali raccolte che compongono gli Hadith sono Sahih al-Bukhari, compilata da Muhammad ibn Ismail al-Bukhari (810-70); Sahih Muslim, raccolta da Muslim ibn al-Hajjaj (821-75); Sunan Abu Daud, raccolta da Abu Daud al-Sijistani (817-88); Sunan al-Tirmidi, messa insieme da 'Isa Muhammad ibn 'Isa al-Tirmidi (824-92); Sunan Ibn Majah, raccolta da Muhammad ibn Yazid ibn Majah (824-87); e Sunan al-Nasai, compilata da Ahmad ibn al-Nasai (829-915). Questi testi sono secondi solo al Corano come fonti autorevoli su cosa credere e come vivere; anch'essi appartengono alla Parola agiografica di cui l'Islam si è appropriato.
Lo studioso musulmano [[:en:w:Khaleel Mohammed|Khaleel Mohammed]] spiega che l'Hadith è la fonte primaria degli insegnamenti islamici più antisemiti, al punto che, basandosi solo sull'Hadith, l'odio per gli ebrei sembrerebbe essere un principio fondamentale dell'Islam.<ref>Khaleel Mohammed, “Antisemitism in Islamic Texts and Traditions,” ''lecture given at the University of Memphis, March 14, 2007''.</ref> Nell'Hadith, ad esempio, troviamo l'insegnamento che "l'ultima ora non arriverà a meno che i musulmani non combattano contro gli ebrei e i musulmani non li uccidano finché gli ebrei non si nascondano dietro una pietra o un albero e una pietra o un albero non dicano: musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me; vieni e uccidilo" (''Sahih Muslim'', Libro 41, Numero 6985).<ref>Citato in David Aaron, ''In Their Own Words: Voices of Jihad'' (Santa Monica, CA: Rand Corporation, 2008), 43–44.</ref> La natura stessa vomita gli ebrei nel processo di redenzione dell'umanità. Perché? Perché gli ebrei non rappresentano una menzogna o una falsità qualsiasi, ma una menzogna che gli ebrei spacciano per la Sacra Parola di Dio, una menzogna che mina la creazione stessa. Pertanto non può esserci posto per gli ebrei nella creazione di Dio. Condurre una guerra santa contro gli ebrei significa condurre una guerra per amore della Verità Divina. Gli ebrei, dichiara Sayyid Qutb, sono "falsificatori della Verità Divina".<ref>Citato in Ronald L. Nettler, ''Past Trials and Present Tribulations: A Muslim Fundamentalist’s View of the Jews'' (Oxford, UK: Pergamon, 1987), 2, 7.</ref> Se si ama la verità e si odia la menzogna, allora l'odio per gli ebrei è un segno di rettitudine. Lo scopo dell'appropriazione della Parola agiografica, quindi, è giustificare l'odio per gli ebrei, fornirgli una sanzione divina, rendendolo qualcosa di santo e gradito a Dio.
L'appropriazione islamica della Parola nella sua forma jihadista è esemplificata nella [[:en:w:1988 Hamas charter|Carta di Hamas]], nota come Carta di Allah, con l'implicazione che Hamas ''sia'' Allah (che verrà esaminata in dettaglio nel [[Connessioni/Capitolo 8|Capitolo 8]]). La Carta di Allah invoca tre categorie di testi probatori per dimostrare la veridicità del manifesto, tutti e tre i quali rappresentano un'appropriazione della Parola agiografica: il Corano, gli Hadith e i ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'', la famigerata falsificazione di appunti presumibilmente presi in una riunione segreta dei leader dell'ebraismo globale che complottavano per conquistare il mondo.
[[File:The Protocols of the Elders of Zion by Nilus (1912) - cleaned.jpg|200|right|thumb|Edizione russa dei ''[[w:Protocolli dei Savi di Sion|Protocolli]]'' del 1912]]
''I Protocolli'' videro la luce per la prima volta nel 1903 su ''Znamya (La Bandiera)'', un giornale antisemita pubblicato a San Pietroburgo. "Agenti dei servizi segreti russi sotto la guida di Pëtr Ivanovič Račkovskij [1853-1910]", spiega Stephen Atkins, "plagiarono due opere – ''Biarritz'' (1868) di Hermann Goedsche [1815-1878] e ''A Dialogue in Hell: Conversations between Machiavelli and Montesquieu about Power and Right'' (1864) di Maurice Joly [1829-1878] – per produrre la versione finale dei ''Protocolli dei Savi Anziani di Sion'' [come è anche noto] tra il 1897 e il 1899".<ref>Stephen E. Atkins, ''Holocaust Denial as an International Movement'' (Westport, CT: Praeger, 2009), 16.</ref> Poco dopo la loro comparsa su ''Znamya'', il giurista russo Sergej Aleksandrovič Nilus (1863-1929) assunse la direzione della pubblicazione e della diffusione dei ''Protocolli''.
Il Primo Protocollo dichiara che, in quanto incarnazione del male, gli ebrei sono decisi a sradicare "l'alto carattere morale: franchezza, onore, onestà".<ref>"Protocols of the Elders of Zion", in Richard S. Levy, ''Antisemitism in the Modern World: An Anthology of Texts'' (Lexington, MA: D. C. Heath and Company, 1991), 152.</ref> Gli ebrei portano avanti questo nefasto progetto corrompendo la cultura e plasmando l'opinione pubblica. "Attraverso la stampa", afferma il Secondo Protocollo, "otteniamo influenza ma rimaniamo nell'ombra",<ref>''Ibid.'', 156.</ref> atroci e nascosti. Nascosti nell'ombra, gli ebrei manipolano i registri del mondo: "Con l'aiuto dell'oro, che controlliamo completamente, e con i metodi subdoli a nostra disposizione, provocheremo una crisi economica universale".<ref>''Ibid.'', 159</ref> Interessati solo al loro potere, gli ebrei sono i veri razzisti, che considerano i non-ebrei come "un gregge di pecore castrate" e se stessi come "i lupi", che naturalmente predano le pecore, non apertamente ma segretamente infiltrandosi nei governi e nelle organizzazioni segrete come la Massoneria.<ref>''Ibid.'', 161.</ref> Una volta ottenuto il controllo, il loro piano è quello di eliminare chiunque si opponga a loro.<ref>''Ibid.'', 164.</ref> Così nei ''Protocolli'', la Parola agiografica laica, vediamo proiettati sugli ebrei tutti i classici tropi dell'antisemitismo: sono la più grande minaccia alla società morale, decisi a un governo totalitario, decisi ad accumulare la ricchezza del mondo, i sinistri manipolatori del pensiero stesso.
La stragrande maggioranza dei promotori tedeschi dei ''Protocolli'' erano professori universitari e intellettuali culturali,<ref>Michael Mack, ''German Idealism and the Jew: The Inner Anti-Semitism of Philosophy and German Jewish Responses'' (Chicago: University of Chicago Press, 2003), 170.</ref> il cui pensiero derivava dall'idealismo tedesco o dal Volkismo tedesco, guidati da un modo di pensare che non poteva che categorizzare gli ebrei come la più grande di tutte le minacce possibili: il male dell'ebreo è l'essenza dell'ebreo. Nella sua appropriazione filosofica, politica e culturale della Parola agiografica, l'antisemitismo si basa sul pensare in termini di essenza, e non in termini di un nome o di un fatto temporalmente determinato. "I termini della vita", afferma [[Franz Rosenzweig]], "non sono ‘essenziali’ ma ‘reali’; non riguardano l’‘essenza’ ma il ‘fatto’. Ciononostante, la parola del filosofo rimane ‘essenziale’. Cedendo allo stupore, fermandosi e trascurando le operazioni della realtà, egli si costringe a ritirarsi e si limita ad affrontare l'essenza",<ref>Franz Rosenzweig, ''Understanding the Sick and the Healthy'', trad. Nahum Glatzer (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1999), 42.</ref> che è senza volto. Lo spirito universale genera una collettività cieca al volto e perciò totalitaria, e il totalitarismo si fonda sull'appropriazione della Parola.
L'antisemitismo laico dei ''Protocolli'', con la sua promulgazione della cospirazione ebraica mondiale, ha i suoi precedenti nell'antisemitismo cristiano. Nel XII secolo, Teobaldo di Cambridge (ca. 1090-1161) sosteneva che ogni anno gli ebrei convocassero un consiglio segreto di rabbini per scegliere un bambino cristiano da sacrificare.<ref>Cfr. Dennis Prager e Joseph Telushkin, ''Why the Jews? The Reason for Antisemitism'' (New York: Simon & Schuster, 2003), 82.</ref> Nel 1307 si affermò che gli ebrei cospirassero con il re Muhammad I di Tunisi per sterminare i cristiani avvelenando tutti i pozzi.<ref>Cfr. Edward H. Flannery, ''The Anguish of the Jews: Twenty-Three Centuries of Anti-Semitism'' (New York:Macmillan, 1965), 107–108.</ref> Gli ebrei, in altre parole, rappresentavano un male pervasivo e invisibile che minacciava l'intera umanità. Qui troviamo un legame tra l'appropriazione della Parola e la diffamazione del sangue, in cui gli ebrei non solo consumano il sangue, ma avvelenano anche la linfa vitale del mondo. In questo modo, lo spargimento di sangue ebraico viene santificato.
=== Consumare, versare e purificare il sangue ===
L'[[w:accusa del sangue|accusa del sangue]] è al tempo stesso antica e moderna. Nei suoi commenti sui pagani Democrito, Manetone, Apione e Tacito, Robert Michael osserva che tutti accusavano gli ebrei di consumare il sangue dei non-ebrei nei loro rituali del Tempio.<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 16.</ref> Potevano concepire tali riti, tuttavia, solo in termini pagani, e non nei termini teologici che accompagnavano l'accusa di omicidio di Dio. Con l'avvento del cristianesimo, l'accusa del sangue assunse dimensioni teologiche e fu associata all'omicidio rituale di Dio; non solo gli ebrei assassinavano i bambini cristiani, gli agnelli immacolati, ma li crocifiggevano in una rievocazione ritualizzata dell'uccisione di Cristo. Alla base dell'accusa del sangue, come suggerito nel Capitolo precedente, c'è il desiderio del cristiano di liberarsi dal compito che Cristo gli avrebbe imposto. Perché? Perché Gesù è l'ebreo completo che annuncia l'infinita responsabilità di ciascuno per tutti. Egli non prende il nostro posto sulla croce, ma ci chiama alla croce come sostituto ultimo del nostro prossimo: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» ({{passo biblico2|Gv|15:12-14}}). Senza questa sostituzione non può esserci alcun significato, alcuna importanza nella vita; senza questa sostituzione l'anima è perduta.
Levinas spiega: "Vulnerabilità, esposizione all’oltraggio, alle ferite, passività più passiva di ogni pazienza, passività dell’accusativo, trauma dell’accusa sofferto da un ostaggio fino alla persecuzione, che implica l’identità dell’ostaggio che si sostituisce agli altri... È una sostituzione con un altro, uno al posto di un altro, espiazione".<ref>Emmanuel Levinas, ''Otherwise Than Being or Beyond Essence'', trad. Alphonso Lingis (The Hague: Martinus Nijhoff, 1981), 14–15.</ref> Comandando con l’esempio, l’ebreo Gesù chiama ciascuno di noi a una sostituzione radicalissima, all’espiazione per i peccati dell’altro. Questa espiazione per l’altro è la via singolare verso la propria redenzione. È l’opposto della "redenzione" acquistata a prezzo di spargimento di sangue, dove l’omicidio si trasforma in "martirio". Se l’ebreo Gesù ci "salva", non è attraverso il suo sangue, ma attraverso il suo insegnamento sulla nostra infinita responsabilità verso e per l’altro, fino alla morte, un insegnamento che egli trasmette con l’esempio. E noi vogliamo ucciderlo, l’ebreo, per questo.
L'unica appropriazione del Divino che potrebbe eccedere l'assassinio di Dio sarebbe il consumo di Dio, il diventare Dio rendendo Dio parte di sé stessi nell'apoteosi suprema del sé. In fondo, la calunnia del sangue, l'affermazione che gli ebrei uccidono i bambini e ne consumano il sangue, è l'accusa che gli ebrei si approprino di Cristo assorbendo in sé colui che è simile a Cristo. Nella calunnia del sangue vediamo una cupa perversione del Sacramento dell'Eucaristia, mediante la quale il credente consuma il sangue e il corpo di Cristo – in un atto non solo di appropriazione, ma di assorbimento. Quando l'antisemita proietta questo consumo di sangue sull'ebreo nella forma della calunnia del sangue, ciò esprime in effetti il suo desiderio di essere come Dio uccidendoLo e consumandoLo. Questa associazione eucaristica sottolinea la natura ritualizzata di questo assassinio; in effetti, non è presentato esattamente come un omicidio, ma come una sorta di sacrificio di sangue satanico, sancito non dal Santo ma dal Maligno.
Nel XIV secolo il rituale fu associato all'osservanza della Pasqua ebraica (Pesach), che è il periodo della Crocifissione. Anche in questo caso, l'accusa di profanazione dell'ostia – prendere il pane sacro della comunione e profanarlo, persino conficcandovi dei chiodi – è associata alla calunnia del sangue come rievocazione dell'omicidio e della consumazione di Dio. Nel 1298, ad esempio, a Röttingen si vociferava che degli ebrei avessero profanato l'ostia, dopodiché, guidati da un nobile tedesco di nome Rindfleisch, gli ''Judenschächter'' o "massacratori di ebrei" uccisero {{FORMATNUM:100000}} ebrei in Germania e distrussero 140 comunità.<ref>Flannery, ''The Anguish of the Jews'', 106–107.</ref> L'accusa persiste nell'epoca moderna. Nel 1881 la rivista vaticana ''[[w:La Civiltà Cattolica|Civiltà Cattolica]]'' tentò di dimostrare che l'omicidio rituale era parte integrante dell'ebraismo; gran parte della loro affermazione si basava sul lavoro del teologo cattolico tedesco August Rohling (1839–1931),<ref>Cfr. Bernard Lewis, ''Semites and Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice'' (New York: W. W. Norton, 1999), 106–107.</ref> che attribuiva agli ebrei l’insegnamento secondo cui "chiunque versi il sangue di un empio [cioè un non-ebreo] porta in tal modo un’offerta sacrificale a Dio”.<ref>August Rohling, ''Der Talmudjude'', 4a ed. (Münster: Adolph Russell’s Verlag, 1872), 41; mia trad.</ref> A dire il vero, secondo Robert Michael tra il 1880 e il 1945 ci furono tanti casi di accuse del sangue quanti ce ne furono durante l’intero Medioevo.<ref>Michael, ''Holy Hatred'', 170.</ref>
Con l'avvento della modernità, l'attingere alle tradizionali manifestazioni cristiane della calunnia del sangue divenne naturale per gran parte del mondo musulmano. L'affare di Damasco del 1840, quando otto ebrei della città furono accusati di omicidio rituale in seguito alla scomparsa del monaco cappuccino Padre Thomas,<ref>Cfr. Jonathan Frankel, ''The Damascus Affair: “Ritual Murder,” Politics, and the Jews in 1840'' (Cambridge, UK: Cambridge University Press, 1997).</ref> è forse il più famigerato, ma non fu l'unico. C'erano già stati casi ad Hama (1829), Beirut (1824) e Antiochia (1826); nel 1872 ci fu un pogrom contro gli ebrei di Smirne in seguito all'ennesima calunnia del sangue.<ref>Cfr. Robert Wistrich, ''A Lethal Obsession: Anti-Semitism from Antiquity to the Global Jihad'' (New York: Random House, 2010), 787.</ref> La calunnia continua ancora oggi. Il 24 aprile 1970 la radio Fatah riferì che i sionisti stavano rapendo bambini dalle strade per prelevarne il sangue. Nel 1983 l’ex ministro della Difesa siriano [[w:Mustafa Tlass|Mustafa Tlas]] (1932–2017) pubblicò un libro intitolato ''[[:en:w:Mustafa Tlass#The Matzah of Zion|The Matzah of Sion]]'', in cui sosteneva che gli ebrei uccidono i bambini per ottenere il sangue per la [[w:matzah|matzah]] di [[w:Pesach|Pesach]].<ref>Cfr. Barry Rubin, ''Revolution Until Victory? The Politics and History of the PLO'' (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1994), 125.</ref> Un anno dopo, in una conferenza della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla tolleranza religiosa, il rappresentante saudita Dr. Maruf al-Dawalibi (1909–2004) affermò: "Se un ebreo non beve ogni anno il sangue di un uomo non ebreo, allora sarà dannato per tutta l’eternità".<ref>Cfr. Lewis, ''Semites and Anti-Semites'', 194.</ref> Nel 2002 il Dr. Umayma Ahmad al-Jalahma della King Faisal University pubblicò un articolo sul quotidiano saudita ''Al-Riyadh'' accusando gli ebrei della diffamazione del sangue.<ref>Cfr. Kenneth R. Timmerman, ''Preachers of Hate: Islam and the War on America'' (New York: Three Rivers Press, 2004), 74–76.</ref> Nel 2003 una società cinematografica privata siriana produsse una serie intitolata ''Ash-Shatat (La diaspora)'', che era basata in parte sui famigerati ''Protocolli dei Savi di Sion'' e ritraeva drammatiche ricostruzioni della diffamazione del sangue; La serie è andata in onda sulla stazione televisiva satellitare di Hezbollah, Al-Manar. In una conferenza all'Università della California, a Riverside, nel 2014, [[:en:w:Omar Barghouti|Omar Barghouti]] (n. 1964), fondatore del ''[[w:Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni|Boycott, Divestment, Sanctions Movement]]'' (2005), ha incitato all'odio verso gli ebrei ribadendo la calunnia del sangue nella sua affermazione che i soldati israeliani "davano la caccia ai bambini" ogni notte.<ref>“Palestinian BDS National Committee,” BDS.</ref>
L'accusa di sangue che i jihadisti attribuiscono agli ebrei è una proiezione della loro sete di sangue deicida. Il 28 novembre 1971, il primo ministro giordano [[:en:w:Wasfi Tal|Wasfi al-Tal]] (1919-1971) fu [[:en:w:Assassination of Wasfi Tal|assassinato]] dal gruppo palestinese [[w:Settembre nero in Giordania|Settembre Nero]] di fronte all'Hotel Sheraton del Cairo, dopodiché uno degli assassini si avvicinò, si chinò e leccò il sangue della sua vittima.<ref>Cfr. Rubin, ''Revolution Until Victory?'', 37–38. Settembre Nero fu fondato nel 1970 per vendicare l'uccisione di diverse migliaia di palestinesi da parte della Giordania nel settembre del 1970.</ref> Ancora più significativo è il video prodotto da Hamas nel febbraio 2006. Fu l'ultima testimonianza al mondo di un attentatore omicida: "Il mio messaggio agli ebrei odiati", dichiarò, "è che non c'è altro dio all'infuori di Allah [e] vi daremo la caccia ovunque! Siamo una nazione che beve sangue e sappiamo che non c'è sangue migliore del sangue degli ebrei. Non vi lasceremo soli finché non avremo placato la nostra sete con il vostro sangue e la sete dei nostri figli con il vostro sangue".<ref>Itamar Marcus e Barbara Cook, "Hamas Video: ‘We Will Drink the Blood of the Jews’" ''Palestine Media Watch, February 14, 2006''.</ref> Sì: la sete dei ''nostri figli con il vostro sangue''. Poi ci sono le fotografie di bambini dell'asilo, con le mani alzate e dipinte di rosso sangue, a imitare il gesto degli assassini insanguinati che massacrarono Yossi Avrahami e Vadim Norjitz a Ramallah il 13 ottobre 2000.<ref>Cfr. "The Ramallah Lynching", ''Think-Israel, September–October 2010'', [http://www.think-israel.org/freerepublic.octoberramallahlynch.html] (accesso 21/06/25).</ref> Episodi come questi riportano alla mente un'interpretazione rabbinica del significato di ''Amalek'', la tribù che attaccò i bambini e gli anziani tra gli Israeliti mentre uscivano dall'Egitto. ''Amalek'', dice il ''Midrash'', significa ''Am Lak'', un "popolo" che "lecca" il sangue (''Tanchuma Teitzei'' 9). Che lecchino il sangue o vi immergano le mani, i jihadisti prosperano sul sangue degli ebrei.
Chi, secondo la Torah, è il padre di Amalek? È Esaù ({{passo biblico2|Genesi|36:12}}). "Esaù disse a Giacobbe: ‘Versami, per favore, un po' di quella roba rossa, rossa, perché sono molto stanco’. Per questo lo chiamarono Edom [che significa ‘rosso’]" ({{passo biblico2|Genesi|25:30}}). Secondo il commentario di [[w:Rashi|Rashi]], questo incontro avvenne il giorno della morte di Abramo. Rashi, infatti, suggerisce che Abramo scelse di morire prima del tempo perché non voleva vivere abbastanza a lumgo da vedere cosa sarebbe diventato Esaù – o cosa sarebbero diventati i suoi discendenti. Questo è il momento della caduta di Esaù dall'Alleanza, quando barattò la sua eredità in cambio di una bevanda di "rossa, roba rossa" ― la roba da cui si deve bere per diventare come Dio. Perché l'unica alternativa al vivere nell'Alleanza con il Dio vivente è diventare come Dio, come disse il serpente. E dove il sangue dell'Alleanza della Circoncisione viene rifiutato, il sangue del nostro prossimo viene versato. Questo è il momento della transizione da Esaù a Edom, alla tradizione rosso sangue di Edom, che è Roma, che è il Cristianesimo con la sua accusa di sangue e le sue successive manifestazioni. Esaù fu chiamato Edom a causa della ''sostanza rossa'', il sangue di Giacobbe che i suoi discendenti avrebbero consumato.
[[w:Julius Streicher|Julius Streicher]] (1885–1946 per impiccagione a Norimberga) dedicò due edizioni del suo giornale di propaganda nazista ''[[w:Der Stürmer|Der Stürmer]]'' al tema dell'omicidio rituale, una nel maggio del 1934 e l'altra nel luglio del 1939. Il numero del 1934 è intitolato "Il piano ebraico per l'assassinio dell'umanità gentile rivelato", con un'illustrazione che raffigura ebrei dall'aspetto satanico che raccolgono il sangue dalle gole tagliate di esseri umani in una padella. Il numero del 1939 si intitola semplicemente "Omicidio rituale" e reca un'immagine medievale di diversi ebrei intenti a macellare un bambino cristiano, con i corpi di bambini cristiani morti che ricoprono il pavimento. La prima pagina recita: "La storia segnala centinaia di casi in cui bambini non ebrei furono torturati a morte. Furono anche sottoposti alla stessa incisione alla gola che si trova sugli animali macellati. Vennero anche lentamente dissanguati mentre erano pienamente coscienti".<ref>Cfr. Randall L. Bytwerk, ''Julius Streicher: Nazi Editor of the Notorious Newspaper Der Stürmer'' (New York: Cooper Square Press, 1983), 130.</ref> L'omicidio rituale trasforma la trasgressione del divieto divino contro l'omicidio in qualcosa di sacro; è quindi un'espressione fondamentale dell'eliminazione del Divino che si dispiega nell'Olocausto – non solo nell'assassinio di Dio, ma nel consumo di Dio. Se l'anima è nel sangue ({{passo biblico2|Genesi|9:4}}), allora consumare il sangue significa consumare l'anima; significa arrogarsi l'essenza di ciò che viene consumato. Questo è il significato dell'Eucaristia o comunione. E la maggior parte dei nazisti riceveva la comunione.
Lo scopo della calunnia del sangue? Giustificare lo spargimento di sangue ebraico. Non si può consumare sangue senza spargerlo. Pertanto, parte dell'essenza dell'antisemitismo risiede in questo legame: il sangue deve essere versato per appropriarsi dell'anima che è nel sangue. In effetti, per l'antisemita lo spargimento di sangue ebraico, il sangue impuro che ospita l'essenza del male, diventa una condizione necessaria per raggiungere la purezza della redenzione. È un po' come il metodo del salasso che i medici usavano quando combattevano una malattia rimuovendo il sangue impuro del paziente: se l'umanità deve essere guarita e redenta, allora il sangue ebraico impuro deve essere versato nella terra. Tuttavia, proprio come il salasso non ha curato, ma piuttosto distrutto il paziente, così l'umanità distrugge se stessa impregnando la terra con il sangue degli ebrei. Quando Caino uccise suo fratello Abele, Dio dichiarò a Caino: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra" ({{passo biblico2|Genesi|4:10}}) – "sangue" nel passo ebraico è al plurale perché omicidio genera omicidio. Si noti inoltre che il sangue ha una voce. Se Dio è "annunciato da un profondo silenzio", come dice il Talmud (''Berakhot'' 58a), è il silenzio che si leva dal sangue versato dai morti.
=== Redenzione: il fascino essenziale dell'antisemitismo ===
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{{Immagine grande|Treblinka's Memorial in Winter.JPG|1010px|Memoriale a [[w:Campo di sterminio di Treblinka|Treblinka]]: ciascuna pietra sul terreno rappresenta una città la cui popolazione ebraica fu annientata nel campo di sterminio}}
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie letteratura moderna|Serie dei sentimenti}}
<div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div>
{{Avanzamento|50%|20 giugno 2025}}
[[Categoria:Connessioni|Capitolo 6]]
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<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox1|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Hilda Jerea|Hilda Jerea]] da Wikipedia in inglese. [[w:ro:Hilda Jerea|Qui]] la versione in rumeno</big>
{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
|Sesso = F
|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
|LuogoMorte = Bucarest
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1980
|Epoca = 1900
|Attività = pianista
|Attività2 = direttrice d'orchestra
|Attività3 = compositrice
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità =
|Didascalia = Hilda Jerea
}}
La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
E' nata a [[Iași|Iaşi]], dove ha iniziato la sua formazione al Conservatorio di Musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu, e l'ha terminata a Bucarest dove i suoi insegnanti sono stati Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> A [[Bucarest]] ha studiato armonia, contrappunto e composizione, estetica e composizione e pianoforte, con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|lingua=EN|nome=Aaron I.|cognome=Cohen|titolo=International encyclopedia of women composers|anno=1987|editore=Books & Music (USA)|città=South Africa|p=349|isbn=0-9617485-0-8}}</ref> Dopo la laurea Jerea proseguì gli studi a [[Parigi]], dove studiò composizione con [[Noël Gallon|Noel Gallon]] nel 1939, e con Pal Kadosa a Budapest nel 1947.<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|cognome=Gheorghiță |nome=Nicolae |data=2019 |titolo=WE ARE CHANTING TO STALIN TOO! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949) |url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034 |pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest |lingua=en|volume=10 |capitolo=38 |pp=89–101 |issn=2286-4717}}</ref>Ha imparato la musica da camera da [[Leó Weiner|Leo Weiner]]<ref name="Cohen" />.
Jerea ha suonato il pianoforte in concerti o ensemble da camera dal 1936. Si è distinta con il Premio di Stato della Romania e l'Ordine del Lavoro, e ha vinto anche il Premio Robert Cremer del 1942 e una serie di altri premi per la composizione.<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 ha fondato e diretto l'Orchestra da camera Musica Nova, e ha fatto numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Robert Cremer Prize
* Premio di stato della Romania
===Onoreficenze===
{{Onorificenze
|immagine = Commandeur.jpg
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|collegamento_onorificenza = Legion d'onore
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== Note ==
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{{Bio
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La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
E' nata a [[Iași|Iaşi]], dove ha iniziato la sua formazione al Conservatorio di Musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu, e l'ha terminata a Bucarest dove i suoi insegnanti sono stati Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> A [[Bucarest]] ha studiato armonia, contrappunto e composizione, estetica e composizione e pianoforte, con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|lingua=EN|nome=Aaron I.|cognome=Cohen|titolo=International encyclopedia of women composers|anno=1987|editore=Books & Music (USA)|città=South Africa|p=349|isbn=0-9617485-0-8}}</ref> Dopo la laurea Jerea proseguì gli studi a [[Parigi]], dove studiò composizione con [[Noël Gallon|Noel Gallon]] nel 1939, e con Pal Kadosa a Budapest nel 1947.<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|cognome=Gheorghiță |nome=Nicolae |data=2019 |titolo=WE ARE CHANTING TO STALIN TOO! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949) |url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034 |pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest |lingua=en|volume=10 |capitolo=38 |pp=89–101 |issn=2286-4717}}</ref>Ha imparato la musica da camera da [[Leó Weiner|Leo Weiner]]<ref name="Cohen" />.
Jerea ha suonato il pianoforte in concerti o ensemble da camera dal 1936. Si è distinta con il Premio di Stato della Romania e l'Ordine del Lavoro, e ha vinto anche il Premio Robert Cremer del 1942 e una serie di altri premi per la composizione.<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 ha fondato e diretto l'Orchestra da camera Musica Nova, e ha fatto numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Robert Cremer Prize
* Premio di stato della Romania
===Onorificenze===
{{Onorificenze
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== Note ==
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{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
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|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
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|Didascalia = Hilda Jerea
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La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
Nata a [[Iași|Iaşi]], Jerea iniziò la sua formazione musicale al Conservatorio di musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu. Proseguì poi gli studi a Bucarest, dove ebbe come insegnanti Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> Qui approfondì l'[[armonia]], il [[contrappunto]], la [[Composizione (musica)|composizione]], l'[[estetica]] e lo studio del pianoforte con Florica Musicescu.<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|cognome=Gheorghiță |nome=Nicolae |data=2019 |titolo=We are chanting to Stalin too! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949) |url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034 |pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest |lingua=en|volume=10 |capitolo=38 |pp=89–101 |issn=2286-4717}}</ref> Dopo la laurea, Jerea perfezionò la sua preparazione all'estero: nel 1939 studiò composizione con [[Noël Gallon]] a Parigi, e nel 1947 con Pál Kadosa a Budapest. Apprese la musica da camera sotto la guida di [[Leó Weiner]]<ref name="Cohen" />.
A cominciare dal 1936, Jerea si esibì come pianista in concerti e formazioni di musica da camera. Nel corso della sua carriera ricevette diversi riconoscimenti, tra cui il Premio di Stato della Romania, l'Ordine del lavoro e il Premio "Robert Cremer" nel 1942, oltre ad altri premi per le sue composizioni<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio ''Sotto il sole del risveglio'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 fondò e diresse l'Orchestra da camera "Musica Nova", con la quale fece numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea insegnò alla Scuola d'arte e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Robert Cremer Prize
* Premio di stato della Romania
===Onorificenze===
{{Onorificenze
|immagine = Commandeur.jpg
|nome_onorificenza = Commendatore della Legion d'onore
|collegamento_onorificenza = Legion d'onore
|data = 1989 (conferito dal [[Presidente della Repubblica francese|Presidente]] [[François Mitterrand]])<ref name="independent" /><ref name="fresques" />
}}
== Note ==
<references/>
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{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
|Sesso = F
|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
|LuogoMorte = Bucarest
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1980
|Epoca = 1900
|Attività = pianista
|Attività2 = direttrice d'orchestra
|Attività3 = compositrice
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità =
|Didascalia = Hilda Jerea
}}
La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
Nata a [[Iași|Iaşi]], Jerea iniziò la sua formazione musicale al Conservatorio di musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu. Proseguì poi gli studi a Bucarest, dove ebbe come insegnanti Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> Qui approfondì l'[[armonia]], il [[contrappunto]], la [[Composizione (musica)|composizione]], l'[[estetica]] e lo studio del pianoforte con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|autore=Aaron I. Cohen|titolo=International Encyclopedia of Women Composers|editore=Books & Music (USA)|anno=1987|isbn=0-9617485-0-8|edizione=2}}</ref>
Dopo la laurea, Jerea perfezionò la sua preparazione all'estero: nel 1939 studiò composizione con [[Noël Gallon]] a Parigi, e nel 1947 con Pál Kadosa a Budapest<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|autore=Nicolae Gheorghiță|anno=2019|titolo=We are chanting to Stalin too! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949)|url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034|pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest|lingua=en|volume=10|capitolo=38|pp=89–101|issn=2286-4717}}</ref>. Apprese la musica da camera sotto la guida di [[Leó Weiner]]<ref name="Cohen" />.
A cominciare dal 1936, Jerea si esibì come pianista in concerti e formazioni di musica da camera. Nel corso della sua carriera ricevette diversi riconoscimenti, tra cui il Premio di Stato della Romania, l'Ordine del lavoro e il Premio "Robert Cremer" nel 1942, oltre ad altri premi per le sue composizioni<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio ''Sotto il sole del risveglio'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 fondò e diresse l'Orchestra da camera "Musica Nova", con la quale fece numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea insegnò alla Scuola d'arte e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Robert Cremer Prize
* Premio di stato della Romania
===Onorificenze===
{{Onorificenze
|immagine = Commandeur.jpg
|nome_onorificenza = Commendatore della Legion d'onore
|collegamento_onorificenza = Legion d'onore
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== Note ==
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/* Premi e riconoscimenti */
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{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
|Sesso = F
|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
|LuogoMorte = Bucarest
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1980
|Epoca = 1900
|Attività = pianista
|Attività2 = direttrice d'orchestra
|Attività3 = compositrice
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità =
|Didascalia = Hilda Jerea
}}
La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
Nata a [[Iași|Iaşi]], Jerea iniziò la sua formazione musicale al Conservatorio di musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu. Proseguì poi gli studi a Bucarest, dove ebbe come insegnanti Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> Qui approfondì l'[[armonia]], il [[contrappunto]], la [[Composizione (musica)|composizione]], l'[[estetica]] e lo studio del pianoforte con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|autore=Aaron I. Cohen|titolo=International Encyclopedia of Women Composers|editore=Books & Music (USA)|anno=1987|isbn=0-9617485-0-8|edizione=2}}</ref>
Dopo la laurea, Jerea perfezionò la sua preparazione all'estero: nel 1939 studiò composizione con [[Noël Gallon]] a Parigi, e nel 1947 con Pál Kadosa a Budapest<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|autore=Nicolae Gheorghiță|anno=2019|titolo=We are chanting to Stalin too! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949)|url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034|pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest|lingua=en|volume=10|capitolo=38|pp=89–101|issn=2286-4717}}</ref>. Apprese la musica da camera sotto la guida di [[Leó Weiner]]<ref name="Cohen" />.
A cominciare dal 1936, Jerea si esibì come pianista in concerti e formazioni di musica da camera. Nel corso della sua carriera ricevette diversi riconoscimenti, tra cui il Premio di Stato della Romania, l'Ordine del lavoro e il Premio "Robert Cremer" nel 1942, oltre ad altri premi per le sue composizioni<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio ''Sotto il sole del risveglio'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 fondò e diresse l'Orchestra da camera "Musica Nova", con la quale fece numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea insegnò alla Scuola d'arte e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Menzione (1934) e 2° Premiul (1946) di composizione [[George Enescu]]
* Premio Robert Cremer (1942)
* Premio di stato della Romania cl. I (1952)
===Onorificenze===
{{Onorificenze
|immagine = Commandeur.jpg
|nome_onorificenza = Commendatore della Legion d'onore
|collegamento_onorificenza = Legion d'onore
|data = 1989 (conferito dal [[Presidente della Repubblica francese|Presidente]] [[François Mitterrand]])<ref name="independent" /><ref name="fresques" />
}}
* Ordinul Muncii cl. III (1949)
* Ordinul „23 August” clasa a V-a (12 august 1959) "per l'attività fruttuosa nello sviluppo della scienza e della cultura nella Repubblica Popolare Romena"<ref>Decreto del Presidio della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena n. 308 del 12 agosto 1959 sul conferimento di titoli, ordini e medaglie, pubblicato nel ''Bollettino Ufficiale della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena'', anno VIII, nr. 25, 17 settembre 1959, p. 196.</ref>
* Ordinul Meritul Cultural cl. IV (1969)
== Note ==
<references/>
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Composizioni
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
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{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
|Sesso = F
|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
|LuogoMorte = Bucarest
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1980
|Epoca = 1900
|Attività = pianista
|Attività2 = direttrice d'orchestra
|Attività3 = compositrice
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità =
|Didascalia = Hilda Jerea
}}
La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
Nata a [[Iași|Iaşi]], Jerea iniziò la sua formazione musicale al Conservatorio di musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu. Proseguì poi gli studi a Bucarest, dove ebbe come insegnanti Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> Qui approfondì l'[[armonia]], il [[contrappunto]], la [[Composizione (musica)|composizione]], l'[[estetica]] e lo studio del pianoforte con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|autore=Aaron I. Cohen|titolo=International Encyclopedia of Women Composers|editore=Books & Music (USA)|anno=1987|isbn=0-9617485-0-8|edizione=2}}</ref>
Dopo la laurea, Jerea perfezionò la sua preparazione all'estero: nel 1939 studiò composizione con [[Noël Gallon]] a Parigi, e nel 1947 con Pál Kadosa a Budapest<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|autore=Nicolae Gheorghiță|anno=2019|titolo=We are chanting to Stalin too! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949)|url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034|pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest|lingua=en|volume=10|capitolo=38|pp=89–101|issn=2286-4717}}</ref>. Apprese la musica da camera sotto la guida di [[Leó Weiner]]<ref name="Cohen" />.
A cominciare dal 1936, Jerea si esibì come pianista in concerti e formazioni di musica da camera. Nel corso della sua carriera ricevette diversi riconoscimenti, tra cui il Premio di Stato della Romania, l'Ordine del lavoro e il Premio "Robert Cremer" nel 1942, oltre ad altri premi per le sue composizioni<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio ''Sotto il sole del risveglio'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 fondò e diresse l'Orchestra da camera "Musica Nova", con la quale fece numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea insegnò alla Scuola d'arte e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Menzione (1934) e 2° Premiul (1946) di composizione [[George Enescu]]
* Premio Robert Cremer (1942)
* Premio di stato della Romania cl. I (1952)
===Onorificenze===
{{Onorificenze
|immagine = Commandeur.jpg
|nome_onorificenza = Commendatore della Legion d'onore
|collegamento_onorificenza = Legion d'onore
|data = 1989 (conferito dal [[Presidente della Repubblica francese|Presidente]] [[François Mitterrand]])<ref name="independent" /><ref name="fresques" />
}}
* Ordinul Muncii cl. III (1949)
* Ordinul „23 August” clasa a V-a (12 august 1959) "per l'attività fruttuosa nello sviluppo della scienza e della cultura nella Repubblica Popolare Romena"<ref>Decreto del Presidio della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena n. 308 del 12 agosto 1959 sul conferimento di titoli, ordini e medaglie, pubblicato nel ''Bollettino Ufficiale della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena'', anno VIII, nr. 25, 17 settembre 1959, p. 196.</ref>
* Ordinul Meritul Cultural cl. IV (1969)
==Composizioni==
===Musica di teatro===
* ''Haiducii'', balletto in 3 atti (1956)
* ''Casa Bernardei Alba'' (1966)
===Musica vocal-simfonica===
* ''Sub soarele păcii'', oratorio per solisti, coro misto e orchestra, testo di Dan Deșliu (1951)
===Musica simfonica===
* ''Patru recitări'' con orchestra (1944)
* ''Suită'' per orchestra di corde (1945)
* ''Concert'' per pianoforte e orchestra (1946)
===Musica di camera===
* ''Sonată'' per pianoforte (1934)
* ''Suită în stil românesc'' per pianoforte (1939)
* ''Patru imagini vesele'' (1946)
* ''Dansuri românești'' per violino e pianoforte (1948)
* ''Tabăra de munte'', suite per pianoforte (1960)
* ''Mici piese'' per pianoforte a 4 mani (1963)
===Musica corale===
* ''Cântec de întrecere'' (1946)
* ''Pui de fag și de stejar'' (1955)
* ''Țara holdelor bogate'' (1957)
* ''Coruri'' (1958)
* ''Legământ de pace'' (1959)
* ''Cântec vesel de brigadier'' (1959)
* ''Veniți cu noi'' (1959)
* ''Sus la Murfatlar în vie'' (1961)
* ''Ramuri înflorite'' (1962)
* ''Măi cioban de la mioare'' (1962)
* ''Băiatul cu poveștile'' (1963)
===Musica per voce e pianoforte===
* ''Trei cântece pe versuri de George Bacovia'' (1942)
* ''Cântece pe versuri populare'' (1955)
* ''Lieduri'' sui testi di Magda Isanos (1963)
* ''Dansul spicelor'' (1963)
* ''Lieduri'' (1967)
== Note ==
<references/>
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/* Onorificenze */
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox1|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Hilda Jerea|Hilda Jerea]] da Wikipedia in inglese. [[w:ro:Hilda Jerea|Qui]] la versione in rumeno</big>
{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
|Sesso = F
|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
|LuogoMorte = Bucarest
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1980
|Epoca = 1900
|Attività = pianista
|Attività2 = direttrice d'orchestra
|Attività3 = compositrice
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità =
|Didascalia = Hilda Jerea
}}
La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
Nata a [[Iași|Iaşi]], Jerea iniziò la sua formazione musicale al Conservatorio di musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu. Proseguì poi gli studi a Bucarest, dove ebbe come insegnanti Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> Qui approfondì l'[[armonia]], il [[contrappunto]], la [[Composizione (musica)|composizione]], l'[[estetica]] e lo studio del pianoforte con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|autore=Aaron I. Cohen|titolo=International Encyclopedia of Women Composers|editore=Books & Music (USA)|anno=1987|isbn=0-9617485-0-8|edizione=2}}</ref>
Dopo la laurea, Jerea perfezionò la sua preparazione all'estero: nel 1939 studiò composizione con [[Noël Gallon]] a Parigi, e nel 1947 con Pál Kadosa a Budapest<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|autore=Nicolae Gheorghiță|anno=2019|titolo=We are chanting to Stalin too! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949)|url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034|pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest|lingua=en|volume=10|capitolo=38|pp=89–101|issn=2286-4717}}</ref>. Apprese la musica da camera sotto la guida di [[Leó Weiner]]<ref name="Cohen" />.
A cominciare dal 1936, Jerea si esibì come pianista in concerti e formazioni di musica da camera. Nel corso della sua carriera ricevette diversi riconoscimenti, tra cui il Premio di Stato della Romania, l'Ordine del lavoro e il Premio "Robert Cremer" nel 1942, oltre ad altri premi per le sue composizioni<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio ''Sotto il sole del risveglio'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 fondò e diresse l'Orchestra da camera "Musica Nova", con la quale fece numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea insegnò alla Scuola d'arte e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Menzione (1934) e 2° Premiul (1946) di composizione [[George Enescu]]
* Premio Robert Cremer (1942)
* Premio di stato della Romania cl. I (1952)
===Onorificenze===
{{Onorificenze
|immagine = Ordinul Muncii III ribbon bar.jpg
|nome_onorificenza = Ordine del Lavoro Classe IIIa, RPR
|collegamento_onorificenza = Ordine del Lavoro (Romania)
|data = 1949
}}
* Ordine "23 Agosto" (Ordinul "23 August") classe V (12 agosto 1959) "per l'attività fruttuosa nello sviluppo della scienza e della cultura nella Repubblica Popolare Romena"<ref>Decreto del Presidio della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena n. 308 del 12 agosto 1959 sul conferimento di titoli, ordini e medaglie, pubblicato nel ''Bollettino Ufficiale della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena'', anno VIII, nr. 25, 17 settembre 1959, p. 196.</ref>
* Ordine al merito culturale (Ordinul Meritul Cultural), cl. IV (1969)
==Composizioni==
===Musica di teatro===
* ''Haiducii'', balletto in 3 atti (1956)
* ''Casa Bernardei Alba'' (1966)
===Musica vocal-simfonica===
* ''Sub soarele păcii'', oratorio per solisti, coro misto e orchestra, testo di Dan Deșliu (1951)
===Musica simfonica===
* ''Patru recitări'' con orchestra (1944)
* ''Suită'' per orchestra di corde (1945)
* ''Concert'' per pianoforte e orchestra (1946)
===Musica di camera===
* ''Sonată'' per pianoforte (1934)
* ''Suită în stil românesc'' per pianoforte (1939)
* ''Patru imagini vesele'' (1946)
* ''Dansuri românești'' per violino e pianoforte (1948)
* ''Tabăra de munte'', suite per pianoforte (1960)
* ''Mici piese'' per pianoforte a 4 mani (1963)
===Musica corale===
* ''Cântec de întrecere'' (1946)
* ''Pui de fag și de stejar'' (1955)
* ''Țara holdelor bogate'' (1957)
* ''Coruri'' (1958)
* ''Legământ de pace'' (1959)
* ''Cântec vesel de brigadier'' (1959)
* ''Veniți cu noi'' (1959)
* ''Sus la Murfatlar în vie'' (1961)
* ''Ramuri înflorite'' (1962)
* ''Măi cioban de la mioare'' (1962)
* ''Băiatul cu poveștile'' (1963)
===Musica per voce e pianoforte===
* ''Trei cântece pe versuri de George Bacovia'' (1942)
* ''Cântece pe versuri populare'' (1955)
* ''Lieduri'' sui testi di Magda Isanos (1963)
* ''Dansul spicelor'' (1963)
* ''Lieduri'' (1967)
== Note ==
<references/>
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/* Musica di teatro */
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Maruyari/Sandbox1|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Hilda Jerea|Hilda Jerea]] da Wikipedia in inglese. [[w:ro:Hilda Jerea|Qui]] la versione in rumeno</big>
{{Bio
|Nome = Hilda
|Cognome = Jerea
|Sesso = F
|LuogoNascita = Iasi
|GiornoMeseNascita = 17 marzo
|AnnoNascita = 1916
|LuogoMorte = Bucarest
|GiornoMeseMorte = 14 maggio
|AnnoMorte = 1980
|Epoca = 1900
|Attività = pianista
|Attività2 = direttrice d'orchestra
|Attività3 = compositrice
|Nazionalità = rumena
|PostNazionalità =
|Didascalia = Hilda Jerea
}}
La sua composizione più nota è l'oratorio su larga scala ''Under the Wake-Up Sun'' (''Sub soarele deşteptării'') del 1951. Ha insegnato alla Scuola d'Arte di Bucarest e al Conservatorio di Bucarest, e ha fondato l'Orchestra da camera Musica Nova. Ha vinto il Robert Cremer Prize e numerosi premi di composizione. È stata insignita del Premio di Stato della Romania e dell'Ordine del Lavoro<ref>{{Cita web|url=https://en.romania-muzical.ro/articole/art.htm?c=18&g=2R&arh=1&y=2021&a=2953181|titolo=Radio Romania Muzical|sito=en.romania-muzical.ro|accesso=2023-01-14}}</ref>.
== Biografia ==
Nata a [[Iași|Iaşi]], Jerea iniziò la sua formazione musicale al Conservatorio di musica sotto la guida di Sofia Teodoreanu. Proseguì poi gli studi a Bucarest, dove ebbe come insegnanti Mihail Jora, Florica Musicescu e Dimitrie Cuclin.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome1=Elfriede|cognome1=Reissig|nome2=Leon|cognome2=Stefanija|titolo=Composing Women: 'Femininity' and Views on Cultures, Gender and Music of Southeastern Europe since 1918|url=https://books.google.com/books?id=pYueEAAAQBAJ|data=2022-12-02|editore=Hollitzer Wissenschaftsverlag|pp=231–259|isbn=978-3-99012-997-5}}</ref> Qui approfondì l'[[armonia]], il [[contrappunto]], la [[Composizione (musica)|composizione]], l'[[estetica]] e lo studio del pianoforte con Florica Musicescu.<ref name="Cohen">{{Cita libro|autore=Aaron I. Cohen|titolo=International Encyclopedia of Women Composers|editore=Books & Music (USA)|anno=1987|isbn=0-9617485-0-8|edizione=2}}</ref>
Dopo la laurea, Jerea perfezionò la sua preparazione all'estero: nel 1939 studiò composizione con [[Noël Gallon]] a Parigi, e nel 1947 con Pál Kadosa a Budapest<ref name=":0">{{Cita pubblicazione|autore=Nicolae Gheorghiță|anno=2019|titolo=We are chanting to Stalin too! Musical Creation in the People's Republic of Romania on the 70th Anniversary of the Genialissimo Generalissimo (1949)|url=https://www.ceeol.com/search/article-detail?id=959034|pubblicazione=Musicology Today: Journal of the National University of Music Bucharest|lingua=en|volume=10|capitolo=38|pp=89–101|issn=2286-4717}}</ref>. Apprese la musica da camera sotto la guida di [[Leó Weiner]]<ref name="Cohen" />.
A cominciare dal 1936, Jerea si esibì come pianista in concerti e formazioni di musica da camera. Nel corso della sua carriera ricevette diversi riconoscimenti, tra cui il Premio di Stato della Romania, l'Ordine del lavoro e il Premio "Robert Cremer" nel 1942, oltre ad altri premi per le sue composizioni<ref name=":1" />La sua composizione più nota è l'oratorio ''Sotto il sole del risveglio'' (in rumeno: ''Sub soarele deşteptării'') del 1951<ref name=":1">{{Cita web |titolo=Hilda Jerea: The Romanian Wonder |url=http://www.illuminatewomensmusic.co.uk/1/post/2018/09/hilda-jerea-the-romanian-wonder.html |accesso=2023-01-14 |sito=Illuminate Women's Music |lingua=en}}</ref>.
Nel 1962 fondò e diresse l'Orchestra da camera "Musica Nova", con la quale fece numerose tourné<ref name=":0" />. Jerea insegnò alla Scuola d'arte e al Conservatorio di Bucarest fino al 1972<ref name="Cohen" />.
E' morta a Bucarest.
==Premi e riconoscimenti==
* Menzione (1934) e 2° Premiul (1946) di composizione [[George Enescu]]
* Premio Robert Cremer (1942)
* Premio di stato della Romania cl. I (1952)
===Onorificenze===
{{Onorificenze
|immagine = Ordinul Muncii III ribbon bar.jpg
|nome_onorificenza = Ordine del Lavoro Classe IIIa, RPR
|collegamento_onorificenza = Ordine del Lavoro (Romania)
|data = 1949
}}
* Ordine "23 Agosto" (Ordinul "23 August") classe V (12 agosto 1959) "per l'attività fruttuosa nello sviluppo della scienza e della cultura nella Repubblica Popolare Romena"<ref>Decreto del Presidio della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena n. 308 del 12 agosto 1959 sul conferimento di titoli, ordini e medaglie, pubblicato nel ''Bollettino Ufficiale della Grande Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Rumena'', anno VIII, nr. 25, 17 settembre 1959, p. 196.</ref>
* Ordine al merito culturale (Ordinul Meritul Cultural), cl. IV (1969)
==Composizioni==
===Musica per teatro===
* ''Haiducii'', balletto in 3 atti (1956)
* ''Casa Bernardei Alba'' (1966)
===Musica vocal-simfonica===
* ''Sub soarele păcii'', oratorio per solisti, coro misto e orchestra, testo di Dan Deșliu (1951)
===Musica simfonica===
* ''Patru recitări'' con orchestra (1944)
* ''Suită'' per orchestra di corde (1945)
* ''Concert'' per pianoforte e orchestra (1946)
===Musica di camera===
* ''Sonată'' per pianoforte (1934)
* ''Suită în stil românesc'' per pianoforte (1939)
* ''Patru imagini vesele'' (1946)
* ''Dansuri românești'' per violino e pianoforte (1948)
* ''Tabăra de munte'', suite per pianoforte (1960)
* ''Mici piese'' per pianoforte a 4 mani (1963)
===Musica corale===
* ''Cântec de întrecere'' (1946)
* ''Pui de fag și de stejar'' (1955)
* ''Țara holdelor bogate'' (1957)
* ''Coruri'' (1958)
* ''Legământ de pace'' (1959)
* ''Cântec vesel de brigadier'' (1959)
* ''Veniți cu noi'' (1959)
* ''Sus la Murfatlar în vie'' (1961)
* ''Ramuri înflorite'' (1962)
* ''Măi cioban de la mioare'' (1962)
* ''Băiatul cu poveștile'' (1963)
===Musica per voce e pianoforte===
* ''Trei cântece pe versuri de George Bacovia'' (1942)
* ''Cântece pe versuri populare'' (1955)
* ''Lieduri'' sui testi di Magda Isanos (1963)
* ''Dansul spicelor'' (1963)
* ''Lieduri'' (1967)
== Note ==
<references/>
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{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell' Unione delle Donne Bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name=":3">{{Cita libro|autore=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Easterna and South Eastern Europe, 19th and 20th centuries|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&dq=women%27s+movement+bulgaria&pg=PA184&redir_esc=y|anno=2006|editore=Central European University Press}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen|Shumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a [[Šumen|Shumen]] e poi completò gli studi secondari a [[Sofia]].<ref name=":1" /> . In quegli anni, entrò in contatto con l’intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name=":3" />
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della [[Bulgaria]]. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a [[Sofia]], dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l’uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l’ammissione delle donne all’Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name=":3" /><ref name=":4">{{Cita libro|autore=Blanca Rodriguez Ruiz|autore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=La lotta per il suffragio femminile in Europa: votare per diventare cittadine|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA325&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|anno=2012}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente [[Sofia]] con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name=":3" />
Tornò a [[Sofia]] nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L’organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in [[Bulgaria]] a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all’accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name=":3" />
Nel 1906 lasciò l’Unione delle Donne Bulgare.<ref name=":4" /> Fondò l’organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name=":3" />
Nel 1913 fu inviata in [[Francia]] come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name=":3" />
Nel 1916 aprì a [[Sofia]] la prima scuola commerciale per ragazze in [[Bulgaria]].<ref name=":0" /><ref name=":3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name=":3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name=":3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name=":3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all’estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell’ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name=":3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name=":3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name=":3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name=":3" />
Morì il 6 marzo 1949 a [[Sofia]], in [[Bulgaria]].<ref name=":0" /><ref name=":3" />
==Note==
{{Reflist}}
== Collegamenti esterni ==
* https://map.herstoryproject.eu/sofia/ – Interactive map of Sofia, Bulgaria, illustrating the lives of Bulgarian women who have made significant contributions to society, including Anna Karima.
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Note, bibliografia, riformulo
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a Šumen e poi completò gli studi secondari a Sofia.<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l’ammissione delle donne all’Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name=":3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle Donne Bulgare.<ref name=":4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name=":3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name=":3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name=":3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name=":3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name=":3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name=":3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|autore=Blanca Rodriguez Ruiz|autore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=La lotta per il suffragio femminile in Europa: votare per diventare cittadine|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA325&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|anno=2012}}
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a Šumen e poi completò gli studi secondari a Sofia.<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name=":3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name=":4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name=":3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name=":3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name=":3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name=":3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|autore=Blanca Rodriguez Ruiz|autore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=La lotta per il suffragio femminile in Europa: votare per diventare cittadine|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA325&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|anno=2012}}
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
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|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
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|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a Šumen e poi completò gli studi secondari a Sofia.<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name=":4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|autore=Blanca Rodriguez Ruiz|autore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=La lotta per il suffragio femminile in Europa: votare per diventare cittadine|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA325&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|anno=2012}}
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Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a Šumen e poi completò gli studi secondari a Sofia.<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|autore=Blanca Rodriguez Ruiz|autore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=La lotta per il suffragio femminile in Europa: votare per diventare cittadine|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA325&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|anno=2012}}
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a Šumen e poi completò gli studi secondari a Sofia.<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|curatore1=Blanca Rodriguez Ruiz||curatore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=The Struggle for Female Suffrage in Europe: Voting to Become Citizens|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA325&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|anno=2012|lingua=en}}
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
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}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina. Era figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov (bg: Тодор Велков)<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhichenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Anna frequentò le scuole medie a Šumen e poi completò gli studi secondari a Sofia.<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), sono state rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un’altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell’attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l’associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell’istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l’Unione delle Donne Bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un’associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Negli anni successivi, tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|curatore1=Blanca Rodriguez Ruiz||curatore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=The Struggle for Female Suffrage in Europe: Voting to Become Citizens|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA324|editore=BRILL|anno=2012|ISBN=9789004224254|lingua=en}}
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|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina, figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhičenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Qui Anna frequentò le scuole medie e poi completò gli studi secondari a Sofia<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
== Scrittrice ==
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), furono rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un'altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell'attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l'associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell'istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l'Unione delle donne bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un'associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|curatore1=Blanca Rodriguez Ruiz||curatore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=The Struggle for Female Suffrage in Europe: Voting to Become Citizens|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA324|editore=BRILL|anno=2012|ISBN=9789004224254|lingua=en}}
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Sezioni scrittura e attivismo
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wikitext
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<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina, figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhičenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Qui Anna frequentò le scuole medie e poi completò gli studi secondari a Sofia<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Da questo matrimonio ebbe tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
== Scrittura ==
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), furono rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un'altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell'attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l'associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell'istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
== Attivismo ==
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l'Unione delle donne bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un'associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
Morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|curatore1=Blanca Rodriguez Ruiz||curatore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=The Struggle for Female Suffrage in Europe: Voting to Become Citizens|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA324|editore=BRILL|anno=2012|ISBN=9789004224254|lingua=en}}
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wikitext
text/x-wiki
<!-- NOTA, NON COPIARE -->
<big>NOTA: [[w:Utente:Eleonorapanunzi/Sandbox|Traduzione nella sandbox]] della voce [[w:en:Anna Karima|Anna Karima]] da Wikipedia in inglese.</big>
{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina, figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Mouzhičenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle disuguaglianze di genere. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Qui Anna frequentò le scuole medie e poi completò gli studi secondari a Sofia<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Dal matrimonio nacquero tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Karima morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" />
== Scrittura ==
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla drammaturgia. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), furono rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un'altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della riforma sociale. Si impegnò nell'attivismo pubblico, sostenendo l'uguaglianza delle donne nella società. Nel 1897 fondò l'associazione Suznanie (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell'istruzione femminile, tra cui una per l'ammissione delle donne all'Università di Sofia.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi racconti brevi accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
== Attivismo ==
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e, nel 1901, co-fondarono l'Unione delle donne bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all’istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906 lasciò l'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" /> Fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" /> Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un'associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Fu esiliata per motivi politici dal 1921 al 1928. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa delle sue attività, Karima fu coinvolta nell'ambito della Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> promulgata dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa controversa legge era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|curatore1=Blanca Rodriguez Ruiz||curatore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=The Struggle for Female Suffrage in Europe: Voting to Become Citizens|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA324|editore=BRILL|anno=2012|ISBN=9789004224254|lingua=en}}
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wikitext
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{{Bio
|Nome = Anna
|Cognome = Karima
|PostCognomeVirgola = nata '''Todora Velkova'''
|PreData = {{Bulgaro|Анна Тодорова Велкова}}
|Immagine = BASA 22K-3-33-2 Anna Karima.jpg
|Didascalia = Anna Karima nel 1925
|Sesso = F
|LuogoNascita = Berdjans'k
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 1871
|LuogoMorte = Sofia
|GiornoMeseMorte = 6 marzo
|AnnoMorte = 1949
|Epoca = 1800
|Epoca2 = 1900
|Attività = scrittrice
|Attività2 = giornalista
|Nazionalità = bulgara
|PostNazionalità =, attivista per i [[diritti delle donne]]
}}
Fu cofondatrice dell'Unione delle donne bulgare e ne fu presidente dal 1901 al 1906.<ref name=":0">{{Cita web|autore=Emilia Alexieva|url=https://dictionarylit-bg.eu/%D0%90%D0%BD%D0%B0-%D0%9A%D0%B0%D1%80%D0%B8%D0%BC%D0%B0|titolo=Anna Karima|accesso=16 maggio 2025}}</ref><ref name=":1">{{Cita web|autore=Maria Alexieva|url=https://www.hera.bg/s.php?n=5828|titolo=Anna Karima - lo spirito ribelle|accesso=17 maggio 2025}}</ref>
== Biografia ==
Anna Karima nacque nel 1871 a [[Berdjans'k|Berdyansk]], in Ucraina, figlia del commerciante di grano e rivoluzionario Todor Velkov<ref name=":2">{{Cita web|url=https://bghelsinki.org/bg/what-we-do/campaigns/anna-karima|titolo=Anna Karima|accesso=17 maggio 2025}}</ref><ref name=":1" /> e di Stepanida Moužičenko, che trasmise a sua figlia una forte consapevolezza delle [[Divario di genere|disuguaglianze di genere]]. La coppia ebbe sei figli: tre femmine e tre maschi.<ref name="deHaan3">{{Cita|de Haan|p. ?}}</ref>
Dopo l'istituzione dello stato autonomo bulgaro nel 1878, la famiglia si trasferì a [[Šumen]], dove il padre fu nominato prefetto del distretto. Qui Anna frequentò le scuole medie e poi completò gli studi secondari a Sofia<ref name=":1" />. In quegli anni, entrò in contatto con l'intellettuale e futura attivista Ekaterina Karavelova, che influenzò profondamente la sua formazione.<ref name="deHaan3"/>
Nel 1888 sposò il politico socialista Yanko Sakazov, dal quale si separò in seguito. Dal matrimonio nacquero tre figli.<ref name=":2" /><ref name=":1" />
Karima morì il 6 marzo 1949 nella sua città natale.<ref name=":0" />
== Scrittura ==
Debuttò e divenne nota come scrittrice nel 1891. Fin da giovane, Karima si dedicò alla scrittura e alla [[drammaturgia]]. Scrisse racconti brevi, narrazioni e romanzi. Il suo primo racconto, intitolato ''Obiknovenna istoria'' (in bulgaro: ''Обикновена история'', ''Storia ordinaria''), fu pubblicato nel 1891 sulla rivista ''Den''.<ref name=":1" /> Tra il 1892 e il 1895 fu anche caporedattrice della rivista bulgara ''Pochivka''.<ref name=":0" />
Le sue opere teatrali, tra cui ''Podhlyznase'' (in bulgaro: ''Подхлъзна се'', ''È scivolata''), ''Zaguben zhivot'' (in bulgaro: ''Загубен живот'', ''Una vita perduta'') e ''Nad zida'' (in bulgaro: ''Над зида'', ''Al di sopra del muro''), furono rappresentate sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Sofia, la principale istituzione teatrale della Bulgaria. Un'altra sua opera teatrale, intitolata ''V Balkanak'' (in russo: ''В Балканах'', ''Nei Balcani''), fu scritta in russo e messa in scena a [[San Pietroburgo]].<ref name=":0" />
Nel 1894 la famiglia si trasferì a Sofia, dove Anna Karima divenne attiva nel campo della [[Riformismo|riforma sociale]]. Si impegnò nell'attivismo pubblico, sostenendo l'[[Uguaglianza di genere|uguaglianza delle donne]] nella società. Nel 1897 fondò l'associazione ''Suznanie'' (''Coscienza'') e iniziò a condurre campagne a favore dell'[[istruzione femminile]], tra cui una per l'ammissione delle donne all'[[Università di Sofia]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /><ref name="Ruiz4">{{Cita|Ruiz & Rubio-Marín|p. ?}}</ref>
In questo periodo la sua produzione letteraria conobbe uno slancio significativo, con la pubblicazione di numerosi [[Racconto|racconti brevi]] accolti positivamente dalla critica e dal pubblico. I testi erano spesso incentrati sulle relazioni di genere e su tematiche sociali. Nel 1898, a seguito di difficoltà familiari, lasciò temporaneamente Sofia con due dei suoi figli e lavorò come insegnante a [[Edirne]] (oggi in Turchia).<ref name="deHaan3" />
== Attivismo ==
Tornò a Sofia nel 1899, periodo in cui curò, insieme a Julia Malinova, il giornale ''Zhenski glas'' (''Voce femminile'') e con la quale, nel 1901, co-fondò l'Unione delle donne bulgare, di cui Karima fu la prima presidente. L'organizzazione fungeva da struttura ombrello per le 27 associazioni femminili locali che erano state fondate in Bulgaria a partire dal 1878. Fu istituita in risposta alle limitazioni imposte all'istruzione femminile e all'accesso delle donne agli studi universitari negli anni 1890, con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellettuale e la partecipazione delle donne, organizzare congressi nazionali e utilizzare ''Zhenski glas'' come pubblicazione ufficiale.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1906, dopo l'abbandono dell'Unione delle donne bulgare.<ref name="Ruiz4" />, fondò l'organizzazione femminile rivale Ravnopravie (''Pari diritti'', 1908–1921) e girò il paese, tenendo conferenze sulla riforma dei diritti delle donne.<ref name=":1" /><ref name="deHaan3" /> Nel 1913 fu inviata in Francia come delegata del movimento femminile bulgaro, dove organizzò una manifestazione a sostegno della causa nazionale.<ref name="deHaan3" />
Nel 1916 aprì a Sofia la prima scuola commerciale per ragazze in Bulgaria.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Durante le [[guerre balcaniche]] (1912–1918), si dedicò ad attività di beneficenza. Ebbe un ruolo centrale nella creazione di un collegio per orfani e di un'associazione per persone con disabilità.<ref name=":1" /><ref name=":2" /><ref name="deHaan3" />
Nel 1917, Karima divenne direttrice del giornale ''Bulgarka'' (in bulgaro: ''Българка''), una testata della stampa femminile.<ref name=":0" />
Dopo la morte della figlia Nadezhda nel 1918, aprì il primo asilo nido per figli di madri lavoratrici in [[Bulgaria]].<ref name="deHaan3" />
Dal 1921 al 1928 fu esiliata per motivi politici. Dopo l'attentato alla chiesa di [[Sveta Nedelja|Sveta Nedelya]] nel 1925, Karima emigrò inizialmente in [[Francia]].<ref name=":0" /><ref name=":1" /> Il 15 agosto 1926 scrisse un ''Appello per la pace – Per la Bulgaria'' e lo inviò a tutti i membri della [[Società delle Nazioni]] a [[Ginevra]]. Mantenne i contatti con il comunista francese [[Henri Barbusse]], al quale fornì documenti per la stesura del suo libro antifascista ''Les Bourreaux'' (''I carnefici''), che in seguito tradusse e curò.<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" /> Estratti dei suoi discorsi e scritti furono pubblicati su ''Bandiera Comunista'' (in bulgaro: ''Комунистическо знаме''), organo di stampa del [[Partito Comunista Bulgaro]] (BKP) all'estero. A causa del suo impegno politico, Karima venne perseguita in base alla Legge per la Protezione dello Stato (''Zakon za zashtita na darzhavata'', in bulgaro: ''Закон за защита на държавата''),<ref name=":0" /> , introdotta dal governo del professor Aleksandar Tsankov.<ref name="deHaan3" /> Questa legge controversa era stata ideata per reprimere gli oppositori politici e i movimenti percepiti come una minaccia per lo Stato. Alla fine del 1926, Karima partì per l'[[Unione Sovietica]]. Al suo ritorno in [[Bulgaria]], nel 1928, pubblicò il libro ''Nella Russia di oggi'' (in bulgaro: ''В днешна Русия'', ''V dneshna Rousiya''), in cui raccontava le sue impressioni sulla vita nell'[[Unione Sovietica]].<ref name=":0" /><ref name="deHaan3" />
Tra il 1928 e il 1935, si dedicò anche alla traduzione di romanzi russi, francesi e tedeschi e collaborò con varie riviste femminili e culturali.<ref name="deHaan3" />
Nel 1930 Karima divenne direttrice del giornale ''Povik'' (in bulgaro: ''Повик'', ''L’Appello''). Nel 1935 subì una grave perdita familiare con la morte del figlio Ivan J. Sakuzov, brillante studioso.<ref name="deHaan3" />
==Note==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cid=de Haan|titolo=Biographical Dictionary of Women's Movements and Feminisms in Central, Eastern, and South Eastern Europe: 19th and 20th Centuries|autore1=Francisca de Haan|autore2=Krasimira Daskalova|autore3=Anna Loutfi|url=https://books.google.it/books?id=hsgQjbgBOAkC&pg=PA328|editore=Central European University Press|lingua=en|anno=2006|ISBN=9789637326394}}
* {{Cita libro|cid=Ruiz & Rubio-Marín|curatore1=Blanca Rodriguez Ruiz||curatore2=Ruth Rubio-Marín|titolo=The Struggle for Female Suffrage in Europe: Voting to Become Citizens|url=https://books.google.it/books?id=3KIMwdbG0EcC&dq=Iulia+Malinova+1926&pg=PA324|editore=BRILL|anno=2012|ISBN=9789004224254|lingua=en}}
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