Wikisource itwikisource https://it.wikisource.org/wiki/Pagina_principale MediaWiki 1.45.0-wmf.5 first-letter Media Speciale Discussione Utente Discussioni utente Wikisource Discussioni Wikisource File Discussioni file MediaWiki Discussioni MediaWiki Template Discussioni template Aiuto Discussioni aiuto Categoria Discussioni categoria Autore Discussioni autore Progetto Discussioni progetto Portale Discussioni portale Pagina Discussioni pagina Indice Discussioni indice Opera Discussioni opera TimedText TimedText talk Modulo Discussioni modulo La botte di sidro/Il vitalizio 0 60486 3535253 2094812 2025-06-14T07:54:26Z Eumolpo 3652 ortografia 3535253 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Il vitalizio<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../La prima emozione<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Aspetto della folla (1)<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>4 giugno 2008<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Racconti<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=4 giugno 2008|arg=Racconti}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Il vitalizio|prec=../La prima emozione|succ=../Aspetto della folla (1)}} Dopo quindici anni di esercizio farmaceutico, il signor Latête, farmacista di prima classe, ex-interino degli ospedali di Tolosa, socio di varie accademie e società scientifiche di provincia, specialità diverse, medaglia d’oro, ecc... si accorse che, contando sui soli profitti del suo mestiere, non sarebbe arrivato mai a dotare. convenientemente le sue figliole. Ne aveva cinque e, da buon padre di famiglia, geloso della felicità delle sue ragazze, ambiva per esse dei buoni co1locamenti. Ambizione legittima, in fondo, giacchè il signor Latête era uomno molto considerato nella città. Vice sindaco, consigliere municipale, presidente del Comitato accentratore degli elettori indipendenti, amico intimo del deputato opportunista del quale egli aveva assicurata l’elezione, fondatore d’una società mutua dei ciclisti regionali, segretario e tesoriere del gruppo archeologico del sud-ovest, decorato al merito agricolo, ufficiale accademico, era designato anche a più alte funzioni e ad onori più diretti. Onesto partigiano, si capisce, di tutte le autorità, rispettoso di tutte le leggi, difensore di tutte le istituzioni vigenti, sotto qualunque aspetto lo si considerasse, egli era un cittadino modello. Ma la sua casa gli costava di molto : i pranzi politici, le tolette di sua moglie, l’educazione delle figliole che voleva perfetta gli costavano assai e, abbenchè la farmacia gli fruttasse bene, il cento per cento come tutte le farmacie, il signor Latête non arrivava mai alla fine dell’anno a mettere da parte tutto il danaro che si riprometteva. Ê vero però ch’egli era stato disgraziato in diverse operazioni extra-professionali e che aveva subite delle perdite considerevoli speculando sul prestito turco e su1 Panama, associandosi ad una fabbrica di forni di argilla e ad un’impresa di messaggerie che non erano riuscite. – Bah ! — diceva lui — un buon giorno troverò qualche cosa di serio ! E, suIl’esempio di alcuni suoi colleghi, sognava anche lui la scoperta di sciroppi miracolosi o di pastiglie magiche. Ma scoprò di meglio. Spesso, nel suo negozio, veniva un brav’uomo, celibe, senza eredi diretti, il quale sempre si lamentava con lui delle preoccupazioni che gli costava l’amministrazione del proprio patrimonio. Il signor Latête, alla prima oochiata, l’aveva giudicato debole di carattere e ammalato. — Perchè non collocate in vitalizio la fortuna vostra ? gli disse un giorno. — Raddoppiereste le vostre rendite e non avreste alcun grattacapo, così... — In vitalizio ?... Ah ! no, grazie !... Ah ! no, no ! Proprio no ! Non si sa mai a chi si cede la propnia fortuna... non sarei più tranquillo... Avrei paura. No, no. Ci sono tanti che oggi sono capaci di assassinarvi... e gli anarchici !... — Certo ! — approvò il farmacista. — Nè io vi consiglierei di far l’affare col primo che vi capiti... Diamine ! È una cosa ben delicata quella ! Ma trovereste tuttavia qualcuno di fiducia, un uomo serio, che so io ?... Un galantuomo non mancherà, perbacco ! Con le leggi nuove poi... Andate là che quest’arrangiamento vi solleverebbe di molto... Non più responsabilità, non più tentazioni, non più cupidigie intorno a voi... Libertà assoluta, tranquil1ità completa : un vero paradiso ! Infine, potreste godervela la vita ! E poi, sapete bene che, in questo modo, un soldo ne vale due, una lira due e mille valgono duemila lire... Eh ! Eh !... senza contar poi che siete robusto come una quercia ! — Io ! interruppe pietosamente il brav’uomo. — Ma io sono malato e spaventosamente malat. Non dormo... non mangio... — Ma che, che, che ! — riprese ii signor Latête, scrollando le spalle. — Sono i medici che vi raccontano queste frottole ! Già... è il loro mestiere... Ma io, che sono medico pure, e che giudico quel che le persone hanno in corpo, ebbene, io vi assicuro che voi state benissimo... Ah ! Io li manderei a spasso, i medici !... E soggiunse con aria di rammarico : — Guardate : se come voi non dovessi rispondere della famiglia e avessi una salute robusta come vostra, da un gran pezzo avrei già investito i miei beni in vitalizio ! Il brav’uomo esclamò : — Voi, signor Latête ?... — Sì ! Io, io : ve lo garantisco... E sentite che casa vi dico : lo prendo io il vostro patrimonio... Ve lo prendo al dieci per cento d’interesse... È. ur pazzia, lo so... ma che cosa m’importa ! Son così ! Mi piace rendervi un servizio... Voi non avrete sflducia di me, suppongo... — Oh ! di voi, signor Latête ! Ma vi pare ?... E il brav’uomo, la fisonomia del quale passava per diverse smorfie, dall’espressione della più viva sorpresa a quella della soddisfazione, ripetè : — Ma vi pare, signor Latête? L’ indomani il signor Latête andô a far visita al medico che curava il brav’uomo. Egli desiderava avere su costui alcune informazioni confldenziali. Il dottore protestò a tutta prima il segreto professionale. — Oh ! fra dottore e farmacista — argomentò il signor Latête sorridendo — non ci dovrebbero esser segreti... Eppoi ! Il brav’uorno, vedete, è un vecchio parente cui voglio molto bene... la sua salute mi dà da pensare... Si cura molto male, ha delle ubbìe che potrebbero divenir pericolose... Bisogna sorvegliarlo... Su via, detto fra noi, caro dottore, che ne pensate dunque ? – Ebbene! Sia detto ha noi — disse il medico, rassicurato – ma credo che sia in molto cattivo stato, il pover’uomo. Oh ! Dio mio ! Con delle cure, con un regime inflessibile, può tirare avanti ancora qualche anno... ma nessuna imprudenza, sopratutto ! Ci ha una mania, una mania dalla quale mi ci vuole tanta pazienza per trattenerlo. Si vuole purgare, ecco... non capisce altro ! Ora, una purga potrebbe essergli fatale... Ci sarebbe tutto da temere, che so : una ernorragia intestinale... e allora... vallo a ripigliare... addìo ! Chiacchierarono a lungo della salute del brav’uomo, in termini tecnici ; discussero alcune ipotesi e conclusero per un regime emolliente. — Benissimo! Perfettamente ! — esclamò il farmacista che, piccandosi di significare le più nobili analogie, soggiunse : — Occorre al suo ventre bertà, ma non iicenza ! — Come in politica, caro signore... — terminò il medico. — Tutti gli organismi si rassomigliano. Essi funzionano per gli stessi bisogni e si guastano per le stesse cause. In medicina, come in sociologia, bisogna essere... – Ventre floscio ! — esclamò, prendendo commiato, l’onorevoie farmacista. La sera stessa, l’affare era concluso. La settimana dopo, l’atto notarile era irreparabilmente firmato e registrato secondo tutte le prescrizioni legali e passava nel numero delle cose definitive : e nella casa del brav’uomo, mentre la ricchezza usciva da una porta, la morte entrava da un’altra. Tre giorni dopo, il brav’uomo, che non si stancava più dalla farmacia, si lamentava col sign Latête. — Non va ! Non va ! — gemeva. — Non so che cos’abbia... la testa mi gira... provo como uno stordimento... Il mio stomaco è pazzo e gl’intestini si intasano... Non va bene !... – È la primavera ! – pronunziò categoricamente l’onorevole farmacista. – Anche a me la primavera produce questi effetti... a tutti... Non c’è da preoccuparsene. Una piccola purga e tutto passa... Io mi son purgato ieri... Bisognerebbe che vi purgaste voi domani !... Il brav’uomo si spaventò : — Una purga !... Ma che dite ?... Se appunto mi è stata formalmente proibita... Il signor Latête insistè. — Perbacco! Ai medici non piaccionio i rimedî sicuri... Bisogna trascinare le cose in lungo... si capisce... Ma, alla fine poi, fate come volete... affar vostro... — Proprio ? — chiese il brav’uomo. — Credete ? — Una bottiglia d’acquavite tedesca... un bicchiere ogni dieci minuti, ecco la mia pozione... E il giorno appresso, fresco come una rosa, gaio come un uccello, forte come un turco. —Ebbene, date qua !... Dopo tutto, questi medici se la prendono troppo con comodo. Il brav’uomo intascò la fiala. E quando fu uscito di farmacia, il signer Latête si stropicciò allegramente le mani e, pensando alla notizia che avrebbe certo appreso l’indornani, facetamente mormorò : — Purga legale !... [[fr:La Pipe de cidre (recueil)/En viager]] 4kbphc14mhhz2nx4a6zb3lfdadyhbzw Documentazione conservata presso l'archivio del Ministero dell'Interno sulla struttura paramilitare del PCI (1945-1967)/14 aprile 1955 0 72565 3535257 3525569 2025-06-14T07:59:25Z Eumolpo 3652 ortografia 3535257 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>14 aprile 1955|14 aprile 1955 - Agenti comunisti accertati di appartenere al Kominform.<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../1° ottobre 1954<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../14 maggio 1955<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>27 luglio 2010<section end="data"/> <section begin="avz"/>50%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=50%|data=27 luglio 2010|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=14 aprile 1955|14 aprile 1955 - Agenti comunisti accertati di appartenere al Kominform.|prec=../1° ottobre 1954|succ=../14 maggio 1955}} MINISTERO DELL’INTERNO 14 aprile 1955 agenti comunisti accertati di appartenere al Kominform. Su richiesta diretta della CENTRALE COMUNISTA INTERNAZIONALE - nota sotto la denominazione del KOMINFORM - il P.C.I. ha, da tempo imprecisato, messo a disposizione di quella organizzazione un gruppo di agenti comunisti qualificati di indiscussa fede ideologica marxista-leninista, di fiducia e ritenuti capaci, riservati e fidati.<br/> Si comunicano i nomi di alcuni di essi, con un cenno biografico sul loro passato politico: * COLONNI Arturo di Luigi nato a Massa Carrara, comunista residente a Bologna. Fa parte dell’apparato militare. * L___ G____ nato a Pirri (Cagliari), è socialista ma riferisce al P.C.I.tutta l’attività di Nenni e altri esponenti del P.S.I. È elemento controllora<ref>Così nel testo</ref> del P.S.I, per conto del Kominform; * SANTHIA’ Luigi Battista fu Luigi - nato a Santhià - Organizzatore delle brigate Partigiane di Biella. Membro della Commissione di Controllo e fa parte del Comitato Centrale del partito. Fa parte dell’organizzazione paramilitare. * CACCIAPIUOTI Salvatore, nato a Napoli. Dirigente massimo del partilo comunista a Napoli e dirigente di una rete di agenti che controllano i comandi della Nato a Napoli. * CICALINI Antonio - d’ignoti, nato ad Imola. Coniugato con Baroncini Nella, sorella di Baroncini Maria seconda moglie dell’on.Scoccimarro. È il "responsabile" del gruppo kominformista italiano. Fuoruscito in Russia ha frequentato ivi le scuole di Partito.Fa parte dell’ufficio Organizzazione di ControLlo - membro del Comitato Centrale. S’interessa della Organizzazione paramilitare del partito. Fa parte dell’A.N.P.I. Compie viaggi nell’URSS. Attivissimo, scaltro e fidato. *N______G_____ fu ______, nato a Certaldo, residente a Firenze, s’in[…] dell’organizzazione paramilitare della Toscana e del […] di Livorno. Elemento molto pericoloso. *P______S_____ di ______, nato in Asti residente a Genova via Felice Cavallotti. Agente del Kominform per la Liguria e coordinatore dei vari servizi al collegamenti col P.F.C.<ref>Partito comunista francese</ref>della zona di Nizza. Si è recato in Russia uno o due volte sotto lo specioso motivo culturale, quanto<ref>Così nel testo</ref> negli ambienti del Partito è risaputo che il P è un ex parrucchiere senza una base culturale. *L______A_____ di ______, e di ______, nato in Urbino. Opera al di fuori dell’ambienti<ref>Così nel testo</ref> del partito. *V______A_____ fu ______, nato a Milano. È stato segretario di molte federazioni comuniste. Elemento molto fidato e quotato; BARBIERI Orazio di Oreste, nato a Firenze. È uno dei capi dell’organizzazlone paramilitare comunista. A suo tempo ha frequentato un corso nella scuola nazionale di Villa Crismayer di Marino. Fa parte del Comitato Centrale. *L______P_____ di ______, e di ______, nata a Roma il /1923, moglie del comunista, F______F_____, fidatissima. Altri membri di cui non si possono fornire notizie: D______G_____, F______G_____, V______J_____, […]______C_____ Quest’ultima, nata in Acqui, insegnante, comunista residente a Torino, dirige uno dei più importanti servizi informazioni dell’apparato para-militare del PCI. Conosce e parla il russo e mantiene contatti con agenti sovietici operanti in Italia. {{Sezione note}} 8ywbhhi8kprl8b28vxe5161wx8gusjx Autore:Anton Francesco Doni 102 286230 3535322 2681859 2025-06-14T11:33:34Z Marcok 5 /* Opere */ +opere di cui ci sono file su Commons 3535322 wikitext text/x-wiki <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Anton Francesco<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Doni<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>letterato/editore/traduttore<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>italiano<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Anton Francesco | Cognome = Doni | Attività = letterato/editore/traduttore | Nazionalità = italiano | Professione e nazionalità = }} == Opere == * {{Testo|I Marmi}} * {{Testo|I mondi celesti e infernali}} * {{Testo|La zucca}} {{Sezione note}} l7b4745rqnnv5eszho9oojgv3wiyptg Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/330 108 299725 3535317 3304979 2025-06-14T11:31:40Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535317 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||DEL CHIABRERA|317}}</noinclude><section begin="s1" /><poem> Che Teti in grembo al mare, Ed in grembo alle nubi Iri si lagna, E lagnasi non meno Espero ardente in mezzo al ciel sereno. Or tra le pompe, e gl’Imenei festosi Ampj teatri, e scene eccelse indoro, Espongo oggi fra loro Al forsennato vulgo amori ascosi, E tra bei suoni, e canti Mostro d’antichi Dei varj sembianti. Tempo verrà, che de’ tuoi figli altieri, In far cantando le vittorie conte, Sull’Eliconio monte Io farò risuonar versi guerrieri, Qual rimbombo di venti, O per distrutto giel gonfi torrenti. In tanto l’asta gloriosa, e l’armi Non mai per forza o per insidia dome, E del tuo Marte il nome Impiumo sì d’infaticabil carmi, Ch’a minacciargli assalto Strale d’Invidia non può gir tant’alto. </poem> {{Rule|4em|t=1|v=3}}<section end="s1" /> <section begin="s2" />{{ct|c=atto|ATTO PRIMO}} {{Rule|2em|t=1|v=3}} {{ct|c=s3|aurora, coro di cacciatori, cefalo.}} <poem> {{Vc|''Aurora.''}} {{X-larger|P}}iaggie del ciel serene Lasciar vostri bei lampi or non mi pento, Tanto in terra di bene Mi fa cercar Amor col suo tormento. {{Vc|''Uno de’ Cacciatori.''}} Cefalo sorgi, che dal cielo un Nume Entro nembi di rose a te s’invia: Di venerarlo, ed adorar fa segno; Che se non ben s’onora Eterna potestà si move a sdegno. {{Vc|''Cefalo.''}} Qual tu ti sia delle superne Dive, Che tra’ mortali glorïosa scendi, Sia per nostra salute il qui vederti: Se Cintia sei, che per quest’erme rive Col corso usato di selvaggie belve Brami per gli occhi tuoi nuovo diletto, Io pronto sgombrerò di queste selve. {{Vc|''Aurora.''}} Cintia non son, che a gli animali guerra Muova con arco, e stral per le foreste: Io son l’Aurora, e fo vedermi in terra Per mitigar l’affanno, Che le ferite d’un mortal mi danno. {{Vc|''Cefalo.''}} E chi fa l’empio in terra, O bellissima Dea, Che le celesti membra a ferir prese. Pera l’empio, ch’offese L’infinita bellezza, Ch’egli adorar dovea. {{Vc|''Aurora.''}} Non pera, no, non pera, Che non fora sicura oggi tua vita, Non fora no sicura, Perchè tu fosti autor di mia ferita. {{Vc|''Cefalo.''}} Lasso, deh lasso me, deh che sent’io? Autor io d’una colpa, Che sovra ogni altra di fuggir desio? Forse scoccando a saettar le fere Questo malfortunato arco t’offese Contra ogni mio volere: Ma se volgi il pensiero alla mia mente, Tu lo sai come Dea, sono innocente; Pur non sono innocente, io son ben degno D’un’infinita pena: Prendi questo coltello; eccoti il petto, O bella Dea mi svena. {{Vc|''Uno del Coro.''}} Ah che disdegno ed ira, Ah non ti turbi il petto, Anco le vere colpe il Ciel perdona, E con veraci esempi Ci dimostra ogni etate, Che nel cor degli Dei Non può fallir pietate. {{Vc|''Aurora.''}} A miglior tempo riserbate i preghi, Non più fate sonar voci dogliose, Le piaghe del mio cor sono amorose, Che i lucidi occhi tuoi Cefalo apriro, Nè per mia contentezza altro desiro, Che ne’ regni del ciel farti beato, Tu le miserie umane Fuggir oggi da te vedrai lontane, E cangerai da questa diva amato Il tuo caduco a sempiterno stato. {{Vc|''Cefalo.''}} O gran pregio del ciel oggi che pensi? O compagna del Sol vuoi provar forse S’ho riverente il cor quanto conviensi? Ch’io tanto ardisca? Io dell’Aurora amante. O bellissima Diva io non son degno Di colà por le labbra, Ove tu pon le piante. {{Vc|''Aurora.''}} Del Ciel le grazie da sprezzar non sono; Disgombra l’umiltate a me nojosa, A te stesso dannosa. {{Vc|''Uno del Coro.''}} Impetrerà mai fede Narrandosi ad altrui la meraviglia Ch’oggi per noi si vede? {{Vc|''Cefalo.''}} Tu bellezza celeste Cerca d’un amator nel ciel sereno: Io vile uomo terreno Seguiterò d’amar bellezza umana Entro a queste foreste. {{Vc|''Aurora.''}} Se terreno, e mortale Schifi nell’alto ciel di viver meco lo celeste immortale Non schiferò quaggiù di viver teco. </poem> <section end="s2" /><noinclude> <references/></noinclude> 81cibjh3x1vde6hzivhojpnkhj1m0w6 Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/331 108 299726 3535318 3304980 2025-06-14T11:32:11Z Dr Zimbu 1553 3535318 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|318|POESIE|}}</noinclude><section begin="s1" /><poem> {{Vc|''Cefalo.''}} A’ sommi Dei non è da dar consiglio: Fia ben ciò che farai. {{Vc|''Aurora.''}} Ove il piede rivolgi? ove ne vai? {{Vc|''Cefalo.''}} Per l’aspre selve a perseguir le fere. {{Vc|''Aurora.''}} Oggi dal guardo mio non fuggirai; Uomo non ave incontro a Dio potere. {{Vc|''Coro di Cacciatori.''}} Io tra foreste, e tra nevosi monti Di lunghe aste ferrate armo la destra, Ed a greggia silvestra Di cervi altier per le ramose fronti, Ed a Cinghial torbido gli occhi, e bianco Le curve zanne empio di piaghe il fianco. </poem> {{Rule|4em|t=1|v=3}}<section end="s1" /> <section begin="s2" />{{ct|c=atto|ATTO SECONDO}} {{Rule|2em|t=1|v=3}} {{ct|c=s3|titone, oceano, febo, coro di deita’ marine, amore, coro di amori}} <poem> {{Vc|''Titone solo per l’aria.''}} Chi mi conforta aimè! chi più consolami? Or che ’l mio sol, che sì bei raggi adornano, La bellissima Aurora, onde s’aggiornano Mie notti, innanzi tempo ecco abbandonami; Nè pensa che quest’ore unqua non tornano. Quinci si trista in cor voce risuonami, Che tutti i miei pensier dolcezza obbliano, E rio sospetto a rie querele spronami. Diva, che gli occhi miei tanto desiano, E che nuove vaghezze oggi in te sorgono, Che dal mesto Titon si ti desviano? Deh se tue belle ciglia ora mi scorgono, Mira, che gli occhi miei lacrime piovono; E che mentre dal cor preghi ti porgono, Mie voci co’ sospir l’aria commovono. {{Vc|''Oceano.''}} Dispensator dell’ammirabil lume Che su destrier volanti L’universo correndo orni, e rischiari; Perchè non sáli per gli eterei campi? Ed oltre al tuo costume Lento soggiorni nel gran sen de i mari? Se de gli eterni lampi Febo sei scarso al mondo, Le strida de’ mortali al Cielo andranno; Che ’l pianto è grande, dov’è grande il danno. {{Vc|''Febo.''}} O dell’onde infinite Sommo rettor tu mi condanni invano: Almo padre Oceano Al viaggio del di già non son lento: Ecco i destrier, c’han nelle piante il vento, Sì, son disposti al corso; Mira l’aurato morso A tutti intorno biancheggiar di spuma; Par che di calpestar gli alti sentieri Ciascun avvampi, ed arda: Nè la mia destra allo sferzar fia tarda. {{Vc|''Oceano.''}} Dunque a’ destrier focosi allenta il freno, E fa sonar le luminose rote Su per lo smalto del bel ciel sereno. {{Vc|''Febo.''}} Come poss’io, se non appare ancora Con la fronte di rose, e co’ piè d’oro A farmi scorta nel cammin l’Aurora? {{Vc|''Oceano.''}} Perchè cotanto indugia La ruggiadosa Diva? Già per l’addietro di volarti innanzi Mai non mostrossi schiva? {{Vc|''Febo.''}} Forse Titon con amorosi preghi Seco ritienla, e le fa forza al core; Che ogni termine sprezza, Ed ogni freno, ed ogni legge Amore. Uno del Coro delle Deità marine. Il fanciul, che raccende L’aria di sì bei rai È forse Amor, ch’inverso noi discende? Un’altro dello stesso Coro. Amor è, rimirate E la faretra, e l’arco Che mortalmente impiaga; E pur ogn’alma di sue piaghe è vaga. {{Vc|''Amore.''}} Illustrator del mondo, Che ogni cosa discerni; Omai disfrena i corridori eterni, E sta del mar in fondo; La bellissima Aurora a te non torna, E sai che senza Aurora La notte non s’aggiorna. {{Vc|''Febo.''}} Come, come, non torna? e che raffrena? E chi da me disvia La bella scorta mia? {{Vc|''Amore.''}} Questa immortal faretra Halle ferito il petto, E sì dolce diletto Ella un bel viso rimirando impetra, Che di te non rammenta E non rammenterà, se pria non chiudo Quella percossa acerba, E non spargo di mele i suoi martiri, E non le dono il fin de’ suoi desiri. {{Vc|''Oceano.''}} O dell’alte quadrella In terra, e in mar saettator famoso, Espugnator d’ogni volere avverso, Dolce soggiogator dell’universo, Oggi che fai? che tenti? Mira, che sull’Olimpo errano indarno I gran lumi celesti, Se ’n questi bassi fondi il Sole arresti. {{Vc|''Febo.''}} Nulla forza contrasta All’invitto valor del tuo volere, Ogni possanza trema </poem><section end="s2" /><noinclude> <references/></noinclude> 83ck1g1am568ll12zhihujkigqp2ux3 L'astrazzione 0 306049 3535242 3305039 2025-06-14T07:39:50Z Francyskus 76680 Porto il SAL a SAL 100% 3535242 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome e cognome dell'autore"/>Giuseppe Gioachino Belli<section end="Nome e cognome dell'autore"/> <section begin="Anno di pubblicazione"/>1830<section end="Anno di pubblicazione"/> <section begin="URL della versione cartacea a fronte"/>Indice:Sonetti romaneschi I.djvu<section end="URL della versione cartacea a fronte"/> <section begin="Argomento"/>sonetti<section end="Argomento"/> <section begin="Progetto"/>letteratura<section 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2025-06-14T07:51:53Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535251 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione|2|''Sonetti senza data''|}}</noinclude><nowiki /> {{Ct|f=100%|v=1|t=2|A MENICUCCIO CIANCA.<ref>[A Domenico ''Cianca'', cioè ''zanca'', gamba: soprannome che il Belli dava all’amico suo Domenico Biagini, il quale camminava lemme lemme.]</ref>}} <poem> Di’ un po’, ccompare, hai ggnente in condizione<ref>Cognizione.</ref> La cuggnata de Titta<ref>[Giambattista.]</ref> er chiodarolo? Be’, ssenti glieri si<ref name=se>Se.</ref> ccorcò<ref>''Colcò'': fece giù, ingannò.</ref> a fasciolo<ref>A fagiuolo, appuntino.</ref> Lo sguattero dell’Oste der Farcone. Doppo fattasce auffàgna<ref>A ufo.</ref> colazione, J’annò cór déto a stuzzicà er pirolo: Figurete quer povero fijjòlo Si{{#tag:ref||name=se}} cce se bbuttò addosso a ppecorone. Ma mmalappena<ref>[''A''-mala-pena: appena appena.]</ref> arzato sù er zipario, Ècchete che per dio da un cammerino Viè ffora er bariscello der Vicario.<ref>&lbrack;Il bargello del Cardinal Vicario. V. in questo volume la nota 1 del sonetto: ''{{TestoCitato|Er giudisce der Vicariato|Er giudisce}}'' ecc., 26 genn. 32.]</ref> Mo ha da sposalla;<sup>[[#vicario|11]]</sup> e ppoi pe ccontentino, S’averà da godé ll’affittuario, Che jj’ha fatto crompà ll’ovo e ’r purcino.<ref>{{nsb|VI|18|12}}</ref> </poem> ;Note <references /> <!--1830 - De Peppetto er tosto--> === {{§|vicario|Nota al verso 12}} === [“Le vicaire de Viterbe fait appeler un jour chez lui le fils aîné d’une des plus grandes familles; ce jeune homme se trouvait, par la mort de son père, le chef de la maison. — “Seigneur comte,„ lui dit-il, “j’ai une bonne nouvelle à vous annoncer, une noce dans la famille.„ Le jeune homme ne comprenait pas. “Combien êtes-vous dans votre famille?„ ajouta le vicaire. — “Quatre, notre mère, et trois fils.„ — “Je crois que vous êtes cinq.„ — “Comment cinq?„ — “Aucun n’est marié?„ — “Aucun.„ — “Voilà où est l’erreur, un de vous est marié„ — “Marié! et qui donc?„ — “Édouard.„ — “Édouard, {{nsb|VI|13|11}}<noinclude><references/></noinclude> 6zhuuyqhx4sq8lpekhvqi4xavxukryu Pagina:Della Nuova Istoria.djvu/7 108 426049 3535328 3318550 2025-06-14T11:37:28Z Dr Zimbu 1553 3535328 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Carlomorino" /></noinclude>{{Centrato|}}{{xx-larger|DI ZOSIMO}} {{x-larger|CONTE ED AVVOCATO DEL FISCO}} {{xx-larger|DELLA NUOVA ISTORIA}} '''–o()o()o–''' {{x-larger|''' ''LIBRO PRIMO'' '''}}</div> {{Rule|4em}} {{xx-larger|{{AutoreCitato|Polibio|P}}}}{{Sc|{{AutoreCitato|Polibio|olibio}} da Megalopoli}} prima di narrare ai secoli futuri gli avvenimenti dell’età sua meritevoli di ricordanza, estimò saggio consiglio il dimostrare co’ fatti che i Romani, dopo la fondazione della città loro guerreggiando secento anni i confinanti, non giunsero a possedere un grande impero. Ma soggiogata parte dell’Italia e perdutala novamente dopo la comparsa di Annibale e la sconfitta a Canne, minacciandone i Cartaginesi le stesse cittadine mura, si portarono a tanta elevatezza di fortuna che in cinquantatrè anni a pena vidersi padroni dell’Italia e dell’Africa tutta. Signoreggiarono di più la Spagna, nè paghi ancora vinsero, traversato il seno Ionico, i Greci, privarono i Macedoni del reame<ref>Ciò avvenne sotto Perseo, e ne trionfò P. Emilio.</ref>, ed imprigionatone il monarca, lo {{Pt|con-|}}<noinclude><references/> {{PieDiPagina|{{Sc|Zosimo}}.|''Della nuova Istoria.''|1}}</noinclude> qf82iw8e95bw1iwn929gtxcgkq3r59i Pagina:Lettere (Andreini).djvu/25 108 430867 3535323 2772950 2025-06-14T11:34:18Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535323 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude> {{FI |file = Lettere (Andreini) (page 25 crop).jpg |width = 40% |caption = }} {{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=2px|HOC. HISTRICÆ. ELOQUENTIÆ. CAPUT.}}}} {{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=2px|LECTOR. ADMIRARIS?}}}} {{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=2px|BENE. HABET.}}}} {{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=2px|QUID. SI. AUDITOR. SIES?}}}} {{Type|f=0.6em|l=1px|{{spazi|120}}''Pola''}} {{Centrato|{{Type|f=0.6em|l=1px|''Raphael Sadeler sculpsit.''}}}}<noinclude><references/></noinclude> gmjwqorimkrzh1pjh0cbbsrl1s084kn Pagina:Decurtins - Rätoromanische chrestomathie, VII.djvu/9 108 435702 3535324 2664038 2025-06-14T11:34:41Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535324 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude> {{Centrato|{{xx-larger|Frederi Mistral}}}} {{A destra|gewidmet.}}<noinclude></noinclude> 19xeoke6il9ap8n814e8pxhl60dmfj2 Pagina:Della Nuova Istoria.djvu/5 108 442849 3535327 3309047 2025-06-14T11:36:12Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535327 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude>{{ct|f=200%|v=1.5|DI ZOSIMO}} {{ct|f=100%|v=1.5|CONTE ED AVVOCATO DEL FISCO}} {{ct|f=200%|v=2|'''DELLA NUOVA ISTORIA'''}} {{ct|f=130%|v=1.5|'''''Libri sei con Note'''''}} {{ct|f=100%|v=1.5|TRADOTTI}} {{ct|f=70%|v=1.5|PER LA PRIMA VOLTA NELLA ITALIANA LINGUA}} {{ct|f=120%|v=1.7|'''DA GIUSEPPE ROSSI'''}} {{ct|f=70%|v=1.5|ED}} {{ct|f=130%|v=1.5|AGGIUNTAVI UN’APPENDICE SOPRA GIULIANO}} {{ct|f=100%|v=1.5|LAVORO DEL CHIARISSIMO}} {{ct|f=110%|v=4|'''SIGNOR SPIRIDIONE PETRETTINI.'''}} {{ct|f=130%|v=1|MILANO}} {{ct|f=100%|v=1|DALLA STAMPERIA DI PAOLO ANDREA MOLINA}} {{ct|f=100%|v=1|in Contrada dell’Agnello, N. 963.}} {{Rule|2em}} {{ct|f=110%|t=1|1850}}<noinclude></noinclude> tencu3yq1yblzgxz2qliv7k7sb0nqei Pagina:Della Nuova Istoria.djvu/3 108 442852 3535326 3309048 2025-06-14T11:35:39Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535326 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude>{{ct|f=200%|v=2|COLLANA}} {{Ct|f=100%|v=2|DEGLI}} {{ct|f=150%|v=2|ANTICHI STORICI GRECI}} {{Ct|f=100%|VOLGARIZZATI.}}<noinclude><references/></noinclude> 4rcql1vjghqj0n4nht4cu7eyxvdqm8z Pagina:Rimes Ladines.djvu/3 108 442961 3535325 3260551 2025-06-14T11:35:36Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535325 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude>{{nop}} {{Centrato|{{xx-larger|RIMES LADINES}}}} {{Centrato|{{x-larger|IN PÉRT CON TRADUZION TALIANA}}}} {{Centrato|POBLICADES}} {{Centrato|{{smaller|''DAL''}}}} {{Centrato|{{larger|'''Dr. BATTISTA ALTON.'''}}}} {{FI |file = Rimes Ladines (page 3 crop).jpg |width = 25% |caption = }} {{Centrato|{{larger|INNSBRUCK.}}}} {{Centrato|STAMPERIA E LIBRERIA ACCADEMICA WAGNER.}} {{Centrato|{{larger|1885}}}}<noinclude><references/></noinclude> ciacy7uzo5wurvplesd58zvwzvhlf0a Pagina:Poliziano - Le Selve, 1902.djvu/57 108 480289 3535329 1799900 2025-06-14T11:39:12Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535329 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude>{{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=1px|II.}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.0em|l=4px|IL CAMPAGNUOLO{{Nota separata|Pagina:Poliziano_-_Le_Selve,_1902.djvu/245|1}}}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.4em|❦}}}} {{Blocco a destra|<poem> {{Type|f=0.9em|l=1.4px|Letta come prolusione al corso}} {{Type|f=0.9em|l=1px|sopra le Georgiche di Esiodo e di}} {{Type|f=0.9em|l=1.0px|Virgilio, nello Studio Fiorentino,}} {{Type|f=0.9em|l=1px|l’anno scolastico 1483-84.}}</poem>}}<noinclude><references/></noinclude> 6eoz1i55sy92scwo5mj99pexrmdc604 3535330 3535329 2025-06-14T11:40:45Z Dr Zimbu 1553 3535330 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude>{{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=1px|II.}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.0em|l=4px|IL CAMPAGNUOLO{{Nota separata|Pagina:Poliziano_-_Le_Selve,_1902.djvu/245|1}}}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.4em|❦}}}} {{Blocco a destra|larghezza=60%|{{Type|f=0.9em|Letta come prolusione al corso sopra le Georgiche di Esiodo e di Virgilio, nello Studio Fiorentino, l’anno scolastico 1483-84.}}}}<noinclude><references/></noinclude> 8cgf5wo0e9jh7mldpcnaypgao68v51g 3535333 3535330 2025-06-14T11:41:46Z Dr Zimbu 1553 3535333 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude>{{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=1px|II.}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.0em|l=4px|IL CAMPAGNUOLO{{Nota separata|Pagina:Poliziano_-_Le_Selve,_1902.djvu/245|1}}}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.4em|❦}}}} {{Blocco a destra|larghezza=60%|{{Type|f=0.9em|l=1px|Letta come prolusione al corso sopra le Georgiche di Esiodo e di Virgilio, nello Studio Fiorentino, l’anno scolastico 1483-84.}}}}<noinclude><references/></noinclude> n9x7rxss5otvnrb0l2orv54iyvoecat Pagina:Poliziano - Le Selve, 1902.djvu/109 108 480386 3535331 1799901 2025-06-14T11:41:04Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535331 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude>{{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=1px|III.}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.0em|l=4px|AMBRA{{Nota separata|Pagina:Poliziano_-_Le_Selve,_1902.djvu/247|1}}}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.4em|❦}}}} {{Blocco a destra|larghezza=60%|{{Type|f=0.9em|Letta per la esposizione dei poemi Omerici, nello Studio Fiorentino, l’anno scolastico 1485-86.}}}}<noinclude><references/></noinclude> bymy2auueh44metjemhey4ymh8b53sk 3535332 3535331 2025-06-14T11:41:41Z Dr Zimbu 1553 3535332 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude>{{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=1px|III.}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.0em|l=4px|AMBRA{{Nota separata|Pagina:Poliziano_-_Le_Selve,_1902.djvu/247|1}}}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.4em|❦}}}} {{Blocco a destra|larghezza=60%|{{Type|f=0.9em|l=1px|Letta per la esposizione dei poemi Omerici, nello Studio Fiorentino, l’anno scolastico 1485-86.}}}}<noinclude><references/></noinclude> 30lo0ou8xoxiooc5bjgqychrgeciz4h Pagina:Poliziano - Le Selve, 1902.djvu/167 108 480504 3535334 1799902 2025-06-14T11:42:01Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535334 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude>{{Centrato|{{Type|f=1.0em|l=1px|IV.}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.0em|l=4px|BALIATICO{{Ns|1|Poliziano_-_Le_Selve,_1902.djvu|257|258}}}}}} {{Centrato|{{Type|f=2.4em|❦}}}} {{Blocco a destra|{{Type|f=0.9em|l=1px|In lode della poesia e de’ poeti, 1486.}}}}<noinclude><references/></noinclude> 29egxx499r0zinhoyvbqqxaewhzm5gy Pagina:Canonici - Prospetto biografico delle donne italiane.djvu/275 108 480847 3535335 1800404 2025-06-14T11:43:10Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535335 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude> {{Ct|f=140%|L=3px|ADDIZIONE}}<noinclude><references/></noinclude> sd9z14l6tdxk8w6lubvco925sr5w5qi Pagina:Manzoni - La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, Milano, 1889.djvu/19 108 481025 3535336 1801154 2025-06-14T11:43:14Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535336 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude> {{Ct|f=150%|INTRODUZIONE.}}<noinclude><references/></noinclude> 877x481eead4qi11hqey0v4j4r41i7k Pagina:Istituzioni di diritto romano II.djvu/596 108 489818 3535340 1828068 2025-06-14T11:45:29Z Dr Zimbu 1553 /* Da trascrivere */ 3535340 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Dr Zimbu" /></noinclude>591 INDICE del Volume 11. lì mio se conno Delle cose e dei Diritti Patrimoniali Sezione II. Dei Diritti Patrimoniali Titolo II. Dei Diritti Patrimoniali emergenti da un Rapporto obbligatorio ( Obligationes ) Pag. 1 Parte I. Delle obbligazioni in generale e loro- distinzioni » 3 Parte II. Effetti dell’ Obbligazione » 18 Capitolo I. Dell’Esecuzione. Dell’Obbligazione » 18 Capitolo II. Dell’Inesecuzione dell’Obbligazione . 21 Capitolo III Conseguenza dell’ Inesecuzione dell’ Obbligazione 28 Parte ni. Fonti delle Obbligazioni, , » 36 Capitolo I. Delle Obbligazioni nascenti da convenzione. » 36 a) dei Contratti » 68 I. Contratti Reali . » 68 A) Contratti Reali Nominati . » 69 B) Contratti Reali Innominati. » 95 II. Contratti Verbali , » 100 III. Contratti Litterali » 110<noinclude></noinclude> mwdcgsv0t3o883lpi173c4k4cko8ru7 Pagina:Istituzioni di diritto romano II.djvu/597 108 489819 3535341 1828069 2025-06-14T11:45:31Z Dr Zimbu 1553 /* Da trascrivere */ 3535341 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Dr Zimbu" /></noinclude>592 IV. Contratti Consensuali pag. p) dei Patti .... » Patti Non Nudi I. Patti Adjetti » II. Patti Legittimi . » III. Patti Pretorj » Dei Patti Nudi » Capitolo II. Delle Obbligazioni nascenti da Delitto » Capitolo III. Delle Obbligazioni derivanti ex variis causarum figuris . » I. De Obligationibus quasi ex Contractu » li. De Obligationibus quae quasi ex delicto nascuntur. » III De Obligationibus quae ex variis causarum figuris nascuntur » parte IV. Modi di garantire 1’ esecuzione delle Obbligazioni » Parte V. Della cessione delle Azioni » Parte VI. Modi coi quali si estinguono le Obbligazioni » Titolò III. Dei Diritti di Successione Ereditaria » Parte I. — Generalità » Capitolo I. Nozione generale della Successione Ereditaria . » Capitolo II. Della Delazione e dell’ Acquisto dell’ Eredità . » Capitolo III. Hereditas e Bonorum Possessio » Parte II. Della Delazione dell’ Eredità per Testamento . » Capitolo I. Del Testamento in generale . » 119 185 185 189 225 233 242 262 263 283 287 305 319 327 354 354 355 358 361 367 367<noinclude></noinclude> p44nklwd0cl8oeimw1xawmtmaom3evi Pagina:Istituzioni di diritto romano II.djvu/598 108 489820 3535342 1828070 2025-06-14T11:45:34Z Dr Zimbu 1553 /* Da trascrivere */ 3535342 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Dr Zimbu" /></noinclude>Capitolo II. Condizioni per fare Testamento pag. Capitolo III. Forma dei Testamenti ... » Capitolo IV. Del contenuto del Testamento. » Capitolo V. Limiti alla libertà di testare. . 35 Capitolo VI. Cause di invalidità dei Testamenti. » Parte III. Della Delazione dell’ Eredità per Legge B Capitolo I. Principj generali » Capitolo II. Diritto Antico . » Capitolo III. Diritto Nuovo w Parte IV. Dell’ Acquisto dell’ Eredità . » Capitolo I. Modi di acquistare 1’ Eredità . ” Capitolo II. Effetti dell’ acquisto dell’ Eredità w Parte V. Azioni per far valere i Diritti di Successione Ereditaria » Capitolo I. Azioni Petitorie » Capitolo II. Azioni Possessorie » Parte VI. Dei Legati e Fedecommessi . » Capitolo I. Del Legato » 368 373 390 410 443 451 451 452 469 479 479 492 517 517 522 525 525<noinclude></noinclude> 9kdvvc70vzk3ujuzy6gipmwnmr7rase Pagina:Istituzioni di diritto romano II.djvu/599 108 489821 3535343 1828071 2025-06-14T11:45:36Z Dr Zimbu 1553 /* Da trascrivere */ 3535343 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Dr Zimbu" /></noinclude>194 Capitolo II. Del Fedecommesso Singolare . pag- 531 Capitolo III. Dei Codicilli . » 536 Capitolo IV. Teoria dei Legati e dei Fedecommessi a titolo singolare » 544 Capitolo V. Del Legatum Partitionis e del Fideicommissum Hereditatis in particolare . » 576 Capitolo VI Delle Donazioni e Capioni Mortis Causa » 584 Parte VII. Altre Successioni Mortis Causa » 588 —» ’-3’X3CX-e«-^<noinclude></noinclude> r07iq5gnzqww8x0jq66cemt658gcax2 Pagina:Graf - Le poesie, Chiantore, 1922.djvu/8 108 490293 3535339 1829809 2025-06-14T11:45:14Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535339 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude>{{rule|2em}} {{Centrato|{{Sc|Proprietà Letteraria}}}} {{rule|2em}} {{rule|6em}} {{Centrato|Torino - Tip. {{Sc|Vincenzo Bona}} - Via Ospedale, 3 (14021-22).}}<noinclude><references/></noinclude> jkyo5e9xd0n69tsvl3u551n4oy1czk9 Pagina:Tarchetti - Una nobile follia, 1910-32.djvu/2 108 490710 3535337 3531812 2025-06-14T11:44:47Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535337 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude>{{Ct|f=120%|L=0.2em|<u>BIBLIOTECA UNIVERSALE</u>}} {{Ct|f=150%|w=0.3em|I. U. TARCHETTI}} {{Rule|4em}} {{Ct|f=250%|UNA NOBILE FOLLIA}} {{Centrato|(Drammi di vita militare)}} {{Centrato|CASA EDITRICE SONZOGNO - MILANO}} {{Ct|f=90%|14 - {{Sc|via pasquirolo}} - 14}} {{Nop}}<noinclude><references/></noinclude> 0l05pbyhyeqdvxv9pmx53fyg92496e1 Pagina:Tarchetti - Una nobile follia, 1910-32.djvu/3 108 490711 3535338 3531987 2025-06-14T11:44:50Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535338 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" /></noinclude>{{Nop}} {{Rule|4em}} {{Ct|t=1|v=1|PROPRIETÀ LETTERARIA}} {{Rule|4em}} {{Rule}} {{Ct|f=90%|Milano. — Stab. Grafico Matarelli, via Passarella, 13-15.}} {{Ct|f=90%|c-21-c.o}}<noinclude><references/></noinclude> nqpprlfivubhakx6r3ci277taeht4h5 Pagina:De Roberto - Ermanno Raeli.djvu/97 108 546824 3535291 2754226 2025-06-14T08:52:20Z Lagrande 3448 /* Riletta */ 3535291 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Lagrande" />{{RigaIntestazione|92|{{Sc|ermanno raeli.}}||riga=si}}</noinclude>egli aveva scorto, alla luce crepuscolare, il vago profilo della giovanetta. Come una mera apparizione, essa si dileguava verso la rumoreggiante città, dandogli la sensazione d’un distacco fatale... E la città, il mondo, la folla aborrita afferrava anche lui, gli rumoreggiava dintorno, pareva ricordargli che egli era sua preda... Quando egli fu arrivato a casa sua, l’esaltazione era caduta in un grande sconforto. Ciò ch’egli sentiva, era di trovarsi in una disposizione di spirito dalla quale sarebbe stato in suo potere il passare alla passione, solo ch’egli avesse voluto; ma era appunto tale volontà che egli si risolveva in quell’ora a non avere. In una rapida intuizione, aveva misurata tutta la distanza che separava lui, vecchio di spirito, sfiduciato, ammalato, da quella creatura gentile, all’alba della vita, ignara degli abissi di miseria nei quali egli era caduto. Egli sentiva di non poter dire: ''io l’amo''; ma di poter dire piuttosto: ''io l’amerei''... In questa differenza grammaticale stava<noinclude><references/></noinclude> 6icvlq8srov26jnu3ehdhlyv56wkaoc Pagina:De Roberto - Ermanno Raeli.djvu/98 108 546825 3535292 2754228 2025-06-14T08:54:34Z Lagrande 3448 /* Riletta */ 3535292 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Lagrande" />{{RigaIntestazione||{{Sc|ermanno raeli.}}|93|riga=si}}</noinclude>il secreto di tutta la sua vita. Una condizione era posta alla sua felicità: non avere avuta quella triste esperienza del mondo e di sè. E come questo non ora possibile, egli non aveva il dritto di domandare ciò di cui non era degno. Sedurre quella fanciulla, ottenerne l’amore con la promessa del suo, sarebbe stata una profanazione, un crimine inescusabile... Il cielo, nella sera saliente, si era fatto d’un azzurro tenero, d’una sfumatura infinitamente delicata, e lo scintillio degli astri era vivido e profondo. I fiori del suo piccolo giardino profumavano la mite aura autunnale. Squisito come la tinta di quel cielo, come il profumo di quei fiori, era il sogno che egli aveva visto balenare un istante; ciò che la ragione comandava era che restasse eternamente un sogno... La risoluzione che Ermanno Raeli aveva presa quella sera domandava, come principale condizione, che egli non vedesse la signorina di Charmory. Invece, le promesse fatte alla contessa di Verdara, delle quali questa aveva<noinclude><references/></noinclude> 8n0fhlv95mxa05ytxa5tfuh4brjtb22 Pagina:De Roberto - Ermanno Raeli.djvu/182 108 546911 3535189 2753981 2025-06-14T06:17:41Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535189 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||||riga=si}}</noinclude> {{ct|f=110%|t=1|v=2|XI.}} La contessa di Verdara, tra riluttante ed insistente, ma comprendendo di non dover chiedere di più, era scomparsa in fondo al corridoio; la signora d’Archenval, accasciata sul suo letto, con la faccia tra le mani, non dava alcun segno di vita — e Massimiliana restava tutta allo schianto che la tragica prova le aveva prodotto. Vi è una specie di forza tutta negativa, particolare agli spiriti troppo provati dal dolore, la quale consiste, invece che nell’agire sulle circostanze esteriori, come fa la reale energia, nel resistere all’azione di queste medesime<noinclude></noinclude> py7mcr28w56gzzl027xhrblcchg9yfl Pagina:De Roberto - Ermanno Raeli.djvu/183 108 546912 3535190 2754776 2025-06-14T06:17:47Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535190 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|178|{{Sc|ermanno raeli.}}||riga=si}}</noinclude>circostanze. Una forza di tal genere era quella che la signorina di Charmory aveva spiegata durante il prepararsi del dramma, e che era diventata sforzo doloroso durante il suo colloquio con la contessa. Prevista, affrettata, angosciosamente temuta, scoccava per lei l’ora immancabile in cui la sinistra fatalità della sua vita doveva essere rivelata, da lei stessa, a costo di tutta sè stessa!.. Come lungamente il suo silenzio l’aveva oppressa! ma come studiatamente aveva cercato di prolungarlo — e come il dovere di parlare le si era imposto ogni giorno, a tutti gl’istanti!.. Da quali terrori era stata invasa, ogni volta che aveva creduto di scorgere in quanti la circondavano un’attitudine di sospettosa attenzione! e che violenze aveva dovuto farsi per non gridare il suo secreto all’amica, poichè aveva già cominciato a tradirsi!.. Non aveva ella, infatti, confessato l’amor suo per Ermanno? Sì, ella aveva osato questo... e non aveva avuto il coraggio di compiere la confessione, di soggiungere che ella era indegna di quell’amore, che mai ella<noinclude><references/></noinclude> n9rfj1bt9z066neatbnqreti6l35sph Pagina:De Roberto - Ermanno Raeli.djvu/184 108 546913 3535191 2754777 2025-06-14T06:17:50Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535191 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|ermanno raeli.}}|179|riga=si}}</noinclude>avrebbe potuto accostarsi all’altare!.. Ella aveva avuta questa viltà; ma questa viltà era anche l’unico suo sostegno, l’unica ragione, non di sperare, perchè la speranza era morta per lei, ma di resistere — in tale abisso di miseria ella agonizzava!.. Ed era poi tutta colpa o merito suo il silenzio così gelosamente mantenuto, o non vi erano piuttosto delle terribili cose sfuggenti ad ogni espressione, da non potersi tradurre in parole senza che il sangue s’agghiacciasse nelle vene e la ragione si smarrisse? Erano state le parole che le erano mancate, ogni volta che la sorda voce della coscienza le aveva ingiunto di dir tutto; erano le parole che ella cercava adesso, seduta al suo tavolo, dinnanzi alla carta con l’intestazione azzurra dell’albergo, sulla quale ella scriveva alla contessa, perchè sentiva di non poter durare nel silenzio senza danni più grandi; perchè ella ''doveva'' confessarsi alla donna a cui Ermanno stesso si era confessato, e perchè l’espressione scritta le pareva meno repugnante<noinclude><references/></noinclude> ghti43zayjo3e3h1siaqz25pjeh95h9 Pagina:De Roberto - Ermanno Raeli.djvu/185 108 546914 3535192 2754778 2025-06-14T06:17:52Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535192 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|180|{{Sc|ermanno raeli.}}||riga=si}}</noinclude>al pensiero gelosamente pensato... Più nitidamente che mai, a quell’ora che ne subiva le orribili conseguenze, che stava per rivelarla ad un’altra creatura vivente, risorgeva in lei, con tutti i suoi particolari, la storia della sua giovinezza contaminata, della sua vita distrutta. Ella si rivedeva, triste ma rassegnata, nella casa dove era stata raccolta, all’uscir dal collegio, fra quelle persone che le facevano più sensibile la mancanza della famiglia: lo zio, pel quale la famiglia non esisteva; la viscontessa, buona ma travagliata da dolori fisici e morali per la sfrenata condotta del marito e del padre lontano. Ella aveva sentito vagamente parlare dei continui scandali provocati da costui, di famiglie rovinate, di duelli fatali, che lo avevano finalmente costretto ad allontanarsi da Parigi per ricominciare altrove, lasciando alla figlia pietosa e sensibile il rimorso del male ch’egli aveva fatto... Ed un giorno egli era giunto inaspettatamente fra loro. Stanco della sua lunga peregrinazione attraverso i centri della vita internazionale, il<noinclude><references/></noinclude> r5bhnadm723mtlv0ldmmge45jwyq0k6 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/191 108 597835 3535193 2128919 2025-06-14T06:18:26Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535193 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|185|nascondi=si}}</noinclude> Da cinque anni don Giuseppe Demuros insegnava a Dorgoro. Il paesetto era triste, umido; un vero buco di viventi sprofondato in una valle tetra rocciosa. La giovinezza del povero maestro che un giorno aveva sognato di riformare il mondo se ne andava così, come una malattia di languore, lenta, monotona, inesorabile. Quando i suoi quaranta scolaretti sporchi, giallognoli e camusi come piccoli trogloditi scesi giù dalle grotte di Monte Gudula intonavano l’inno dei lavoratori con una cadenza religiosa, egli sentiva voglia di piangere e di frustarli. No, l’indomani non sarebbe giunto mai nè per loro nè per lui nè per nessuno: tutto il mondo era chiuso da una catena di roccie come il villaggio di Dorgoro, con sopra una cupola di nebbia. Ad aumentare la sua ipocondria giunse una lettera di suo padre, il vecchio nobile don Giame. «Ho perduto il mio ultimo bene — scriveva il vecchio nobile decaduto, col suo stile di cui la miseria non aveva smorzato l’ironia. — È morta Munserrata, la nostra fedele serva e balia. Non c’è da pianger certo la sua {{Pt|imma-|}}<noinclude></noinclude> 8a8l7yhilv8gwq1zc1xyw44a3cpsnqo Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/192 108 597836 3535194 2128920 2025-06-14T06:18:28Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535194 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|186|{{Sc|lasciare o prendere?}}|riga=si}}</noinclude> {{Pt|tura|immatura}} perdita perchè se son vecchio io figuriamoci lei! I soli suoi anni ch’io possa contare con precisione sono i quaranta che ella ha passato qui da noi dopo la condanna di suo marito per l’assalto alla corriera. «Non ti preoccupare per me: serve vecchie ne trovo quante ne voglio: così, le trovassi giovani! Del resto se Munserrata non moriva forse mi lasciava lo stesso perchè, guarda caso, giusto suo marito Pera è tornato la settimana scorsa appena a tempo per vederla morire. Sembravano due sposini, e forse è stata l’emozione della rinnovata luna di miele a mandarla giù. Il curioso è che Pera adesso mi si è installato addirittura in casa e per compensarmi dell’alloggio pretende di farmi i servizî lui. È arzillo, il reduce! Fa da cuoco, da calzolaio, da sarto: quasi mi viene in mente l’idea che voglia riprender moglie. Il gruzzolo certo deve averlo: nella corriera viaggiava il commissario con le ultime rate d’imposta e col denaro — dicono — tutto in oro, della vendita del salto di San Michele per conto dello Stato. E prima di venir presi, Pera ed i suoi valenti compagni pare abbiano avuto il tempo di nascondere il tesoro. Egli solo ritorna; e la sua smania di fare il servo e di parer povero mi dimostrerebbe ch’egli non lo è. Lasciamolo fare: svelto e pulito lo è, più di Munserrata; si vede che era al {{Spaziato|servizio del re}}!» La chiusa burlesca aumentò il malumore di Giuseppe. Immediatamente egli decise di {{Pt|piom-|}}<noinclude></noinclude> nh0zt8zxrmel3ssfk33km9rlnddxw7r Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/193 108 597837 3535195 2128921 2025-06-14T06:18:35Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535195 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|187|riga=si}}</noinclude> {{Pt|bare|piombare}} sulla sua nobile casupola in rovina e di scacciarvi l’ex-galeotto. E va. Era agli ultimi di dicembre, verso Natale, ma il tempo si manteneva bello come una tardiva estate di San Martino, e il viaggio rasserenò alquanto il cuore dispettoso del giovane maestro. Da Nuoro, ov’egli dovette cambiar veicolo, la strada che va al suo paese corre tra la valle e la montagna, tra vigneti e oliveti centenarî: qua e là l’Orthobene eleva quasi a picco le sue roccie che sembrano dominate da torri fantastiche: qualche punta granitica ha un alberello in cima come una fiammella su un candelabro. La cattedrale di Nuoro, appare, sparisce, torna ad apparire fra due ciglioni, come un castello grigio sullo sfondo rosso del cielo. Dopo il fiume che corre selvaggio fra roccie e macchie come un bandito, Giuseppe cominciò ad ammirare, fra i rami sottili dei mandorli spogli, i picchi azzurri dei suoi monti, e gli parve d’esser tornato adolescente, quando alle vacanze di Natale rientrava al suo paesetto come l’allodola al suo nido. E come un nido allegro appariva il paesetto, attaccato alla falda del monte: una chiesetta bianca è in alto, e la strada che vi conduce pare una corda gettata attraverso le macchie. Ed ecco le case bianche sparse sulla china verde del monte, le straducole in pendìo: qualche casetta medioevale ha forma di torre, con un portichetto in cima, con aperture a mezzaluna ove si sporgono figure di donne il cui<noinclude></noinclude> 14yv3c3td17p28r6bd9jieuuk9fzlsr Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/194 108 597838 3535196 2128923 2025-06-14T06:18:43Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535196 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|188|{{Sc|lasciare o prendere?}}|riga=si}}</noinclude> viso un po’ quadrato, sotto la linea nera e dritta dei capelli divisi in mezzo ma tirati e lisciati bassi sulla fronte, ha qualcosa di egiziano. Gli uomini, invece, riuniti nella piazza che Giuseppe attraversò per recarsi a casa sua, erano agili e belli, con calzature leggere e corsetti rossi a striscie di broccato: ricordavano i toreadori, come del resto tutto il paesetto con la sua chiesa e il convento di Gesuiti, i balconi di legno, i melograni sui pozzi di roccia, i fazzoletti frangiati e fioriti delle donne, i vecchi contadini sui cavalli bianchi, ricordava la Spagna primitiva. La casa di don Giame guardava verso la grande vallata: dal ballatoio malsicuro Giuseppe rivide il paesaggio grandioso che aveva disegnato un degno sfondo ai suoi sogni di adolescente, e, se non altro, respirò. La casa era aperta ma sembrava disabitata; Giuseppe salì alle camere superiori e solo allora sentì un lamento che usciva dalla stanza della serva. Steso sul lettuccio di legno coperto da una specie di arazzo grigio e giallo, vide un uomo dal visetto rosso raggrinzito, con gli occhi lucenti come due perle. — Zio Pera, siete voi? Ma l’uomo, che annaspava le lenzuola con le piccole mani rosse e sudate, aveva la febbre alta e delirava. — Giame, figlio di latte, ti dico che è così! Prendili i denari; sono tuoi; tuoi, ti dico! A chi devo lasciarli, se no? Alla Chiesa? I<noinclude></noinclude> d4uckvkg8a93x76y5gmjpm8h167sjw9 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/195 108 597839 3535197 2128924 2025-06-14T06:18:48Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535197 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|189|riga=si}}</noinclude> preti non li posso vedere, e Dio vuole buon cuore, non denari. Ai parenti? Non ne ho. Ai fratelli in Dio? Tutti mi hanno tradito e sputacchiato in viso come Cristo. Tu solo, sebbene nobile, mi hai preso in casa tua e mi hai dato ospitalità.... E Munserrata, povera mandorla, voleva così. Prendili, dunque, o mi arrabbio.... — Ma dov’è mio padre? — gridava Giuseppe, nervoso e turbato, correndo di camera in camera. Gli pareva di sognare. I pavimenti corrosi traballavano, la voce del malato lo perseguitava in ogni cantuccio della casa desolata come la voce di un fantasma in mezzo alle rovine. Finalmente don Giame apparve dietro il muro rovinato del cortile: veniva su pian pianino, vestito di nero, con la sua gran barba bianca come un collare di merletto, il viso calmo e ironico. Era stato a comprar provviste e medicine e le portava su entro il suo gran fazzoletto rosso macchiato di tabacco. — Ha la polmonite doppia; ancora due o tre giorni e psss.... — disse, soffiando in su e scuotendo la mano per accennare a un volo d’uccello. — Ma perchè lo avete preso in casa? — domandò il figlio esasperato. — Perchè? vuoi sapere il perchè? Ebbene, te lo dirò: perchè non ha voluto andarsene! Rise giovenilmente, credendo d’essersi beffato di Giuseppe; ma quando il giovane maestro cominciò a sbatter qua e là le povere sedie<noinclude></noinclude> nn2viqrhnvpfid0k1lwi15zva1fvi65 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/196 108 597840 3535198 2128925 2025-06-14T06:18:52Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535198 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|190|{{Sc|lasciare o prendere?}}|riga=si}}</noinclude> zoppe e a brontolare ch’era stata vergogna tenersi in casa un galeotto, un grassatore, egli trasse la tabacchiera di corno chiusa da un tappo di sughero, vi battè contro le nocche delle dita e reclinò un po’ la testa sull’omero. — E tu, l’uomo moderno, il socialista, parli così! Non dicevi che siamo tutti compagni? Il vecchio era già malato quando arrivò: adesso sta un po’ peggio. Ebbene, sei sempre a tempo. Caccialo via tu, su, coraggio, che ti costa? E Giuseppe dovette rassegnarsi. Don Giame applicò le ventose al fianco livido del malato, poi sedette accanto al lettuccio e prese fra le sue la piccola mano che annaspava le lenzuola. — Prendili i denari, Giame, prendili! — ripeteva il moribondo, e pareva parlasse sul serio. — Ma di che si tratta, padre? — Del suo tesoro, perdinci! Magari lo dicesse davvero! Delira.... — E voi scherzate, padre! Giuseppe se ne andò in giro. Tutti gli domandavano sorridendo dell’eredità di zio Pera, ed egli sollevava il bastoncino preso da una smania di tristezza e d’ira come quando i suoi scolari cantavano l’inno. Ma i suoi compaesani scherzavano volentieri. — Ebbè, don Giusè, se non li vuol lei, i marenghi di zio Pera, veniamo a prenderli noi, tanto siamo parenti. Infatti, saputo che don Giuseppe era {{Pt|arri-|}}<noinclude></noinclude> 6nvaunsqml6h96hal42mz1jztn0t6ny Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/197 108 597841 3535199 2128926 2025-06-14T06:19:28Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535199 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|191|riga=si}}</noinclude> {{Pt|vato|arrivato}} apposta per impedire al padre di accettare l’eredità, metà dei compaesani si riversò nella casa dove zio Pera agonizzava; e tutti pretendevano di esser suoi parenti. Ma don Giame li cacciò via come mosche, un po’ burlando, un po’ minacciando, un po’ ripetendo la vecchia canzone: {{Blocco centrato|<poem> <i>In tempu de latte Nè amicu nè frate! In tempus de ficu Nè frate nè amicu!</i><ref>In tempo di latte, — nè amico nè fratello. — In tempo di fichi, — nè fratello nè amico. Vale a dire in tempo di fortuna. </ref> </poem>}} Giuseppe fremeva, ma ad un tratto tutto intorno ritornò calmo e silenzioso. Zio Pera era morto, e don Giame, che da gran signore qual era stato ai suoi tempi lo aveva fatto {{spaziato|accompagnare}} da tutti i preti del paese e con una bella bara foderata di velluto, non parlava affatto dell’eredità. E non dimostrava una tristezza falsa e fuori di luogo. — Il valentuomo è morto contento: perchè dobbiamo piangerlo noi? Il Natale lo festeggeremo lo stesso. Ma Giuseppe pensava che per lui non esistevan più feste: la vita, per lui, era tutta una quaresima. La morte del vecchio lo aveva però colpito profondamente. Così si muore, pensava, dopo il bene e dopo il male, dopo una vita di libertà o di prigionia; tutto<noinclude></noinclude> 08n3zmnh14fe3cgd3m1ihrmsdi9j9z0 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/198 108 597842 3535200 2128927 2025-06-14T06:19:34Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535200 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|192|{{Sc|lasciare o prendere?}}|riga=si}}</noinclude> finisce, e gli errori e gli eroismi, il premio o il castigo di cui vien gratificato l’uomo dai suoi simili, tutto appare ridicolo davanti alla grandezza della morte. — Se il vecchietto aveva realmente un gruzzolo se lo era ben guadagnato coi suoi quarant’anni di schiavitù; era {{Spaziato|suo}} e poteva disporne come della polvere delle sue scarpe.... — egli pensava aggirandosi per la casa fredda e desolata e guardando suo malgrado qua e là nei ripostigli ove il morto avesse potuto nascondere il suo tesoro. Era la vigilia di Natale e il tempo si manteneva bello, freddo e luminoso: attraverso le finestruole senza vetri il grande paesaggio di vallate verdi chiuse dal profilo bianco e violetto dei monti lontani appariva nitido e pieno di luce: i rumori vibravano come colpi battuti sul cristallo, e tutto era diafano, armonioso. Veniva desiderio di spiccare il volo e andarsene attraverso il mondo bello e grande, come le aquile che dopo il tramonto passavano sopra il villaggio. — Se zio Pera avesse davvero lasciato un po’ dei suoi famosi marenghi! I denari sono le ali dell’uomo.... Così pensava Giuseppe, seduto melanconicamente accanto al fuoco, nella {{Spaziato|cucina grande}}, dove ai bei tempi i servi di casa Demuros avevano festeggiato con cene e canti omerici il Natale. Don Giame arrostiva allo spiedo un pezzo di cinghiale regalatogli dalla guardia campestre, e diceva:<noinclude></noinclude> c95aapbvfy2pxek60adlqmjb6t2ik9a Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/199 108 597843 3535201 2128928 2025-06-14T06:19:50Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535201 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|193|riga=si}}</noinclude> — Giusè, che pensi? Dirai: mio padre è ben decaduto se accetta regali dalla guardia campestre! Ed io ti rispondo: Giusè, la guardia campestre rimane la guardia campestre e don Giame Demuros rimane don Giame Demuros. Giuseppe non pensava a fare osservazioni: compativa tutto, lui, e non protestò neppure quando suo padre, preparato un canestro per la cena all’uso sardo, tagliò alcune fette dell’arrosto rosso e fragrante, e lasciando il resto infilato nello spiedo e questo al caldo in un angolo del focolare, portò il canestro col pane, la carne, le olive, il vino, le noci, sul tavolo nella cucina piccola che serviva usualmente anche da sala da pranzo. — Per le anime, — disse con voce grave eppure sarcastica.— Munserrata me lo ha raccomandato tanto! Certo, perchè verrà anche lei: e Pera, se Dio vuole, la accompagnerà! Scherzava, parlava sul serio? Giuseppe ricordava che la vecchia serva tutti gli anni nella notte di Natale preparava così una piccola cena per i Morti che ritornano nella casa ove vissero: e la mattina dopo non spazzava perchè qualche cosa di {{spaziato|loro}} poteva esser rimasta sul pavimento. Il curioso è che tutti gli anni la cena spariva: e Giuseppe, da fanciullo, attraversava la mattina dopo la cucina e il cortile a salti per paura di calpestare qualche cosa di {{spaziato|loro}}. Una volta era malamente caduto. Quante cose, dopo, egli non {{Pt|ave-|}}<noinclude></noinclude> h1o2qkc76bh6dyptea1r1p1fr1jn53o 3535202 3535201 2025-06-14T06:20:02Z Dr Zimbu 1553 3535202 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|193|riga=si}}</noinclude> — Giusè, che pensi? Dirai: mio padre è ben decaduto se accetta regali dalla guardia campestre! Ed io ti rispondo: Giusè, la guardia campestre rimane la guardia campestre e don Giame Demuros rimane don Giame Demuros. Giuseppe non pensava a fare osservazioni: compativa tutto, lui, e non protestò neppure quando suo padre, preparato un canestro per la cena all’uso sardo, tagliò alcune fette dell’arrosto rosso e fragrante, e lasciando il resto infilato nello spiedo e questo al caldo in un angolo del focolare, portò il canestro col pane, la carne, le olive, il vino, le noci, sul tavolo nella cucina piccola che serviva usualmente anche da sala da pranzo. — Per le anime, — disse con voce grave eppure sarcastica.— Munserrata me lo ha raccomandato tanto! Certo, perchè verrà anche lei: e Pera, se Dio vuole, la accompagnerà! Scherzava, parlava sul serio? Giuseppe ricordava che la vecchia serva tutti gli anni nella notte di Natale preparava così una piccola cena per i Morti che ritornano nella casa ove vissero: e la mattina dopo non spazzava perchè qualche cosa di {{spaziato|loro}} poteva esser rimasta sul pavimento. Il curioso è che tutti gli anni la cena spariva: e Giuseppe, da fanciullo, attraversava la mattina dopo la cucina e il cortile a salti per paura di calpestare qualche cosa di {{spaziato|loro}}. Una volta era malamente caduto. Quante cose, dopo, egli non ave-<noinclude></noinclude> neg0byhvb2a0iao4ca9gcmspb1s7bld Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/200 108 597844 3535203 2128985 2025-06-14T06:20:09Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535203 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|194|{{Sc|lasciare o prendere?}}|riga=si}}</noinclude>va avuto paura di calpestare così! Illusioni, polvere di morti! Ed era perciò caduto. — Tu, cosa fai? — domandò il padre. — Non vieni alla messa? Al ritorno ceneremo assieme. Senza dir nè sì nè no, Giuseppe lo seguì per un tratto: le campane squillavano nella notte luminosa e fredda e nelle straducole risuonavano gli scarponi ferrati dei pastori: qualcuno di questi, con un grande grappolo nero di barba che si confondeva col pelo della mastrucca sembrava il re Melchiorre; qualche altro, coi lunghi capelli rossicci e il broccato del giubbone fosforescente alla luna pareva il re Baldassarre. E tutti andavano lassù, alla chiesa povera come la stalla ove è nato Gesù: figure strane guizzavano qua e là, fra il chiarore azzurro della luna e l’ombra turchina dei vicoli in pendio: teorie di donne, lievi, jeratiche, con le scarpette che parevan fiori, bambini dai larghi calzoni bianchi; e tutti andavano su, sparivano, come perdendosi sulla montagna il cui sfondo chiudeva ogni vicolo e sovrastava alle case. Anche Giuseppe andava, dietro la figura nera di suo padre; ma a un tratto fu preso in mezzo da un gruppo di giovani miscredenti che gl’impedirono di entrare in chiesa e lo condussero con loro in una casa dove si ballava e si cantava. Tutti erano allegri, meno lui. Seduto su una panca sporca di vino guardava il quadro rosso e nero che gli si moveva davanti attraverso un velo di fumo, e sentiva rimorso di aver {{Pt|ab-|}}<noinclude></noinclude> b4py105nffq0f4qogr5vd4t6w0n7j8j Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/201 108 597845 3535204 2128986 2025-06-14T06:20:15Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535204 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|195|riga=si}}</noinclude>{{Pt|bandonato|abbandonato}} suo padre. Sapeva che don Giame, sotto la sua apparente trascuranza, teneva molto agli usi e alle tradizioni del paese: tornando a casa solo gli sarebbe parso di cenare in compagnia dei Morti! Ma Giuseppe non poteva muoversi; sentiva un malessere profondo, un cupo dispetto contro sè stesso e contro tutti: gli sembrava che una forza occulta lo trascinasse, che tutto intorno a lui fosse un po’ irreale e fantastico, come se avesse bevuto anche lui il vino forte che trascinava al ballo persino i vecchi e le donne sofferenti. Una voce gli diceva: — Va, muoviti, va da tuo padre. Stanotte anche i figli lontani e perversi tornano alla casa paterna. Tornano persino i morti.... E tu non torni.... — Sciocchezze! Avanzo di tenebre antiche! — rispondeva a sè stesso scrollando le spalle. Ma intanto sentiva una tristezza dispettosa, a star lì immobile su quella panca che odorava di vino, in quella cucina fumosa ove le figure preistoriche si movevano come nel chiaroscuro d’una grotta. Le ore passarono: i galli annunziarono col loro grido che la festa doveva finire, e gli uomini sazî di carne e di vino caddero uno dopo l’altro sulle stuoie come abbattuti da una mano invisibile. Gl’invitati se ne andarono, e anche Giuseppe s’avviò alla sua triste casa. La luna tramontava e la montagna su in fondo ai vicoli pareva un velo azzurro: figure ed ombre erano scomparse, eppure nell’attraversare lo {{Pt|spiaz-|}}<noinclude></noinclude> spfmks08k9q0bh3ncjaqw3qn2eyejt2 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/202 108 597846 3535205 2128987 2025-06-14T06:20:19Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535205 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|196|{{Sc|lasciare o prendere?}}|riga=si}}</noinclude> {{Pt|zo|spiazzo}} davanti alla sua casa, Giuseppe credette di veder un uomo arrampicarsi sui sostegni del ballatoio e allontanarsi come un gatto sui tetti. Entrò. La cucina grande era deserta, tiepida: dal fuoco coperto usciva ancora una fiammella violacea che dava un chiarore fantastico alle cose intorno. Tutto era in ordine; lo spiedo a posto, vuoto. Giuseppe pensò di nuovo al dispiacere dato a suo padre, e gli pareva d’esser stato ancora una volta stupido e ridicolo passando la notte in casa d’altri. Anche i morti ritornano.... Ebbene, cos’era quest’altra stupidaggine che gli frullava in testa? — Sono debole.... — disse a voce alta, curvandosi per accender la candela alla fiamma. Appena spinse l’uscio che comunicava con la cucina piccola, un soffio d’aria fredda lo colpì: la porticina sul cortile era aperta e vi si vedeva un quadrato di luna bianco come un fazzoletto di tela. Il canestro sul tavolo era vuoto; e un oggetto lì accanto diede a Giuseppe un’impressione misteriosa, come il ricordo d’una vita anteriore. Una lieve vertigine gli velò la mente: figure conosciute eppure indistinte tornavano a circondarlo, come nella casa dove aveva passato la notte; ma dopo un attimo tutto dileguò, ed egli ricordò di aver da ragazzo veduto tante volte entro la cassapanca di Munserrata il cofanetto d’asfodelo, diventato nero per il lungo uso, che adesso stava sul tavolo. La vita anteriore che<noinclude></noinclude> j6r6x23p48kplch11aea84gio8cffg9 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/203 108 597847 3535206 2128988 2025-06-14T06:20:21Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535206 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lasciare o prendere?}}|197|riga=si}}</noinclude> egli ricordava era la sua infanzia. Staccò dal cofanetto il coperchio guarnito di nastrini e il suo viso si fece lungo per la meraviglia, poi corto per il sorriso che lo allargò: sorriso di piacere, ma anche d’ironia. Il cofanetto conteneva il tesoro di zio Pera. Giuseppe capì subito che lo aveva messo lì suo padre. Perchè? Per fargli ingenuamente credere che lo avevano portato i due servi morti, o per burlarsi di lui? Ma il quesito cadde subito, insoluto, incalzato da un altro. Che fare? Prendere o lasciare? Tornò la vertigine, ripassarono le figure; e tutte adesso si ridevano di lui per il solo fatto che egli si domandava: prendere o lasciare? Rimase un momento così, curvo, mentre dalla candela piovevano goccie di cera che si congelavano come perle sulle monete d’oro: finalmente balbettò come un bimbo: «prendere....» e gli parve d’esser chinato sull’orlo di un pozzo in fondo al quale brillava il sole....<noinclude></noinclude> hcx1guok046qq0btuc7hnh0xxj2nr12 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/207 108 597848 3535208 2129193 2025-06-14T06:21:49Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535208 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|201|nascondi=si}}</noinclude> Eran tornate le lunghe e tiepide sere di maggio e ziu Tomas sedeva di nuovo, come l’anno prima, come dieci anni prima, nel cortiletto aperto davanti alla sua casetta che era come l’ultimo acino d’un grappolo di piccole costruzioni nerastre addossate alla crosta grigia di un monte. Ma invano la primavera mandava fin lassù il suo soffio di voluttà selvaggia: il vecchio decrepito, immobile tra un vecchio cane nero e un vecchio gatto giallo, sembrava pietrificato e insensibile come tutte le cose intorno. Solo l’odore dell’erba, alla sera, gli ricordava i pascoli fra cui aveva trascorso la maggior parte della sua vita, e quando la luna sorgeva dal mare lontano, grande e dorata come il sole, e i monti della costa, neri sul cielo d’argento, e tutta la grande vallata e il semicerchio fantastico delle montagne davanti e a destra dell’orizzonte si coprivano di veli scintillanti e di zone d’ombra e di luce che davan l’illusione di foreste e laghi lontani, egli pensava a cose puerili, ai morti, a Lusbè il diavolo che conduce al pascolo le anime dannate tramutate in cinghiali; e se la luna si nascondeva dietro qualche nuvola egli {{Pt|pen-|}}<noinclude></noinclude> b38s6cdtf5vn3phsn4oiurrxf7ix13k Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/208 108 597849 3535209 2129194 2025-06-14T06:21:55Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535209 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|202|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> {{Pt|sava|pensava}} sul serio alle sette vacche figliate che il pianeta andato in quel momento a cena si divorava tranquillamente nel suo nascondiglio. Egli non parlava quasi mai; ma una sera Zana, la nipote, quando lo scosse per avvertirlo che era tempo di coricarsi, lo trovò così ostinatamente silenzioso, dritto e rigido sul suo sgabello, che lo credette morto. Spaventata, chiamò zia Lenarda, la sua vicina di casa, ed entrambe riuscirono a scuotere il vecchio e l’aiutarono a rientrare e a stendersi sulla stuoia davanti al focolare. — Zia Lenarda mia, bisogna chiamare il dottore: nonno è freddo come un trapassato, — disse la ragazza, toccando il vecchio. — Il nostro dottore è partito: è andato per due mesi in continente per studiare le malattie d’orecchi, perchè dice lui che tutti diventan sordi quando si tratta di pagargli il fitto dei suoi pascoli.... quasi che questi non li abbia comprati coi denari del paese, la giustizia lo incanti! Adesso in cambio suo c’è quel {{Spaziato|beffulanu}} del dottore di città... che si crede il medico del re di Spagna. Chissà se verrà? — Zia Lenarda, egli è obbligato a venire. Egli prende venti lire al giorno! — disse Zana fieramente. E la donna andò. Il sostituto del dottore abitava nella palazzina di questi, ch’era l’unica casa abitabile del paesetto. Circondata di orti, con terrazze e pergolati, con un gran cortile tutto ricoperto di vite e di glicine, l’abitazione era tale da<noinclude></noinclude> aa682x4jnyoumd3cr60dwxnh46doay9 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/209 108 597850 3535210 2129195 2025-06-14T06:22:02Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535210 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|203|riga=si}}</noinclude> confortare anche il sostituto, il quale veniva da una città che, per quanto piccola, aveva tutte le esigenze, i vizi, gli strozzini, le donne e le case da giuoco delle grandi città. Zia Lenarda lo trovò che leggeva un libro giallo, giù nella sala da pranzo che s’apriva sul cortile: senza dubbio un libro di medicina, a giudicarne dall’intensità con cui egli, con gli occhi miopi rasente alle pagine, i pugni bianchi ficcati nelle guance scure un po’ molli, le labbra carnose sollevate sui denti sporgenti, pareva se lo divorasse. La serva dovette chiamarlo due volte per fargli notare la presenza della donna. Egli chiuse d’un colpo il libro, s’alzò e seguì zia Lenarda, molle e distratto. Ella non osava parlare, e lo precedeva come per insegnargli la strada, saltando agile e silenziosa giù di pietra in pietra per le straducole rocciose, battute dalla luna. Giù, nello sfondo, davanti alla finestra nera della donna, il dottore vedeva le cime argentee dei monti. L’odore puro della valle si mischiava all’odore di ovile che usciva dalle casupole, che emanava dalle figure di pastori accoccolate qua e là sugli scalini delle porte: tutto era triste e grandioso. Ma nel {{Spaziato|patiu}} (cortiletto) di ziu Tomas l’odore dell’erba e del verbasco dominava; e davanti al muricciuolo sospeso sul ciglione, con la luna grande e una stella quasi rasente al capo, il dottore vide una figurina di donna così sottile, specialmente dalla vita in giù, così fasciata<noinclude></noinclude> 75umms6whyn8r7zhn5qcjad0sjch9ld Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/210 108 597851 3535211 2129197 2025-06-14T06:22:42Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535211 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|204|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> e senza contorni, che gli diede l’impressione di un’erma. Vedendolo, ella rientrò nella cucina, prese un lume e si piegò sulle ginocchia davanti alla stuoia del nonno, mentre zia Lenarda correva a prendere dalla stanza interna una seggiolina dipinta per offrirla al dottore. Egli sedette, si curvò per prendere il polso del vecchio, estrasse il cronometro d’oro che scintillò al lume di Zana. Allora la fanciulla sollevò il viso e lo guardò negli occhi, ed egli provò un’impressione che non dimenticò più. Gli parve di non aver mai veduto un viso di donna più bello e più enigmatico: un po’ largo sulla fronte coperta fin sulle sopracciglia, una più alta dell’altra, da due bande di capelli neri e lucenti, finiva in un mento sottile e sporgente; gli zigomi lisci proiettavano un po’ d’ombra sulle guance rientranti, e i denti bianchissimi, serrati, davano alcunchè di crudele alla bocca sdegnosa, mentre i grandi occhi neri erano pieni di tristezza e d’un languore profondo. Vedendosi guardata così, Zana abbassò gli occhi e non li sollevò più; ma siccome il nonno non rispondeva alle domande del dottore, ella mormorò: — È sordo da più di vent’anni! — Salute! Bisognerebbe fargli almeno un pediluvio molto caldo: ha le estremità gelide. — Un pediluvio? Non gli farà male? — disse zia Lenarda consultando Zana. — Saranno otto mesi che non si leva le scarpe!<noinclude></noinclude> 0lkl4mii7j6q8val681cn272ztrdvvu Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/211 108 597852 3535212 2129199 2025-06-14T06:22:51Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535212 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|205|riga=si}}</noinclude> — Salute! E lo lasciate qui, adesso? — E dove? Ha dormito sempre qui. Il dottore si alzò e dopo aver scritto sul taccuino una ricetta la diede a Zana e si guardò attorno. Il luogo era nero come una caverna; si intravedeva un andito con una scaletta di legno in fondo, e tutto denotava miseria. Egli guardò Zana con pietà: così bianca e sottile gli dava l’idea d’un asfodelo cresciuto appunto sull’orlo di una grotta. — Il vecchio è denutrito.... — disse esitando, — e tu pure, mi pare.... Avreste tutti e due bisogno di una cura ricostituente.... Se potete.... Ella capì subito. — Tutto possiamo! La sua bocca era così sdegnosa che l’uomo se ne andò via quasi intimidito. E su e su, di pietra in pietra, su per il sentiero di macigni se ne tornò alla sua oasi; la luna inargentava il pergolato e i grappoli delle glicinie sembravano di un’uva fantastica di cui il solo profumo ubbriacava. La vecchia serva filava sulla porta ed egli, con lo strano viso di Zana sempre davanti agli occhi, domandò: — Conoscete ziu Tomas Acchittu? Chi non li conosceva gli Acchittu? — Persino a Nuoro se ne sa la fama, conforto mio! C’è più d’un laureato che vuol sposare Zana. — Sì, è bella. Non l’avevo mai veduta.<noinclude></noinclude> mvkrjvr0j4l60zkv54gowr2ann5z7j9 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/212 108 597853 3535213 2129572 2025-06-14T06:23:01Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535213 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|206|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> — Non esce quasi mai; ma non c’è bisogno che esca, per l’anima mia! La rosa odora anche dentro la cassa. E vengono gli stranieri da tutte le parti, persino da Nuoro, sì, e passano per vederla. — Ma è forse andato il banditore in giro per annunciare la sua bellezza? — Non è questo, per l’anima! È che il vecchio è ricco che non sa quanto ha. Terreni quanto il regno di Spagna, e, dicono, più di ventimila scudi nascosti in una sua {{Spaziato|tanca}}. Zana sola sa il posto. Ecco perchè lei non vuole neanche don Juacchinu che è nobile ma non tanto ricco. — E queste ricchezze si può sapere donde vengono? — Come si hanno le cose del mondo. Il vecchio, dicono — salva sia l’anima mia, io non nego nè affermo — ha preso parte a più d’una grassazione nel tempo dei tempi, quando i dragoni non erano svelti come i carabinieri adesso. Allora, in quei tempi, più di un pastore tornava a casa con la bisaccia colma da una parte di formaggio e dall’altra di posate e monete d’oro.... La vecchia cominciò a raccontare e pareva tirasse fuori dalla sua memoria le storielle come il filo dalla conocchia: l’uomo ascoltava, all’ombra del pergolato seminato di monete d’oro, e adesso capiva il riso di Zana e le sue parole: «tutto possiamo!». L’indomani la sua prima visita fu alla casetta: il vecchio stava seduto sulla stuoia e<noinclude></noinclude> lsb554axsygdk9drd361jfcx0xed9wg Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/213 108 597854 3535214 2129201 2025-06-14T06:23:22Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535214 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|207|riga=si}}</noinclude> ruminava tranquillamente il suo pane di orzo inzuppato nell’acqua fresca. Il cane da una parte, il gatto dall’altra. Il sole entrava obliquo dalla porticina e il vento di maggio portava via la puzza di cuoio e di selvatico che il vecchio emanava. — Ebbene, come andiamo? — Bene, lo vede, — disse Zana, non senza un lieve accento di disprezzo. — Lo vedo, sì! Quanti anni avete, ziu Tomas? — Ancora li ho, sì! — disse il vecchio mostrando un avanzo di denti neri. — Ha capito i denti! Nonno, — disse Zana curvandosi sul vecchio e mostrandogli le mani con le dita, tranne il pollice destro, tutte aperte, — così, vero? — Sì, novant’anni, salvo Dio. — Salute e a cento anni, anzi a più di cento! E tu, Zana, sei rimasta sola con lui? Ella gli raccontò com’erano morti tutti i suoi parenti, gli zii, le zie, le cugine, i vecchi, i bambini; e parlava della morte con calma, come di un avvenimento semplice e senza importanza. Il nonno capiva ciò che ella diceva e approvava; ma quando il dottore si volse a lui gridando: — Cambiar vita!.... Pulizia, carne arrosto, buon vino! E far divertire Zana, ziu To’! Il vecchio domandò: — Quando torna? — Chi? — Oh, — disse Zana, — è che aspetta il<noinclude></noinclude> 5u2c9ob96p8nyhu4vcyz4cnrwgzpylp Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/214 108 597855 3535215 2129202 2025-06-14T06:23:48Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535215 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|208|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> nostro dottore perchè gli guarisca le orecchie! — Benone! Ecco assicurata la celebrità al nostro dottore! Il vecchio, che continuava a capire a modo suo, si toccò la manica del giubbone lacero e lucido di grasso. — Sporco? È uso! La gente che sta bene non ha bisogno di farlo vedere. Il dottore aveva infatti già notato che i più puliti, nel paesetto, erano i poveri: i ricchi non si curavano delle loro vesti, per disprezzo delle apparenze, ma anche forse per comodità. Ecco infatti zia Lenarda che aspetta il dottore nel cortiletto, vestita come una serva, mentre anche lei è una donna benestante, una proprietaria di terre e di bestiame, tanto ricca che nonostante i suoi quarantatrè anni ha sposato un bel giovane di venti. — Buon giorno a Vossignoria il dottore. Vorrei domandarle una grazia. Mio marito Jacu fa il soldato: adesso è il tempo della tosatura e vorrei che egli venisse in permesso. {{spaziato|Vostè}} non conosce gente della Corte del Re? — Pur troppo no, buona donna mia. — Lo dissi anche al nostro dottore: se ne occupi, se passa a Roma. Ma lui dice sempre sì, poi si dimentica. Jacu mio è un bel ragazzo — non lo vanto perchè son sua moglie — e buono come il miele.... Con una piccola spinta potrebbe ottenere tutto.... Ella faceva atto di spinger qualche cosa col fuso; ma il dottore andò via sospirando.<noinclude></noinclude> kqf8646a373z913aqqeddw7ownwjv44 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/215 108 597856 3535222 2129203 2025-06-14T06:25:01Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535222 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|209|riga=si}}</noinclude> — Non basta esser belli e buoni, per ottenere tutto quello che si vuole, buona donna mia! E tornò su alla sua oasi, pensando a Zana e a tante cose del suo passato. Egli credeva d’essere stato bello e buono, in gioventù; eppure non aveva ottenuto nulla; non l’amore, non la fortuna, neanche il piacere. È vero, forse, che non li aveva cercati, aspettando che venissero a offrirsi spontanei a lui: e aspetta aspetta, il tempo era passato inutilmente. Ma da qualche anno a questa parte egli talvolta si sentiva preso da pazze ribellioni, e vendeva le sue terre e si dava a cercare affannosamente l’amore, la fortuna, il piacere. Un bel momento si accorgeva però che queste cose non si comprano e, vuotata la borsa, tornava a visitare i suoi pochi clienti, scherzava bonariamente con loro, passeggiava distratto e leggeva romanzi francesi. Zia Lenarda, dal canto suo, convinta che la bellezza può ottenere tutto, visto che il dottore tornava tutti i giorni dagli Acchittu, sebbene il vecchio stesse bene, si rivolse a Zana. — Daglielo tu, palma d’oro! Tutti si preparano per la tosatura: come posso far io che ho la roba affidata a mani estranee? Il dottore ti guarda con occhi grossi come le nacchere del mio fuso! E come non guardarti, luna mia? Se tu glielo dici, che domandi il permesso di Jacu, a te non dirà di no. Ma Zana non prometteva: e quando il dottore, dopo il tedio di quelle lunghe giornate<noinclude></noinclude> 3hgpqoidw5mbli35evcgnhv8r0mrtvc Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/216 108 597857 3535216 2129573 2025-06-14T06:24:04Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535216 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|210|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> a cui il vento tiepido, il cielo azzurro desolato, il sole chiaro, davano una tristezza ineffabile, se ne andava alla sera nel {{Spaziato|patiu}} di ziu Tomas e sedeva a cavalcioni sulla seggiolina dipinta, davanti alla siepe carica di lucciole e di stelle, ella scherzava con lui e gli domandava come vengono certe malattie, come si curano, come si fanno le medicine, come si fanno i veleni, e parlava calma di molte cose, ma non domandava il piacere desiderato dalla sua vicina di casa. Qualche volta questa, seduta sul muricciuolo, filava al buio e prendeva parte alla conversazione. Ciò dava noia al dottore che, dopo aver convinto il vecchio a coricarsi presto, perchè l’aria della sera fa male ai sordi, voleva star solo con Zana. La donna parlava sempre della tosatura. — Vedesse che festa, Vostra signoria mia! Neanche alla festa di San Michele e di San Costantino c’è tanto spasso. Io l’inviterei, se venisse Jacu. Ma senza Jacu la festa parrebbe un funerale. — Ebbene, volete sentirla, buona donna mia? Solo nel caso che voi foste malata accorderebbero il permesso al vostro Jacu! Ma voi state bene come una pasqua. Allora ella cominciò a lamentarsi: aveva tanti malanni, dopo che non c’era il suo Jacu; adesso, poi, l’avvicinarsi dell’epoca della tosatura le dava un vero affanno mortale. Per convincer meglio il dottore ella si mise a letto: ed egli si lasciò intenerire e fece il certificato<noinclude></noinclude> b3v5a6d70s5jlyv87fcnaqzqd3iqdo1 3535220 3535216 2025-06-14T06:24:45Z Dr Zimbu 1553 3535220 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|210|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> a cui il vento tiepido, il cielo azzurro desolato, il sole chiaro, davano una tristezza ineffabile, se ne andava alla sera nel {{Spaziato|patiu}} di ziu Tomas e sedeva a cavalcioni sulla seggiolina dipinta, davanti alla siepe carica di lucciole e di stelle, ella scherzava con lui e gli domandava come vengono certe malattie, come si curano, come si fanno le medicine, come si fanno i veleni, e parlava calma di molte cose, ma non domandava il piacere desiderato dalla sua vicina di casa. Qualche volta questa, seduta sul muricciuolo, filava al buio e prendeva parte alla conversazione. Ciò dava noia al dottore che, dopo aver convinto il vecchio a coricarsi presto, perchè l’aria della sera fa male ai sordi, voleva star solo con Zana. La donna parlava sempre della tosatura. — Vedesse che festa, Vostra signoria mia! Neanche alla festa di San Michele e di San Costantino c’è tanto spasso. Io l’inviterei, se venisse Jacu. Ma senza Jacu la festa parrebbe un funerale. — Ebbene, volete sentirla, buona donna mia? Solo nel caso che voi foste malata accorderebbero il permesso al vostro Jacu! Ma voi state bene come una pasqua. Allora ella cominciò a lamentarsi: aveva tanti malanni, dopo che non c’era il suo Jacu; adesso, poi, l’avvicinarsi dell’epoca della tosatura le dava un vero affanno mortale. Per convincer meglio il dottore ella si mise a letto: ed egli si lasciò intenerire e fece il certi-<noinclude></noinclude> 4wan9kcvrbgbs1s8w0v8bf51s3jauil Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/217 108 597858 3535217 2129205 2025-06-14T06:24:12Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535217 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|211|riga=si}}</noinclude> medico e le ordinò una medicina. Zana assisteva la sua vicina di casa: versò la medicina nel cucchiaio, guardandola attraverso la luce rossastra della lucerna ad olio e mormorò: — Non sarà veleno, no? Poi tornò nel suo cortiletto ove il dottore stava seduto sulla seggiolina dipinte. Era una sera ai primi di giugno, calda già e profumata. Notte d’amore e di ricordi! E questi salivano, dolci e amari, dal passato scuro e tortuoso del dottore, come dalla valle scura e tortuosa saliva l’odore dolce e amaro dell’oleandro. Egli avvicinò la seggiolina al muricciuolo ove Zana s’era seduta, e cominciarono i soliti discorsi. Qualche pastore passava nella straducola, senza impressionarsi troppo se nel {{Spaziato|patiu}} di ziu Tomas sentiva la voce del dottore. Oramai tutti credevano che questi facesse regolarmente la corte a Zana e ai denari del vecchio, ed erano convinti che Zana l’avrebbe accettato, altrimenti non si sarebbe lasciata avvicinare così. Del resto quei due, nel cortiletto, parlavano di cose in apparenza innocenti, di erbe, di fiori velenosi, di medicamenti. — L’oleandro? No, quello non è velenoso ma la cicuta, sì. La conosci? — {{Spaziato|Su buddaru}}? Chi non la conosce? — Ebbene, è l’erba sardonica. Fa morire ridendo.... come fai tu! — Mi lasci il polso, dottore! Non ho la febbre, come zia Lenarda.<noinclude></noinclude> 9nuvgjojwn1aozel1h1lxbgfr8rs5hr 3535221 3535217 2025-06-14T06:24:49Z Dr Zimbu 1553 3535221 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|211|riga=si}}</noinclude>ficato medico e le ordinò una medicina. Zana assisteva la sua vicina di casa: versò la medicina nel cucchiaio, guardandola attraverso la luce rossastra della lucerna ad olio e mormorò: — Non sarà veleno, no? Poi tornò nel suo cortiletto ove il dottore stava seduto sulla seggiolina dipinte. Era una sera ai primi di giugno, calda già e profumata. Notte d’amore e di ricordi! E questi salivano, dolci e amari, dal passato scuro e tortuoso del dottore, come dalla valle scura e tortuosa saliva l’odore dolce e amaro dell’oleandro. Egli avvicinò la seggiolina al muricciuolo ove Zana s’era seduta, e cominciarono i soliti discorsi. Qualche pastore passava nella straducola, senza impressionarsi troppo se nel {{Spaziato|patiu}} di ziu Tomas sentiva la voce del dottore. Oramai tutti credevano che questi facesse regolarmente la corte a Zana e ai denari del vecchio, ed erano convinti che Zana l’avrebbe accettato, altrimenti non si sarebbe lasciata avvicinare così. Del resto quei due, nel cortiletto, parlavano di cose in apparenza innocenti, di erbe, di fiori velenosi, di medicamenti. — L’oleandro? No, quello non è velenoso ma la cicuta, sì. La conosci? — {{Spaziato|Su buddaru}}? Chi non la conosce? — Ebbene, è l’erba sardonica. Fa morire ridendo.... come fai tu! — Mi lasci il polso, dottore! Non ho la febbre, come zia Lenarda.<noinclude></noinclude> 54mvujgoadxy0ci9ji53dx67mtqo2zb Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/218 108 597859 3535218 2129206 2025-06-14T06:24:22Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535218 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|212|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> — Ce l’ho io la febbre, Zana! — Bè, si prende la china! Anche quella è veleno? — Ce l’hai stasera coi veleni! Hai da ammazzare qualcuno? Se vuoi te lo avveleno subito.... ma.... — Ma?.... — Ma.... Egli le riafferrò il polso ed ella lasciò fare: tanto era buio e dalla straducola non li vedevano. — Sì, vorrei un veleno, per la volpe. — Uh, viene fin qui? — Mi pare! Mi lasci: — ella aggiunse sottovoce, torcendosi minacciosa; ma egli le aveva preso anche l’altra mano e la teneva ferma come fosse una ladra. — Un bacio, Zà! Un piccolo bacio solo.... — Il tizzone ardente lo baci! Ebbene, sì, se mi dà il veleno.... La volpe ci ruba gli agnellini appena nati.... {{Ct|f=90%|v=2|t=2|✱}} Spedita la domanda per la licenza di Jacu, accompagnata dal certificato medico, zia Lenarda guarì e tornò ad immischiarsi nei fatti dei suoi vicini di casa: e senza sorpresa si accorse che il dottore aveva preso fuoco come un campo di stoppie. Egli passava e ripassava nella straducola come un ragazzo, e visitava anche due volte al giorno il vecchio<noinclude></noinclude> k4gs51iumd71yee54lx2pam2cdbp4w0 Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/219 108 597860 3535219 2129207 2025-06-14T06:24:30Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535219 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|213|riga=si}}</noinclude> ziu Tomas pretendendo di guarirlo dalla sua sordità ancora prima che tornasse il collega dal continente! Zana sembrava impassibile; spesso non si lasciava neanche vedere, chiusa nella sua stanzetta a tessere come un ragno in fondo al suo buco. Alla domenica, solo giorno in cui ella usciva per andare alla messa, il dottore l’aspettava davanti alla chiesa. Venivano su per la stradetta tortuosa le donne una dopo l’altra, rigide nel loro costume festivo, con le mani incrociate sul grembiale ricamato, o coi loro bimbi in braccio coperti dal manto rosso segnato d’una croce celeste; arrivate a un certo punto si volgevano verso il monte di Nuoro vigilato dalla statua del Redentore e si segnavano: il sole faceva scintillare l’oro delle loro cinture e illuminava il loro bel profilo greco: ma il dottore fissava solo Zana, come incantato, e le vecchie maliziose pensavano: — La figlia di Tomas Acchittu gli ha dato da bere la mandragora!... Un giorno ai pochi uomini che assistevano allo sfilare delle donne s’unì Jacu tornato in licenza. Era bello davvero, non c’è che dire, alto, rosso, sbarbato, con gli occhi verdognoli così luminosi che le donne abbassavano i loro nel passargli davanti, sebbene egli non badasse a loro. La vita militare gli aveva dato un certo aspetto da conquistatore, ma di cose ben più serie che non fossero le donne. Appena arrivato era salito su dal dottore per ringraziarlo<noinclude></noinclude> ex43lml463qk6t4uw5zywx4v5u60w7a Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/220 108 597861 3535223 2129208 2025-06-14T06:25:15Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535223 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|214|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> e gli aveva portato un capretto e lo aveva invitato alla famosa tosatura. Il dottore gli parlava in dialetto, egli rispondeva in italiano, e alla domanda un po’ suggestiva: — Inviterai molta gente? — Sì, perchè la parentela è estesa e un uomo come me se ha molti nemici ha anche molti amici, — rispose. — Io poi sono un uomo liberale, e invito anche i parenti del primo marito di Lenarda. Mi ammazzino, se dico bugia: se ella avesse preso tre mariti avrei invitato i parenti di tutti e tre. — Sei un uomo di mondo, si vede. Bravo; inviterai anche i vicini, suppongo. Da uomo di mondo, Jacu finse di non saper nulla dell’ammattimento del dottore per Zana. — E s’intende! Il vicino è più che il parente. Il giorno della tosatura arrivò, e Zana, zia Lenarda e altre donne presero posto sul carro guidato da Jacu. L’ovile era sull’altipiano e il pesante veicolo tirato da due giovenchi neri appena domati ribaltava su per il sentiero roccioso; ma le donne non avevan paura e Zana, con le mani intrecciate sulle ginocchia, stava tranquillamente accoccolata come davanti al suo focolare; e sembrava triste, ma i suoi occhi splendevano d’un fulgore profondo, come d’una fiamma lontana che brillasse in una notte di tenebre giù in fondo a un bosco. — Vicina, m’impicchino, — disse Jacu, beffardo, — hai una faccia da mortoio. Verrà,<noinclude></noinclude> gq0i2cgsdmn51hpsl7u9yfgxifxoqbn Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/221 108 597862 3535224 2129210 2025-06-14T06:25:18Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535224 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|215|riga=si}}</noinclude> verrà, fulano! Verrà più tardi, col parroco, appena questo ha detto la messa.... — Allegra, Zana! — dissero allora le donne, scherzando non senza malizia. — Sento il passo del cavallo che trotta come il diavolo. — Allegra, fanciulla! Vedo scintillare la catena dell’orologio.... — Una palla nel cocuzzolo! Quanto costerà quella catena? Nove reali? Zana allora si stizzì. — Mala fata vi guidi, lasciatemi in pace. Io non lo posso vedere. Mi pilucchi l’occhio il corvo, se io oggi lo guarderò neppure in faccia.... Il dottore e il prete arrivarono poco prima di mezzogiorno, accolti da evviva e da grida di gioia. All’ombra d’un sovero Jacu, il servo, gli amici, tosavan le pecore stendendole, ben legate, su una larga pietra come sopra un’ara per un sacrifizio; i cani si rincorrevano fra l’erba, gli uccelli fischiavano sulla quercia; un vecchio rassomigliante al profeta Elia raccoglieva la lana entro un sacco e intorno i fiori dell’asfodelo e i gigli selvatici curvati dal vento odoroso pareva si spingessero in avanti curiosi di veder anch’essi ciò che succedeva in mezzo a quel gruppo d’uomini curvi con le cesoje in mano. La pecora tosata e slegata balzava su dal mucchio della lana come da un’onda di schiuma, e si allontanava, rimpicciolita, col muso per terra. Per un po’ il dottore stette a guardare, con le mani intrecciate sulla schiena, poi tornò<noinclude></noinclude> n8wweonyjqdsgz8vk3nz8k5602udonr Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/222 108 597863 3535225 2129219 2025-06-14T06:25:22Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535225 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|216|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> verso la capanna ove le donne cucinavano aiutate dal vecchio padre di Jacu, il quale s’era riserbato l’onorevole incarico di arrostire allo spiedo un capretto intero. Più in là il prete, sdraiato sull’erba all’ombra di un altro sovero, raccontava una storia boccaccesca ad alcuni giovani invitati. Le donne battevano i gomiti sui fianchi di Zana, accennandole il dottore, ed ella a un tratto, cambiato umore, si mise a scherzare con lui, pregandolo di rendersi utile, almeno, con l’andar a prender l’acqua alla fontana. Egli assecondava gli scherzi di lei; prese un recipiente di sughero e s’avviò, nel gran sole che scaldava le erbe e il verbasco e ne traeva un odore inebbriante. La comitiva intorno al prete seguì il dottore con fischi ed urli, ed anche il vecchio che arrostiva il capretto fece le fiche in segno di disprezzo. Un uomo istruito, un uomo maturo, lasciarsi burlare così dalle donne! Allora Zana imprecò e corse tenendosi fermo con la mano il fazzoletto svolazzante sulla testa, finchè raggiunto il dottore gli tolse di mano il recipiente. Da lontano le donne videro l’uomo seguirla nel sentieruolo che conduceva alla fontana, e il vecchio padre di Jacu cominciò a sputare sul fuoco rabbiosamente, quasi volesse spegnerlo. — La nipote di Tomas Acchittu, la vedete? Voleva star sola con l’uomo; se fosse mia figlia le metterei la nuca sotto i calcagni. — Lasciate fare, suocero mio, — disse con benevolenza zia Lenarda. Ah, ella, sì, sapeva<noinclude></noinclude> dqb8li6kke705eesfl2zuhzaa2prscr Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/223 108 597864 3535226 2129221 2025-06-14T06:25:24Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535226 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|217|riga=si}}</noinclude> cos’è l’amore, che rende folli come quando si beve l’acqua dell’incanto. Il dottore, infatti, stordito dal gran sole, seguì Zana fin dietro i rovi della fontana, e ancora una volta tentò di abbracciarla. Ella lo guardava coi suoi occhi simili a quelli della Regina di Saba, ma lo respingeva minacciando di versargli l’acqua del recipiente sul capo. Sempre così, fin dalla prima sera là accanto al muricciuolo del {{Spaziato|patiu}}; sempre la stessa storia; ella lo lusingava e lo respingeva, e tra l’ingenuo e il perfido domandava sempre la stessa cosa: un veleno. — Bè, senti, Zà, ti contenterò; stasera verrò a casa tua e ti porterò una boccettina con la testa di morto. Bada di non andare in galera, però. — È per la volpe, le ho detto! Sì, ma mi lasci, adesso; sente, viene qualcuno! Infatti i rovi intorno alla fontana si scossero come per il passaggio di un cinghiale e Jacu apparve. Aveva il viso stravolto, sebbene fingesse di divertirsi a sorprendere quei due. — Uh! Che fate all’ombra? È ora di mangiare, non di tubare.... — Tu hai più sete che fame, — disse Zana, ironica, sollevando il recipiente, — bevi, bello grande! Ma Jacu si gettò disteso davanti alla sorgente a faccia a terra, e bevette ansando. Il dottore rideva, durante il banchetto, mentre il parroco gli lanciava sul viso qualche briciola e faceva allusioni maliziose; rideva,<noinclude></noinclude> fbvzuezaa6hoyi5dvbpj2oo4l4zva5t Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/224 108 597865 3535227 2129222 2025-06-14T06:25:28Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535227 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|218|{{Sc|la volpe}}|riga=si}}</noinclude> ma di tanto in tanto si distraeva, colto da un’idea nuova. Dopo il banchetto andò a sdraiarsi all’ombra fra le rocce a cui era addossata la capanna; di là vedeva senz’essere veduto, e dominava la scena fin laggiù verso la quercia alla cui ombra i pastori continuavano la tosatura. Il prete e gli altri, più in qua, avevano cominciato una gara di canti estemporanei, e le donne ascoltavano, sedute in fila, con le mani in grembo. Nel silenzio intenso le voci, i canti, le risate, si sperdevano come le nuvolette bianche nell’azzurro profondo; e il dottore sentiva un cavallo brucare l’erba dietro le rocce e un cane rosicchiare un osso dentro la capanna ove di tanto in tanto Jacu entrava per vuotare la lana tosata. A un tratto Zana, mentre la gara estemporanea ferveva più animata, si alzò ed entrò anche lei nella capanna. Il dottore fumava; seguiva il filo azzurro che usciva dal suo sigaro e una specie di sogghigno gli sollevava il labbro lasciando vedere l’oro dei suoi denti impiombati. Finalmente anche Jacu arrivò e la voce soffocata di Zana uscì come un gemito dalle fessure della capanna. — Ti giuro.... i corvi mi tocchino.... se egli mi ha toccato neppure la mano.... So io perchè gli faccio buon viso.... È per il nostro bene.... Ma finirà questa penitenza.... finirà.... L’uomo, forse intento a vuotar la lana, taceva; ella riprese, esasperata, con voce di odio:<noinclude></noinclude> hodeiy181brdlbqbco16c1jc2rj3ckk Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/225 108 597866 3535228 2129224 2025-06-14T06:25:32Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535228 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la volpe}}|219|riga=si}}</noinclude> — Sono forse gelosa di tua moglie, io? di quella vecchia cornacchia, di quella vecchia volpe?... Ma tutto finirà.... e presto.... Allora Jacu rise; e poi di nuovo s’udirono le risate, i canti, il brucar dei cavalli. Ma il dottore volle prendersi un gusto; balzò in piedi e cominciò a urlare: — Uh! Una volpe, una volpe! — E i due amanti balzaron fuori dalla capanna, storditi, mentre giù la comitiva cessava di cantare e le donne guardavano qua e là e i cani abbaiavano come se davvero passasse la volpe.<noinclude></noinclude> pfyrabrn9nzskbm5r4amfbg3rfmzupf Chiaroscuro/Lasciare o prendere? 0 598100 3535207 2128990 2025-06-14T06:20:45Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535207 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Lasciare o prendere?<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../L'uomo nuovo<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../La volpe<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Lasciare o prendere?|prec=../L'uomo nuovo|succ=../La volpe}} <pages index="Deledda - Chiaroscuro.djvu" from=189 to=204 fromsection="" tosection="" /> 2bxq6fl9ssoj3fgmeuzofey743umfdh Chiaroscuro/La volpe 0 598101 3535229 2129591 2025-06-14T06:25:54Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535229 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>La volpe<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../Lasciare o prendere?<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../La cerbiatta<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=La volpe|prec=../Lasciare o prendere?|succ=../La cerbiatta}} <pages index="Deledda - Chiaroscuro.djvu" from=205 to=226 fromsection="" tosection="" /> ime8prpc7k1l556f6ao3mlv6y21ivge Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/247 108 627949 3534939 2222701 2025-06-13T12:32:53Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534939 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|239}}</noinclude>osservazioni ed oculata sperienza: non fu mai ch’egli errasse o s’ingannasse riguardo a loro: seppe farsene comprendere, amare, dominarli coll’affabilità, e pigliare sul loro spirito un ascendente personale. La sollecitudine della loro salute essendo il suo primo movente, coglieva ogni occasione d’ispirar loro un’alta idea degli Europei, affinchè desiderassero di somigliare ad essi, e di adottare i lor costumi: con una magnanimità costante voleva convincerli della sublimità del Vangelo ch’era venuto ad annunziar loro. Se le sue genti non avessero palesata la più aspra cupidigia, certo è che gli Indiani non avrebbero sentito altro che gratitudine e rispetto pegli uomini celesti; così li denominavano. Colombo non trasandava circostanza, particolarità, e nemmen uomo, per piccolo che potesse parere. Fra l’isola della Concezione e la Ferdinandina, incontrato da Colombo un indigeno, ch’era solo in un canotto, lo fe’ montare a bordo per usargli cortesia; e scoprì ch’era un corriere spedito in una parte delle Lucaie per divulgarvi l’arrivo degli «uomini divini:» affine di dar credenza alla maravigliosa notizia, recava seco due monete e alcune perle di vetro. Da questo fatto Colombo conchiuse che in breve la sua presenza sarebbe conosciuta lontano; e importava assai che insiem con tale notizia si spandesse eziandio buona rinomanza degli uomini venuti dal cielo. La prudenza, la politica, in così bell’accordo colla sua inclinazion naturale, gli consigliavano la munificenza e la dolcezza verso di cotesti popoli fanciulli. Colombo gli amava realmente in Gesù Cristo: gli amava, come il padre ama figli che non conosce ancora; ed essi, col loro semplice istinto, gli rendevano confusamente alcunchè del suo affetto: esaurirono in suo favore la poca costanza consentita dalla mobilità del loro carattere: non fu mai tempo nè luogo in cui mostrassero ad un europeo la fiducia e l’attaccamento che portarono a lui. Cristoforo Colombo aveva la bella dote di farsi da loro amare e obbedire senza violenza. Notando l’ammiraglio, che, non ostante la vaghezza de’ siti, e la comodità del dimorarvi, pur non vi aveano abitazioni sulle rive del mare e lungo i fiumi, e vedendo tutte le case {{Pt|dispo-|}}<noinclude></noinclude> r9cxkqh4w49tplymd0ft3eijm3n9gyj Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/248 108 627950 3534945 2222702 2025-06-13T12:44:42Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534945 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|240|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>{{Pt|ste|disposte}} in guisa che i loro abitatori vedevano prima di esser visti, indovinò sagacemente che comuni pericoli li tenevano sempre all’erta: comprese che una razza straniera, più ardita, meglio armata, veniva in barca su quelle spiagge per rapirne gli abitatori; e, dopo di aver sulle prime ricusato di prestarvi fede, venne a sapere che nella pace e nell’abbondanza di sì ridente natura, atroci assassini correvano per tutto intorno, nè già per derubare le capanne, ma per rapirne gli abitatori per pascersi della lor carne. L’atroce fatto era vero. I Caraibi antropofagi, stranii a quelle isole, distinti dagl’indigeni pel cranio, i lineamenti, il colore, l’idioma, per la dipintura de’ corpi, per le armi, e per un cieco coraggio, irrompendo improvvisi, mettevano in desolazione i pacifici abitatori delle isole. Colombo previde il più felice mutamento nella condizione di que’ popoli, la mercè della protezione spagnuola, allorchè godrebbonsi le consolazioni del Vangelo. Egli benediceva Dio di averlo mandato per tal opera di misericordia; e, già penetrato del suo apostolato, l’operava qual precursore della Buona Novella. Prima di poter parlare in modo intelligibile agli indigeni del Redentore, che ardeva del desiderio di far loro adorare, Colombo godeva di gridare per tutto, nella lingua della Chiesa Cattolica, la potenza del Verbo, di far risuonare su quello rive il nome del ben amato Salvatore. Dovunque approdavano le sue scialuppe, rizzava croci, affinchè gl’Indiani sapessero anticipatamente ch’era il segno venerabile «degli uomini celesti», o destinati a diventar tali. La scuola protestante ha calunniato questo piantar croci, e studia di dare ad intendere, che, rizzandole, l’ammiraraglio voleva solamente lasciare un segno palese del preso possesso. Qui le cose sono così distinte da recar lume sui sentimenti e sul loro scopo. Noi non permetteremo che alcuno vada errato in ciò; perocchè gli atti e le intenzioni sono stati chiaramente spiegati dal medesimo Colombo. Preso che aveva possesso nella solita e regolare forma, l’ammiraglio piantava croci scegliendo i luoghi più appariscenti e più pittoreschi: aveva con ciò più a cuore di onorare il divin Redentore, che di provare la sua priorità di scoperte: quanto amava<noinclude></noinclude> aqc8zh1cgnhplmoxavlfbx80yn632ao Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/249 108 627951 3534947 2226000 2025-06-13T12:50:36Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ Gadget AutoreCitato 3534947 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|241}}</noinclude>di raccogliere nell’anima la sua ammirazione delle opere del Verbo, altrettanto sentiva il bisogno di glorificare in cospetto degli uomini il Salvatore dell’umanità: non solo ringraziava Dio di averlo eletto a scoprire quelle nuove regioni, ma altresì di avergli conceduto l’onore d’inalberare prima d’ogni altro su di esse la croce, segno imperituro dell’immortalità conquistata: si considerava in quegli ameni deserti come un altro Giovanni Battista, che preparava le vie a Colui che doveva venire colla sua grazia santificante sotto il simbolo eucaristico. Eletto dalla Provvidenza, Cristoforo Colombo precedeva i nuovi apostoli, i suoi fratelli Francescani, i suoi amici Religiosi di san Domenico, che dovevano essere in breve seguiti dai santi emoli di {{AutoreCitato|Francesco Saverio|Francesco Saverio}}. L’ammiraglio si sforzava di aprir l’intelletto degli Indiani che aveva a bordo, e gl’interrogava di frequente, non ostante il niun esito delle sue dimande e la confusione delle loro risposte. Sin dai primi giorni riconobbe le loro disposizioni all’iperbole ed al fantastico: le loro più chiare affermative non meritavano mai più di una mezza credenza. Colombo non doveva soltanto diffidare degli interpreti, doveva guardarsi altresì dalle affermative dei dotti e dei viaggiatori: bisognava che diffidasse di quello che vedeva, udiva, e ricordava; sarebbe certamente andato più accosto al vero se avesse osato, contro la sua modestia e la volgar prudenza, sciogliersi interamente dagli errori de’ cosmografi, che facevano allora autorità, e riferirsene a’ suoi soli presentimenti: qualche po’ di prosunzione avrebbe risparmiato al suo genio molte perplessità: naturalmente non poteva spiegar ciò che vedeva se non dietro ciò che sapeva; perocchè lo spirito umano nel suo corso non giunge allo sconosciuto che per la via del conosciuto: Colombo aveva letto i cosmografi, i geografi, i viaggiatori, e spezialmente {{AutoreCitato|Marco Polo|Marco Polo}}: fra tutti que’ libri, il quadro del mondo, ''Imago Mundi'', del cardinale Pietro {{AutoreCitato|Pierre d'Ailly|d’Ailly}}, pare il solo che acquistasse sopra il suo spirito un credito, a cui contribuirono il grado ecclesiastico, l’ortodossia dell’autore non meno della sua scienza. Contuttociò, quantunque facesse gran conto delle affermative di certi scrittori, pur non si riferiva mai ad essi in<noinclude>{{PieDiPagina|{{x-smaller|{{Sc|Roselly}}, ''Crist. Colombo,'' T. I.}}||{{x-smaller|16}}}}</noinclude> 1rzxffku1vvxihquqo4uyls2qyja46b Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/250 108 627952 3534961 2222924 2025-06-13T12:59:15Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ Gadget AutoreCitato 3534961 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|242|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>modo assoluto: dubitava, congetturava, presumeva possibile, ma non affermava perentoriamente: la sua penetrazione, i suoi presentimenti, diremmo volentieri il suo istinto di rivelazione, lo impedivano di cadere nelle fallacie di un sistema. Fu spesse volte ripetuto che l’ammiraglio si allontanava da Cuba, nella persuasione di aver trovata e tocca l’estremità del Continente Asiatico: anche questo è uno degli errori tradizionali contro Colombo, che venne accettato senza contrasto: più innanzi lo dissiperemo coll’evidenza dei fatti e dei documenti. Anche il nome generico d’Indie dato dall’ammiraglio alle terre scoperte, e quello d’Indiani ai loro abitatori, non istabilisce nulla in contrario alla nostra opinione. Questo nome era anticipatamente destinato da Colombo ai paesi che avrebbe scoperto. Ecco ciò che dice suo figlio don {{AutoreCitato|Fernando Colombo|Fernando}}: «siccome in tutto il mondo le Indie erano tenute abbondevoli d’oro, e d’ogni sorta di ricchezze, così egli volle dare quel nome alle terre che disegnava scoprire, per obbligare la Castiglia a favoreggiare la sua impresa nella speranza di grandi profitti.» È certo che per qualche istante l’aspetto paradisiaco di Cuba lo inclinò a credere di aver tocca l’estremità del Continente Asiatico; ma non tardò, secondo le sue percezioni spontanee, a pensare di esser giunto alle prime terre di un mondo affatto nuovo. Del resto, in questo primo viaggio, il Contemplatore della natura cercò piuttosto di numerare le regioni da scoperte, che non di descriverle. {{Centrato|§ VI.}} Dirigendosi sopra l’invisibile Babeque, l’ammiraglio vide al sud-est una terra che gl’Indiani gli dissero essere Bohio, in cui si mangiavano gli uomini. Essi parevano avere un orribile spavento delle genti di Caniba, che dimoravano in quell’isola o nel suo vicinato. Costoro pretendevano che cotesti feroci depredatori, che si cibavano di carne umana, avevano il capo di cane, e un occhio solo in mezzo alla fronte. Quando, nonostante la loro descrizione, videro che l’ammiraglio veleggiava verso Bohio, furono talmente spaventati ed oppressi, che ne perdettero la<noinclude></noinclude> psvq1lbtb31julyjmfufmi05lej4y2t Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/251 108 627953 3534965 2222926 2025-06-13T13:04:22Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534965 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|243}}</noinclude>parola. Sospinta da un forte vento, la ''Santa Maria'' si coperse di tutte le sue vele. Le correnti eranle favorevoli, a tale che andò rapidamente verso l’isola misteriosa: ma, sopraggiunta la notte, fu mestieri costeggiare per attendere il giorno. Il 6 dicembre, l’ammiraglio entrò in una piccola baia, che pose sotto l’invocazione della Vergine: al sud-ovest sporgeva un bellissimo capo; qual omaggio a Maria, dolce stella del mare, lo nominò Capo della Stella. Videro altresì diversi promontori, e piccoli porti, a cui impose peculiari nomi: indi continuò a navigare a veduta della costa; e all’ora de’ vespri gettò l’áncora in un porto ammirabile per la sicurezza e la magnificenza del sito, che dinominò San Nicola, in onore del Santo che si festeggiava quel giorno. Colombo dichiarava, che, dopo tutto quello che aveva detto dei porti di Cuba, anche questo poteva essere vantato a giusta ragione, «perocchè mille navi vi potrebbero rimanere a grand’agio.» Il venerdì, 7 dicembre, mise alla vela per seguire la costa al nord-est. Discoverse da lungi, nelle terre, alti monti, e, sulle pianure intermedie, campagne e colline; il paese ricordava la Castiglia. L’ammiraglio notò alberi che somigliavano alle verdi quercie, e ad altre piante della Spagna: trovò la temperatura più fresca che a Cuba: verso la sera entrò in una picciola baia, che denominò la Concezione. Volendo l’ammiraglio esaminare i pesci di queste nuove spiagge, fece calare reti dal suo canotto, e vi restò preso un gran pesce simile a quelli delle coste di Spagna. L’aspetto generale del paese, così per la natura, come per la giacitura, diversificava da quello di Cuba, e ricordava vagamente la Castiglia. Li 8 dicembre, giorno della Concezione, una pioggia violenta, accompagnata da vento, costrinse tutti a rimanersene a bordo. L’ammiraglio potè attendere liberamente alla sua tenera divozione per la Santa Vergine. Non potendo porre le navi a festa per la frequenza dei grandi scrosci d’acqua, fece nelle ore degli uffizii tirar salve in onore di Maria concepita senza peccato. La dimane la pioggia continuò. L’umidità, la forma delle nubi, la tinta dell’atmosfera ricordavano agli Spagnuoli gli aspetti dell’ottobre d’Andalusia. Anche le pianure ritraevano alla loro {{Pt|me-|}}<noinclude></noinclude> hz52slmn2fzh9t4mnh33sa81k8lbbrc Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/252 108 627954 3534967 2222929 2025-06-13T13:09:37Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534967 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|244|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>{{Pt|moria|memoria}} la Castiglia; e, a cagione di questa cara somiglianza, l’ammiraglio impose il nome d’Isola Spagnola, a quest’isola, il cui nome primitivo era diverso per gli indigeni, gli uni chiamandola Bohio, che significava «casa o vasta dimora;» gli altri, in minor numero, la nomavano Haiti, che vuol dire «terra alta;» la maggior parte la dicevano ''Quisqueva'', parola esprimente «la gran terra, o il gran tutto:» perocchè que’ popoli non conoscevano terra più estesa. I Castigliani la dissero, ora la Piccola Spagna,» ''Hispaniola'', ed ora semplicemente ''Spagnola''. Il 12 dicembre, l’ammiraglio consacrò il possesso preso dell’Isola Spagnola con un segno rispondente alla sua pietà. Alla presenza dei due equipaggi fece piantare sull’ingresso del porto, sopra un’altura dominante, una grandissima croce, nè già semplicemente per significare i diritti della Castiglia e la sua presa di possesso, ma «principalmente, diceva, in onore di Gesù Cristo Signor nostro, e della Cristianità.» Per sei giorni consecutivi aveva inutilmente cercato di entrare in relazione coi naturali, i quali, avendo le loro abitazioni disposte in maniera di veder da lungi, fuggivano appena vedevano approssimar gli stranieri. Subito dopo la cerimonia religiosa, si riuscì a prendere una donna, la quale fu condotta a bordo della ''Santa Maria''. «Ella era molto bella, giovanissima, e portava alle nari un anello d’oro,» cosa ch’era di buon augurio: conversò cogl’Indiani delle caravelle, perocchè erale familiare la loro lingua. L’ammiraglio la fece vestire all’europea, e adornare di ''conterie'' venete, di sonagliuzzi, di anelli di ottone, poi la rimandò alla sua famiglia accompagnata da tre indiani che dovevano abboccarsi cogli abitanti: ma, rattenuti dalla paura, questi non osarono seguir la giovane sino alla sua terra, e tornarono alle caravelle alle tre dopo mezzanotte. L’ammiraglio mandò nove uomini armati, coraggiosi e intelligenti, con un indiano loro interprete ad osservare il paese e mettersi in rapporti cogl’indigeni: trovarono, a quattro leghe e mezzo una borgata deserta. Al giungere degli stranieri gli abitanti erano fuggiti dopo avere nascosto sotterra quanto possedevano di prezioso. L’interprete indiano corse sulle loro<noinclude> <references/></noinclude> j7le452f4zn8wgmqwzabi99cisrir4p Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/253 108 627955 3534974 2222933 2025-06-13T13:14:37Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534974 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|245}}</noinclude>tracce, gridando ad essi di ritornare, che i cristiani non erano ''Caniba'', ma, tutto al contrario, venivano dal cielo, e regalavano di molte belle cose a quelli che incontravano. A poco a poco gl’indigeni si accostarono in numero di circa due mila, circondarono i nove spagnoli, e li considerarono con una venerazione mista di spavento: traevano dai loro tugurii i migliori alimenti per offerirli a questi ospiti formidabili. In quel mentre sopraggiunse una schiera di genti, che si recavano rispettosamente sulle spalle l’indiana che aveva ricevuto i doni dell’ammiraglio: una parte de’ suoi gioielli era portata in gran cerimonia davanti a lei; turba immensa, condotta dal fortunato marito, andava alle caravelle a ringraziare il capo degli uomini celesti. Avendo l’interprete creduto udire a bordo che l’ammiraglio desiderava un papagallo dimesticato, espresse il suo desiderio; e incontanente gliene furono portati da tutte le parti in dono, senza accettar nulla in contraccambio. I nove spagnuoli tornarono con questo corteo. Nel loro tragitto notarono plaghe magnifiche, e campi coltivati meglio della campagna di Cordova. Quantunque fosse la metà di dicembre, gli alberi erano verdi e carichi di frutti; e le erbe alte e fiorite, come in Castiglia in aprile: ma in mezzo a questo lussureggiar di natura, non avevano scoperto la menoma traccia d’oro. Il venerdì l’ammiraglio si diè nuovamente a cercar l’isola di Babeque, che gli Indiani lodavano cotanto: ma i venti contrari lo portarono sull’isola della Tartaruga, fertile, ben coltivata e tale che ricordava anch’essa confusamente la terra di Cordova. Nell’avvicinarsi all’Isola Spagnuola, l’ammiraglio scontrò il dì 16 un canotto menato da un solo indiano: ammirò l’audacia dell’isolano, che, su quel fragile battelletto affrontava un vento assai forte; lo raccolse a bordo colla sua misera navicella, lo ricolmò di cortesie, lo regalò delle solite bazzecole, e lo fe’ deporre a terra presso la borgata ove dimorava: indi gettò l’áncora in un porto vicino, che chiamò «Porto della Pace;» e sostò. In breve fu recato ad effetto ciò che l’ammiraglio aveva preveduto. Mostrando que’ doni sconosciuti, l’indiano raccolse {{Pt|in-|}}<noinclude></noinclude> 894t53cvfbn867r5olz6cznlnuiql78 Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/254 108 627956 3534979 2222936 2025-06-13T13:19:54Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534979 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|246|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>{{Pt|torno|intorno}} a sè i compatriotti, e vantò loro la munificenza degli uomini discesi dal cielo. Nondimeno non ebbe la gioia di partecipar loro la novella: perchè l’arrivo de’ viaggiatori celesti era già stato annunziato, e si andava prontamente propagando dall’una borgata all’altra. Più di cinquecento isolani corsero alla riva. Fra essi alcune donne di notevole bellezza portavano alle orecchie ed alle nari fogliuzze di un oro finissimo, che diedero volonterose, non avendo sopra di sè altro da offrire. L’ammiraglio raccomandò espressamente di trattarli tutti colla maggiore affabilità, come fossero già cristiani, «perchè sono, scriveva ai monarchi, le migliori genti del mondo, e sopra tutto perchè io ho una grande speranza in nostro Signore, che le Vostre Altezze li renderanno tutti cristiani.» Secondo {{AutoreCitato|Bartolomé de Las Casas|Las Casas}}, in quel momento «l’ammiraglio credeva di essere molto vicino ai luoghi in cui la terra occultava le sue maggiori ricchezze, e che nostro Signore era per condurlo là dove nasce l’oro.» Sin dal primo schiarire dell’alba del 18 dicembre, l’ammiraglio, fedele alla sua divozione alla Vergine, fece mettere a festa le due caravelle e salutare colla loro artiglieria quel giorno, in cui la pietà degli Spagnuoli commemora l’Annunciazione. Dopo l’ora de’ vesperi, il giovane re della contrada giunse portato in un palanchino, scortato da una guardia d’onore di dugent’uomini, e accompagnato da due gravi personaggi, forse suoi ministri, o almeno suoi consiglieri. In quella l’ammiraglio cenava nella sala del castello di poppa. Il re non volle fosse prevenuto della sua visita: egli entrò nella sala con fare amichevole, andò dritto all’ammiraglio, lo salutò cortesemente, si assise accanto a lui, e con un gesto comandò alle sue guardie di ritirarsi, ed esse obbedirono coi segni di un profondo rispetto. Egli non tenne seco che i due personaggi che si assisero a’ suoi piedi. L’ammiraglio lo fece incontanente servire, nella opinione che fosse per cenare; ma non toccò le vivande che a fior di labbra (e parve così facesse unicamente per rispondere alla cortesia dell’ammiraglio), e mandò ogni cosa alle sue genti. All’uscir della mensa e ad un suo segno, uno de’ suoi ufficiali gli recò una cintura ornata di due piastre d’oro di un delicato<noinclude></noinclude> hnpravkuo1okm8wyrpwsqaydvl8h868 Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/255 108 627957 3534985 2222940 2025-06-13T13:24:38Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534985 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|247}}</noinclude>lavoro. Il giovane re l’offerse all’ammiraglio che, dopo di averla graziosamente accettata, gli fece vedere la caravella e lo condusse nella sua camera. Siccome il giovane re guardava con occhio di viva bramosia una coperta da letto, l’ammiraglio gliene fece dono, aggiungendovi un collare di bei grani d’ambra che aveva al collo, de’ calzari di color rosso e un fiaschetto d’acqua di fiori di arancio, sperando con questi presenti di conciliarsi la sua benevolenza, e di attirarlo più facilmente al cristianesimo. L’ammiraglio gli mostrò il Crocifisso, i ritratti de’ sovrani di Spagna, e gli parlò della loro grandezza e possanza. Ma il re e i suoi consiglieri credevano che i regni di tai sovrani fossero in cielo e non in questo mondo. Quando il re discese nel canotto per tornare al palanchino, gli furono resi gli onori militari. Partito che fu, suo fratello venne a bordo in aria bassamente ossequiosa a mendicar qualche regaluccio. Da lui seppesi che nell’idioma del paese i sovrani si chiamavano cacichi. Se l’ammiraglio non potè in quel giorno ottenere molto oro, ne udì almeno parlare largamente. Un vecchio indigeno lo intrattenne perfino di una certa «isola tutta d’oro,» e di altre, in cui questo metallo abbondava a segno che non bisognava altra fatica che di raccoglierlo da terra: lo si fondeva, se ne facevano verghe, ecc. L’ammiraglio non volle partire senza onorare anche su questa riva l’emblema della benedizione: fece fare una grandissima croce, e la piantò proprio in mezzo al paese per dimesticarlo anticipatamente con questo segno. Gl’indigeni vi si prestarono con gran calore: s’inginocchiarono davanti al sacro simbolo, di cui ignoravano il significato, procurando imitare i moti e le parole degli Spagnuoli durante le loro orazioni. A giudicare dell’avvenire da queste felici disposizioni, Colombo «sperava in nostro Signore che tutte quelle isole si farebbero cristiane.» Nella notte del dimani mise alla vela per continuare a riconoscere la costa della Spagnuola. Il dì seguente si passarono diversi capi e si visitarono luoghi eccellenti di approdo. Il venerdì 21 dicembre, l’ammiraglio scoprì un porto di gran lunga superiore a tutti quelli che sinallora aveva visti. Ivi non<noinclude></noinclude> f8x7c04n7tc0jk1m961boevuvmgdpzh Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/256 108 627958 3534993 2222942 2025-06-13T13:29:49Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3534993 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|248|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>fu necessario chiamar gl’indigeni, perocchè la fama aveva preceduto gli uomini venuti dal cielo. Alle dieci della notte un canotto pieno di curiosi impazienti si accostò alle caravelle. L’indomani una gran calca empieva la spiaggia. Uomini e donne offrivano, gli uni un po’ d’oro, gli altri un vaso di acqua fresca, o del pane d’igname, gradevole al palato: pareva non possedessero gran cosa. Uomini e donne erano ignudi, come in nascere, dice Colombo; e raccomandò la maggior decenza verso que’ semplici figli della natura. Replicati messaggi pregarono l’ammiraglio degnasse visitare una vicina popolazione prima di partire. Siccome quel villaggio era sulla sua via, l’ammiraglio vi andò. Il cacico, venuto ad incontrarlo lo aspettava, circondato da’ suoi sopra un’eminenza ove si agitava una gran moltitudine bramosa di vedere. Tutti pregavano il capo de’ viaggiatori celesti di rimanere fra loro: i messaggieri di un altro cacico vennero anch’essi a supplicarlo di non partire prima che il loro signore non lo avesse veduto. L’ammiraglio condiscese volentieri alla sua dimanda. Il cacico aveva fatto preparare gran copia di vettovaglie, e ne sopraccaricò le navi spagnuole: indi anche i suoi sudditi vollero dare provvigioni e papagalli: chiedevano ad alte grida che l’ammiraglio non se ne andasse; e vedendolo imbarcarsi non ostante le calde loro istanze, lo seguirono nei loro canotti sino alle caravelle. Colombo li trattò con molta benevolenza, distribuì loro i soliti regalucci, «nè già, come dice {{AutoreCitato|Bartolomé de Las Casas|Las Casas}}, perchè lo importunassero per averne, ma perchè parve a lui ciò conveniente, e perchè li considerava già quali cristiani.» È certo che l’annunzio di quegli stranieri maravigliosi preoccupava da lungi le popolazioni dell’isola, perocchè durante la breve assenza dell’ammiraglio, un altro cacico della parte ovest era venuto direttamente alle navi per vederlo. E il dì innanzi un cacico che stanziava a tre leghe di là era pur esso venuto a a portargli diversi pezzi d’oro. Il sabato, 22 dicembre, il principal cacico della contrada Guacanagari, giovane e grazioso sovrano, nel suo desiderio di vedere anch’esso gli uomini venuti dal cielo, mandò uno de’ suoi ufficiali ad invitar l’ammiraglio che conducesse le navi presso<noinclude></noinclude> h0g9pgb98r5y8rdetz4qwuexwn7k9da Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/257 108 627959 3535005 2222946 2025-06-13T13:44:27Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535005 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|249}}</noinclude>la sua dimora, e gli offerse una cintura, dalla quale pendeva in guisa di borsa una maschera di legno leggero, ma le cui grandi orecchie, la lingua e gli occhi erano di oro. Questo indiano non comprendeva il parlare degli indiani di San Salvador, e questi non comprendevano l’idioma del messo; il che fece sì che passassero in inutili interrogazioni una parte del giorno. Bisognò che Colombo, schiarendo i loro reciproci abbagli, indovinasse nei loro segni l’oggetto di quel messaggio. La dimane era una domenica. Quantunque l’ammiraglio, come osserva {{AutoreCitato|Bartolomé de Las Casas|Las Casas}}, non avesse l’abitudine di mettere alla vela in tale giorno, nondimeno vi si decise, affine di fare sventolare il segno della redenzione su quelle spiagge, nel giorno del Signore. Dopo il mezzodì più di centoventi canotti stivati di curiosi attorniavano le caravelle; e ciascuno recava il suo picciolo presente. Mancato il vento, l’ammiraglio non potè andare al gran cacico Guacanagari, il quale mandò sulle navi alcuni ufficiali a salutarlo da parte sua. In questo mentre un cacico inferiore venne sulla nave la ''Santa Maria'' ad annunziare che in quell’isola era assai oro, che si veniva a comprarlo dai paesi vicini, che se ne avrebbe quanto se ne vorrebbe. Lieto di tale speranza l’ammiraglio ringrazio di cuore il suo Signore; e tosto, come volesse reprimere quell’allegrezza quasi mondana, fece incontanente sommissione della sua volontà a quella di Dio, e scrisse con una edificante rassegnazione sul suo giornale: «che nostro Signore, il quale tiene nelle sue mani ogni cosa, voglia assistermi e concedermi ciò che sarà più conveniente al suo servizio.» Una irresistibile curiosità sospingeva le popolazioni lungo la spiaggia verso le caravelle. Più di mille persone erano venute in canotti, ciascuna recando il proprio dono. E per diffetto di posto nei canotti, più di cinquecento si erano avventurati a nuoto, affine di vedere anch’essi i celesti stranieri. Cinque cacichi colle loro famiglie erano accorsi. L’ammiraglio regalò tutti giudicando molto bene impiegati que’ piccoli presenti. Le notizie dell’oro si andavano confermando. Alcuni di que’ visitatori parlavano a Colombo di miniere esistenti nell’isola. Un indigeno, che parve vivamente attirato verso di lui da spontanea affezione, indicò luoghi producenti oro; citò fra gli altri<noinclude></noinclude> lxrgz4pivz3pog7axiro2a9klu83569 Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/258 108 627960 3535010 2222961 2025-06-13T13:50:04Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535010 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|250|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>Cibao (l’ammiraglio credette che volesse dire Cipango), il cui cacico aveva uno stendardo di pretto oro. Questa contrada, lontana di qua, diceva egli, era posta verso l’est. Colombo presentiva che si approssimava alle miniere d’oro; e piamente assetato d’oro, generosamente affamato di ricchezze, con un accento di fervore supplicava il suo Signore di guidarlo finalmente verso quel luogo; e non poteva trattenersi dal gridare: «che nostro Signore per la sua misericordia m’aiuti a trovare quest’oro.» Durante la notte le navi ricondussero gli ufficiali mandati all’ammiraglio dal gran cacico della contrada, il re Guacanagari. Fra via avevano scontrati moltissimi canotti di indiani avidi di contemplare gli uomini celesti. Condotti alla stanza reale, i messi erano stati ricevuti in gran pompa. Il cacico Guacanagari, che sentiva gran dispiacere di non aver veduto l’ammiraglio, gli mandò, in prevenzione della sua visita, alcuni papagalli con diversi pezzi d’oro. {{Centrato|§ VII.}} Il lunedì, 24 dicembre, prima che aggiornasse, l’ammiraglio uscì dal porto con un buon vento di terra; governando all’est nella direzione delle indicate miniere d’oro, ma coll’intenzione di visitare, passando, Guacanagari. Siccome il vento in breve cessò, non fu corsa quel giorno gran via. La ''Nina'' rimaneva una mezza lega indietro. Dopo le undici l’ammiraglio sentì una stanchezza grande. Per due giorni di seguito, e tutta la notte precedente, il concorso degli indigeni, i regali da fare e da ricevere, le dimande agli interpreti, le loro risposte, veri enigmi da spiegare, i messaggeri che bisognava accogliere, quelli che occorreva spedire, l’ordinamento e la conservazione delle diverse produzioni di quelle contrade ch’ei voleva portare in Ispagna, i suoi esercizi religiosi, le sue osservazioni del terreno, del clima, e le cure spinose del comando non gli avevano lasciato un solo minuto di posa. Cedendo al bisogno di riposo, un’ora prima della mezzanotte scese nella sua camera e si gettò sul letto così vestito com’era. L’ammiraglio doveva essere perfettamente tranquillo<noinclude></noinclude> gen6y3yrp0s5ymvye49a3h7emqazk31 Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/259 108 627961 3535021 2222962 2025-06-13T13:54:18Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535021 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|251}}</noinclude>sullo stato della nave: il mare era placido; trovavasi in luoghi noti e investigati alcuni giorni prima; inoltre un ufficiale era di guardia. Non pertanto, a malgrado del divieto rinnovato nel viaggio di abbandonare il timone ai novizi, anche nella bonaccia, appena l’ammiraglio fu coricato, il tenente di servizio si andò a coricare pur esso; un’ora dopo il piloto, abbandonando il timone ad uno degli ultimi, si ritrasse nel suo covo; e gli uomini di guardia si coricarono del pari per dormire. Chi aveva il timone si sentì parimenti preso dal sonno, e la ''Santa Maria'' fu insensibilmente spinta dalle correnti verso un banco di sabbia. Ad una lega discosto udivansi le onde che si spezzavano contra gli scogli, ma il sonno dell’equipaggio era così profondo, che non si risveglio altro che alla voce dell’ammiraglio. Imperocchè, questi, alle prime grida del mozzo, era corso fuor della sua camera e si studiava rimediare al sinistro, prima che alcuno sospettasse che la nave era arenata. In un istante i piloti furono sul ponte insiem col padrone della nave, che in quella notte era di guardia. L’ammiraglio comandò di gettare il canotto legato alla nave sul di dietro della ''Santa Maria'', di pigliare un’áncora e di andarla a gettare un po’ al largo dietro la poppa. Il padrone e i suoi uomini saltarono incontanente nel canotto; ma invece di eseguire l’ordine ricevuto, si allontanarono velocemente per andarsi a porre al sicuro sulla ''Nina'' ancorata una mezza lega discosto. IL capitano della ''Nina'' non volle ricevere a bordo que’ vili disertori: perciò furono costretti di ritornare alla caravella; nondimeno la scialuppa della ''Nina'' vi giunse prima di loro. Vedendo l’ammiraglio il tradimento del suo equipaggio, e che la ''Santa Maria'' pendeva da un lato, tentò di tagliar l’albero maestro, per alleggerirla e procurare di raddrizzarla, ma non avendo braccia sufficienti dovette rinunziarvi. D’altronde la ''Santa Maria'' si era troppo ficcata nella sabbia per poternela cavar fuori a forza di braccia: fidò adunque alla Provvidenza il corpo della nave perduta, e passò sulla ''Nina'', per trasportarvi il suo equipaggio. Colombo preparò operosamente i mezzi da salvare almeno il corredo della nave; e mandò a Guacanagari<noinclude></noinclude> kjmhb1g8a53ntmojg9px2b8tisdgaqs Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/260 108 627962 3535293 2222963 2025-06-14T09:41:02Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535293 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|252|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>Diego de Arana e Pietro Guttierez, per informarlo dell’avvenutagli sciagura. Questa notizia commosse il re sino a piangerne. Incontanente spedì molta gente per aiutare a scaricar la nave; e provvide che fossero conservati intatti gli oggetti che si ritrarrebbero dalla caravella. Di frequente mandava dicendo all’ammiraglio non si attristasse, perocchè «darebbe a lui quanto possedeva.» La gran mercè delle tante e ben dirette braccia, in poche ore fu ogni cosa messa in salvo. Guacanagari fece dare a’ suoi ospiti tre grandi case, affine di deporvi ciò che loro apparteneva: posevi a custodia guardie armate, e andò egli stesso a far eseguire i suoi ordini. Fu tale la sua vigilanza e la probità de’ suoi sudditi che nel trasporto d’ogni cosa, robe, munizioni, viveri e simili non andò perduto neppure un ago. Le simpatie degl’indigeni e la generosità del Principe addolcivano a Colombo l’amarezza di quell’infortunio: e certo, in nessuna parte di Europa avrebb’egli trovato ospitalità più tenera e più cordiale. Sottomesso sempre alla Provvidenza, e sapendo ch’ella trae spesso il nostro vantaggio da ciò che ci parve sciagura, considerando le diverse circostanze di quel sinistro, avvenuto senza sua colpa, in tempo di bonaccia, non ostante tutti i suoi sforzi per salvar la nave, pel tradimento del padrone della caravella ch’era suo compatriota; considerando che la ''Santa Maria'' era rimasta intatta, che nulla andò perduto di quanto portava, neppure una tavola, neppure un pezzo di corda, un chiodo, un pugno di farina; considerando tutto questo, Colombo s’indusse a pensare «che Dio nostro Signore lo aveva fatto arenare affinchè si stabilisse in questo luogo.» Diffatti, poteva lasciare negli stati di un principe ospitaliero alcuni del suo equipaggio, i quali imparerebbero la lingua del popolo, insegnerebbero ad esso la religione cristiana, e raccoglierebbero l’oro durante il suo ritorno in Ispagna. Diversi marinai chiedevano di rimanere nell’isola. Il re Guacanagari era lietissimo che quegli ospiti maravigliosi si fermassero ne’ suoi stati. Siccome di quando in quando scherani antropofagi sbarcavano sulla costa, e rapivano i suoi sudditi per mangiarli, egli sperava che {{Pt|col-|}}<noinclude></noinclude> 9tpvvx9ibcz0akylsnqo58fmv5odgex Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/261 108 627963 3535294 2222964 2025-06-14T09:45:40Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535294 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|253}}</noinclude>{{Pt|l’aiuto|coll’aiuto}} di tai potenti stranieri sarebbe salvo da’ Caraibi. Per confermarlo nella sua fidanza, l’ammiraglio gli mostrò la efficacia delle armi spagnuole, la balestra, gli archi moreschi, e ciò che potevano le artiglierie; e così facendo, mentre gli provava come sarebbe terribile ai Caraibi, voleva ispirargli altresì il rispetto che comanda la forza, affinchè, occorrendo, il timore supplisse alla benevolenza. La costruzione di un picciol forte venne dunque decisa. Questa improvvisata fortezza diventava, inoltre, una prova di priorità e di possesso da parte degli Europei. Col volgere de’ giorni le relazioni fra l’ammiraglio e Guacanagari erano diventate sempre più intime. Il principe sentiva per Colombo un’ammirazione piena di rispetto e di fiducia: la sua intelligenza stimolata da una viva curiosità, cervava di sollevarsi verso quegli ospiti misteriosi, di comprenderne la natura e di adottarne gli usi. Egli era di una gravità piena di nobiltà e cortesia. Mentre i suoi ufficiali e il suo popolo avevano una passion matta pei sonagli, che chiamavano ''chuq'', ''chuq'', e andavano in estasi a mirare le bagattelle di vetro che scambiavano con oro, cotone e viveri, ei preferiva guanti ad ogni altro oggetto, e in cambio di maschere e specchi chiedeva un vaso di terra col suo catino per lavarsi le mani dopo il pasto, invece di fregarle con erbe odorifere, come faceva prima di aver veduto europei. Ei possedeva l’istinto della gerarchia, della dignità e del comando. La generosità parevagli connaturale. Non fu mai che parlasse all’ammiraglio senza presentargli un qualche regalo: e dava da monarca, pel solo piacer di dare, per sua reale soddisfazione. L’etichetta della sua agreste corte offeriva i principii di un incivilimento nascente, che non mancava di eleganza e di ricercatezza nella sua semplicità. Nondimeno l’attaccamento che Guacanagari mostrava agli Spagnuoli non vuol essere confuso coll’ammirazion generale per la superiorità degli uomini divini: ciò che l’attraeva era particolarmente la persona di Colombo. I selvaggi, del paro che i fanciulli, giudicano per istinto delle cose che non possono spiegare, le persone e i sentimenti: essi non s’ingannano su quelli che amano. Il leale e semplice sovrano di quel paese<noinclude></noinclude> 85wf9f6su9govnckveicleuepwg5fpj Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/262 108 627964 3535296 2223109 2025-06-14T10:04:28Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535296 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|254|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>si sentiva attirato verso la grandezza di Colombo: una simpatia profonda l’attaccava all’uomo divino: aveva pianto per lui, per lui solo: ed ogni condiscendenza in favore degli stranieri si riferiva al loro capo. Uno dei tratti caratteristici del genio di Colombo e della sua missione provvidenziale fu, sicuramente, la sua improvvisa attitudine alle scienze ed alle funzioni ch’erano a lui più stranie; stupenda improvvisazione di specialità, colla quale potè adempiere perfettamente ogni cosa utile agl’interessi fidatigli. Il naufragio della sua caravella lo rendette ingegnere militare: disegnò il piano di un piccolo forte o castello quadrato con bastione agli angoli, e ne diresse i lavori. L’operosità degli Spagnoli, aiutati dai sudditi di [https://it.wikipedia.org/wiki/Guacanagar%C3%ADx Guacanagari], fece prodigi. Erano passati appena dieci giorni dopo il naufragio della ''Santa Maria'', che già il picciol forte si elevava dal suolo, costrutto di terra, sostenuto da pezzi insiem commessi colle gran tavole del legname della nave naufragata. Stava praticata sotterra una vasta cantina che doveva racchiudere le munizioni da bocca e da guerra, e le mercanzie destinate agli scambi. Per conservare e difendere questo picciol forte, sul quale sventolava il vessillo di Castiglia, Colombo scelse nell’equipaggio dalla ''Santa Maria'' gli uomini che parevano più fidati e meglio intenzionati: aggiunse loro il bacelliere Bernardino Iapia, maestro Giovanni, «il gentil chirurgo,» il fonditore di metalli e gioielliere di Siviglia, Castillo, il primo mastro armaiuolo, un costruttore di navi, un maestro di intonaco, un fabbricatore di botti, un sartore; e li pose sotto il comando di Diego di Arana, al quale conferì tutti i poteri ch’egli stesso aveva ricevuti dai Monarchi: diegli per luogotenente Pietro Guttierez, ufficiale della casa reale, e in caso di suo impedimento, Rodrigo di Escovedo, nipote di un religioso riputatissimo in Ispagna, Rodrigo Perez. Questo nucleo di colonia noverava in tutto quarantadue uomini. Stabilita così l’autorità, Colombo munì questo antiguardo dell’antico Mondo di tutto ciò che si trovava nella ''Santa Maria''; lasciò gli strumenti e utensili d’ogni genere, biscotto per un anno, vino, molte armi, artiglierie, la scialuppa della nave<noinclude></noinclude> am8rdf1uu7s5gx82oj7vjr6j1s3ntz5 Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/263 108 627965 3535297 2223471 2025-06-14T10:13:12Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ Gadget AutoreCitato 3535297 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|255}}</noinclude>naufragata, e una certa quantità di grani da seminare: gli fidò tutte le mercanzie colle quali dovevano procurarsi oro per via di scambi; indi raccomandò in particolare i tre ufficiali al re Guacanagari. Colombo lasciava gli Spagnuoli su quella nuova terra nella condizion migliore che potevano bramare, provveduti in copia di ogni cosa necessaria alla vita, alla sicurezza ed alla difesa, e circondati da amici sotto la protezione di un generoso monarca. Prima di lasciarli, fece ad essi il più commovente discorso che padre facesse mai ai suoi figli. Diede loro consigli ammirabili di preveggenza e penetrazione. Ricordò loro lo scopo glorioso della scoperta, la propagazion della fede; li pregò di studiare la lingua degli Indiani, e di attirarli al cristianesimo coi loro esempi ed il loro insegnamento. In nome dei Monarchi comandò l’obbedienza passiva verso gli ufficiali da lui investiti de’ suoi propri poteri. L’ammiraglio raccomandò loro di avere i maggiori risguardi pel sovrano della contrada, di evitare ogni controversia col suo popolo, di rispettare rigorosamente le donne, di non separarsi mai, di non uscir mai soli, e di dormir sempre nella cittadella; sopratutto di non escire dallo stato ospitaliero del re che gli aveva accolti. Commove leggere tal sua eloquente esortazione, improntata di una solennità quasi testamentaria, quale ce l’hanno trasmessa gl’istoriografi di Spagna {{AutoreCitato|Antonio de Herrera y Tordesillas|Herrera}} e Battista Munoz: a ricordare i fatti avvenuti poco dopo, meravigliamo delle previsioni di Colombo, e vi riconosciamo una superiorità di sollecitudine e di penetrazione dell’eventualità, che oltrepassa la misura della prudenza umana. Il 2 gennaio, l’ammiraglio diede il suo ultimo addio al re Guacanagari. Lo regalò di un’altra camicia; pose al suo collo un monile di pietre d’Africa, sulle sue spalle un mantello scarlatto, a’ suoi piedi calzari rossi, al suo dito un anello d’argento che il re preferiva all’oro, e lo abbracciò con una bontà cristianamente paterna, mentre il sincero Cacico, che già l’amava teneramente, non potendo contenere la sua tristezza, la esprimeva piangendo. Il venerdì, 4 gennaio, al levar del sole, la Nina, rimorchiata<noinclude></noinclude> oxbx01sexv2x5xqwrogalm787mf5zxp Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/264 108 627966 3535298 2223472 2025-06-14T10:18:14Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535298 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione|256|{{Sc|libro primo}}|}}</noinclude>dalla sua scialuppa, uscì dal passo e governo all’est nella direzione di un’alta montagna che l’ammiraglio denominò Monte Cristo. Colombo osservava da idrografo, da naturalista, da poeta; e la sua ammirazione inesauribile per quella natura così armoniosa nella sua esuberanza si manifestò anche nel suo giornale. Due giorni dopo, l’ammiraglio pose alla vela continuando in tutta la sua estensione, verso l’est, il giro di quella costa, di cui tracciava il disegno: si manteneva sempre al largo, a motivo degli scogli: d’altronde, non avanzava gran fatto per diffetto di buon vento. Nel dopo pranzo, il marinaio di vedetta scoprì una vela; era la ''Pinta'' che un forte vento d’est spingeva verso l’ammiraglio. Invano Martin Alonzo Pinzon sperava che l’Oceano coprirebbe, nella propria immensità, la sua diserzione; la Provvidenza lo riconduceva a traverso lo spazio sotto gli occhi del suo capo, in vista della piccola ''Nina'', punto impercettibile nella incommensurabile estensione. Costretto dal vento a raggiungere l’ammiraglio, il capitano della ''Pinta'' lo seguì al porto di Monte Cristo, e salì a bordo cercando di scusarsi. Le ragioni che diede della sua separazione erano tutte menzognere, e alcune altresì in manifesta contraddizione. Nondimeno Colombo finse di ammetterle, per tema di aggravare il male; perocchè le due navi erano comandate dai Pinzon, e la maggior parte degli equipaggi si componeva di lor parenti o concittadini. In ogni occasione, sopratutto dopo la scoperta, il primogenito dei tre fratelli gli aveva fatto sentir duramente il suo isolamento e la sua qualità di straniero: sapeva a quali eccessi erano capaci di prorompere l’orgoglio e la rozzezza, irritati dall’invidia. Colombo si contenne, non volendo, dice {{AutoreCitato|Bartolomé de Las Casas|Las Casas}} «dar luogo ai tentativi di Satana, il quale cercava d’impedire questo viaggio, come aveva fatto sul principio:» si rassegnò e sacrificò il suo amor proprio, il suo istinto della giustizia, la sua dignità personale, all’adempimento di un dovere più grande de’ suoi diritti. Associando al suo delitto il proprio equipaggio, Martin Alonzo Pinzon aveva passato sedici giorni all’imboccatura del fiume «di Grazia,» trafficando oro, contra il divieto dell’ammiraglio, e mentr’era sul partire, accoppiando la violenza alla<noinclude></noinclude> 4031e9hth827tgzbvuh7ryvmvunts4p Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/265 108 627967 3535299 2223473 2025-06-14T10:22:50Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ 3535299 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo ottavo}}|257}}</noinclude>rapina, aveva rubato quattro uomini e due giovanette: l’ammiraglio lo costrinse a rilasciare la iniqua preda; assicurò gl’Indiani, fece loro dei doni affine di cancellar la memoria di quell’ingiuria, e li rimise a terra, perchè tornassero alle loro famiglie. Sordidamente occupato di accapparar oro, Martin Alonzo Pinzon, dimenticando le cure che ogni capitano di nave deve avere pel suo naviglio, non aveva veduto, che, favoreggiato dall’immobilità, durante la sua fermata di sedici giorni sul fiume di Grazia, il tarlo si era moltiplicato in diverse parti della ''Pinta'', e le aveva forate come alveole di alveare: non aveva neppure pensato a provvedersi di un albero da surrogare il suo, fuor di stato di tener fermo, il che lo impediva di spiegare tutta la sua vela al vento favorevole. Non ostante il suo desiderio di costeggiare la Spagnuola, la condotta dei Pinzon mostrava all’ammiraglio il bisogno di tornare il più presto possibile in Castiglia. D’altronde, il cattivo stato delle caravelle esigeva imperiosamente il ritorno. Il 7 gennaio si era dovuto turare una via d’acqua nella cala della ''Nina''. La dimane, presso al Rio d’Oro, o Fiume dell’oro, così nominato perchè le sue acque ne menavano alcune particelle, egli vide ad una certa distanza tre delfini, che si mostrarono molto al di sopra della superficie delle onde e gli ricordarono quelli che aveva altre volte veduto sulla costa di Guinea, e da lungi avevano qualche apparenza d’uomo: erano le sirene degli antichi: perciò ei le chiamava con questo nome, aggiungendo che andavano discoste dalla bellezza loro attribuita. Il 9, l’ammiraglio navigò verso l’est-nord-est, e riconobbe il capo Roia. L’aspetto della costa innamorava: enormi tartarughe posavano sulla riva: ma egli non poteva abbandonarsi al suo desiderio di osservare: desiderava di essere già in Castiglia per non aver più alcuna relazione con Martin Alonzo, e per informare la Regina di tutti particolari della scoperta. Adempiuta tal sua missione, era deciso, scriveva, «di non soffrire i misfatti d’uomini senza delicatezza e senza virtù, i quali pretendavano insolentemente di far prevalere le loro volontà contro colui ''che fece loro sì grande onore''.»<noinclude>{{PieDiPagina|{{x-smaller|{{Sc|Roselly}}, ''Crist. Colombo.''}}||{{x-smaller|17}}}}</noinclude> 4cgkdkkjv9zqymtox2g4rs6i7l996sp Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume II (1857).djvu/365 108 649085 3535106 2286807 2025-06-13T15:27:57Z Cruccone 53 /* Pagine SAL 75% */ 3535106 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cruccone" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo decimo}}|345}}</noinclude>Non sarebbe giudizioso neppure di attribuire un’azione determinante a frammenti di autori cui ciascuno, al paro di Colombo, poteva compulsare. Sicuramente certe idee di {{AutoreCitato|Eratostene|Erastostene}} e di {{AutoreCitato|Posidonio|Possidonio}}, riferite in {{AutoreCitato|Strabone|Strabone}}, le parole del {{TestoCitato|Timeo}} di {{AutoreCitato|Platone|Platone}} intorno all’Atlantide, alcune idee cosmografiche di {{AutoreCitato|Aristotele|Aristotile}} sulla forma e la poca estensione della terra, certi pensieri della geografia degli Arabi, l’opera di {{AutoreCitato|Alberto Magno|Alberto Magno}}, ''{{TestoAssente|Liber Cosmographicus}}'' sulla natura dei luoghi, quello di {{AutoreCitato|Ruggero Bacone|Roggero Bacone}}, ''{{TestoAssente|Opus Majus}}'' il libro del cardinale {{AutoreCitato|Pierre d'Ailly|Pietro d’Ailly}}, ''{{TestoAssente|Imago Mundi}}'', erano conosciuti e studiati; nondimeno non avevano convertito chicchessia alle idee di Colombo: e quando nella giunta di Salamanca egli trovò un approvatore, costui non fu un cosmografo, ma un teologo, il domenicano Diego Deza. Del resto, la scienza, a quel tempo, non avrebbe potuto far altro che fuorviare Cristoforo Colombo: primieramente, non emetteva alcun insegnamento positivo; opponeva a congetture altre congetture, senza che l’autorità dell’esperienza potesse porre fine al dibattimento: non vi er’accordo nè intorno alla forma, ne intorno alla estensione della terra: l’unica notizia su cui potè appoggiarsi Colombo relativamente all’estensione della massa acquea del globo, era un errore manifesto, il contrario degli insegnamenti messi in luce dalle osservazioni posteriori. Se gli uni credevano agli antipodi, gli altri li negavano a tale che, anche dopo la morte di Colombo, v’ebbero dotti i quali gridarono contro una tale credenza. Mentre {{AutoreCitato|Antonio de Herrera y Tordesillas|Herrera}} scriveva la sua storia generale delle Indie, certi barbassori si beffavano degli antipodi<ref>Herrera ''de las Indias occidentales'' Decada 1 lib. I, cap. {{Sc|iii}}</ref>. Questo storiografo reale dichiara che i pretesi schiarimenti che taluni imaginano di trovare in certi passi degli antichi sull’esistenza di terre sconosciute, erano molto incerti, oscuri e quasi incomprensibili, prima che la scoperta di Colombo avesse lor dato la chiarezza e il senso che poscia venne loro attribuito. Le dissertazioni de’ biografi, per conoscere l’origine del progetto di Cristoforo Colombo di scoprire l’altra metà del globo, ci sembrano egualmente insufficienti, prive d’autorità, inette a convincere chicchessia. Ove vanno essi a cercare tali cognizioni?<noinclude></noinclude> fyvhqx9qel5514z5cn9je1o6zy6ggzq Opere matematiche di Luigi Cremona/Solution de la question 464 0 732518 3535231 2631122 2025-06-14T06:32:12Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535231 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Solution de la question 464<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../Solution de la question 435<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Solution de la question 465<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Solution de la question 464|prec=../Solution de la question 435|succ=../Solution de la question 465}} <pages index="Opere matematiche (Cremona) I.djvu" from="126" to="127" fromsection="" tosection="" /> {{Sezione note}} [[Categoria:Testi in francese]] 7nrjxileruiyhg1rgu1pldra5k6sywt Pagina:Opere matematiche (Cremona) I.djvu/127 108 732551 3535230 3534711 2025-06-14T06:31:57Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535230 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|solution de la question 464.}}|113|riga=si}}</noinclude>{{Pt|tersection|l’intersection}} des faces <math>\beta = \delta = 0</math> avec l’intersection des faces <math>\gamma = \delta = 0</math>. On sait que la conique représentée par l’équation ci-dessus est une circonférence, si l’on a {|width=100% |- |width=1%| ||width=98% align=center| <math>l:m:n= \sin \alpha\delta . \sin \beta\delta\gamma : \sin \beta\delta . \sin \gamma\delta\alpha : \sin \gamma\delta . \sin \alpha\delta\beta. </math>||align=right| ({{Sc|{{AutoreCitato|George Salmon|Salmon}}}}) |} De même, si les plans <math>\alpha = 0</math>, <math>\beta = 0</math>, <math>\gamma = 0</math> coupent la surface suivant des circonférences, on aura {{Centrato|<math>\begin{aligned} l : \mu : \nu & = \sin\delta\alpha .\sin\beta\alpha\gamma :\sin\gamma\alpha .\sin\delta\alpha\beta :\sin\beta\alpha .\sin\gamma\alpha\delta,\\ m : \nu : \lambda & =\sin\delta\beta .\sin\gamma\beta\alpha :\sin\alpha\beta .\sin\delta\beta\gamma :\sin\gamma\beta .\sin\alpha\beta\delta,\\ n : \lambda : \mu & =\sin\delta\gamma .\sin\alpha\gamma\beta :\sin\beta\gamma .\sin\delta\gamma\alpha :\sin\alpha\gamma .\sin\beta\gamma\delta. \end{aligned}</math>}} {{no rientro}}De là on tire immédiatement que <math>l</math>, <math>m</math>, <math>n</math>, <math>\lambda</math>, <math>\mu</math>, <math>\nu</math> sont proportionnelles aux quantités {{Centrato|<math>\frac{\sin{\alpha\delta}}{\sin{\beta\gamma}}\sin \beta\alpha\gamma . \sin \beta\gamma\delta,</math>{{spazi|5}}<math>\frac{\sin{\beta\delta}}{\sin{\gamma\alpha}}\sin \gamma\beta\alpha . \sin \gamma\delta\alpha,</math>{{spazi|5}}<math>\frac{\sin{\gamma\delta}}{\sin{\alpha\beta}}\sin \alpha\gamma\beta . \sin \alpha\delta\beta,</math>{{spazi|5}}<math>\frac{\sin{\beta\gamma}}{\sin{\alpha\delta}}\sin \alpha\beta\delta . \sin \alpha\gamma\delta,</math>{{spazi|5}}<math>\frac{\sin{\gamma\alpha}}{\sin{\beta\delta}}\sin \beta\gamma\delta . \sin \beta\alpha\delta,</math>{{spazi|5}}<math>\frac{\sin{\alpha\beta}}{\sin{\gamma\delta}}\sin \gamma\alpha\delta . \sin \gamma\beta\delta,</math> }} {{no rientro}}ce qui démontre le thèorème de M. {{Sc|{{AutoreCitato|Eugène Prouhet|Prouhet}}}}. {{rule|4em}}<noinclude></noinclude> 7iyq2ybobkou4r40b9h80i2cswxyia0 Opere matematiche di Luigi Cremona/Solution de la question 465 0 732565 3535234 2635271 2025-06-14T06:40:04Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535234 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Solution de la question 465<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../Solution de la question 464<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Sur les coniques sphériques et nouvelle solution générale de la question 498<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Solution de la question 465|prec=../Solution de la question 464|succ=../Sur les coniques sphériques et nouvelle solution générale de la question 498}} <pages index="Opere matematiche (Cremona) I.djvu" from="128" to="129" fromsection="" tosection="" /> {{Sezione note}} [[Categoria:Testi in francese]] pmdctrjata7bvvq1iac5ambgrxfpwcp Pagina:Opere matematiche (Cremona) I.djvu/128 108 734218 3535232 2634534 2025-06-14T06:36:03Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535232 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||||riga=si}}</noinclude> {{Ct|f=150%|v=2|15.}} {{Ct|f=120%|SOLUTION DE LA QUESTION 465.{{nota separata|Pagina:Opere matematiche (Cremona) I.djvu/493|21|Pagina:Opere matematiche (Cremona) I.djvu/494|21}}}} {{rule|4em}} {{Ct|f=70%|v=0.8|t=0.8|''Nouvelles Annales de Mathématiques'', 1.<sup>re</sup> série, tome XIX (1860), pp. 151-153.}} {{rule|4em}} Soient <math>a_0</math>, <math>a_1</math>, ..., <math>a_{n-1}</math>, <math>n</math> quantités quelconques; <math>\alpha</math> une racine primitive de l’équation binôme {{Centrato|<math>x^n - 1 = 0</math>}} {{no rientro}}et {{Centrato|<math>\theta_r = a_0 + a_1\alpha_r + a_2\alpha_r^2 + ... + a_{n-1}\alpha_r^{n-1}</math>}} {{no rientro}}en supposant <math>\alpha_r = \alpha^r</math>. Multiplions entre eux les deux déterminants {{Centrato|<math>\begin{aligned}\mathrm{D} & = \begin{vmatrix} a_0 & a_1 & a_2 & \cdots & a_{n-1} \\ a_1 & a_2 & a_3 & \cdots & a_0 \\ a_2 & a_3 & a_4 & \cdots & a_1 \\ \cdots & \cdots & \cdots & \cdots & \cdots \\ a_{n-1} & a_0 & a_1 & \cdots & a_{n-2} \end{vmatrix}\\ \Delta & = \begin{vmatrix} 1 & 1 & 1 & \cdots & 1 \\ 1 & \alpha_1 & \alpha_2 & \cdots & \alpha_{n-1} \\ 1 & \alpha_1^2 & \alpha_2^2 & \cdots & \alpha_{n-1}^2 \\ \cdots & \cdots & \cdots & \cdots & \cdots \\ 1 & \alpha_1^{n-1} & \alpha_2^{n-1} & \cdots & \alpha_{n-1}^{n-1} \end{vmatrix}.\end{aligned}</math>}} En exécutant la multiplication par lignes, les colonnes du déterminant produit {{Pt|de-|}}<noinclude></noinclude> ncrvkb2izxer2h8arcv7bmqzan3u0jb Pagina:Opere matematiche (Cremona) I.djvu/129 108 734592 3535233 2635269 2025-06-14T06:39:39Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535233 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|solution de la question 465.}}|115|riga=si}}</noinclude>{{Pt|viennent|deviennent}} divisibles respectivement par <math>\theta_1</math>, <math>\theta_2</math>, ..., <math>\theta_n</math> , et l’on a {{Centrato|<math>\mathrm{D}\Delta = \theta_1\theta_2 ... \theta_n \begin{vmatrix} 1 & 1 & 1 & \cdots & 1 \\ 1 & \alpha_{n-1} & \alpha_{n-1}^2 & \cdots & \alpha_{n-1}^{n-1} \\ 1 & \alpha_{n-2} & \alpha_{n-2}^2 & \cdots & \alpha_{n-2}^{n-1} \\ \cdots & \cdots & \cdots & \cdots & \cdots \\ 1 & \alpha_1 & \alpha_1^2 & \cdots & \alpha_1^{n-1} \end{vmatrix}.</math>}} Or le determinant du second membre est évidemment égal a <math>(-1)^\frac{(n-1)(n-2)}{2}\Delta</math>{{nota separata|Pagina:Opere matematiche (Cremona) I.djvu/494|22}}; donc {{Centrato|<math>\mathrm{D} = (-1)^\frac{(n-1)(n-2)}{2}\theta_1 \theta_2 ...\theta_n.</math>}} Le théorème, mentionné par M. {{Sc|{{AutoreCitato|Michael Roberts|Michael Roberts}}}} (''Nouvelles Annales'', cahier de mars 1859, p. 87), est de M. {{Sc|{{AutoreCitato|William Spottiswoode|Spottiswoode}}}} (''Journal'' de {{Sc|Crelle}}, t. LI); la démonstration ci-dessus m’a été communiquée par M. {{Sc|{{AutoreCitato|Francesco Brioschi|Brioschi}}}}, et je l’ai publiée comme lemme dans une petite Note ''Intorno ad un teorema di'' {{Sc|Abel}} (''Annali'' di {{Sc|Tortolini}}, 1856) [[Opere matematiche di Luigi Cremona/Intorno ad un teorema di Abel|[Memoria 2 di questo volume]]]. En supposant {{Centrato|<math>a_r = a+rd,</math>}} {{no rientro}}il s’ensuit {{Centrato|<math>\theta_r = \frac{nd}{\alpha_r-1}</math>{{spazi|5}}pour{{spazi|5}}<math>r = 1, 2, \ldots, n-1</math>}} {{no rientro}}et {{Centrato|<math>\theta_n = na + \frac{n(n-1)}{2}d</math>;}} {{no rientro}}donc {{Centrato|<math>\theta_1\theta_2...\theta_{n-1} = (- 1)^{n-1}n^{n-2}d^{n-1},</math>}} {{no rientro}}et, par conséquent, {{Centrato|<math>\mathrm{D} = \begin{vmatrix} a & a+d & \cdots & a+(n-1)d \\ a+d & a+2d & \cdots & a \\ \cdots & \cdots & \cdots & \cdots \\ a+(n-1)d & a & \cdots & a+(n-2)d \end{vmatrix}</math> <math>= (-1)^\frac{n(n-1)}{2}(nd)^{n-1}\left[ a+\frac{(n-1)d}{2}\right],</math>}} {{no rientro}}ce qui est bien la question 465. {{rule|4em}}<noinclude></noinclude> fn1earay1lplhiec72dl6zwqrr9kot6 Pagina:Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu/237 108 739552 3535304 3011688 2025-06-14T11:29:56Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535304 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|poesie postume}}|231}}</noinclude><section begin="s1" /> {{ct|f=100%|v=1|t=3|23}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Sonetto al signor principe di Bisignano}}}} <poem> :D’Italia e Spagna e dell’altro emispero presso a Filippo, monarca sovrano, primo signor è quel di Bisignano, per cui l’affanno mio parmi leggiero. :Ch’essendo stato un uom di tanto impero, diece e diece anni, senza colpa invano, sol per sua larga e generosa mano, nel carcer, dov’io sto, dolente e fiero; :pur, quando piacque al ciel il suo ritorno di dolce libertá all’amata luce, privo degli anni e di prudenza adorno, :cessò ragion di Stato, che produce a Dio nemici, a noi danno, al re scorno. Gran forza e speme tanto essempio adduce! </poem> <section end="s1" /><section begin="s2" />{{ct|f=100%|v=1|t=3|24}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Sonetto in lode del signor Troiano Magnati}}}} <poem> :Glorioso signor, ch’il nome porti del cavallo {{Spaziato|troian}}, dove i {{Spaziato|magnati}} suoi Grecia ascose pronti, apparecchiati sovra Asia a vendicar gli antichi torti, :il valor di Diomede dentro apporti, d’Ulisse il senno e quegli accenti grati, di Menelao il sembiante e i modi ornati ed ogn’altra virtú degli altri forti. :Del che m’avveggo io come Lacoonte, ma non con l’odio suo, non col destino; ché ammiro ed amo le tue virtú cónte. :Anzi umilmente pregando m’inchino: apra il fianco fatal, vendichi l'onte fatte a tanti virtuosi, e a me meschino. </poem><section end="s2" /><noinclude></noinclude> 6c7lpkjlvus4w12m3p6nwcc1qz2uegh Pagina:Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu/238 108 739553 3535305 3011689 2025-06-14T11:29:59Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535305 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|232|{{Sc|poesie postume}}|}}</noinclude><section begin="s1" /> {{ct|f=100%|v=1|t=3|25}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia}}}} <poem> :Per conquistar d’Ausonia il piú bel regno, e poi adornarlo, Alfonso ne traspianta da Valenza la ricca e nobil pianta, cui Ferdinando die’ loco piú degno. :Qui tai frutti apportò, ch’umano ingegno, qual sovra gli altri meglio scrive o canta, di poter raccontarli non si vanta. Che farò io, che poca virtú tegno? :Ippolita, germoglio piú gentile de’ Cavanigli rami, tu mi dona di {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} o {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Maron}} l’invitto stile, :o pur del {{AutoreCitato|Luigi Malaspina di Sannazzaro|Sannazzaro}}, che l’intuona tant’altamente, ch’il mio verso umile sol le tue grazie in me tante risuona. </poem> <section end="s1" /><section begin="s2" />{{ct|f=100%|v=1|t=3|26}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Sonetto alla medesima}}}} <poem> :Ippolita magnanima, in cui serba l’alto valor de’ Cavanigli tuoi della virtú i tesori, e Amor gli suoi, come in un seme suo sta tutta un’erba; :hai presenza dignissima e superba, che sembra armato esercito d’eroi; maestosa bellezza, donde puoi saldar ogni dolore e piaga acerba. :Generosa pietá, man liberale al Sommo Ben ti fan simil cotanto, che nata contro al mal ti giurarei. :Libero conversar, animo hai santo, favellar grazioso e celestiale. L’altre, femine son; tu donna sei. </poem> <section end="s2" /><noinclude></noinclude> 1cso7u5edpohny14w9e26onmvq3yp9e Pagina:Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu/239 108 739554 3535306 3011690 2025-06-14T11:30:01Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535306 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|poesie postume}}|233}}</noinclude><section begin="s1" /> {{ct|f=100%|v=1|t=3|27}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Madrigale alla signora donna Ippolita}}}} <poem> :Bastava che pietosa le mie doglie mirassi a ricrearmi, onde tuo servo eterno ne restassi, o donna generosa; ma mille grazie e benefizi farmi volesti ancor. Felici ferri e sassi, che stringete i miei passi, rengraziar non poss’io, né gioir del sol mio: ringrazio voi, e di voi piú non mi doglio. Sol non poter servirla ho gran cordoglio. </poem> <section end="s1" /><section begin="s2" />{{ct|f=100%|v=1|t=3|28}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|[A Francesco Gentile]}}}} <poem> :Convenir troppo l’effetto e l’affetto al tuo nome, o Gentil, ne fa gran fede Amor, che in gentil cuor solo risiede, che fatto ha tempio suo tuo gentil petto; :dove altamente il simulacro eretto di Flerida, ch’ogni altra bella eccede quant’ogni stella il sol, render si vede la maggion lieta, e lieto l’architetto. :Ond’io m’inchino a lei, per lei ti priego ch’a lei e a te e a noi gentil ti mostri, il fatal pazzo Campanella aitando. :Dio ti guardi Flerida e dal suo niego: apri il balcone; ond’ei, senno acquistando dal su’ amor, canti con piú gloria i vostri. </poem> <section end="s2" /><noinclude></noinclude> 1mxm7pr0bviiwzp7iwpivzgepv8tzru Pagina:Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu/240 108 739555 3535307 3011691 2025-06-14T11:30:03Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535307 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|234|{{Sc|poesie postume}}|}}</noinclude><section begin="s1" /> {{ct|f=100%|v=1|t=3|29}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Invitato a cantar le laudi di Cesare<br>cantò cosi}}}} <poem> :In stile io canterei forsi non basso, e farei molli i piú rigidi cori, signor Aurelio, se tempi migliori lo spirto avesse, tormentato e lasso. :Ma a me non lice piú gire in Parnasso, né d’olive adornarmi, né d’allori, che in atra tomba piango i miei dolori, sol pianto ribombando il ferro e ’l sasso. :Dite or, ch’io ascolto voi, canoro cigno, cui avvien che in pene e pure in morte canti Cesare invitto e vincitor benigno? :Troppo lungi son io dai pregi e vanti d’uom sí felice, a cui tutto è maligno quanto adopran qua giú le stelle erranti. </poem> <section end="s1" /><section begin="s2" />{{ct|f=100%|v=1|t=3|30}} {{ct|f=100%|v=1|lh=1.3|{{sc|Sonetto alla signora Olimpia}}}} <poem> :Donna, ch’Olimpia, dal monte onde Giove e ’l cielo stesso il suo nome riceve, degnamente sei detta, il camin greve di tanta altezza a disperar mi muove. :Poi dal tuo sommo un dolce fonte piove d’umanitá, che fa agevole e breve l’impresa immensa e la mia voglia lieve; onde m’accingo a far le prime prove. :Picciolo don ti mando, ma ben pegno d’animo grande; onde virtú n’è vaga tanto piú, quanto Amore nel suo regno. :Sul monte Olimpo un picciol ramo paga d’oliva i vincitor, trionfal segno: tu, ch’in te vinci me, cosí t’appaga. </poem> <section end="s2" /><noinclude></noinclude> qsfir7qtzpoh1y4wy1mfg7cqbqkpjoh Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/III. I Canti del carcere 0 739623 3535316 3011717 2025-06-14T11:30:57Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535316 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>III. I Canti del carcere<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../II. Sonetti letterari e filosofici/4. Alli defensori della filosofia greca<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../III. I Canti del carcere/1. Sonetto sopra il presente stato d'Italia<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=III. I Canti del carcere|prec=../II. Sonetti letterari e filosofici/4. Alli defensori della filosofia greca|succ=../III. I Canti del carcere/1. Sonetto sopra il presente stato d'Italia}} <pages Index="Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu" from="225" to="225" onlysection="s1" tosection="" /> == Indice == * {{testo|/1. Sonetto sopra il presente stato d'Italia}} * {{testo|/2. Sonetto sopra il salmo Saepe expugnaverunt me}} * {{testo|/3. Sonetto in lode di carcerati e tormentati per difesa dell'innocenza}} * {{testo|/4. Madrigale in lode di Maurizio Rinaldi}} * {{testo|/5. Madrigale di palinodia}} * {{testo|/6. Sonetto fatto sopra li segni con suoi appendici}} * {{testo|/7. Sonetto contro don Aloise Sciarava avvocato fiscale in Calabria}} * {{testo|/8. Sonetto contro il medesimo}} * {{testo|/9. Sonetto in lode di spagnuoli}} * {{testo|/10. Sonetto di rinfacciamento a Musuraca}} * {{testo|/11. Sonetto fatto a tutti i carcerati per la medesima causa}} * {{testo|/12. Sonetto in lode di fra Domenico Petrolo}} * {{testo|/13. Sonetto alla beata Ursula napolitana a cui si raccomanda}} * {{testo|/14. Sonetto al signor Giovan Leonardi avvocato de' poveri}} * {{testo|/15. Sonetto I in lode di fra Pietro Presterà di Stilo}} * {{testo|/16. Sonetto II in lode del medesimo}} * {{testo|/17. Sonetto I in lode del rev. padre fra Dionisio Ponzio}} * {{testo|/18. Sonetto II in lode del medesimo}} * {{testo|/19. Sonetto III in lode del medesimo}} * {{testo|/20. Sonetto fatto in lode di tre fratelli di Ponzio}} * {{testo|/21. Sonetto al papa}} * {{testo|/22. Sonetto in lode del signor Cesare Spinola}} * {{testo|/23. Sonetto al signor principe di Bisignano}} * {{testo|/24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati}} * {{testo|/25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia}} * {{testo|/26. Sonetto alla medesima}} * {{testo|/27. Madrigale alla signora donna Ippolita}} * {{testo|/28. A Francesco Gentile}} * {{testo|/29. Invitato a cantar le laudi di Cesare, canto così}} * {{testo|/30. Sonetto alla signora Olimpia}} ci1veyw7txabm0czc7xauafw5cgab3y Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/III. I Canti del carcere/23. Sonetto al signor principe di Bisignano 0 739639 3535308 3011718 2025-06-14T11:30:16Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535308 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>23. Sonetto al signor principe di Bisignano<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../22. Sonetto in lode del signor Cesare Spinola<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=23. Sonetto al signor principe di Bisignano|prec=../22. Sonetto in lode del signor Cesare Spinola|succ=../24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati}} <pages Index="Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu" from="237" to="237" onlysection="s1" tosection="" /> kqvzah0vuwvtrpdotsdgf37c0bb2sfr Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/III. I Canti del carcere/24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati 0 739640 3535309 3011719 2025-06-14T11:30:19Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535309 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../23. Sonetto al signor principe di Bisignano<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati|prec=../23. Sonetto al signor principe di Bisignano|succ=../25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia}} <pages Index="Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu" from="237" to="237" onlysection="s2" tosection="" /> 041ele7c9b3xjut4xekp6w87dbgegxa Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/III. I Canti del carcere/25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia 0 739641 3535310 3011720 2025-06-14T11:30:20Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535310 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../26. Sonetto alla medesima<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia|prec=../24. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati|succ=../26. Sonetto alla medesima}} <pages Index="Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu" from="238" to="238" onlysection="s1" tosection="" /> i4n921sl124ztf0p80dcn2zzdn5m25h Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/III. I Canti del carcere/26. Sonetto alla medesima 0 739642 3535311 3011721 2025-06-14T11:30:24Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535311 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>26. Sonetto alla medesima<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../27. Madrigale alla signora donna Ippolita<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=26. Sonetto alla medesima|prec=../25. Sonetto alla signora donna Ippolita Cavaniglia|succ=../27. 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A Francesco Gentile<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=27. Madrigale alla signora donna Ippolita|prec=../26. Sonetto alla medesima|succ=../28. A Francesco Gentile}} <pages Index="Campanella, Tommaso – Poesie, 1938 – BEIC 1778417.djvu" from="239" to="239" onlysection="s1" tosection="" /> b23jq1dos3vj6yw4f315k8lmw91yubg Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/III. I Canti del carcere/28. A Francesco Gentile 0 739644 3535313 3011723 2025-06-14T11:30:44Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535313 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>28. A Francesco Gentile<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../27. Madrigale alla signora donna Ippolita<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../29. Invitato a cantar le laudi di Cesare, canto così<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=28. A Francesco Gentile|prec=../27. Madrigale alla signora donna Ippolita|succ=../29. 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Sonetto alla signora Olimpia 0 739647 3535315 3011725 2025-06-14T11:30:48Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535315 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>30. Sonetto alla signora Olimpia<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../29. Invitato a cantar le laudi di Cesare, canto così<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../../IV. Rime amorose<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=30. Sonetto alla signora Olimpia|prec=../29. 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Paragonando perciò con quelle i popoli nostri, e in tutti i diversi aspetti, sia d’interna felicitá, sicurezza e virtú, sia di esterna dignitá, grandezza e potenza, si verrá tacitamente a paragonare il diverso valore, la influenza, importanza ed utilitá delle scienze e delle lettere. A me pare, che da questo parallelo ben meditato si verrá apertamente a conchiudere che il vizio dei governi assoluti non osta alle scienze, né in chi scrive, né in chi legge, né in chi le protegge; e che, anzi, al promuoverle e perfezionarle è assolutamente necessaria una protezione qualunque, ancorché all’inventarle e crearle mortifera ella sia, come ad ogni altra util cosa. Ma da questo parallelo ben meditato, si verrá, spero, altresí a conchiudere che al ravviare le lettere, al far rivivere l’antica loro perfezione, e spingerla di qualche cosa piú oltre (il che impossibile non credo) assolutamente vuol essere libertá, e bollente amor di virtú, almeno almeno in chi scrive; ancorché, all’inventarle e crearle, la distruggitrice tirannide e la insultante protezione d’impedimento intero riuscire non possano. Ma un cosí forte impedimento son queste alla vera perfezion delle lettere, che la parola perfezione esclude assolutamente per esse ogni protezione di principe, la quale può sola macchiarle.<section end="1" /> <section begin="2" />{{Ct|f=110%|t=3.5|v=1.5|L=1px|{{Sc|Capitolo Quinto}}}} {{Ct|f=85%|v=2|L=1px|Dei capi-sètta religiosi; e dei santi e dei martiri.}} Havvi un’altra specie di uomini sommi che, virtú e veritá insegnando, al pubblico talvolta giovarono; e a se stessi acquistarono quasi sempre gran fama. Son questi i fondatori delle sètte diverse, i santi ed i martiri, cosí cristiani che giudei o di <section end="2" /><noinclude><br clear="all" /> {{PieDiPagina|{{Type|f=0.8em|l=1px|{{Sc|V. Alfieri}}, ''Opere'' - {{Sc|iv}}.}}||{{Type|f=0.8em|14}}|m=1em}}</noinclude> t0cpnls40skg6s2u7n6cts0mxnifr26 Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/216 108 750396 3535301 2670675 2025-06-14T10:40:58Z Chiarazuccarini 8867 /* Riletta */ Gadget AutoreCitato 3535301 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Chiarazuccarini" />{{RIalt|210|{{Sc|ii. del principe e delle lettere}}|}}</noinclude> altre religioni. Costoro, o scritto abbiano od operato, come dottissimi nella scienza dell’uomo, io li ripongo pur sempre a ogni modo nella classe dei sublimi scrittori. I nostri massimamente, come a noi piú noti, non pochi né deboli argomenti mi prestano per sostenere questo mio giá tante volte ripetuto assunto: che alla veritá e virtú, sotto qualunque aspetto elle s’insegnino, moltissimo pur sempre nuoce il principato. Né di costoro parlerò io piú a lungo che non si aspetti a questo mio tema; perché troppe cose mi si appresenterebbero da dirsi su ciò, se deviar mi volessi. Osserverò dunque che a Mosè (il piú antico tra questi, a noi noto) convenne pure scuotere il giogo del tiranno d’Egitto, prima di poter egli dar leggi sí religiose che civili al suo popolo. Ed anzi, chi non vede che egli, per dar corpo, libertá ed esistenza a quel popolo errante e avvilito dal lungo servaggio, del sublime velo di una ispirata religione felicemente si valea? E all’operare e scrivere tai cose non lo avrebbe certamente mai protetto quel Faraone. Cosí Gesú Cristo, politicamente considerato come uomo, volle pur anco, insegnando la veritá e la virtú con l’esempio, restituire al suo popolo ed a molti altri ad un tempo, per via di una miglior religione, una esistenza politica indipendente dai romani, che servi ed avviliti li teneano. Cosí {{AutoreCitato|Maometto|Maometto}}, coll’abbattere la idolatria, volle, sotto il velo di una piú semplice e pura religione, dar consistenza di nazione a popoli barbari che non l’aveano; al che, oltre ogni credere, riusciva Maometto. Come legislatori, si debbono dunque costoro annoverare infra i sublimi scrittori, poiché eran mossi dallo stesso impulso di giovare altrui acquistando gloria a se stessi. E tali erano certamente nella Cina {{AutoreCitato|Confucio|Confucio}}, e nell’Indie {{AutoreCitato|Zarathustra|Zoroastro}}, e fra altre nazioni molti altri, di cui non sappiamo. I nostri santi poi, o scrittori fossero, come {{AutoreCitato|Paolo di Tarso|Paolo}}, {{AutoreCitato|Agostino d'Ippona|Agostino}}, {{AutoreCitato|Giovanni Crisostomo|Grisostomo}}, {{AutoreCitato|San Girolamo|Girolamo}} ed altri; o colla parola, e piú coll’esempio, predicassero essi virtú, come {{AutoreCitato|Francesco d'Assisi|Francesco}}, {{AutoreCitato|Domenico di Guzmán|Domenico}}, {{AutoreCitato|Bernardo di Chiaravalle|Bernardo}} ecc.; o, col loro eroico morire, nei cuori degli uomini<noinclude></noinclude> 7lr7klp7yd8hx91zxnoymweg75wkdd3 Template:ALL PAGES 10 753894 3535235 3534753 2025-06-14T06:56:40Z SodiumBot 71905 Unattended update of statistics templates 3535235 wikitext text/x-wiki 593796 r8oul8tpgclv4x3uqnlbm38f3wfyxm7 Template:PR TEXTS 10 753895 3535236 3534754 2025-06-14T06:56:50Z SodiumBot 71905 Unattended update of statistics templates 3535236 wikitext text/x-wiki 80193 41wtrotkma8iinkmbein7mqilvdml5n Template:ALL TEXTS 10 753896 3535237 3534756 2025-06-14T06:57:00Z SodiumBot 71905 Unattended update of statistics templates 3535237 wikitext text/x-wiki 102228 4ex5iccdebnk5fgx68jakreb33x0rei Template:PR PERCENT 10 753897 3535238 3533159 2025-06-14T06:57:10Z SodiumBot 71905 Unattended update of statistics templates 3535238 wikitext text/x-wiki 78.45 sjo4p6cyt8a9qx5c30mafvywoxuyfqc Indice:Ville e castelli d'Italia.pdf 110 755358 3535090 3532354 2025-06-13T15:07:24Z TrameOscure 74099 la foto è palesemente della villa successiva 3535090 proofread-index text/x-wiki {{:MediaWiki:Proofreadpage_index_template |Autore=Autori vari |NomePagina=Ville e Castelli d'Italia |Titolo=Ville e Castelli d'Italia: Lombardia e Laghi |TitoloOriginale= |Sottotitolo= |LinguaOriginale=italiano |Lingua=italiano |Traduttore= |Illustratore= |Curatore= |Editore=Tecnografica |Città=Milano |Anno=1907 |Fonte={{IA|ville-e-castelli-d-italia}} |Immagine=9 |Progetto=architettura |Argomento=architettura |Qualità=25% |Pagine=<pagelist 1to8=- 10=- 11=5 11to17=roman 18=- 19="1" 45=27 52=- 53=34 54=- 55=35 60=- 61=41 702=- 703=669 709to712=- /> |Sommario={{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/Prefazione|titolo=Prefazione|from=11|delta=v}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/Indice|titolo=Indice|from=13|delta=vii}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/Il Castello Sforzesco|titolo=Il Castello Sforzesco - Milano|from=19|delta=18}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/La Villa Reale|titolo=La Villa Reale - Monza|from=45|delta=18}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/La Villa Melzi a Bellagio|titolo=La Villa Melzi - Bellagio|from=55|delta=20}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/Il Villino Vonwiller|titolo=Il Villino Vonwiller - Milano|from=61|delta=20}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/La Villa Sessa Rodolfo|titolo=La Villa Sessa Rodolfo - Cremella|from=65|delta=20}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/La Villa Lattuada|titolo=La Villa Lattuada - Casate Nuovo|from=68|delta=20}} {{Indice sommario|nome=Ville e Castelli d'Italia/Il Villino del Dott. 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Forse c'è qualche difetto nell'Indice ma non mi sento di metterci le mani. -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 21:05, 8 giu 2025 (CEST) :@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Erano bloccanti due template Sc nei valori delta delle prime voci. Perchè autoNs0 funzioni, al momento, tutti i parametri di Indice sommario devono essere puro testo. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 21:37, 8 giu 2025 (CEST) ::@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] Mitico! Io stavo provando ad evitare pagine con nome potenzialmente duplicato che ho notato dopo aver scritto il post qua sopra, e pensavo potessero essere la causa del problema... Grazie! :-) [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 21:43, 8 giu 2025 (CEST) :::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] So che purtroppo Indice sommario è delicato... ma "ogni scarrafone è bell'a mamma soja" :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 21:47, 8 giu 2025 (CEST) ::::@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] ma permette di lavorare alla velocità della luce! E' fantastico. C'è solo un piccolo problemino marginale con l'impostazione del SAL, che cancella l'oggetto "creo pagina con autons0" e lo sostituisce (anzichè "appendere") con "porto il sal al xx%". In altre situazioni (per es. con croptool, mi pare) il problema non c'è. -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 22:03, 8 giu 2025 (CEST) :::::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]]: occhio che alcune pagine create quando autoNs0 è fallito, non hanno i link corretti a prec e succ. Per sistemarli si può richiamare nuovamente autoNs0 anche su una pagina già creata, con il bottone del fulmine: [[File:Button_éclair.png|20px]]. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 09:15, 9 giu 2025 (CEST) ::::::@[[Utente:Candalua|Candalua]], si, lo so, contavo di farlo oggi a mano, ma il bottoncino che indichi è di grande aiuto, grazie :-) -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:39, 9 giu 2025 (CEST) == memoRegex == <nowiki>{"\\-\\-":["","—","g"]}</nowiki> fkfo51t0adpveuvp2ns68h96n5aevwr Pagina:Chi l'ha detto.djvu/623 108 807403 3535289 2996633 2025-06-14T08:44:17Z Lagrande 3448 /* Riletta */ 3535289 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Lagrande" />{{RigaIntestazione|[1773-1778]|''Virtù, illibatezza, modestia''|591|riga=si}}</noinclude>{{indent|0|che secondo l’Harbottle, ''Dict. of classical quotations'', è tolto dai ''Lusus poetici'' del dott. {{Sc|Jortin}} (VIII, 20, ''Ad Ventos''). Ma pur troppo questo non accade nè sempre nè spesso.}} Meno male che per colui che è sicuro di sè e della rettitudine delle sue azioni rimangono altri conforti, e uno di questi può essere il pensare col grande agitatore Genovese, che {{Cld |1773|Due gioie concesse Iddio agli uomini liberi sulla terra: il plauso dei buoni, e la bestemmia dei tristi! |{{sc|{{AutoreCitato|Giuseppe Mazzini|Gius. Mazzini}}}}, ''La «Voce della Verità»'',<br>negli ''Scritti editi ed inediti''. Milano, 1861.<br>vol. I, pag. 168}} Ma per conservare spirito tanto sereno di fronte agli attacchi dei malevoli, la prima cosa necessaria è la tranquillità della coscienza, e allora l’innocenza conculcata può riconfortarsi poiché {{Cld |1774|.... Difesa miglior, ch’usbergo e scudo,<br/> È la santa innocenza al petto ignudo.|{{sc|{{AutoreCitato|Torquato Tasso|Tasso}}}}, ''{{TestoCitato|Gerusalemme liberata}}'', c. VIII, ott. 41}} {{indent|0|e il Tasso così scrivendo ricordava senza dubbio il bel verso dantesco:}} {{Cld |1775|Sotto l’osbergo del sentirsi pura.|{{sc|{{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}}}}, ''{{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno|Inferno}}'', c. XXVIII, v. 117}} {{indent|0|{{Sc|Dante}} medesimo ha quest’altra risposta non meno fiera e piena di dignità:}} {{Cld |1776|Io son fatta da Dio, sua mercè, tale<br/> Che la vostra miseria non mi tange.|''{{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno|Inferno}}'', c. II, v. 91-92}} {{indent|0|e il {{Sc|{{AutoreCitato|Pietro Metastasio|Metastasio}}}} nel ''{{TestoCitato|Siroe}}'' (a. II, sc. 9):}} {{Cld |1777|Chi delitto non ha, rossor non sente.}} {{indent|0|come già aveva detto {{sc|{{AutoreCitato|Publio Ovidio Nasone|Ovidio}}}} nei ''Fasti'' (lib. IV. v. 311):}} {{Cld |1778|Conscia mens recti famæ mendacia risit.|traduzione=La coscienza retta si ride delle bugie della fama (''ossia'' delle mendaci ciarle del pubblico).}}<noinclude></noinclude> 0gbvjv80cervkkii4o07m827qvp0haj Pagina:Chi l'ha detto.djvu/624 108 807404 3535290 2988095 2025-06-14T08:51:01Z Lagrande 3448 /* Riletta */ 3535290 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Lagrande" />{{RigaIntestazione|592|''Chi l'ha detto?''|[1779-1783]|riga=si}}</noinclude> Ecco il linguaggio dell’innocenza: {{Cld |1779|D’un pensiero, d’un accento<br/> Rea non son, nè il fui giammai}} {{indent|0|come canta Amina nella ''Sonnambula'' (parole di {{Sc|{{AutoreCitato|Felice Romani|Felice Romani}}}}, musica di Bellini, a. I, sc. II).}} {{Cld |1780|La verginella è simile alla rosa<br/> Ch’in bel giardin su la nativa spina<br/> Mentre sola e sicura si riposa,<br/> Nè gregge nè pastor se le avvicina:<br/> L’aura soave e l’alba rugiadosa,<br/> L’acqua, la terra al suo favor s’inchina:<br/> Gioveni vaghi e donne innamorate<br/> Amano averne e seni e tempie ornate.|{{Sc|{{AutoreCitato|Ludovico Ariosto|Ariosto}}}}, ''{{TestoCitato|Orlando furioso}}'', c. I. ott. 42}} {{indent|0|Questa bellissima ottava dell'Ariosto, che è imitata su {{AutoreCitato|Gaio Valerio Catullo|Catullo}}, ode LXII, v. 39, mi fa tornare a memoria una citazione melodrammatica:}} {{Cld |1781|Pura siccome un angelo.|''La Traviata'', parole di {{sc|F. Piave}}, musica di G. Verdi, a. II, sc. 5}} Ricordisi per assonanza anche il verso di {{Sc|{{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}}}}: {{Cld |1782|Puro e disposto a salire alle stelle.|''{{TestoCitato|Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio}}'', c. XXXIII, v. 145}} {{indent|0|la sentenza biblica:}} {{Cld |1783|Omnia munda mundis.|''Lett. di S. Paolo a Tito'', cap. I, v. 15|traduzione=Tutto è puro per i puri. }} {{ni}}che nei ''{{TestoCitato|I promessi sposi|Promessi Sposi}}'' del {{Sc|{{AutoreCitato|Alessandro Manzoni|Manzoni}}}} (cap. VIII) Fra Cristoforo cita così a proposito e con tanta efficacia allo scrupoloso Fra Fazio; e più calzantemente anche il seguente motto, che può benis-<noinclude></noinclude> ram4vspqj9ubuejftap6jv6xt2n88v4 Pagina:Pitrè - Canti popolari siciliani I, 1891.djvu/375 108 834869 3535287 2987363 2025-06-14T08:33:11Z Lagrande 3448 /* Trascritta */ 3535287 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Lagrande" />{{RigaIntestazione||RELIGIONE|349}}</noinclude><poem>431. Vi manna a salutari la Madonna, Vi manna a diri li filici jorna; Vi manna a salutàrivi Sant’Anna, Vi voli ’n paraddisu cu la parma<ref>Questo primo tetrastico sembra appartenere ad altro canto.</ref>; Cull’àutri virgineddi söi amati, Chi sunnu spusi di Nostru Signuri; E vonnu li vistita arraccamati D’oru e d’argentu di milli culuri. (''Palermo'').</poem> {{Ct|v=1|t=1|{{*}}}} <poem>432. Ostia cunsarata, Redenturi, Munarca di la Santa Passioni, Tri belli manti, tri belli figuri, Ca ’n paraddisu cc’è canti e cc’è soni. Cc’è la cappella di lu Sarvaturi, Cc’è stampata Maria Cuncizioni. Lodàmucci lu Santu Saramentu, La virginedda di santa Lucia<ref>Questi intercalari variano secondo la divozione e la volontà di chi canta, e però spesso non consonano colle rime dell’intiero canto.</ref>. (''Caltavuturo'').</poem> {{Ct|v=1|t=1|{{*}}}} <poem>433. O parrineddu, quantu dignu siti! Ch’ogni matina vi cumunicati; D’ un’ostia tri parti nni taciti, Una di chisti tri la cunsarati; Cu tri palori santi chi diciti Trema lu ’nfernu cull’armi dannati; E si l’occhi a lu celu poi spinciti, Cala la Santissima Trinitati. (''Caltavuturo'').</poem><noinclude></noinclude> 09du6fksorbl8a9pkfig0saioj6unw5 Pagina:Pitrè - Canti popolari siciliani I, 1891.djvu/376 108 834870 3535288 2987364 2025-06-14T08:40:32Z Lagrande 3448 /* Trascritta */ 3535288 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Lagrande" />{{RigaIntestazione|350|CANTI POPOLARI|}}</noinclude>{{Ct|v=1|t=1|{{*}}}} <poem>434. Mi talenta<ref>Notisi il bell’uso del verbo ''talentare''.</ref> lu sali e la farina, Mi talenta la missa ogni matina, Mi talenta lu Re cu la Riggina, Tutta la Curti di Sò Maistati, Mi talentanu l’ostii cunsacrati, L’ Ascinsioni e la Divinitati<ref>Canto molto irregolare e probabilmente frammento, da legarsi al canto seguente.</ref>. (''Alimena'').</poem> {{Ct|v=1|t=1|{{*}}}} <poem>435. Nni la Divinità nun cci nn’è funnu, Ca su’ li dotti e studianu cu ’ncegnu<ref>Una variante: Ca su’ li dotti e studiari ’un ponnu.</ref>; Cc’ è San Giuseppi patri di lu raunnu, È mintuvatu pri tuttu lu Regnu; Cc’ è San Pitruzzu cu li chiavi ’n pugnu, Grapi lu paradisu pri ’n eternu; Tri cosi ’un s’addiminanu a lu munnu: Ddiu, Spiritu Santu e Patr’Eternu<ref>Così il popolo consacra la sua teologia.</ref>. (''Alimena'').</poem> {{Ct|v=1|t=1|{{*}}}} <poem>436. Accumpariu ’na stidda all’Orienti; Cu la cuda ’nnavanti chi fa strata; Ognunu dici ch’ è cosa di nenti, È cosa chi cuncurri<ref>''Cuncurri'', accade.</ref> a la jurnata.</poem><noinclude></noinclude> cxyuflcdjs4m0x9thmn9dqdn4f2sszc Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore III.djvu/425 108 840279 3535295 3003693 2025-06-14T09:47:41Z Eumolpo 3652 sistemo un po' 3535295 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo xix.}}|423}}</noinclude> ''bianco'', e non mancava lo ioduro ''giallo''. Le preparazioni metalliche furono tentate tutte, e invano; il platino o l’argento, e soprammodo l’oro in pillole, ovvero mercè frizioni sopra la lingua; i medici, disperati, si erano spinti fino ad amministrarle bevande di sublimato corrosivo, rimedio giudicato ''eroico'' per modo, che a ragione può dirsi l'''Achille'' della morte. Anche il dottor ''Tenca'' con la caterva dei suoi medicinali ci rimase sbancato. Allora non parve al prete tempo di starsi con le mani a cintola: quindi, avvertiti i servi che andava a confessare per l’ultima volta la signora, epperò non entrasse persona, nè anco il marito, aperse con fracasso l’uscio, si pose di faccia alla morente con sembianza minacciosa; dopo parecchi istanti con tali parole l’assale: — Donna, la morte ti batte alla porta di casa; peccatrice, io non voglio avere su l’anima la perdizione della tua anima. Io ti leggo nel cuore; tu non hai confessato tutti i tuoi peccati; fin qui le tue confessioni furono tanti sacrilegi. Tu hai dubitato della misericordia di Dio, e Dio vendicandosi ti nega la sua misericordia; perchè io vo’ che tu sappia, maggiore ingiuria non potersi fare a Dio, che mettere in dubbio la sua bontà. Tu certo non leggesti nei libri di santa madre Chiesa, bensì unicamente libri profani, e pure, se tu avessi voluto, avresti eziandio da questi raccolto insegnamenti {{Pt|sa-|}}<noinclude></noinclude> twcc84plnkezb56xtmzc3aflabi9719 Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/67 108 853501 3535302 3534922 2025-06-14T11:28:50Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535302 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||''di tutti i Sonetti''|{{rl|55}}}}</noinclude> {{Colonna|em=-1}} Santificazione, I, {{Pg|81|81|bI}}; III, {{Pg|378|378|bIII}}. Santin Bellino, III, {{Pg|369|369|bIII}}, n. 6. Santini (Ferd.), IV, {{Pg|201|201|bIV}}, n. 7; {{Pg|420|420|bIV}}, n. 4. Santo, II, {{Pg|345|345|bII}}; III, {{Pg|268|268|bIII}}; {{pg|378|378|bIII}}; {{pg|407|407|bIII}}; IV, {{Pg|370|370|bIV}}; V, {{Pg|181|181|bV}}; VI, {{Pg|118|118|bVI}}; {{pg|202|202|bVI}}. Santucci (Sebast.), III, {{Pg|307|307|bIII}}, n. 1; V, {{Pg|303|303|bV}}, n. 7. Santucci Fibbietti (Mons.), V, {{Pg|108|108|bV}}. Sant’Uffizio, II, {{Pg|110|110|bII}}; {{pg|123|123|bII}}; {{pg|381|381|bII}}, n. 1; III, {{Pg|318|318|bIII}}; {{pg|360|360|bIII}}; {{pg|365|365|bIII}}; IV, {{Pg|90|90|bIV}}, n. 3; {{Pg|162|162|bIV}}, n. 1; {{Pg|438|438|bIV}}; V, {{Pg|208|208|bV}}; VI, {{Pg|202|202|bVI}}. Sanzio (Raff.), I, {{Pg|114|114|bI}}, n. 4; {{Pg|140|140|bI}}, n. 3; II, {{Pg|244||bII}}; {{pg|338|338|bII}}; III, {{Pg|101|101|bIII}}; {{pg|211|211|bIII}}, n. 2; {{Pg|415|415|bIII}}; IV, {{Pg|392|392|bIV}}; V, {{Pg|143|143|bV}}, n. 5; {{Pg|148|148|bV}}. Sapienza (Dea), II, {{Pg|384|384|bII}}, n. 1. Sapienza (Univers. della), IV, {{Pg|58|58|bIV}}, n. 10; V, {{Pg|165|165|bV}}; {{pg|173|173|bV}}, n. 8; VI, {{Pg|67|67|bVI}}. Sapienza (Via della), II, {{Pg|45|45|bII}}. Sara, VI, {{Pg|123|123|bVI}}. Saraceni, IV, {{Pg|90|90|bIV}}, n. 3; {{Pg|93|93|bIV}}, n. 8; VI, {{Pg|253|253|bVI}}, n. 3. Sardanapalo, V, {{Pg|343|343|bV}}, n. 1. Sardegna, II, {{Pg|25|25|bII}}, n. 2. Sarnelli, VI, {{Pg|104|104|bVI}}, n. 6. Sarto, IV, {{Pg|16|16|bIV}}. Sartori (Matilde), IV, {{Pg|129|129|bIV}}. Savignano, ''Correz. e Agg.'', III, {{Pg|323|323|bIII}}. Satira, IV, {{Pg|49|49|bIV}}, n. 1; V, {{Pg|272|272|bV}}, n. 6; {{Pg|313|313|bV}}, n. 1; VI, {{Pg|260|260|bVI}}. Saul, V, {{Pg|22|22|bV}}; {{pg|23|23|bV}}; VI, {{Pg|205|205|bVI}}. Savio (Fiume), II, {{Pg|79|79|bII}}, n. 11. Savoia (Casa di), IV, {{Pg|108|108|bIV}}, n. 1; VI, {{Pg|357|357|bVI}}, n. 1. Savoia (Eugenio di), III, {{Pg|12|12|bIII}}, n. 5. Savorelli-Muti-Papazzurri (Famiglia), IV, {{Pg|187|187|bIV}}, n. 1. — V. però ''Correz. e Agg''. Saxo-Gotha (Fed. di), II, {{Pg|358|358|bII}}. Scala (Acqua della), III, {{Pg|10|10|bIII}}. Scala (Conv. della), I, {{Pg|97|97|bI}}. Scala Regia, V, {{Pg|300|300|bV}}, n. 6. Scala Santa, II, {{Pg|113|113|bII}}. ''Scaletta'' (Usanza pop.), III, {{Pg|32|32|bIII}}. Scalini, III, {{Pg|84|84|bIII}}. Scandriglia, III, {{Pg|403|403|bIII}}; VI, {{Pg|58|58|bVI}}. Scarica-barili (Gioco), I, {{Pg|226|226|bI}}; V, {{Pg|284|284|bV}}. {{AltraColonna|em=-1}} Schifanoia, IV, {{Pg|403|403|bIV}}. Schouwaloff, II, {{Pg|358|358|bII}}. Schütz Oldosi (Amalia), IV, {{Pg|404|404|bIV}}. Sciablese (Duchessa dello), VI, {{Pg|357|357|bVI}}. — V. anche ''Chiablais''. Scialoia (Vittorio), I, {{Pg|80|80|bI}}, n. 14. ''Sciamanno'', II, {{Pg|253|253|bII}}; IV, {{Pg|90|90|bIV}}. Sciarra (Franc.), V, {{Pg|305|305|bV}}, n. 3. Sciarra (Piazza), II, {{Pg|30|30|bII}}; {{pg|79|79|bII}}, n. 2; {{Pg|86|86|bII}}; III, {{Pg|12|12|bIII}}; IV, {{Pg|249|249|bIV}}. Sciarra (Prospero), V, {{Pg|278|278|bV}}, n. 5. ''Scoccétto'' (Gioco), III, {{Pg|71|71|bIII}}. Scoccia-Pile, III, {{Pg|39|39|bIII}}, n. 9. Scolopi (Frati), IV, {{Pg|392|392|bIV}}; VI, {{Pg|313|313|bVI}}. Scomunica, II, {{Pg|77|77|bII}}; {{pg|398|398|bII}}; III, {{Pg|317|317|bIII}}; {{pg|338|338|bIII}}; IV, {{Pg|245|245|bIV}}. Scongiuro (Cred. popolare), I, {{Pg|179|179|bI}}. Scopa (Cred. pop.), I, {{Pg|240|240|bI}}; III, {{Pg|184|184|bIII}}. Scopatore, VI, {{Pg|279|279|bVI}}. Scopatore segreto in Vaticano, III, {{Pg|167|167|bIII}}: IV, {{Pg|413|413|bIV}}. Scòrzo (Misura), IV, {{Pg|39|39|bIV}}. Scoto (Mariano), VI, {{Pg|104|104|bVI}}, n. 1. Scozzesi, III, {{Pg|326|326|bIII}}. Scribe (Eug.), IV, {{Pg|326|326|bIV}}, n. 1. Scribi, V, {{Pg|364|364|bV}}. Scrittori Apostolici (Collegio degli), II, {{Pg|92|92|bII}}, n. 1. Scrittura Sacra, II, {{Pg|67|67|bII}}; III, {{Pg|62|62|bIII}}; {{pg|150|150|bIII}}; V, {{Pg|22|22|bV}}; {{pg|340|340|bV}}; VI, {{Pg|76|76|bVI}}; {{pg|232|232|bVI}}, n. 1. — V. anche ''Bibbia, Testamento Vecchio'' e ''Nuovo'' e ''Vangelo''. Scrivano pubblico, I, {{Pg|100|100|bI}}, n. 1; II, {{Pg|258|258|bII}}. Scrofa (Via della), IV, {{Pg|362|362|bIV}}; VI, {{Pg|87|87|bVI}}. Scrupoli, II, {{Pg|284|284|bII}}. Scudieri Apostolici, II, {{Pg|92|92|bII}}, n.1. Scudo (Moneta), I, {{Pg|16|16|bI}}, n. 6; IV, {{Pg|153|153|bIV}}; {{pg|262|262|bIV}}; {{pg|277|277|bIV}}; {{pg|308|308|bIV}}, n. 3; {{Pg|380|380|bIV}}; V, {{Pg|27|27|bV}}; {{pg|49|49|bV}}; {{pg|81|81|bV}}, n. 5; {{Pg|85|85|bV}}, n. 4; {{Pg|186|186|bV}}, n. 2; {{Pg|201|201|bV}}; {{pg|266|266|bV}}; {{pg|274||bV}}; {{pg|275||bV}}; VI, {{Pg|31|31|bVI}}. Scuola, II, {{Pg|125|125|bII}}; IV, {{Pg|78|78|bIV}}. Sebastiani (Maestro di clarino), III, {{Pg|198|198|bIII}}, n. 12. Sebastiano (Basilica di S.), II, {{Pg|362|362|bII}}, n. 6; V, {{Pg|242|242|bV}}, n. 1. Sebastiano (Porta di S.), V, {{Pg|242|242|bV}}, n. 1. Secolare, IV, {{Pg|345|345|bIV}}; {{pg|419|419|bIV}}. Sede (S.), I, {{Pg|218|218|bI}}, n. 13; II, {{Pg|25|25|bII}},<noinclude></noinclude> c5c3gfu6p6hzlkfmmy9hhij9rc8scfq Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/68 108 853502 3535303 3071205 2025-06-14T11:29:27Z Dr Zimbu 1553 /* Riletta */ 3535303 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|{{rl|56}}|''Nomi propri e cose notabili''|}}</noinclude>{{Colonna|em=-1}}n. 2; {{Pg|47|47|bII}}, n. 9; {{Pg|300|300|bII}}; III, {{Pg|76|76|bIII}}, n. 3; {{Pg|225|225|bIII}}, n. 4; IV, {{Pg|135|135|bIV}}, n. 12; V, {{Pg|97|97|bV}}, n. 11. ''Sedia papale'' (Gioco) — V. ''Predellucce''. Sedia stercoraria, VI, {{Pg|104|104|bVI}}. Sediari (Via de’), I, {{Pg|124|124|bI}}; V, {{Pg|250|250|bV}}, n. 4; VI, {{Pg|252|252|bVI}}. Segato (Girol.), IV, {{Pg|365|365|bIV}}. Segnatura (Tribunale della), II, {{Pg|162|162|bII}}, n. 4; {{Pg|199|199|bII}}; {{pg|204|204|bII}}. Segreta (Fratelli di), I, {{Pg|210|210|bI}}. Segretario di Consulta, III, {{Pg|332|332|bIII}}. Segretario di Stato per gli Affari Esteri, IV, {{Pg|343|343|bIV}}; V, {{Pg|354|354|bV}}, n. 8; VI, {{Pg|319|319|bVI}}, n. 4. Segreteria di Stato, I, {{Pg|35|35|bI}}, n. 3; {{Pg|91|91|bI}}; {{pg|235|235|bI}}, n. 4; II, {{Pg|300|300|bII}}, n. 3; III, {{Pg|333|333|bIII}}; IV, {{Pg|204|204|bIV}}, n. 6; {{Pg|428|428|bIV}}, n. 5; V, {{Pg|133|133|bV}}; {{pg|339|339|bV}}; {{pg|349|349|bV}}, n. 1; VI, {{Pg|319|319|bVI}}, n. 4. Segreteria di Stato (Sostituto della) — V. ''Cifra (Segretario della)''. Segreteria di Stato per gli Affari Interni, IV, {{Pg|232|232|bIV}}, n. 1; VI, {{Pg|319|319|bVI}}, n. 4. ''Segrete'', IV, {{Pg|364|364|bIV}}. Seminario, II, {{Pg|80|80|bII}}, n. 2; III, {{Pg|208|208|bIII}}. Semplicista, I, {{Pg|96|96|bI}}; IV, {{Pg|6|6|bIV}}; V, {{Pg|30|30|bV}}; {{pg|226|226|bV}}; VI, {{Pg|290|290|bVI}}. Semprevivo, I, {{Pg|109|109|bI}}. Senato italiano, V, {{Pg|376|376|bV}}, n. 1. Senato romano, I, {{Pg|138|138|bI}}; {{pg|164|164|bI}}, n. 1; II, {{Pg|292|292|bII}}, n. 3; III, {{Pg|39|39|bIII}}; {{pg|133|133|bIII}}, n. 4; V, {{Pg|378|378|bV}}; {{pg|444|444|bV}}; VI, {{Pg|357|357|bVI}}, n. 2. Senatore di Roma, I, {{Pg|61|61|bI}}; II, {{Pg|339|339|bII}}, n. 4; III, {{Pg|133|133|bIII}}; {{pg|135|135|bIII}}; {{pg|137|137|bIII}}; {{pg|138|138|bIII}}; IV, {{Pg|284|284|bIV}}, n. 9. Seneca, III, {{Pg|3|3|bIII}}. Senese (Dialetto), I, {{Pg|69|69|bI}}, n. 8; IV, {{Pg|311|311|bIV}}, n. 6; V, {{Pg|442|442|bV}}, n. 2; VI, {{Pg|76|76|bVI}}, n. 3; {{Pg|272|272|bVI}}, n. 11. Seniori d’Israele, III, {{Pg|350|350|bIII}}, n. 2. Senna, I, {{Pg|29|29|bI}}, n. 1. Sepolcro (Santo), I, {{Pg|72|72|bI}}. Sepolcro del Giovedi santo nella Capp. Paol., IV, {{Pg|176|176|bIV}}. Sepoltura gentilizia, IV, {{Pg|128|128|bIV}}. Seppellimento (Cred. pop.). III, {{Pg|80|80|bIII}}. ''Septisolium'', I, {{Pg|140|140|bI}}, n. 3. Serapide (Tempio di), II, {{Pg|30|30|bII}}, n. 18. Sercognani (Colon.), V, {{Pg|292|292|bV}}, n. 6. {{AltraColonna|em=-1}} Serenata, IV, {{Pg|328|328|bIV}}; V, {{Pg|247|247|bV}}. Serpe (Cred. pop.). III, {{Pg|316|316|bIII}}. Serpente biblico, III, {{Pg|289|289|bIII}}. Serpenti (Via dei), III, {{Pg|49|49|bIII}}; {{pg|89|89|bIII}}; {{pg|250|250|bIII}}. Serse, V, {{Pg|133|133|bV}}, n. 8. Serviti (Chiesa dei), III, {{Pg|225|225|bIII}}. Serviti (Padri), VI, {{Pg|313|313|bVI}}. Servitori, I, {{Pg|86|86|bI}}; {{pg|174|174|bI}}; {{pg|180|180|bI}}; III, {{Pg|1|1|bIII}}; {{pg|94|94|bIII}}; {{pg|211|211|bIII}}. Servitori (Confraternita dei), I, {{Pg|112|112|bI}}. Seste, I, {{Pg|171|171|bI}}, n. 1. ''Seta-moneta'' (Gioco), I, {{Pg|113|113|bI}}, n. 7; VI, {{Pg|24|24|bVI}}. Setta, II, {{Pg|77|77|bII}}; {{pg|299|299|bII}}; IV, {{Pg|428|428|bIV}}. Settembrini (L.), V, {{Pg|448|448|bV}}, n. 1. Sette-Sale, I, {{Pg|140|140|bI}}. Settimana Santa, III, {{Pg|218|218|bIII}}, n. 1; {{Pg|228|228|bIII}}; V, {{Pg|1|1|bV}}; {{pg|2|2|bV}}; {{pg|6|6|bV}}, n. 1. Settimiana (Porta), II, {{Pg|292|292|bII}}, n. 5; IV, {{Pg|304|304|bIV}}. Settimio Severo, I, {{Pg|56|56|bI}}, n. 3. Settimio Severo (Arco di), I, {{Pg|141|141|bI}}. Severoli (Card.), III, {{Pg|310|310|bIII}}, n. 8. Seymour (Lord), III, {{Pg|369|369|bIII}}, n. 6. Sgricci (Tomm.), VI, {{Pg|275|275|bVI}}. Siberia, II, {{Pg|119|119|bII}}; IV, {{Pg|181|181|bIV}}; V, {{Pg|292|292|bV}}, n. 1. Sibilla, I, {{Pg|129|129|bI}}; II, {{Pg|21|21|bII}}; {{pg|217|217|bII}}. Siccità del 1834 in Roma, III, {{Pg|334|334|bIII}}. Sicilia, I, {{Pg|138|138|bI}}, n. 8; III, {{Pg|416|416|bIII}}, n. 12; {{Pg|417|417|bIII}}, n. 10. Siciliano (Dial.), VI, {{Pg|168|168|bVI}}, n. 7. Sidi-Ferruch, I, {{Pg|30|30|bI}}, n. 1. Siena, III, {{Pg|122|122|bIII}}, n. 1; VI, {{Pg|104|104|bVI}}, n. 1. Sigiberto (Cronista), VI, {{Pg|181|181|bVI}}. Sigilli legali, II, {{Pg|214|214|bII}}; IV, {{Pg|270|270|bIV}}; VI, {{Pg|55|55|bVI}}; {{pg|83|83|bVI}}. Silva (Card. De), IV, {{Pg|182|182|bIV}}. Silvagni (David), I, {{Pg|93|93|bI}}, n. 3; {{Pg|220|220|bI}}, n. 6; II, {{Pg|41|41|bII}}, n. 8; {{Pg|79|79|bII}}, n. 5; {{Pg|326|326|bII}}, n. 6; III, {{Pg|122|122|bIII}}, n. 6; {{Pg|225|225|bIII}}, n. 7; {{Pg|417|417|bIII}}, n. 1; {{Pg|433|433|bIII}}, n. 1; IV, {{Pg|41|41|bIV}}, n. 1; {{Pg|148|148|bIV}}, n. 3. Silvagni (Giov.), I, {{Pg|17|17|bI}}; {{pg|48|48|bI}}, n. 2; VI, {{Pg|9|9|bVI}}, n. 1. Silvani Loreni (Demetrio), V, {{Pg|335|335|bV}}. Silvestro (S.), I, {{Pg|88|88|bI}}, n. 1 e 7; VI, {{Pg|99|99|bVI}}, n. 1.<noinclude></noinclude> ln4ink1suv5c8qxv32ydnrcx8b6wbf5 Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/363 108 854007 3535252 3486726 2025-06-14T07:53:38Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535252 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" /></noinclude>{{Ct|f=160%|v=4|t=4|lh=1.5|SONETTI ITALIANI}}<noinclude></noinclude> 35hi5lqzurr06snwzrx7fujr24kgwgw Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/364 108 854008 3535254 3486730 2025-06-14T07:54:29Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535254 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione|354|''Sonetti apocrifi''|n=s}}</noinclude> {{Ct|f=120%|v=1|t=4|L=3px|AVVERTENZA }} {{Rule|4em|t=1|v=2}} Dopo i sonetti romaneschi stanno bene, ci pare, quelli tra i molti sonetti italiani del Belli, che acquistarono una grande popolarità, o che hanno qualche speciale importanza. Dei venti che qui pubblichiamo, tre sono affatto inediti; e parecchi degli altri diciassette, con la scorta degli autografi li abbiamo restituiti alla vera lezione, viziata nelle edizioni precedenti. {{Rule|8em|v=3}}<noinclude></noinclude> okkjp39y5fvjk02wvosgirm0wtzb79m Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/383 108 854030 3535258 3488072 2025-06-14T08:00:22Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535258 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione||''Sonetti italiani''|373}}</noinclude> {{Ct|f=100%|v=1|t=2|MIA VITA.<ref>[Dalle cit. ''Poesie inedite;'' vol. II, pag. 24]</ref>}} <poem> Certo è ch’io nacqui, e con un bel vagito Salutai ’l mondo e il mondo non rispose: Andai a scuola, studiai molte cose, E crebbi un ciuco calzato e vestito. Una donna mi tolse per marito, Scrissi versi a barella e alcune prose: Del resto, come il ciel di me dispose, Ebbi sete, ebbi sonno, ebbi appetito. Stetti molti anni fra gl’impieghi assorto, E fin che non disparver dalla scena Amai gli amici e ne trovai conforto. Oggi son vecchio e mi strascino appena: Poi fra non troppi dì che sarò morto, Dirà il mondo: “Oh reo caso! andiamo a cena.„<ref>Vedi [nella pagina seguente] il sonetto intitolato: ''{{testoCitato|Mia morte}}''.</ref> </poem> {{a destra|margine=5em|{{smaller|30 settembre 1857.}}}}<noinclude></noinclude> tlz4ezuqs538kx33tnn150i7s7v40cd Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/384 108 854031 3535256 3488073 2025-06-14T07:58:04Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535256 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione|374|''Sonetti italiani''}}</noinclude> {{Ct|f=100%|v=1|t=2|MIA MORTE.<ref>[Dalle cit. ''Poesie inedite''; vol, II, pag. 25.] Vedi [nella pagina precedente] il sonetto intitolato: ''{{TestoCitato|Mia vita}}''.</ref>}} <poem> Mi dimandan: “Perchè del mondo hai detto Che dirà, alla tua morte, ''andiamo a cena?''„ Ed io rispondo: “Non si prendan pena: Scrissi così per chiudere un sonetto. Non ch’io creda che al mondo, poveretto, Sarà mia morte una notizia amena; Ma avrebbeci mo a far la cantilena E a stendersi con me nel cataletto? Il mondo infin non avrà tutti i torti; Ed a voi chiedo anch’io: che più vi piace? Mangiar coi vivi o digiunar coi morti? Eppoi l’uman dolor più egli è vivace, Più cercar deve i suoi giusti conforti Dopo cantato il ''requiescat in pace''.„ </poem> {{a destra|margine=5em|{{smaller|1 ottobre 1857.}}}}<noinclude></noinclude> ov34wmtr2zg0m5pev3ymknzu1cdd7bg Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/385 108 854032 3535255 3488075 2025-06-14T07:56:23Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535255 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione||''Sonetti italiani''|375}}</noinclude> {{Ct|f=100%|v=1|t=2|I MONUMENTI.<ref>[Dalle cit. ''Poesie inedite''; vol. III, pag. 19.]</ref>}} <poem> Se travagliato da penose cure Di ricrear tu brami i tuoi pensieri, Per le chiese vagando e i cimiteri Divèrtiti a guardar le sepolture. Vedrai gravi e magnifiche figure Coperte di parrucche e di cimieri, Con musi lunghi lunghi e seri seri, Buoni da spiritar le creature. Ebbene, il più di quegli aviti eroi, Pria del mondo di là, furono in questo Tanti baggiani come siamo noi. Tutto il grave, il magnifico, il rubesto, Merto è d’un ferro e d’una pietra; e poi Una penna bugiarda ha fatto il resto. </poem> {{a destra|margine=5em|{{smaller|11 agosto 1858.}}}}<noinclude></noinclude> nx83sodulv1k2u3e9hlmr5zhbhh77xy Mia vita 0 854058 3535259 3488077 2025-06-14T08:00:37Z Francyskus 76680 Porto il SAL a SAL 100% 3535259 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome e cognome dell'autore"/>Giuseppe Gioachino Belli<section end="Nome e cognome dell'autore"/> <section begin="Anno di pubblicazione"/>1857<section end="Anno di pubblicazione"/> <section begin="URL della versione cartacea a fronte"/>Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu<section end="URL della versione cartacea a fronte"/> <section begin="Argomento"/>sonetti<section end="Argomento"/> <section begin="Progetto"/>letteratura<section end="Progetto"/> <section begin="Titolo"/>Mia vita<section 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Porto il SAL a SAL 100% 3535260 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome e cognome dell'autore"/>Giuseppe Gioachino Belli<section end="Nome e cognome dell'autore"/> <section begin="Anno di pubblicazione"/>1857<section end="Anno di pubblicazione"/> <section begin="URL della versione cartacea a fronte"/>Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu<section end="URL della versione cartacea a fronte"/> <section begin="Argomento"/>sonetti<section end="Argomento"/> <section begin="Progetto"/>letteratura<section end="Progetto"/> <section begin="Titolo"/>Mia morte<section end="Titolo"/> <section begin="nome template"/>Intestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}} {{Intestazione | Nome e cognome dell'autore = Giuseppe Gioachino Belli | Titolo = Mia morte | Anno di pubblicazione = 1857 | Lingua originale del testo = | Nome e cognome del traduttore = | Anno di traduzione = | Progetto = letteratura | Argomento = sonetti | URL della versione cartacea a fronte = Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu | prec=Mia vita | succ=I monumenti }} {{Raccolta|Sonetti romaneschi/Sonetti italiani}} <pages index="Sonetti romaneschi VI.djvu" from="384" to="384" fromsection="" tosection="" /> {{sezione note}} 85twhx7hqqfywkln21xhfi0vju3maud I monumenti 0 854060 3535261 3488079 2025-06-14T08:00:58Z Francyskus 76680 Porto il SAL a SAL 100% 3535261 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome e cognome dell'autore"/>Giuseppe Gioachino Belli<section end="Nome e cognome dell'autore"/> <section begin="Anno di 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40911mr4o5erdxxdg51pc6hmj66lqzu Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/391 108 855524 3535262 3500627 2025-06-14T08:04:13Z Francyskus 76680 3535262 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||''Sonetti del 1847''|381}}</noinclude><section begin="s1"/><section begin="2"/>certe cose non avendo mai bisogno di nominarle, perchè il loro mondo è molto ristretto, continuano a credere che i nostri vocabolari siano fatti benissimo!&rbrack; <section end="2"/> {{spazi|5}}<sup>3 </sup><section begin="3"/>&nbsp;<!--''Annotazione mancante.''--><section end="3"/> <section end="s1"/><section begin="s2"/> {{Ct|f=100%|v=1|t=2|. . . . . . . . . .<ref>[Senza titolo.]</ref>}} <poem> Io, per brio, saperebbe volentieri Si ccurre puro nell’antri paesi Sta fiumara<ref>[Questa fiumana.]</ref> de ppréncipi, marchesi, Conti, duchi, bbaroni e ccavajjeri. Perché a Rroma, per brio, tra ffarzi e vveri, N’ho intesi tanti a mmentuà, nn’ho intesi, Che mmeno so’ li moccoletti accesi<ref>[Cioè: “moccoli arsi in parte,„ perchè i droghieri sogliono darli a calo.]</ref> Che ttengheno smorzati li drughieri. È una gran cosa, pe’ cquer brio sagrato, De nun poté ffà un passo in gnisun loco, Senza pijjà de petto un titolato! Eh, Ppapa io, nun me faria confonne! Vorìa ridùsce<ref>[Correi ridurre.]</ref> er monno a ppoc’a ppoco Tutto quanto in du’ crasse: ''ommini'' e ''ddonne''. </poem><!--fine--> {{a destra|margine=5em|{{smaller|9 gennaio 1847.}}}}<section end="s2"/><noinclude></noinclude> 98m8da3k3ls3pj96yxk6daygydnvhlf 3535263 3535262 2025-06-14T08:06:09Z Francyskus 76680 3535263 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||''Sonetti del 1847''|381}}</noinclude><section begin="s1"/><section begin="2"/>certe cose non avendo mai bisogno di nominarle, perchè il loro mondo è molto ristretto, continuano a credere che i nostri vocabolari siano fatti benissimo!&rbrack; <section end="2"/> {{spazi|5}}<sup>3 {{Ct|f=100%|v=1|t=2|. . . . . . . . . .<ref>[Senza titolo.]</ref>}} <poem> Io, per brio, saperebbe volentieri Si ccurre puro nell’antri paesi Sta fiumara<ref>[Questa fiumana.]</ref> de ppréncipi, marchesi, Conti, duchi, bbaroni e ccavajjeri. Perché a Rroma, per brio, tra ffarzi e vveri, N’ho intesi tanti a mmentuà, nn’ho intesi, Che mmeno so’ li moccoletti accesi<ref>[Cioè: “moccoli arsi in parte,„ perchè i droghieri sogliono darli a calo.]</ref> Che ttengheno smorzati li drughieri. È una gran cosa, pe’ cquer brio sagrato, De nun poté ffà un passo in gnisun loco, Senza pijjà de petto un titolato! Eh, Ppapa io, nun me faria confonne! 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Perché a Rroma, per brio, tra ffarzi e vveri, N’ho intesi tanti a mmentuà, nn’ho intesi, Che mmeno so’ li moccoletti accesi<ref>[Cioè: “moccoli arsi in parte,„ perchè i droghieri sogliono darli a calo.]</ref> Che ttengheno smorzati li drughieri. È una gran cosa, pe’ cquer brio sagrato, De nun poté ffà un passo in gnisun loco, Senza pijjà de petto un titolato! Eh, Ppapa io, nun me faria confonne! 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Perché a Rroma, per brio, tra ffarzi e vveri, N’ho intesi tanti a mmentuà, nn’ho intesi, Che mmeno so’ li moccoletti accesi<ref>[Cioè: “moccoli arsi in parte,„ perchè i droghieri sogliono darli a calo.]</ref> Che ttengheno smorzati li drughieri. È una gran cosa, pe’ cquer brio sagrato, De nun poté ffà un passo in gnisun loco, Senza pijjà de petto un titolato! Eh, Ppapa io, nun me faria confonne! 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È chiaro che per tutte e solo le funzioni definite implicitamente dalla (1) si ha che, sostituendo nel primo membro della (1) in luogo di <math>y</math> il suo valore e derivando la funzione di <math>x</math> che ne risulta, si ottiene lo zero. In altre parole la<ref>Si suppongono qui, e nei seguenti §§, finite e continue tutte le funzioni, e loro derivate, che si presentano nel calcolo</ref> {{spazi|40}}<math>\frac{df}{dx}=\frac{\partial f}{\partial x}+\frac{\partial f}{\partial y} \frac{dy}{dx}=0</math>{{spazi|20}}(2) ''vale per tutte e sole le funzioni <math>\mathrm{y}</math> definite implicitamente dalla'' (1) La (2) è un'equazione differenziale ordinaria del primo ordine: tutte le funzioni <math>y</math> che la risolvono sono tutte e sole quelle che soddisfano alla 81). Si abbia ora l'equazione differenziale del tipo: {{spazi|40}}<math>M(x, y)+N(x, y)\frac{dy}{dx}=0</math>,{{spazi|20}}(3) La quale, moltiplicata per <math>dx</math>, si può scrivere: {{spazi|40}}<math>M(x, y)dx+N(x, y)dy=0</math>.{{spazi|20}}(4) Se il primo membro di (4) è un differenziale esatto, se esiste cioè una <math>f(x, y)</math> tale che: {{centrato|<math>\frac{\partial f}{\partial x}=M(x, y)</math> ; <math>\frac{\partial f}{\partial y}=N(x, y)</math>,}} <section end="2" /><noinclude><references/></noinclude> ckfq41vaoc00ophrzo9symd11g3un8x Discussioni utente:Sentrac98 3 875019 3534982 3534893 2025-06-13T13:21:46Z Candalua 1675 /* La Politica Estera dei Soviets */ Risposta 3534982 wikitext text/x-wiki == Benvenuto == {{Benvenuto|firma=--[[User:Paperoastro|Paperoastro]] ([[User talk:Paperoastro|disc.]]) 14:56, 12 apr 2023 (CEST)}} == La Politica Estera dei Soviets == Ciao, ti sto correggendo varie cosette: * i titoli non vanno messi in RigaIntestazione, puoi usare Ct per centrare il testo e dargli la dimensione appropriata * i paragrafi non si separano con <nowiki><br></nowiki>, ma è sufficiente lasciare una riga vuota tra un paragrafo e l'altro (così si ottengono in automatico anche i rientri a inizio paragrafo) * se il testo le usa, le virgolette tipografiche “” sono preferibili a quelle "dritte"; le trovi nel box in basso, o se preferisci nella barra in alto sotto "Caratteri speciali" * ho lasciato in ciascun articolo solo il rispettivo autore, non tutti e tre * ho tolto l'ultima pagina, che riportava solo il prezzo e quindi non andava trasclusa Se hai dubbi chiedi pure. Grazie della trascrizione! [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 14:36, 12 giu 2025 (CEST) :P.S. mi viene un dubbio: ma tu hai trascritto il testo a mano? Quando entri in una pagina non ancora trascritta, se non ti compare nessun testo, puoi cliccare "Trascrivi il testo" in alto a destra, così almeno non devi fare il lavoro da zero... [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 17:54, 12 giu 2025 (CEST) :Grazie per le correzzioni, le terrò a mente. Preferisco trascrivere a mano così da evitare gli errori della trascrizione automatica. [[User:Sentrac98|Sentrac98]] ([[User talk:Sentrac98|disc.]]) 12:28, 13 giu 2025 (CEST) ::OK, te lo dicevo perché ho trovato degli errori ''non'' dovuti alla trascrizione automatica :D Ovviamente neanche l'OCR è perfetto, però in genere gli errori tendono a essere più o meno sempre quelli, quindi secondo me è più facile correggerli... oltre al fatto di risparmiare tempo non scrivendo tutto a mano. Comunque procedi come ti trovi meglio. Approfitto per segnalarti uno strumento utile: dall'indice, c'è un bottone "Cerca errori ortografici". Ovviamente non li becca tutti, ma almeno i più ovvi li segnala. C'è una [[Aiuto:Gadget ErroriOrtografici|guida]] se vuoi approfondire. Ciao, [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 15:21, 13 giu 2025 (CEST) 2ldxi6pk7e87mrng4gfafag73ycyq6u Il rapimento di Cefalo/Prologo 0 917326 3535319 3305051 2025-06-14T11:32:40Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535319 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="prec"/>../Interlocutori<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Atto primo<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=|prec=../Interlocutori|succ=../Atto primo}} <pages index="Opere (Chiabrera).djvu" from="329" to="330" fromsection="s3" tosection="s1" /> fm5i7fycp4f0qbk154c2zd2aluk6t9y Il rapimento di Cefalo/Atto primo 0 917327 3535320 3305052 2025-06-14T11:32:42Z Dr Zimbu 1553 Porto il SAL a SAL 100% 3535320 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="prec"/>../Prologo<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Atto secondo<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>100%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=100%|data=14 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=|prec=../Prologo|succ=../Atto secondo}} <pages index="Opere (Chiabrera).djvu" from="330" to="331" fromsection="s2" tosection="s1" /> foyvjd9be59c1clbkzwqgu9gjxswo1x 3535321 3535320 2025-06-14T11:32:57Z Dr Zimbu 1553 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Pagina riportata dalla versione di [[Special:Contributions/Dr Zimbu|Dr Zimbu]] ([[User talk:Dr Zimbu|disc.]]) a quella precedente di OrbiliusMagister 3305052 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="prec"/>../Prologo<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Atto secondo<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>2 febbraio 2024<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=2 febbraio 2024|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=|prec=../Prologo|succ=../Atto secondo}} <pages index="Opere (Chiabrera).djvu" from="330" to="331" fromsection="s2" tosection="s1" /> h9jalu6bjuyzux2d8l12uaxbgfym9g0 Pagina:Antologia provenzale, Hoepli, 1911.djvu/280 108 931209 3535182 3364759 2025-06-14T05:42:05Z OrbiliusMagister 129 /* Trascritta */ 3535182 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|274|{{Sc|antologia poetica provenzale}}|riga=si}}</noinclude><section begin="s1" />{{Ct|c=autore|Sfénosa (Léonce Féasson)}} {{Ct|c=data|(1852).}} {{Ct|c=titolo|PERSIÉU E ANDROUMÈDO.}} <poem> {{Vc|I.}} Encadenado i ro que bacèlo la mar, Androumédo à geinoun e biavo coume un glàri, En se descounsoulant, atènd, pieno d’esglàri, Que lou moustre marin sorte dóu toumple amar. Or, de l’oundo en furour que buto lou vènt-larg Uno erso, tout-d’un cop, se drèisso coume un bàrri, E boumis à si pèd lou couloussau bestiàri Que dòu bèure soun sang e devouri sa car. </poem> <section end="s1" /> {{Rule|v=2|t=2}} <section begin="s2" /> {{Ct|c=titolo|PERSEO E ANDROMEDA.}} {{Ct|c=sottotitolo|1.}} Incatenata alle rocce flagellate dal mare, Andromeda a ginocchio e pallida come uno spettro, disperandosi, aspetta, piena di terrore, che il mostro marino esca dall abisso amaro. Ora, dalle acque in furore, battute dal vento largo, un’onda ad un tratto si innalza come un bastione e spinge ai suoi piedi la bestia colossale che deve bere il suo sangue e divorare la sua carne.<section end="s2" /><noinclude></noinclude> hwrmr1t78gsfk8c3jvogvjdc3q80p9z 3535183 3535182 2025-06-14T05:42:50Z OrbiliusMagister 129 3535183 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|274|{{Sc|antologia poetica provenzale}}|riga=si}}</noinclude><section begin="s1" />{{Ct|c=autore|Sfénosa (Léonce Féasson)}} {{Ct|c=data|(1852).}} {{Ct|c=titolo|PERSIÉU E ANDROUMÈDO.}} {{Ct|c=sottotitolo|1.}} <poem> Encadenado i ro que bacèlo la mar, Androumédo à geinoun e biavo coume un glàri, En se descounsoulant, atènd, pieno d’esglàri, Que lou moustre marin sorte dóu toumple amar. 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Oir elo avié pas vist, dins soun esfrai, Pegaso Caucant lou serpatas, dóu tèms qu’emé l’espaso, A grand balans, Persiéu n’en fasié ’n chapladis. </poem> {{Ct|c=sottotitolo|II.}} <poem> Quouro Persiéu aguè deliéura la piéncello, Sous lou Grignoun alu la pausè, radious, E Pegaso ravi de soun fais glourious, S’enaurè tau qu’un ciéune, amount vers lis estello. S’apountelant à-n-éu, la Rèino palo e bello I’embrassavo lou pitre e negavo de plous Sa tounico estrassado e soun mantèu saunous Que lou vènt-larg fasié peta coume uno vélo. </poem> <section end="s1" /> {{Rule|v=2|t=2}} <section begin="s2" /> Andromeda all’aspetto di quel mostro orribile, lasciò sfuggire un grido, ma così terribile, che per la paura i gabbiani rientrarono nei loro nidi. Perchè ella non avea visto, nel suo spavento, Pegaso che calpestava il serpente, mentre colla spada Perseo a gran colpi, ne faceva strage. {{Ct|c=sottotitolo|II.}} Quando Perseo ebbe liberata la giovane, sul cavallo alato la posò radioso, e Pegaso, contento del suo fardello glorioso, s’innalzò come un cigno lassù verso le stelle. Appoggiandosi al suo corpo, la Regina pallida e bella, abbracciava il suo petto ed inondava di lagrime la veste stracciata ed il mantello sanguinoso, che il vento largo agitava come una vela.<section end="s2" /><noinclude></noinclude> k43d4wvl04d79fevrwtcuydehoopf5s 3535186 3535185 2025-06-14T05:54:51Z OrbiliusMagister 129 3535186 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||{{Sc|antologia poetica provenzale}}|275|riga=si}}</noinclude><section begin="s1" /><poem> Androumèdo, à l’aspét d’aquéu moustras óurrible Laissé ’scapa qu’un crid, mai, talamen terrible, Que de pòu li gabian rintrèron dins soun nis. 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Appoggiandosi al suo corpo, la Regina pallida e bella, abbracciava il suo petto ed inondava di lagrime la veste stracciata ed il mantello sanguinoso, che il vento largo agitava come una vela.<section end="s2" /><noinclude></noinclude> o95hjap6g86j4rlnult9lecvdzr4ut5 Pagina:Antologia provenzale, Hoepli, 1911.djvu/282 108 931578 3535187 3364762 2025-06-14T05:56:35Z OrbiliusMagister 129 /* Trascritta */ 3535187 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|276|{{Sc|antologia poetica provenzale}}|riga=si}}</noinclude><section begin="s1" /><poem> Fusavon, reculi, dins lis oumbro dou sèr Quand tout-d’un cop, lou magnanime Jupiter Que trepavo amoundaut darrié li niéuio afrouso, S’arrestè pietadous e, plen de coumpassioun. Per ié rendre la vido à jamai benurouso. Li tremudè, subran, en dos coustelacioun. {{a destra|''(Op. separato)''.}} </poem> <section end="s1" /> {{Rule|v=2|t=2}} <section begin="s2" /> Andavano silenziosi nelle ombre della sera, quando ad un tratto il magnanimo Giove che passeggiava lassù, dietro le fitte nubi, S’arrestò pietoso, e pieno di compassione, per rendere loro la vita per sempre felice, li cambiò tosto in due costellazioni.<section end="s2" /><noinclude></noinclude> 4dg8f9jupx0hw652kfyrih2vu3zrlah Discussioni utente:TrameOscure 3 947418 3535069 3533045 2025-06-13T14:40:05Z TrameOscure 74099 /* Foglio di stile in Lirici greci */ Risposta 3535069 wikitext text/x-wiki == Benvenuto == {{Benvenuto|firma=—[[User:Paperoastro|Paperoastro]] ([[User talk:Paperoastro|disc.]]) 00:41, 26 nov 2024 (CET)}} == Notice of expiration of your interface-admin right == <div dir="ltr">Hi, as part of [[:m:Global reminder bot|Global reminder bot]], this is an automated reminder to let you know that your permission "interface-admin" (Amministratori dell'interfaccia) will expire on 2024-12-14 15:20:46. Please renew this right if you would like to continue using it. <i>In other languages: [[:m:Global reminder bot/Messages/default|click here]]</i> [[User:Leaderbot|Leaderbot]] ([[User talk:Leaderbot|disc.]]) 20:45, 7 dic 2024 (CET)</div> ==ehila== Goditi wikisource sono l'ip di wikipedia--[[Speciale:Contributi/93.33.99.191|93.33.99.191]] 00:36, 13 dic 2024 (CET) :Non si capisce se sia una trollata patetica o un augurio sincero. A differenza di quanto è stato fatto con me su wiki, dove qualunque cosa io abbia scritto è stata letta con le deformanti lenti del preconcetto e del pregiudizio assoluti, ti concedo il beneficio del dubbio. --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 08:55, 13 dic 2024 (CET) ::Ma sono quello che parlava del Topic ban quello che voleva aiutarti--[[Speciale:Contributi/160.80.177.48|160.80.177.48]] 11:00, 13 dic 2024 (CET) :::Ok, quello di uniroma. Sai, sono intervenuti vari IP, alcuni anche dicendo cose piuttosto assurde e incoerenti, tipo chiedere un CU fra me e un altro IP che proponeva di infinitarmi (?!?). E io sono ancora un po' girato per le alte vette di illogicità, ridicolo e ipocrisia toccate là dentro. Ti ringrazio del tentativo. Sei lo stesso che ha fatto [https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Utenti_problematici/TrameOscure/8_dicembre_2024#c-93.40.54.203-20241212095400-Kirk39-20241211233900 questo] intervento? Perchè dopo 180kb di logorroici e ripetitivi bla bla, dire "annullate tutto e riaprite un'altra pagina" per un mero formalismo scusa ma avrà fatto girare un po' le palle a qualcuno... Capisco la buona fede e sollevare (formalmente giusti) rilievi, ti ringrazio del pensiero, ma a quel punto si aggiungeva solo casino inutile ad una roba che è stata di puro sfinimento, specie per me. E poi nella patria dell'arbitrio, la logica e i fatti non funzionano proprio. Per altri colloqui penso che su Wikipedate saresti un ospite gradito: qua è un po' OT. Ciao e buoni studi. :::ps: qua su wikisource si pubblicano anche Tesi di laurea discusse. Magari ti [[Wikisource:Bar/Archivio/2024.12#Progetto tesi di laurea|interessa]]... -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 17:35, 13 dic 2024 (CET) == Dentro l'OCR == In breve. * lo strato testo dei file djvu è strutturato in blocchi; la libreria DjvuLibre consente l'esportazione della rappresentazione xml dei blocchi con il comando djvutoxml.exe. * se il file djvu deriva dalla conversione di un file pdf, la struttura è molto povera (costituita solo da blocchi line e blocchi word. E' comunque sufficiente (anzi, bastano i blocchi word). * ogni blocco word ha questa struttura: <code><WORD coords="407,329,576,291">Luigi</WORD></code>. Le coordinate (origine top-left) rappresentano x1, y1, x2, y2 del rettangolo dell'immagine che contiene la parola. Uno script python estrae tutti i blocchi word e per comodità li converte in oggetti tipo <code>[407,329,576,291,"Luigi"]</code> più maneggevole. * lo strato testo del pdf NON riproduce bene il contenuto delle linee originali; nè, naturalmente, lo fa il file xml del djvu derivato. Avviene che blocchi di parole siano spostati in altre linee. * elaborando le coordinate, è possibile ricostruire le linee e, al loro interno, la corretta sequenza delle parole. Le coordinate potrebbero essere sfruttate per una marea di altre elaborazioni, ma per adesso mi sono fermato qui. Le prime pagine caricate stanno in [[Pagina:Pirandello - Novelle per un anno, Volume II - La vita nuda, Verona, Mondadori, 1953.pdf/22]] e successive. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 13:21, 14 dic 2024 (CET) :PS: l'algoritmo ha al momento un grosso difetto: non funzionerebbe su pagine un po' sghembe. Sto riflettendo a come migliorarlo. :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 18:35, 14 dic 2024 (CET) ::{{ping|Alex brollo}} ::Argh, qua andiamo nel tecnicissimo del formato dei file a basso livello... che mi incuriosisce molto ma non ne so proprio nulla... :-( ::OCR a parte, pensavo che i pdf fossero usati tal quali, e fossero scansioni pure e semplici (=bit map), senza strutturazioni interne, semplicemente "incollate" nella pagina pdf. Invece si passano in djvu e poi se ne fa l'OCR? E avevo capito anche che il djvu si basasse sui glifi, non sulle parole (quindi blocco-glifo, non blocco-word)... ::In pratica non avevo capito una mazza :-D ::Il discorso a valle dell'OCR ok, sono fantasioso e mi immagino concettualmente come debba funzionare un algoritmo del genere: ogni stringa/word UTF8 (?) ha le sue coordinate (ma non basta x1,y1 ?) e quindi si mettono in fila secondo il crescere delle X a ~parità di Y, e poi al crescere delle Y secondo un delta medio dell'altezza di riga. Quindi ok il concetto ma da qui a scriverlo in un linguaggio... ::A monte e "nell"'OCR come debba funzionare un alg. che "monta" un raster fatto di pixel in blocchi-parole con coordinate e relative stringhe... quello non me lo immagino proprio ed è di gran lunga oltre le mie capacità. Curiosissimo lostesso, ma ''out of (my) range'' :-D ::Ma non so se è questo che mi stai chiedendo... Sei tu che scrivi 'sti algoritmi? Cioè sei uno sviluppatore di DjvuLibre? 😲 --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 19:05, 14 dic 2024 (CET) :::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Hai presente quando selezioni, in un pdf con strato testo, alcune parole? O quando effettui una ricerca di testo, e il testo viene evidenziato? Quei rettangolini colorati sfruttano le coordinate del testo nell'immagine: se non ci fossero le coordinate, non sarebbe possibile. :::Non preoccuparti della trasformazione in djvu per estrarre testo e sue coordinate; il djvu è "aperto e accessibile" proprio come il pdf è "chiuso e inaccessibile". Il djvu è stato creato apposta (oltre che per consentire una maggiore compressione dei file, cosa che, ai tempi, era importante). Che io sappia, solo io faccio queste stranezze, perlomeno in itwikisource: ''non sono affatto pratiche correnti'', e non sono nemmeno necessarie per lavorare bene in wikisource. Quindi, se vuoi, ignora pure tutto... ti ho visto fare cose complesse e pensavo che ti fossi occupato anche di questo. :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 22:39, 14 dic 2024 (CET) ::::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Trovo una domanda a cui non ho risposto.... no, non sono affatto uno sviluppatore dj DjvuLibre, ma solo un utente di lungo corso di parecchi script di DjvuLibre. E' sufficiente per essere un po' ''alieno.'' :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 22:43, 14 dic 2024 (CET) ::::@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] ::::*si ho presente pdf del genere, mi è chiaro che abbiano un OCR incluso. Ma sono abbastanza rari e non ho mai approfondito. Cmq il discorso sulle coord. mi ha acceso una lampadina sul come siano strutturati "sotto il cofano", anche quelli più comuni di solo testo, e perchè quando se ne copiaincolla il contenuto si hanno i noti problemi: insomma, se il testo è diviso "per parola", ora tutto mi torna. Davvero interessante. ::::*prima di capitare qua non conoscevo il djvu: ma sembra che l'uso sia un po' in declino ([https://archive.org/post/1053214/djvu-files-for-new-uploads]) a vantaggio del pdf... Ti risulta? Non ho avuto il tempo di approfondire e migliorare molto la voce relativa di it.wiki, una di quelle scritte nella notte dei tempi e sostanzialmente abbandonate per i successivi 20 anni. ::::*naaa... che complesse. E poi vedo che sei admin d'interf. "stabile", quindi di certo non puoi trovare complessi i miei paciocchi sui css :-D Mi sembra più complesso occuparsi da soli di formati esotici! :-D Quindi sei tu l'unico che carica in ws tutti i djvu? WS è un progetto complicatissimo e diversissimo da WP, devo ancora coglierne tutti gli step... 😲 anche solo per capire il workflow complessivo. ::::*Ma se mi indichi di preciso qual'è il problema che sopra hai descritto con "''algoritmo ha al momento un grosso difetto: non funzionerebbe su pagine un po' sghembe. Sto riflettendo a come migliorarlo''" magari qualche idea mi viene. Sarebbe uno script del progetto djvulibre, di ws o tuo personale? Scritto in cosa? è quello che mette in ordine le word? 👽 :-D ::::[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 10:14, 15 dic 2024 (CET) :::::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Oltre a un po' di roba di base (html, poco css, un po' di regex) io uso solo javascript e python (giusto quello che mi basta, eh!). Se i "piani alti", fra le varie opzioni tesseract OCR, concedessero anche il formato hOCR (ouput opzionale di tesseract, restituisce la "mappatura" del testo con la stessa logica de djvu.xml) potrei lavorare sulle coordinate anche in javascript; al momento, uso python sia offline, che con la libreria pywikibot. Le elaborazioni di cui parliamo sono in python offline; la conversione eccellente da pdf a djvu (strato testo compreso) si fa con pdf2djvu, sia offline che online. Il bot mi serve per caricare il risultato. Naturalmente, poi ci si appoggia sulla libreria DjvuLibre, sia direttamente dalla console, che con invocazioni da python. :::::Comunque: la prima fase di qualsiasi OCR consiste nella "segmentazione" del testo, a vari livelli, almeno linee-parole-caratteri; quindi i dati delle coordinate vengono ''sempre ''raccolti, anche se alle volte sono utilizzati solo per fini interni e non restituiti. :::::Il problema delle linee sghembe, con un po' di pazienza, è risolvibile; ma per [[Novelle per un anno]] sono più urgenti due pensate: come riconoscere bene le indentature di inizio paragrafo, e come "indovinare" i trattini di inizio battuta ed eventualmente anche i trattini intercalati nel testo a fine battuta; stranamente l'OCR spesso non li restituisce. :::::Come avrai capito, sono concentrato sui trucchi che sveltiscono l'editing, il che è essenziale perchè l'editing è lo "zoccolo duro" del lavoro su wikisource. Esattamente l'opposto di wikipedia, dove lo "zoccolo duro" è la ''creazione ''di contenuti testuali (e non solo), "originali, ma rigorosamente non originali" ;-). [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 12:16, 15 dic 2024 (CET) == Chi è causa del suo mal... == Hai dimostrato interesse per gli intrichi dell'OCR... aite... ;-) Ho avuto ''un'intuizione delirante'': un sistema per risolvere sia il problema delle pagine sghembe che quello delle linee di testo non diritte, ma incurvate (succede). Sono curioso di sapere se l'idea ti pare promettente. Poche righe di python (11..) mi restituiscono la lista degli oggetti WORD di una pagina xml, ciascuno con le sue coordinate. E' tutt'altro che impossibile registrare, parola per parola, quale altra parola della lista è ''molto vicina nelle quattro direzioni'': sopra, sotto, a destra e a sinistra. Nel caso delle parole periferiche della pagina, che sono particolarmente importanti, alcuni di questi agganci mancheranno e la loro mancanza darà informazioni critiche. Che te ne pare, dal punto di vista logico? [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 23:54, 15 dic 2024 (CET) :@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]], al contrario, 'sti problemi mi piacciono un sacco! :Ti dirò, non ho ancora capito bene tutto il meccanismo perchè senza vedere dei dati concreti (xml o le tuple python), la pagina da cui sono tratti, e il codice che li elabora, mi riesce un po' difficile pensare a soluzioni che vadano oltre l'astratto. E le idee astratte temo si schianterebbero al primo caso reale :-D. Se mi indichi dove trovare qualche materiale di questi, elaboro meglio la questione. Se non sono già presenti in qualche meandro di ws, sentiti libero di creare una sottopagina della mia talk e mettercele dentro, così ragiono su dati reali. Cioè, vorrei vedere di una paginetta "standard" con poco testo, come si presenta il dato grezzo e come si passa da word+coord a un testo continuo. E già che ci siamo che ruolo hanno in questo le "line" (oltre le word) di cui hai anche parlato. Tipo [https://it.wikisource.org/wiki/Pagina:Dickens_-_Il_grillo_del_focolare,_1869.djvu/105 questa] o [https://it.wikisource.org/wiki/Pagina:Tragedie_di_Sofocle_(Romagnoli)_I.djvu/117 questa] come si presentano grezze? :Cmq si, dal punto di vista logico "giocare" con le coordinate raggruppandone i valori in vari modi è indubbiamente la strada da seguire. [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:46, 16 dic 2024 (CET) ::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Come diceva Manzoni? "Lo sventurato rispose". ::Hai scaricato la libreria DjvuLibre? Se sì, scarica anche un djvu e partiamo con l'esplorazionem da fare rigorosamente da una console o da cmd.exe se sei sotto windows. MIca usi Mac? ::Lo strato testo strutturato si ottiene con tre comandi: djvutxt, djvused oppure djvutoxml. I primi due restituiscono un formato lisp-like, fastidioso perchè l'origine delle coordinate è down-left invece che il solito top-left; na hanno il vantaggio che puoi chiedere il livello di dettaglio del blocchi. I livelli sono PAGE, COLUMN, REGIONm PARAGRAPH, LINE. WORD e CHAR (ma il livello CHAR spesso manca). ::Per vari motivi io preferisco il formato xml; ma il formato lisp-like è molto più compatto e per una semplice esplorazione è più comodo. ::Una volta che lanci con gli opportuni parametri djvused, ottieni un file di puro testo. Non solo: puoi editarlo con qualsiasi buon editor di testo e ricaricarlo sul djvu. ::Dall'inizio della pagina 9 del testo cher mi hai proposto: <pre> :: (page 182 40 1538 2158 :: (column 280 2082 1246 2158 :: (region 280 2082 1246 2158 :: (para 280 2082 1246 2158 :: (line 280 2082 1246 2158 (word 280 2084 346 2152 "IL") :: (word 392 2082 644 2152 "GRILLO") :: (word 694 2086 828 2154 "DEL") :: (word 876 2086 1246 2158 "FOCOLARE") ) ) ) ) :: (column 553 1574 957 1626 :: (region 553 1574 957 1626 :: (para 553 1574 957 1626 :: (line 553 1574 957 1626 (word 553 1574 729 1626 "PRIMO") :: (word 763 1576 957 1626 "GRIDO.") ) ) ) ) :: (column 182 282 1342 1400 :: (region 182 282 1342 1400 :: (para 182 704 1340 1400 :: (line 245 1341 1334 1400 (word 245 1352 284 1394 "Il") :: (word 303 1341 489 1396 "paiuolo") :: (word 511 1353 803 1399 "incominciò!") :: (word 824 1353 896 1398 "Nè") :: (word 911 1355 975 1398 "mi") :: (word 994 1355 1096 1398 "cale") :: (word 1118 1356 1165 1400 "di") :: (word 1181 1342 1334 1397 </pre> ::con il comando <code>djvutxt -page=9 -detail=word Dickens_-_Il_grillo_del_focolare,_1869.djvu>pagina9.txt</code> [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 15:30, 17 dic 2024 (CET) :::@[[User:Alex brollo|Alex brollo]] Ok, ci sono, ho l'xml. Ma niente furbate, Egidio! XXD --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 16:18, 17 dic 2024 (CET) Vedo che l'xml a differenza del tuo ha coord solo per le word. E che le linee qua sono abbastanza dritte e le y oscillano solo di 1-2-3 unità. *I rientri a sto modo sembrano abbastanza facili da individuare: la prima X di una line differisce dalle altre che invece sono pure lì quasi uguali * se la scansione è storta, le Y dovrebbero avere un delta che si può calcolare come diff della Y della word con la X minore e Y i quella con al X maggiore. Su più line. Poi fare la media, e ricorreggere riga per riga le Y applicandogli una quota del delta crescente, mano a mano che cresce la X. *se la scansione è curva (tomi spessi) è più un casino perchè il Δy non è lineare ma... boh, ''curvo'', ma forse sempre correggibile mediando fra varie righe (saranno tutte curve uguali, e con parole che si trovano a valori di X sufficienti a costruire una curva + o - matematicamente definita. Così le word dovrebbero finire sulla riga giusta del testo... Ma il tuo problema qual'era? In fondo se hai già le line, le parole di una riga sono già nella stessa line... 🤔 Oppure dici che ci sono word che sono fra tag line di un'altra riga? Tipo: <pre> ::(line 280 2082 1246 2158 (word 280 2084 346 2152 "IL") :: (word 392 2082 644 2152 "GRILLO") :: :: (word 876 2086 1246 2158 "FOCOLARE") ) ) ) ) :: (column 553 1574 957 1626 :: (region 553 1574 957 1626 :: (para 553 1574 957 1626 :: (line 553 1574 957 1626 (word 553 1574 729 1626 "PRIMO") :: (word 694 2086 828 2154 "DEL") <<<<questa è fuori posto :: (word 763 1576 957 1626 "GRIDO.") ) ) ) ) </pre> --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 16:53, 17 dic 2024 (CET) :@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] IL problema è che talora l'attribuzione delle parole alle linee è ''sbagliato!'' E la conseguenza è che caratteri, parole o gruppi di parole sono spostati dalla corretta sequenza. Succede particolarmente nei pdf. Orientarsi e correggere questi spostamenti di parole a tradimento è logorante e rallenta moltissimo la trascrizione. :Come ti dicevo, il ritorno di fiamma del mio interesse sul tema è l'OCR di [[Novelle per un anno]], dove il problema si è presentato in maniera particolarmente fastidiosa. :Ma ricostruire la sequenza delle parole è solo il primo passo: il mio obiettivo è molto più ambizioso... ricostruire i paragrafi; identificare i testi in versi; indovinare i centrati, e il loro font-size; identificare le regioni con testo a formattazione non standard (come sono, di regola, le annotazioni a piè di pagina); identificare e formattare le tabelle, almeno quelle "regolari"... [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 08:54, 18 dic 2024 (CET) ::Andiamo avanti. ::Il problema principale dell'elaborazione delle coordinate è che il software si destreggia benissimo con l'uguaglianza, ma trova grosse difficoltà con le "lievi disuguaglianze", cosa che invece l'occhio umano coglie immediatamente. Esempio: l'altezza delle singole parole ad occhio sembra uguale, ma le coordinate dicono che sono diverse; e le diversità dipendono sia dai caratteri (maiuscole, minuscole, tratti ascendenti, tratti discendenti) sia da piccole variazioni casuali. La distribuzione delle altezze è, statisticamente, plurimodale. E questo avviene per qualsiasi misura. Ma qual'è la differenza fra variazioni che vanno trascurate, e variazioni significative? E come farlo calcolare al software, evitando di prevedere limiti arbitrari? Intanto che passeggio con i miei due cani, questo è attualmente il problema che tento di risolvere in maniera efficiente (l'analisi statistica della plurimodalità è un casinaccio, una via che ho abbandonato). ::Risolto questo problema, molte cose si chiariscono: i paragrafi si riconoscono dalla indentatura "significativa"; il font-size di un paragrafo da una differenza significativa dell'altezza delle parole e spesso da una differenza significativa dell'interlinea. ::Problema successivo, il riconoscimento di pattern. Le poesie si riconoscono per essere un blocco continuo di righe più brevi della norma, spesso con un'indentatura "ragionevole" e ricorrente; i titoli per la centratura e un font-size significativamente dai valori "normali", ecc. Nessuno dei software OCR prevede il risconoscimento dei possibili poem, nè, ad esempio, delle note a piè di pagina. ::Tutto ciò, per me, ha un certo fascino :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 10:26, 18 dic 2024 (CET) ::@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]]: ::#Ok, ma le coordinate sono giuste ed è solo un problema di collocazione della WORD all'interno del giusto tag LINE (come nell'esempio artefatto che ho postato sopra) o proprio è tutto completamente sballato? Perchè nel primo caso si può pensare ad un fix complicato quanto vuoi ma automatico, nel secondo mi sembra impossibile. ::#capisco bene uguale vs. quasi-uguale, infatti parlavo di medie e/o di parametri di "approssimazione" da passare all'algoritmo per vedere cosa sputa fuori nei vari casi (gli dai un valore 1 di approssimazione e vedi che risultato produce, se non va gli dai 2, ecc finché il risultato è accettabile). ::::Pigliamo uno spezzone: ::::: (para 280 <u>2082 </u>1246 2158 :::::: (line 280 <u>2082 </u>1246 2158 (word 280 <u>2084 </u>346 2152 "IL") :::::: (word 392 <u>2082 </u>644 2152 "GRILLO") :::::: (word 694 <u>2086 </u>828 2154 "DEL") :::::: (word 876 <u>2086 </u>1246 2158 "FOCOLARE") ) ) ) ) '' ::::la y1 top left di ogni parola della riga non è così diversa, anzi vedo che la coordinata della line è x1y1 della prima word e x2y2 dell'ultima, ovvero il rettangolo che include tutte le word della line (come per le singole word è il rettangolo che include la parola). Ora, puoi impostare un parametro di approssimazione "4" e catturi da 2082 a 2086. O magari fare la diff. ymax-ymin=4 e poi aggiungere come approssimazione arbitraria "2" (totale 6) per applicarlo infine alla media fra 2082 e 2086, cioè 2084+/-6. Si può anche fare lo stesso con le y2 (2158-2152=6 + appross. 2 = tot.8) e poi la media delle due medie (7). ::::E' sufficiente che l’approssimazione (quindi il conseguente range di y) non vada ad interferire con le y della line successiva per riuscire a discriminare le line, ma mi sembra difficile che capiti. ::Tralascio per ora i passaggi successivi e più complessi, ma trovo anche io che il problema, come molti problemi, abbia un certo fascino...👽 :-D -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:02, 18 dic 2024 (CET) :::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Conclusione: nelle pagine SAL 25% di [[Indice:Pirandello - Novelle per un anno, Volume III - La rallegrata, Verona, Mondadori, 1955.pdf|questo nsIndice]] vedi lo stato dell'arte. L'unità di misura interna (quindi non arbitraria) per valutare la significatività di una differenza fra coordinate è ''l'altezza mediana delle righe di testo'', e per ora il margine sin di una riga non indentata è ''la mediana dei margini sin''. Questo ha consentito l'identificazione delle indentature e quindi dei paragrafi, e anche di indovinare la presenza di vari trattini di inizio battuta, non restituiti dall'OCR. Per ora sono appagato. :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 15:35, 20 dic 2024 (CET) ::::@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] Si, appunto immaginavo qlc del genere ;-) ::::Ottimo risultato! [https://it.wikisource.org/w/index.php?title=Pagina:Pirandello_-_Novelle_per_un_anno,_Volume_III_-_La_rallegrata,_Verona,_Mondadori,_1955.pdf/58&diff=prev&oldid=3440830 Qui] la riga che inizia con " — Marco" ha perso un trattino, e un altro era breve. Davvero strano che l'OCR non li prenda... boh. I trattini iniziali suppongo che siano dedotti dove le righe sono "più rientrate ancora" di quelle di inizio paragrafo, giusto? ::::Ma i rientri normali sono fatti come? Nel wikitesto non vedo nulla che imposti il rientro... ::::E il codice di questa elaborazione (py?) è da qualche parte da vedere o è tuo? -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 16:14, 20 dic 2024 (CET) :::::@[[Utente:TrameOscure|TrameOscure]] Gioia e dolori del codice wiki: un tag p è automaticamente creato dopo una div e dopo una riga vuota; il default per i paragrafi è un'indentatura e anche un piccolo margine sopra e sotto per cui i paragrafi sono leggermente staccati. In genere si usa la riga vuota. :::::Con python uso un approccio molto personale: in pratica lo uso sia pywikibot che le mie robe come una libreria di routine che uso interattivamente in ambiente Idle. Un approccio primitivo e troppo personale perchè abbia senso condividerlo. Niente in contrario a fartelo vedere, naturalmente... :-) [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 19:31, 20 dic 2024 (CET) ::::::@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]]: ok, immaginavo, ma quindi è per NON avere l’indentazione che bisogna fare qualcosa... ah, forse {norientro} che vedo fra le robe qua sotto l'editor, ok. ::::::Su py, era per capire se era qualche anfratto misterioso di ws (gadget, pulsanti, giocattoli) che non avevo ancora scoperto o appunto roba fatta "esternamente". In effetti WS ha molte elaborazioni fatte "fuori", più di WP mi pare. --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 20:44, 20 dic 2024 (CET) == Saluti == Ciao, non mi ero reso conto del tuo ban su wp, mi dispiace, ma vedo con piacere che qua sei sempre attivo. Non ti avevo mai incrociato se non nella UP di FCarbonara e devo dire che certe tue posizioni sono anche le mie. Mi sono reso conto che su WP se vuoi un minimo vivere tranquillo è necessario evitare certe discussioni, certe procedure, insomma "devi stare nel tuo". E mi rendo conto che non è facile, io sono utente registrato da 20 anni e per 19 ho sempre e solo editato voci fregandomene di tutto il resto, nell'ultimo anno mi sono approcciato a certi "ambienti", è stata una catastrofe. Sappi che ho fatto mio il tuo "De rerum wikipedianæ". Se un giorno mi venisse voglia di approcciare questo progetto wsource verrò di sicuro a disturbarti. Saluti. [[User:Sanghino|Sanghino]] ([[User talk:Sanghino|disc.]]) 00:11, 12 gen 2025 (CET) :@[[Utente:Sanghino|Sanghino]]: Ciao, mi fa molto piacere leggerti :-). Ultimamente mi sono "allergato" a vari progetti mettendo un po' le mani, poco, ma in vari wikiluoghi, anche se la mia attività non è sempre al 100% "allineata/conforme"... Ma non penso sia nè inutile nè dannosa. Proprio l'altro giorno si discuteva sul forum di Wikipedate del fatto che spesso i ban/blocchi/infinitature passano del tutto inosservati alla stragrande maggioranza della comunità, per cui la gente "[[w:Desaparecidos|sparisce]]" (wikilink ''non'' casuale :-p) e ci si accorge dell'assenza magari dopo giorni, mesi o anni. :*Sullo stare "nel tuo", evitare certe discussioni e procedure, è pazzescamente (ontologicamente!) all'antitesi dell'idea di ''progetto collaborativo'' in cui ognuno mette il suo piccolo ''rispettabile'' mattoncino, ma si vede che nel tempo (?) il concetto si è un po' (tanto) raffreddato ed è virato verso altro, almeno nella testa di alcuni. Mi sembra una deriva brutta e pericolosa. :*Sul ''[https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Utente:TrameOscure&oldid=142472116#Rules De rerum wikipedianæ]'', mi ricordo che mi avevi scritto un apprezzamento ma non avevo notato che l'avessi ripresa nella tua pagina utente... Però non hai ''citato la fonte''... male, male, molto male: violazione della CC-BY!!!!! Devo venire a metterci un {cn} o un {f}?!? XD <br/> BTW, in effetti qualche punto mi era venuto in mente proprio pensando alla tua fallita candidatura a sysop (a cui non avevo partecipato non avendoti mai incrociato prima... col senno di poi, un vero peccato quello che è accaduto anche se un mio +1 sarebbe cmq stato assolutamente ininfluente). :*Su WS, essendo un progetto di trascrizione con nullo o pochissimo spazio per POV e pareri, è decisamente molto meno conflittuale ma molto più macchinoso e complicato tecnicamente... Anche con 20 anni di wikiesperienza ci si può sentire un po' spaesati. Ma poi nessuno ti disturba, puoi tranquillamente startene "nel tuo", per cui pensaci. :Buon lavoro e a rileggerti :-) [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 10:56, 12 gen 2025 (CET) == A Dictionary of Music and Musicians vol 1 == Ciao! Ho visto che hai corretto lo spartito [[Pagina:A Dictionary of Music and Musicians vol 1.djvu/35|qui]]. Ho notato la cosa perché ho la pagina negli osservati speciali... Siccome ho importato questo libro per fare delle prove, fra poco penso di cancellarlo. Riusciresti a fare la correzione nella Wikisource in lingua inglese, da dove ho preso il testo? Penso che sarà una cosa molto apprezzata! ;-) Ovviamente aspetto un tuo segnale, prima di cancellare tutto. --[[User:Paperoastro|Paperoastro]] ([[User talk:Paperoastro|disc.]]) 14:30, 15 gen 2025 (CET) :@[[Utente:Paperoastro|Paperoastro]] {{fatto}} [https://en.wikisource.org/w/index.php?title=Page:A_Dictionary_of_Music_and_Musicians_vol_1.djvu/35&diff=prev&oldid=14791798] ;-) [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 15:21, 15 gen 2025 (CET) ::Grande! Hai avuto un ottimo occhio! ;-) --[[User:Paperoastro|Paperoastro]] ([[User talk:Paperoastro|disc.]]) 17:30, 15 gen 2025 (CET) :::Solo botta di c.... M'è caduto l'occhio sull'ultima nota. Mi son talmente concentrato sullo spartito che non avevo neanche realmente notato che il testo fosse in inglese, figurati... XD --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 21:04, 15 gen 2025 (CET) == Dimissioni == @[[w:Utente:Actormusicus|Actormusicus]] non so se il ping transwiki ti arriva, ma sono dispiaciuto della tua scelta un po' "drammatica" di dimissioni, specie avendo letto quanto scrivi nella tua [https://it.wikipedia.org/wiki/Discussioni_utente:Actormusicus#Per_non_intasare_la_RdP talk]: dire "''il difetto è in radice: il progetto è ispirato all'idea fasulla che più siamo e meglio funzioniamo, invece non solo non si riesce a farlo funzionare come si deve nemmeno in quattro gatti, ma bisogna mettere una pezza per tenere a bada tutti i topi. Da cui gli amministratori. E da cui gli arbitri. E da cui le revisioni. E da cui non so che altro ma prima o poi verrà fuori anche qualcos'altro, ci scommetto.''" è davvero una critica totale alle radici stesse del progetto ed ai pilastri. Sembra quasi un redde rationem, per cui spero che almeno come utente continuerai ad esserci nonostante tutto. Ciao :-) -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:57, 31 gen 2025 (CET) :Vedo adesso. No, il ping transwiki a quanto vedo non funziona, funzionano quelli comuni se uno è registrato qui. :Ti sarà utile la prossima volta --[[User:Actormusicus|Actormusicus]] ([[User talk:Actormusicus|disc.]]) 13:47, 7 feb 2025 (CET) == Come purgare i gadget == Da una discussione in bar, mi pare che tu sia incappato nel ritardo dell'aggiornamento di un gadget. Al momento, la tecnica per "purgare un gadget modificato" che uso è: entrare in Preferenze->Accessori, fare una modifica (es. deselezionare un gadget qualsiasi), salvare, annullare la modifica, salvare di nuovo. ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 07:58, 2 feb 2025 (CET) :@[[User:Alex brollo|Alex brollo]]: Argh, perchè non mi metti un link alla discussione? Per me ma anche per chi vuole "curiosare" ;-) Ti riferisci a [https://it.wikisource.org/wiki/Wikisource:Bar/Archivio/2025.01#c-TrameOscure-20250201195100-Paperoastro-20250201185300 questo?]. Ho provato come dici ma la nota finale mi pare manchi lostesso. BTW, quindi il midi è generato client-side al volo per ogni singolo accesso... hmmm. --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 09:28, 2 feb 2025 (CET) == Re: == Visto che qui sei admin saprai che scrivendomi mi hai rivelato il tuo indirizzo e-mail, e che rispondendoti farei altrettanto io. Non sono ancora niubbo su Wikisource e credo che mai lo sarò, ma un admin non dovrebbe usare la mail, si fanno brutti incontri e io in passato li ho fatti. Un'altra dritta. Se non devi dirmi nulla di riservato, basta comunque un ping: alcuni utenti bloccati su altri progetti lo fanno. Pensa che uno – uno a caso – mi mandò addirittura un ringraziamento su Meta per il ritiro delle precedenti dimissioni, per poi dirmene di peste e corna altrove. Immagino perfettamente il senso di certe “premure”: tu mi ringrazi perché così puoi divertirti ancora a buttare fango addosso al mio nome – perché questo è un vero nome, è uno pseudonimo, sai? l'ho adottato per tale, ora in una piccola cerchia mi conoscono anche così – buttare fango strepitando che dovevo essere deflaggato: per questo... non dovevo dimettermi XD È uno di quel tipo di incontri che ho fatto in e-mail, tienine conto e probabilmente vivrai più tranquillo. In ogni caso non ti offendere, ma sono desolato di rifiutare il tuo invito e chiudere la conversazione. Bye --[[User:Actormusicus|Actormusicus]] ([[User talk:Actormusicus|disc.]]) 02:11, 7 feb 2025 (CET) :@[[Utente:Actormusicus|Actormusicus]]: Se "basta un ping" significa che avresti rinunciato alla malsana idea di farti infinitare, il che mi fa piacere. Cmq ti rispondo via mail :-) :<del>Qua "pubblicamente" lascio solo un commento sul "fango": io non butto fango su nessuno. Esercito eventualmente un ''legittimo'' diritto di critica se e quando penso sia necessario. Le critiche bisogna saperle un minimo accettare e mi pare che tu le prenda troppo sul personale (comprese quelle di Civvì e degli altri intervenuti nelle procedure in corso su wiki) e ne faccia una dramma eccessivo.</del> :<del>Semmai a esser sinceri mi pare che sia tu a buttar fango su di me dicendo in modo così generico e ''diffamatorio'' quel che hai detto qua sopra...</del> Ciao. [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:07, 7 feb 2025 (CET) ::Non obietto alle tue chiavi di lettura esterne. ::Anche se hai appena dimostrato di essere proprio tu a prendere sul personale, al punto di confutarlo punto per punto in una lunghissima perorazione via e-mail, qualcosa che non ti riguardava nemmeno. Parlavo di ping, quindi di un ringraziamento notificato, effettuato con il tasto [ringrazia]. Ho scritto anche «su Meta», non via mail. Fatica sprecata. ::Una conversazione chiusa è chiusa, direi poi che questa è ''out of scope''. ::Non sono interessato a questo progetto e ne sto abbandonando definitivamente un altro: a che pro mandarmi e-mail da Wikisource e pingarmi per invitarmi qui? ::Incidentalmente, per il diritto i toni possono far trascendere il diritto di critica, da legittimo a illegittimo. ::Ah, e no, la mia mail non è nomecognome, ma una mail è tracciabile lo stesso. ::Regards, --[[User:Actormusicus|Actormusicus]] ([[User talk:Actormusicus|disc.]]) 12:56, 7 feb 2025 (CET) :::@[[Utente:Actormusicus|Actormusicus]]: In effetti ho frainteso alcune tue frasi qua sopra che sembravano rivolte a me. Ok, mi fa piacere che non lo fossero. :-) In effetti m'era parso strano, ma chiarire bene le cose è sempre meglio: sottrarsi lascia zone d'ombra che non è bene rimangano, anche se stranamente c'è chi la pensa così. Pertanto, indipendentemente dal merito, mi spiace -come spiace a tanti- che un utente con 130.000 edit si voglia chiudere nella torre d'avorio allontanandosi da tutto e tutti così drasticamente, e per motivi che -visti dal di fuori dei "canali riservati"- sembrano piuttosto goffi e incomprensibili. Cmq, spero di rileggerti e auguri per la RL. --[[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 16:21, 7 feb 2025 (CET) == Spartiti presenti sulla rivista Ars et Labor, 1906 == Buonasera, Pensavo di mettere gli spartiti della rivista sopracitata presenti su Wikimedia Commons anche su IMSLP, noto per i suoi spartiti in pubblico dominio. Con le dovute precauzioni (compositori deceduti da oltre 70 anni e spartiti non già presenti sul portale), potremmo avviare una pubblicazione multi-sito. Ad esempio, Ernesto Becucci e la sua polka brillante "A bocca dolce", Op.335: l'autore è morto nel 1905 e lo spartito non è attualmente su IMSLP, quindi possiamo caricarlo. Questo valorizzerebbe gli spartiti musicali su un sito appositamente dedicato. Ovviamente, ho citato solo qualche linea guida, ma se l'idea va in porto, si possono controllare tutte le istruzioni del sito. [[User:Niketto sr.|Niketto sr.]] ([[User talk:Niketto sr.|disc.]]) 00:45, 25 feb 2025 (CET) :@[[Utente:Niketto sr.|Niketto sr.]] Buongiorno. Ciò che si trova su Wikisource e su Commons, è ripubblicabile dove si vuole, a patto di rispettare la [[ccorg:licenses/by-sa/4.0/deed.it|licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo]], per cui non credo ci sia alcun problema. Segnalo cmq a @[[Utente:Ruthven|Ruthven]] (che ti può dare indicazioni su Commons), @[[Utente:Pic57|Pic57]] e @[[Utente:Paperoastro|Paperoastro]] (che stanno lavorando sugli spartiti di Ars et Labor). -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:05, 25 feb 2025 (CET) ::Va bene, grazie mille, resto in attesa. [[User:Niketto sr.|Niketto sr.]] ([[User talk:Niketto sr.|disc.]]) 11:16, 25 feb 2025 (CET) == Pirandello == Oi, grazie infinite per la transclusione di Pirandello di oggi. So che vale pochino, una manciata di pixel a schermo, ma te ne sono riconoscente davvero dentro. [[User:Shinitas|Shinitas]] ([[User talk:Shinitas|disc.]]) 18:59, 13 mar 2025 (CET) :Dovessi avere altri problemi su altri incartamenti di CSS e simili su Pirandello, mi puoi dare una mano tu? [[User:Shinitas|Shinitas]] ([[User talk:Shinitas|disc.]]) 18:59, 13 mar 2025 (CET) ::@[[Utente:Shinitas|Shinitas]]. Ma figurati, quello che vale pochino è quello che ho fatto, che peraltro è lungi dall'essere perfetto visto che non viene in corsivo come dovrebbe! Cmq se ci fossero altri problemi tu pingami e io provo a mettere le mani. Ciao e grazie a te. :-) -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 21:10, 13 mar 2025 (CET) == Il punto in Yambo. == Ciao, ho visto il tuo commento su [[Pagina:Yambo_-_Manoscritto_trovato_in_una_bottiglia,_Roma,_Scotti,_1905.pdf/56]], ho risolto così: trascritto paragrafo a mano sotto all'originale, aggiunte tre o quattro linee vuote, cancellato paragrafo originale e rimosse linee vuote. Probabilmente l'OCR ha aggiunto qualche carattere non-visibile Unicode per la scrittura right-to-left che causava il comportamento anormale del punto. [[User:Verderame33|Verderame33]] ([[User talk:Verderame33|disc.]]) 17:29, 5 mag 2025 (CEST) :@[[Utente:Verderame33|Verderame33]]: ti ringrazio molto... ho provato a copiarlo in notepad, a sloggarmi, chiudere e riaprire browser ecc, ma il punto continuava a stare dove voleva lui. Mi mancava solo provare con un altro sistema operativo... Non m'era mai capitata una roba del genere, probabilmente è come dici tu. Grazie per il fix :-) -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 21:17, 5 mag 2025 (CEST) ==Il manoscritto trovato nella bottiglia== Ciao Trame, ci rivediamo dopo un bel po' anche se come immagini in questi mesi ho dato spesso uno sguardo alle tue produzioni letterarie su altri siti proibiti. Ti ringrazio per aver segnalato l'errore, il romanzo era anche carino da leggere anche se l'ho fatto decisamente in fretta. La trama ora credo sia corretta, se trovi ci siano delle altre migliorie da fare rispondimi pure qui (al posto di Paolo ho usato il cognome, Roberto non mi convinceva). Per quanto riguarda l'elefante nella stanza, lasceró che siano altri ad occuparsene, anche se ora che la vera trama é presente mi pare evidente come anche la seconda stesura fosse effettivamente molto problematica (inoltre non si tratta assolutamente di un romanzo di fantascienza). --[[User:Paul Gascoigne|Paul Gascoigne]] ([[User talk:Paul Gascoigne|disc.]]) 00:05, 20 mag 2025 (CEST) :@[[Utente:Paul Gascoigne|Paul Gascoigne]] Ciao prezzemolo :-D. <small>"Proibito" è un parolone, e sinceramente un concetto assurdo: peraltro è una fisima al 100% esclusivamente it.wikipediana, qua a nessuno frega particolarmente, che io abbia visto. E neanche "internazionalmente" mi pare sia fregato nulla a nessuno. Comunque no, non immaginavo di averti fra i ''follower'' dei miei parti letterari :D spero che tu non li abbia trovati troppo fuori luogo.</small> Fatta questa premessa OT, ti ringrazio molto per la lettura, che peraltro è uno stacco da tensioni e veleni wikipediani. Hai ragione, ''Liviani'' è meglio, e "fantascienza" era altrettanto un problema (anzi, la prima cosa che avevo notato leggendo la voce, prima di imbattermi nel resto), ma in proporzione alla enormità dell'insieme, una vera pagliuzza. Ritocchini vari ne farei, ma son quisquilie e soprattutto non mi pare il caso che tu faccia da proxy: sicuro che qualcuno non mancherebbe di addebitartelo: conosco i miei polli (o erano velociraptor? 🤔 :-p) :Sull'elefante (è più un brontosauro) nella stanza, sono curioso di sapere cosa possa accadere. Sono anzi un intero branco di brontosauri: l'uso dell'IA in generale (contro cui tanti su wiki si sperticano in textwall... e quindi ora in pratica?), il mancato controllo di quello che l'IA produce, l'efficacia (nulla) del mitologico "patrolaggio" (che peraltro erano edit autoverificati...), il perchè sia stata fatta una cosa simile (due volte! diabolico!), il perchè non ci siano risposte ("ho fatto una cazzata, scusa, mi dici come fixare?"), il perchè continuino a non esserci (white-only?), il perchè non sia stato parte attiva nel risolvere il problema (mi parrebbe il minimo!), se ci siano altre situazioni così (se tanto mi dà tanto...). :Se pensi che per robe molto meno impattanti (come traduzioni mal fatte) si va dall'infinito di un Camoz (se ricordo bene il nick, potrei confondermi, dovrebbe essere quello di Scuola di Chicago) alle UP eterne come contro GordonGordon... Si, c'è un intero -sistemico- Jurassic Park in una stanza. A proposito di isole... -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 11:28, 20 mag 2025 (CEST) == Confermo == Confermo anche a {{ping|Gitz6666}} che sono io. [[User:Smatteo499|Smatteo499]] ([[User talk:Smatteo499|disc.]]) 15:11, 26 mag 2025 (CEST) == Foglio di stile in Lirici greci == Caro TrameOscure oggi ho finito di trascrivere [[Indice:Poeti lirici (Romagnoli), vol. I.djvu]], un lavoro molto interessante, che in futuro riguarderà altri quatro volumi. Proprio per questo desidero il tuo aiuto: ti andrebbe di dare un'occhiata alla pagina syles.css confrontando l'effetto su titoli, poem e altri paragrafi standard con l'effettiva forma che questi hanno sulla pagina cartacea? Di fatto vanno già abbastanza bene come sono, ma erano stati preparati quando le pagine trascritte erano ancora poche, dunque prima di intraprendere la trascrizione dei prossimi volumi mi piacerebbe un occhio esperto come il tuo per un ''fine tuning'' del preesistente o l'aggiunta di qualche stile per migliorare dimensioni, spaziatura ecc. di qualche particolare paragrafo: se ci sarà da aggiustare molte pagine a mano lo farò io volentieri, mi serve solo avere il "lato css" ottimizzato in vista della sua applicazione in altri quattro volumi. Se non avessi voglia o tempo non farti problemi a scrivermelo: non sentirti obbligato, semplicemente immagino che per te questo aggiustamento sia un'operazione piuttosto rapida laddove per me o altri sarebbe assai più lenta e gravosa. Ti ringrazio in anticipo. '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">&epsilon;</span><span style="color:blue;">&Delta;</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">&omega;</span>]]''' 20:04, 9 giu 2025 (CEST) :Ciao @[[Utente:OrbiliusMagister|OrbiliusMagister]]. Ho dato una scorsa ad una decina di pagine a caso e poi a una transclusione di tutto il testo non suddiviso in capitoli, e in generale mi sembrano già ben formattate. Forse sono solo le spaziature e le interlinea ad essere perfettibili, ma la messa a punto è un po' delicata non essendoci classi specifiche distinte per le varie tipologie di paragrafi. Quindi toccare tag generici come div, span o p è un po' delicato perchè gli effetti sono poco controllabili e poco circoscrivibili alle sole parti di interesse, e così non è detto che si riesca a limitare gli effetti solo dove si vorrebbe. :In generale, le formattazioni andrebbero sempre il più possibile fatte con classi apposite, non "forzando" spaziature, centrature, e stili vari puntualmente. E' un po' un corollario del tema che per i titoli si stava discutendo [[Wikisource:Bar/Archivio/2025.05#Semantizzazione dei titoli|qui]]: i titoli sono solo "estetici" e non "semantici". Qua lo stesso vale per i vari tipi di paragrafo. :Comunque vedo cosa riesco a fare solo con tag e classi esistenti senza toccare la trascrizione/wikitesto. -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 21:52, 9 giu 2025 (CEST) ::@[[Utente:OrbiliusMagister|OrbiliusMagister]]: come anticipato, è abbastanza difficile modificare gli stili in modo sicuro e preciso perchè non ci sono molte classi css su cui agire, per cui si deve andare sugli elementi standard come P (pargarafo), OL (liste numerate) ecc. e modificando da una parte si rischia di incasinare dall'altra. Comunque mi sembra che ora sia più simile al testo originale, ma per leggibilità ho preferito lasciare un minimo spazio fra i paragrafi (0.2) anche se nel testo sembra 0.0. Nel complesso mi sembra che meno spazi-ovunque renda più comprensibili e distinte le unità argomentative grazie agli spazi superstiti. ::Visto che il testo lo conosci certamente più di me, dimmi se qualcosa ti sembra ancora perfettibile. Per i prossimi volumi tieni comunque presente che una stilizzazione così senza classi apposite è un po' "fragile" e qualcosa può rompersi. Se ci sono altre liste tipo quella di [[Pagina:Poeti_lirici_(Romagnoli),_vol._I.djvu/7]] e 8, formattale con # e non come paragrafi ([https://it.wikisource.org/w/index.php?title=Pagina:Poeti_lirici_(Romagnoli),_vol._I.djvu/7&diff=prev&oldid=3535012]). volendo anche il numero (I, II, III, IV...) potrebbe essere omesso e inserito da stile. -- [[User:TrameOscure|TrameOscure]] ([[User talk:TrameOscure|disc.]]) 16:40, 13 giu 2025 (CEST) r8gqnzggmnw7w02be4yoyfjunqi7i0f Pagina:Pirandello - Novelle per un anno, Volume XIII - Candelora, Verona, Mondadori, 1951.pdf/66 108 952426 3535059 3468230 2025-06-13T14:20:12Z Utoutouto 16823 /* Riletta */ 3535059 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Utoutouto" />{{RigaIntestazione|66|{{Sc|luigi pirandello}}|}}</noinclude>qui; è nell’eternità; vi cammina, vi respira, in un’ebbrezza divina, ignota ai vivi. Un sasso. Un sasso della via. E perché no? Matteo Sinagra si china, lo raccatta, lo pesa nella mano. Un sasso... Erano cosí i sassi? erano questi? Sí, eccolo, un piccolo frantume di roccia, un pezzo di terra viva, di tutta questa terra viva, un frantume dell’universo... Eccolo qua: in tasca; verrà con lui. E quel fiorellino? Ma sí, anch’esso, qua qua, all’occhiello di questo morto, che se ne va da sé, cosí alieno, sereno e felice, coi suoi piedi, alla sua fossa, come a una festa, col fiorellino all’occhiello. Ecco l’entrata del cimitero. Un’altra ventina di passi, e il morto sarà a casa sua. Niente lagrime. Ci viene da sé, con passo svelto, e con quel fiorellino all’occhiello. Fanno un bel vedere questi cipressi di guardia al cancello. Oh, è una casa modesta, in vetta a un poggio, tra gli olivi. Ci saranno, sí e no, un centinaio di gentilizie, senz’alcuna pretesa d’arte; cappellette con un altarino, il cancelletto e un po’ di fiori attorno. È proprio, per i morti, una dimora invidiabile, questo cimitero. Lontano dal paese, i vivi ci vengono di raro. Matteo Sinagra entra e saluta il vecchio custode che sta seduto davanti all’uscio della sua casetta, a destra dell’entrata, con lo scialle bigio di lana su le spalle ed il berretto gallonato sul naso. — Ehi, Pignocco! Pignocco dorme. E Matteo Sinagra resta a contemplar quel sonno dell’unico vivo fra tanti morti, e — in qualità di morto — ne prova dispiacere, una certa irritazione. S’ha un bel dire. Fa bene ai morti pensare che un vivo vegli sul loro sonno e stia in faccende sopra la terra che li ricopre. Sonno sopra, sonno sotto: troppo sonno. Bisognerebbe svegliare Pignocco; dirgli: — Eccomi qua; sono dei tuoi. Sono venuto da me, co’ miei piedi, per far risparmiare un po’ di soldi ai miei parenti. Ma è questa la cura che tu ti prendi di noi? Oh via, che cura, povero Pignocco! Che bisogno di<noinclude></noinclude> 0w7tuid59cybzhzpxlb9wqr1me1p387 Pagina:Pirandello - Novelle per un anno, Volume XIII - Candelora, Verona, Mondadori, 1951.pdf/67 108 952427 3535060 3468775 2025-06-13T14:25:56Z Utoutouto 16823 /* Riletta */ 3535060 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Utoutouto" />{{RigaIntestazione||{{Sc|da sé}}|63}}</noinclude>custodia hanno i morti? Quando ha annaffiato qua e là qualche ajuola; quando ha acceso in questa e in quella gentilizia qualche lampadino che non fa lume a nessuno, quando ha spazzato le foglie morte dai vialetti; che altro gli resta da fare? Non fiata nessuno lì dentro. Il ronzio delle mosche allora e il lento stormire degli smemorati olivi sul poggio lo persuadono a dormire. Sta in attesa anche lui della morte, povero Pignocco; e in quest’attesa, ecco qua, provvisoriamente dorme sopra i tanti morti che dormono per sempre sotto. Forse si sveglierà tra poco, allo scoppio secco della rivoltella. Ma forse, neppure. È cosí piccola la rivoltella, e lui dorme cosí profondamente... Piú tardi, verso sera, allorché prima di chiudere il cancello, si recherà in giro a fare un’ultima ispezione, troverà un ingombro nero in quel vialetto, là in fondo. — Oh! E che roba è questa? Niente, Pignocco. Uno che deve andar sotto. Chiama, chiama che gli apparecchino il letto, giú, alla meglio, senza tanti riguardi. Per risparmio di spese ai parenti è venuto da sé, e anche per il piacere di vedersi cosí, prima, morto tra morti, a casa sua, arrivato a destino in buona salute, con gli occhi aperti, in perfetta coscienza. Lasciagli in tasca il sasso che si è seccato anch’esso di stare al sole su la strada. E lasciagli anche il fiorellino all’occhiello, che è la sua civetteria di morto in questo momento. Se l’è colto e se l’è offerto da sé, per tutte le corone che i parenti e gli amici non gli offriranno. È qua ancora sopra la terra; ma è proprio come se fosse venuto da sotto, dopo tre anni, per curiosità di vedere che effetto fanno sul poggio queste tombe gentilizie, queste ajuole, questi vialetti inghiajati, queste croci nere e queste corone di latta nel campo dei poveri. Un bell’effetto, veramente. E zitto zitto, in punta di piedi, Matteo Sinagra, senza svegliare Pignocco, s’introduce. È ancora presto per andare a dormire. Vagherà per i vialetti fino a sera, curiosando (da morto, s’intende); aspetterà che sorga la luna, e buona notte.<noinclude></noinclude> tbbs2oqolqvhjcs0t25rrgbr274mvmz Pagina:Poeti lirici (Romagnoli), vol. I.djvu/7 108 954672 3535012 3490067 2025-06-13T13:50:44Z TrameOscure 74099 elenco numerato esplicitato 3535012 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Shinitas" /></noinclude><NOWIKI /> Di Callino non possediamo che miseri frammenti; e del piú lungo, i primi quattro versi sono sicuramente autentici, ma gli altri quattro hanno un’impronta tanto simile a quelli di {{AutoreCitato|Tirteo|Tirteo}}, da indurre molti critici a credere che appartenessero a questo poeta, e che per qualche errore di trascrizione andassero a finire sotto i quattro di Callino nel florilegio di {{AutoreCitato|Giovanni Stobeo|Stobeo}} che tutti li conserva. E quei quattro, poveri, mutili, di scarso valore artistico, valgono piú che altro per quel po’ di luce che gittano sull’oscurissimo periodo in cui visse il loro autore. Il brano capitale su Callino è di {{AutoreCitato|Strabone|Strabone}} (14, 1, 40). E dice, parola per parola: — Avvenne anticamente che i Magnesii, dopo un lungo periodo di benessere, furono sterminati dai Trerii, tribú cimmeria; e che poi il territorio fu occupato dagli Efesii.... Callino ricorda anche una invasione piú antica dei Cimmerii, quando dice: «Or dei Cimmerii crudeli selvaggi l’esercito avanza». E in questa poesia testifica (δηλοῖ) il sacco di Sardi. — Ora, collocando i fatti qui esposti in ordine cronologico, abbiamo: # I. - Invasione dei Trerii (Cimmerii) e distruzione di Sardi. #II. - I Magnesii, fiorenti, vincono gli Efesii.<noinclude><references/></noinclude> c8lge9mx6uprer80qsj9yp9y00skgtx Pagina:Poeti lirici (Romagnoli), vol. I.djvu/8 108 954846 3535014 3490069 2025-06-13T13:51:22Z TrameOscure 74099 elenco numerato esplicitato 3535014 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Shinitas" />{{RigaIntestazione|6|''I LIRICI GRECI''||riga=2}}</noinclude><nowiki /> #III. - Nuova invasione dei Trerii e sconfitta dei Magnesii. #IV. - Gli Efesii occupano il territorio dei Magnesii. Questi particolari si inquadrano assai bene nella cornice storica generale che abbiamo tracciata nella introduzione. C’è una prima invasione di Cimmerii, diretta un po’ contro tutta l’Asia Minore, ma piú particolarmente verso Sardi, la quale rimane distrutta (intorno al 657). È assai probabile che dinanzi al comune pericolo Lidii e Greci facessero causa comune; e poco mi convince l’ipotesi del {{AutoreCitato|Giuseppe Fraccaroli|Fraccaroli}}<ref>''I Lirici greci tradotti'', I, 33.</ref> che i Greci, essendo oppressi dai Lidii, facessero causa comune con gl’invasori. Ritiratisi i Cimmerii, i quali, secondo le lapidarie parole di {{AutoreCitato|Erodoto|Erodoto}}, facevano incursioni e non già conquiste<ref>Τὸ γὰρ Κιμμερίων στράτευμα τὸ ἐπὶ τὴν ᾿Ιωνίην ἀπικόμενον, Κροίσου ἐὸν πρεσβύτερον, οὐ καταστροφὴ ἐγένετο τῶν πολίων, ἀλλ’ ἐξ ἐπιδρομῆς ἁρπαγή.</ref>, e rallentata, se non scomparsa, la minaccia dei Lidii, che certo doveva servire a cementare i Greci contro il comune avversario, risorgono piú fiere le contese fra città e città, che caratterizzano, come tanti secoli dopo in Italia, tanta parte della storia greca. E Magnesia riesce a trionfare d’Efeso. Effimero trionfo. Una nuova ondata di Cimmerii distrugge Magnesia. E quando i Cimmerii, secondo il loro costume, effettuata la razzia, si ritirano, gli Efesii riprendono il sopravvento, ed occupano il territorio dei Magnesii. Tutta questa pagina di storia non potrebbe risultare piú chiara. Della vita di Callino non possiamo dir nulla. Visse, dunque, nella prima metà del secolo VII. E, coinvolto nelle vicende dei tempi, cercò di rendere praticamente utile la sua lira, incuorando i concittadini alla guerra. Dar giudizio della sua arte, conoscendone cosí poco, è assai difficile. Oltre alla<noinclude><references/></noinclude> hqkldqi90t46esthvw6na9d17rawbji Indice:Poeti lirici (Romagnoli), vol. I.djvu/styles.css 110 957952 3534968 3533353 2025-06-13T13:10:39Z TrameOscure 74099 vediamo se così è meglio 3534968 sanitized-css text/css .ri {margin-bottom:2em; font-size:90%; border-collapse:collapse;} .ri td {padding:.5em 0; border-top: 1px solid black; border-bottom: 1px solid black; } .ri td:nth-of-type(2) {font-style:italic; } .titolo {text-align:center; line-height:2; font-size: 120%; margin-top:1pc; margin-bottom: 1pc; } .titolo p {text-indent:0; } /* test miglioramento resa stili (vedi [[Discussioni_utente:TrameOscure#Foglio_di_stile_in_Lirici_greci]]) */ /*riduzione interlinea standard (non applicato ai <poem>) */ .testi { line-height: 1.1em; } h17hh9vqy98um96tcnbyn0zrfxce428 3534971 3534968 2025-06-13T13:12:28Z TrameOscure 74099 3534971 sanitized-css text/css .ri {margin-bottom:2em; font-size:90%; border-collapse:collapse;} .ri td {padding:.5em 0; border-top: 1px solid black; border-bottom: 1px solid black; } .ri td:nth-of-type(2) {font-style:italic; } .titolo {text-align:center; line-height:2; font-size: 120%; margin-top:1pc; margin-bottom: 1pc; } .titolo p {text-indent:0; } /* test miglioramento resa stili (vedi [[Discussioni_utente:TrameOscure#Foglio_di_stile_in_Lirici_greci]]) */ /*riduzione interlinea standard (non applicato ai <poem>) */ .testi p { line-height: 1.1em; } 6rwh4znzmz9sw1lzed5ptvedau0rzgw 3534983 3534971 2025-06-13T13:23:17Z TrameOscure 74099 3534983 sanitized-css text/css .ri {margin-bottom:2em; font-size:90%; border-collapse:collapse;} .ri td {padding:.5em 0; border-top: 1px solid black; border-bottom: 1px solid black; } .ri td:nth-of-type(2) {font-style:italic; } .titolo {text-align:center; line-height:2; font-size: 120%; margin-top:1pc; margin-bottom: 1pc; } .titolo p {text-indent:0; } /* test miglioramento resa stili (vedi [[Discussioni_utente:TrameOscure#Foglio_di_stile_in_Lirici_greci]]) */ /*riduzione interlinea standard (non applicato ai <poem>) */ p { line-height: 1.1em; } 7oqu7d5dut5nmnyja7ef10jgf5j5z6f 3534989 3534983 2025-06-13T13:26:56Z TrameOscure 74099 3534989 sanitized-css text/css .ri {margin-bottom:2em; font-size:90%; border-collapse:collapse;} .ri td {padding:.5em 0; border-top: 1px solid black; border-bottom: 1px solid black; } .ri td:nth-of-type(2) {font-style:italic; } .titolo {text-align:center; line-height:2; font-size: 120%; margin-top:1pc; margin-bottom: 1pc; } .titolo p {text-indent:0; } /* test miglioramento resa stili (vedi [[Discussioni_utente:TrameOscure#Foglio_di_stile_in_Lirici_greci]]) */ /*riduzione interlinea standard */ p {line-height: 1.1em;} /*stacco delle note*/ .references {padding-top: 1em;} r0s14oob1sgq63vorkmyo223dtmuixy 3535011 3534989 2025-06-13T13:50:05Z TrameOscure 74099 3535011 sanitized-css text/css .ri {margin-bottom:2em; font-size:90%; border-collapse:collapse;} .ri td {padding:.5em 0; border-top: 1px solid black; border-bottom: 1px solid black; } .ri td:nth-of-type(2) {font-style:italic; } .titolo {text-align:center; line-height:2; font-size: 120%; margin-top:1pc; margin-bottom: 1pc; } .titolo p {text-indent:0; } /* test miglioramento resa stili (vedi [[Discussioni_utente:TrameOscure#Foglio_di_stile_in_Lirici_greci]]) */ /*riduzione interlinea standard */ p {line-height: 1.1em;} /*stacco delle note*/ .references {padding-top: 1em;} /*liste numerate, per es Pagina:Poeti lirici (Romagnoli), vol. 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La rosa]] | succ = [[La realtà del sogno|VII. La realtà del sogno]] }} {{Raccolta|Novelle per un anno, Volume XIII - Candelora}} <pages index="Pirandello - Novelle per un anno, Volume XIII - Candelora, Verona, Mondadori, 1951.pdf" from="61" to="67" fromsection="" tosection="" /> 7309t5ip6zk2apkgvrffh3ge9g6yhbi Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 3.djvu/279 108 960807 3535164 3468177 2025-06-13T18:17:32Z PGS 1984 49839 3535164 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="PGS 1984" />{{Centrato|DELLA DEA SIRIA.}}</noinclude>come da lumiere ne è illuminato, ma di giorno lo splendore ó debole: l’aspetto è di un rosso acceso. Ed un’altra mirabil cosa è nella statua: se fermandoti dirimpetto la guardi, ella ti riguarda; se trapassi ed ella ti segue con lo sguardo; e so altri la mira da altra parte, fa lo stesso a quello. In mezzo a queste due statue ce n’é un’altra d’oro, che con le altre statue non ha alcuna somiglianza. Forma propria non ha, ma sembianza degli altri dei. È chiamata ii Segno dagli Assiri stessi, che non le posero un nome particolare, e non raccontano nulla della sua origine e della sembianza. Alcuni a Bacco, altri a Deucalione, altri a Semiramide l’attribuiscono. Sul vertice del capo le sta una colomba d’oro: e però favoleggiano che questa sia la statua di Semiramide. Due volte l’anno viaggia sino al mare quando si trasporta l’acqua che ho detta. Nel tempio stesso alla sinistra (li chi entra sta primamente il trono del Sole, ma la sua immagine non v’é; perché solamente al Sole ed alla Luna non fanno statue. E la cagione io seppi, ed è questa. Dicono che fare immagini agli altri dei è cosa santa, perchè ii loro aspetto non è visibile a tutti: ma il Sole e la Luna chi non li vede? perchè dunque fare statue ad essi che appariscono in cielo? Dopo questo trono sta la statua di Apollo, non come la sogliono fare gli altri, che tutti credono Apollo giovane, e lo fanno sbarbato, ma essi soli lo rappresentano con la barba. E cosi facendo lodano sé stessi, e biasimano i Greci, e quanti altri per aggradire ad Apollo lo rappresentano giovanetto. E la cagione è, che pare loro una sciocchezza grande fare le immagini degli iddii imperfetti, e credono che il giovane sia ancora imperfetto. Un’altra novità è in questo loro Apollo, che egli è adorno di vesti. Molte cose fa questo Apollo, e ci vorria molto a dirle tutte, pure dirò le più mirabili: ed in prima parlerò dell’oracolo. Oracoli ce ne ha molti fra i Greci e molti fra gli Egizi; ed in Libia, ed in Asia molti; ma non rispondono senza sacerdoti e senza profeti; ma questo Apollo per contrario si muove, e rende da sé tutto il responso. Ed il modo è questo. Quando vuole vaticinare muovesi da prima nel suo seggio: i sacerdoti subito lo tolgono su le spalle. E se non lo tolgono, ei suda, e muovesi anche più innanzi. Quando lo portano su le spalle, egli li volge e ri<noinclude><references/></noinclude> 8ix3iri67lka2jqdmex9j3n8lzrhpeb Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 3.djvu/280 108 960809 3535161 3468180 2025-06-13T18:12:35Z PGS 1984 49839 3535161 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="PGS 1984" />{{Centrato|DELLA DEA SIRIA.}}</noinclude>volge in ogni parte, saltando dall’uno su l’altro. Infine il sommo sacerdote gli va innanzi, e lo dimanda. Se egli vuole che la cosa non si faccia, retrocede; se l’approva, spinge innanzi i portatori, quasi menandoli a redina. Cosi raccolgono gli oracoli; e non fanno alcuna cosa né sacra né privata<ref>Perchè le cose pubbliche erano tutte sacre.</ref> senza di questo. Predice ancora dell’anno e delle stagioni, anche quando non lo dimandano: predice ancora quando il Segno deve fare quel viaggio che ho detto. Dirò un’altra cosa che fece alla mia presenza. I sacerdoti lo portavano su le spalle, ed egli li lasciò a terra, e se n’andava solo per aria.<ref>''Mentisce Luciano'', qui dice il La Croze, e glielo dice in greco. ''Credat Judaeus Apella Luciano'', soggiunge il Guyeto. No, Luciano non mentisce, perchè questo scritto non è suo, ma di un uomo semplice, dabbene e credulo; il quale neppure mentisce, ma racconta a modo suo ciò egli dovette vedere, i sacerdoti sbalzare in aria la statua l’uno all’altro ed acchiapparla: e al pover uomo la statua pareva andare da sé per aria.</ref> Dopo l’Apollo c’è la statua d’Atlante, poi quelle di Mercurio e d’Ilitia. L’interno del tempio è cosi ornato: di fuori poi sta un’ara grande di bronzo; e ci sono altre statue di bronzo infinite, e di re, e di sacerdoti: dirò le più notevoli. A sinistra del tempio sta la statua di Semiramide, che addita il tempio a destra, e vi sta per questa cagione. A tutti gli abitatori della Siria ella fece una legge, di adorar lei per iddia, e non curarsi degli altri dii, e neppur di Giunone: e quei così fecero. Ma dipoi come le vennero malattie e disgrazie e dolori, le passò quella pazzia, si riconobbe mortale, e comandò un’altra volta ai suoi soggetti di rivolgersi a Giunone. Però ella sta in quell'atteggiamento, additando a chi viene di adorare Giunone, e riconoscendo non sé per iddia, ma quella. Ci vidi ancora i simulacri di Elena, di Ecuba, di Andromaca, di Paride, di Ettore, di Achille: vidi l’immagine di Nireo figliuolo d’Aglaia, e Filomela e Progne ancora donne, e Tereo già uccello, ed un’altra statua di Semiramide, e quella di Gombabo che ho detta, e quella di Stratonica molto bella, e quella di Alessandro simigliantissima. Vicino gli era Sardanapalo d’altro aspetto e di altre vesti. Nel cortile van pascendo liberamente<noinclude><references/></noinclude> ils7z9vorpoc7jtnwfrlmbxnyd9g16b Pagina:I poeti dell'Antologia Palatina (Romagnoli) 3.djvu/3 108 961862 3535273 3471582 2025-06-14T08:16:13Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535273 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" /></noinclude>{{Ct|t=4|v=4|f=120%|FILIPPO}}<noinclude><references/></noinclude> gm3aifcmuxo3z6k2e5y9oyok4lo1ywc La ricca 0 963098 3535129 3475239 2025-06-13T16:02:17Z Candalua 1675 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Contenuto sostituito con '{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome e cognome dell'autore"/>Luigi Pirandello<section end="Nome e cognome dell'autore"/> <section begin="Anno di pubblicazione"/>1892<section end="Anno di pubblicazione"/> <section begin="URL della versione cartacea a fronte"/>Indice:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892...' 3535129 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome e cognome dell'autore"/>Luigi Pirandello<section end="Nome e cognome dell'autore"/> <section begin="Anno di pubblicazione"/>1892<section end="Anno di pubblicazione"/> <section begin="URL della versione cartacea a fronte"/>Indice:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf<section end="URL della versione cartacea a fronte"/> <section begin="Argomento"/>Novelle<section end="Argomento"/> <section begin="Titolo"/>La ricca<section end="Titolo"/> <section begin="nome template"/>Intestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>14 febbraio 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=14 febbraio 2025|arg=Da definire}}{{Intestazione | Nome e cognome dell'autore = Luigi Pirandello | Titolo = La ricca | Anno di pubblicazione = 1892 | Lingua originale del testo = | Nome e cognome del traduttore = | Anno di traduzione = | Progetto = | Argomento = Novelle | URL della versione cartacea a fronte =Indice:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf }} {{Raccolta|Novelle per un anno}} <pages index="La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf" from="3" to="5" fromsection="s3" tosection="s1" /> 5uo84fhbjytnvihvt8faqshyfzmluib Pagina:Poeti lirici (Romagnoli), vol. I.djvu/68 108 963208 3535057 3475753 2025-06-13T14:18:22Z TrameOscure 74099 +BR mancante 3535057 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|66|''I LIRICI GRECI''||riga=2}}</noinclude><section begin="s1" />{{Ct|c=titolo|37 <br />SOVERCHIATORI PUNITI}} <poem> A capo in giú la gran boria vomiscono. </poem> {{Smaller|Una equazione che Fozio, a cui dobbiamo questo frammento, stabilisce fra κύψαι, verbo qui adoperato, che significa «mettersi a capo sotto», e ἀπάγξασθαι, che significa «strangolarsi», allontana, mi sembra, dalla giusta interpretazione. Qui si parla di superbiosi che sono costretti a deporre la loro soperchieria. Questa azione è paragonata, con linguaggio ben degno del genere giambico, al vomito. Chi vomita sta a testa sotto. Se ci fosse alcun dubbio, sarebbe sciolto dal luogo di Apollonio Rodio, 11, 582: ὄφρ’ ἀλεγεινὴν ὕβριν ἀποφλύξωσιν, il cui significato sembra indiscutibile.}}<section end="s1" /> <section begin="s2" />{{Ct|c=titolo|38 <br />LA GUERRA È UGUALE PER TUTTI}} <poem> {{Loop|11|.{{Spazi|5}}}} farò: E Marte imparzïal per tutti gli uomini. </poem> {{Smaller|Clemente Alessandrino, che lo riferisce (''Strom.'' 6, 6, 3), dice che qui Archiloco modifica il verso d’Omero (XVIII, 309): Eníalo è incerto; e spesso chi sta per uccidere muore.}}<section end="s2" /> <section begin="s3" />{{Ct|c=titolo|39 <br />PETTINATURA}} <poem> Coi capelli rapati dietro agli omeri. </poem> {{Smaller|''Etim. magno'', 311, 40. — Non è improbabile che in un tempo. in cui si portavano i capelli lunghi, fosse segno di ricerca e di}}<section end="s3" /><noinclude><references/></noinclude> 3f17uzv1neun1j73u4fyk7tlkynid5d Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/145 108 966574 3535155 3532341 2025-06-13T18:00:45Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535155 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" /></noinclude>{{Ct|f=200%|v=1|t=3|L=10px|INDICE}} {{Rule|4em|t=1|v=1}} {{Ct|f=100%|v=1|lh=1.5|{{sc|il numero romano indica il tomo,<br>ed il numero arabo la pagina}}.}} {{Rule|4em|t=1|v=1}} <includeonly>{{Indentatura}}</includeonly>{{colonna|em=-1}} {{Sc|{{xx-larger|A}}bati}}, condannati per ribelli. {{Pg|101|III. 101|c3}}. {{Sc|Abati}}, Lamberto, perchè impiccato dal duca d’Atene. {{Pg|27|VII. 27|c7}} {{Sc|Abati}}, Neri degli, avvelena più persone. {{Pg|62|III. 62|c3}}. — mette fuoco in Firenze. {{Pg|125|''Ivi'', 125|c3}}. {{Sc|Acciaiuoli}}, quando e perchè fallissero. {{Pg|261|VI. 261|c6}} {{Sc|AcciaiuoLi}}, Nìccola degli, uno de’ tre ambasciadori del re Ruberto al comune di Firenze. {{Pg|207|VI. 207|c6}} — amante della moglie del prenze di Taranto, e da lei fatto cavaliere, ricco e grande. {{Pg|186|VII. 186|c7}} {{altraColonna|em=-1}} — fugge da Napoli con Luigi di Taranto e sbarca in Maremma. {{Pg|251|''Ivi'', 251|c7}}. — giunge verso Firenze, e gli è negato l’ingresso. {{Pg|213|''Ivi'', 213|c7}}. — va in Provenza, e quindi al papa ad. Avignone. {{Pg|264|''Ivi'', 264|c7}}. {{Sc|Acquasparta}}, il cardinale d’, tenta invano di pacificare le parti in Firenze. {{Pg|60|III. 60|c3}} {{Sc|Acque}}, donde fatte venire in Firenze. {{Pg|54|I. 54|c1}}. — di fontane menate per condotti bevevano gli antichi. {{Pg|54|''Ivi''|c1}}. — loro abbondanza: come danneggiassero Cipri e parte di Spagna. {{Pg|218|V. 218|c5}}<noinclude></noinclude> 0wffbm78mcb1va4g75cp3yxpoh8u8z7 Discussioni indice:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu 111 966598 3535159 3533348 2025-06-13T18:11:28Z Alex brollo 1615 salvataggio memoregex 3535159 wikitext text/x-wiki == Indice generale: formattazione e link == * La formattazione delle pagine a doppia colonna è quella usuale (con Colonna e AltraColonna, associati a un Indentatura includeonly). * i link al tomo + pagina è stato verificato su un paio di voci che puntano al Libro I nel tomo I, [[Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/145|pagina 145]], e hanno questo formato di esempio: <code><nowiki>{{Pg|54|I. 54|c1}}</nowiki></code>, dove il terzo parametro vale c1....c8 in funzione del numero di volume a cui appartiene la pagina. E' possibile convertire il testo originale <code>I. 54</code> nel codice template via memoRegex. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 07:50, 16 mar 2025 (CET) :Iniziata la formattazione dell'indice generale. :* per queste pagine è migliore l'OCR interno del djvu; l'OCR Google è più laborioso da correggere; :* viene adottata una correzione a due passaggi, lasciando a un secondo passaggio il completamento della formattazione. Un po' problematica la correzione dei numerosi link ''Ivi'' che viene lasciata al secondo passaggio (come l'inserimento dei tl Colonna e AltraColonna). :[[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 22:10, 6 giu 2025 (CEST) == memoRegex == <nowiki>{" (I)\\. (\\d+)\\.":["(regex)"," {{Pg|$2|$1. $2|c1}}.","g"], " (II)\\. (\\d+)\\.":["(regex)"," {{Pg|$2|$1. $2|c2}}.","g"], " (III)\\. (\\d+)\\.":["(regex)"," {{Pg|$2|$1. $2|c3}}.","g"], " (IV)\\. (\\d+)\\.":["(regex)"," {{Pg|$2|$1. $2|c4}}.","g"], " (V)\\. 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(\\d+)":["(regex)"," {{Pg|$1|VIII. $1|c8}}","g"], </pre> 8064afycbizn6s8bu224hmvm99myq0p Pagina:I poeti dell'Antologia Palatina (Romagnoli) 3.djvu/1 108 966719 3535270 3490343 2025-06-14T08:14:44Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535270 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" /></noinclude>{{Ct|f=300%|I POETI}} {{Ct|DELLA}} {{Ct|f=150%|ANTOLOGIA PALATINA}} {{Ct|VOLUME TERZO}} {{FI |file = Sotto_il_velame_p516.png | tsize = 120px | float = center | caption = }} {{Ct|BOLOGNA}} {{Ct|f=120%|NICOLA ZANICHELLI}} {{Ct|1952}}<noinclude><references/></noinclude> tkwbwrzccrt4u2k6yn0hgy64ds8cguy Pagina:Petrolini - Un po' per celia e un po' per non morir, Roma, Signorelli, 1936.pdf/165 108 969558 3535240 3498141 2025-06-14T07:36:41Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535240 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" /></noinclude>Ero stato a Nizza molti anni prima, al teatro Eldorado dove la stagione si concluse con un mezzo disastro. Avevo a quell’epoca un segretario, Arturo Billi, che è stato molti anni con me e ricordo sempre con piacere. Arrivammo a mezzogiorno. Per precauzione si portava sempre con noi la cassetta per la musica. In teatro, all’ora delle prove, Billi distribuì la musica ed io cominciai a provare. Tutto andò liscio, e così ce ne andammo prima a mangiare in una bettola e subito dopo io all’albergo e Billi alla stazione per ritirare il bagaglio. Ma il bagaglio non era arrivato; però c’era la speranza che giungesse con uno dei treni seguenti: ce n’era uno alle sei e mezzo e un altro alle nove. Alle sei e mezzo altra delusione: il bagaglio non era ancora arrivato. Cominciarono i nervi: mi mancavano i ferri del mestiere. Verso le otto e mezzo ero già in camerino, ma il camerino senza i ferri<noinclude><references/></noinclude> ezv1ht48xxugzg0st2ijauakxurr5s3 Pagina:Petrolini - Un po' per celia e un po' per non morir, Roma, Signorelli, 1936.pdf/166 108 970064 3535241 3500254 2025-06-14T07:38:43Z Francyskus 76680 /* Riletta */ 3535241 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Francyskus" /></noinclude>del mestiere sembra un cimitero. Tutte le speranze erano sul treno delle nove. Cominciò il via vai degli artisti, dei cantanti, e delle attrazioni che si preparavano per il loro numero. Parlai con il direttore e non gli nascosi la mia preoccupazione per il ritardo del bagaglio. Ma lui, pieno di ottimismo, mi rispose: — Non fa niente, ci sono ancora due treni dall’Italia, e certamente con uno di questi arriverà. Un uomo del teatro sarà pronto alla stazione ed in cinque minuti tutto sarà qui. Tanto il suo numero passerà verso le dieci. — Billi tornò alla stazione, ma io avevo poca fiducia: il tempo passava, i ''numeri'' si susseguivano velocemente, io vedevo vicina l’ora del mio turno ed il bagaglio non arrivava. Allora, per evitare ogni discussione, cercai di svignarmela dal teatro; ma quando fui vicino alla portineria mi raggiunse il direttore: — Dove va lei? — — Vado alla stazione a vedere anch’io se è arrivato il bagaglio. — — Ah! no, mi dispiace tanto, ma lei non può muoversi: il teatro è pieno per la grande ''réclame'' che le abbiamo fatta. — — Ma che colpa ne ho io se non è arrivato il mio bagaglio? —<noinclude><references/></noinclude> r9hpenbmczpkrn0y86cqfv879xt22d0 Indice:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu 110 971621 3535177 3514396 2025-06-14T04:42:31Z OrbiliusMagister 129 3535177 proofread-index text/x-wiki {{:MediaWiki:Proofreadpage_index_template |Autore=Placido Landini |NomePagina=Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia |Titolo=Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia |TitoloOriginale= |Sottotitolo= |LinguaOriginale=italiano |Lingua= |Traduttore= |Illustratore= |Curatore= |Editore=Tipografia A. B. 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Oh sin ventura aquel que cae postrado, No por sus dulces playas, por la esposa Casta y fiel 4 idolatrados hijos; Mas por extranos,. por ageno fuego, Y no at morir le es dado Clamar: ; Patria querida La vida que me diste hora te entrego! j Oh edad antigua, amada y venturosa, Cuando en tropel las gentes Por fa alma patria a perecer corrian ! Y vos, siempre elocuentes, Cefidas siempre de gloriosas palmas, jOh tésalas gargantas! donde Persia Niel hado mismo doblegar pudieron A algunas libres generosas almas! Yo pienso’ que jas rocas ~ Plantas y mares y montafias vuestras Dicen con vago acento al caminante Cémo aquella ribera Cubrié toda de cuerpos Caros 4 Grecia, la falanje invicta. Vil por et Helesponto Jerjes entonces y feroz fugaba, A ser ludibrio de la edad postrera> Y sobre la colina De Antela, en que expirando Vencid 4 la muerte la legion divina, Simonides se alzaba El campo, el mar, el éter contemplando. Y con el rostro en lagrimas bafiado, Con pie insegura y fatigoso aliento,<noinclude></noinclude> 8vxje5n98mh2pbvcufbqhsyz62ytf2t 3535268 3535267 2025-06-14T08:13:55Z Francyskus 76680 3535268 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione||— 9 —|}}</noinclude>—9- Por otra tierra nuestras armas lidian. Oh sin ventura aquel que cae postrado, No por sus dulces playas, por la esposa Casta y fiel 4 idolatrados hijos; Mas por extranos,. por ageno fuego, Y no at morir le es dado Clamar: ; Patria querida La vida que me diste hora te entrego! j Oh edad antigua, amada y venturosa, Cuando en tropel las gentes Por fa alma patria a perecer corrian ! Y vos, siempre elocuentes, Cefidas siempre de gloriosas palmas, jOh tésalas gargantas! donde Persia Niel hado mismo doblegar pudieron A algunas libres generosas almas! Yo pienso’ que jas rocas ~ Plantas y mares y montafias vuestras Dicen con vago acento al caminante Cémo aquella ribera Cubrié toda de cuerpos Caros 4 Grecia, la falanje invicta. Vil por et Helesponto Jerjes entonces y feroz fugaba, A ser ludibrio de la edad postrera> Y sobre la colina De Antela, en que expirando Vencid 4 la muerte la legion divina, Simonides se alzaba El campo, el mar, el éter contemplando. Y con el rostro en lagrimas bafiado, Con pie insegura y fatigoso aliento,<noinclude></noinclude> qnvi4mce6s71et8odkojbrcibpf6jdi Pagina:Cantos de Leopardi - Calixto Oyuela .pdf/10 108 972528 3535269 3510327 2025-06-14T08:14:20Z Francyskus 76680 /* Trascritta */ 3535269 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" />{{RigaIntestazione||— 10 —|}}</noinclude>—i19- Embrazaba la lira: . — Dichosos vos mil veces y Que el pecho disteis 4 enemigaé lanzas Por amor 4 esta madre, vos a quienes Grecia venera, el universo admira !: Al riesgo y al combate ¢Qué inmenso amor las juveniles mentes, Qué amor os impelid al fatal desting? ¢ Como tan grata ; oh hijos! la postrera Hora os aparecid, que sonrientes Al fin yolasteis lamentable y duro? Semejaba que a espléndida convite © a danza alegre, y no a morir corriera Cada uno de los vuestros. El oscuro Tartaro, empero, y las silentes ondas Os aguardaban. ; Ni aun al lado habiais De espeosas 6 hijos el carifo santo, Cuando en aspera margen Sin dsculos moristeis y sin llanto! Mas no del Persa sin horrenda pena Y¥ angustia interminable. Cual leén eatre toros encerrado, Ya al lomo de aquél saita, y sus colmillos En él furioso clava, Ya este ijar, ya aquel muslo dentellea, Asi en las turbas persas se inflamaba La iracunda virtud de los helenos. Mira en tierra caballo y caballero; Mira atajar doquier carros y tiendas En confusién, la fuga 4 los vencidos; Palido y desgrefiado Aun el tirane mismo huir primero; Ve cual en sangre barbara tefiides<noinclude></noinclude> bp9xzdchk0mm473hjtmxop4sk86abns Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/11 108 973879 3535179 3517952 2025-06-14T04:49:18Z OrbiliusMagister 129 3535179 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 9 –|}}</noinclude>circa l’anno 1478 principiarono ad usare il comodo del cataletto, portato da quattro persone, coperto di tela e d’incerato rosso, nel tempo ancora del morbo, o della peste; come si vede espresso in un quadro di somma bellezza, che esiste ora in una stanza di proprietà di detta compagnia della Misericordia<ref>Fu nella peste del 4478 che si trovò l’uso del cataletto, ma non fu abolito affatto quello delle zane per i casi meno gravi: che anzi ha durato fino ai nostri giorni. La pittura, ovo si vede espresso il costume antico de’ fratelli della Misericordia, è il quadro della peste creduto del {{Wl|Q928350|Cigoli}}, che resta nello spogliatoio in prossimità della finestra.</ref>. Cominciarono dipoi a destinare una quantità di fratelli, denominati novizi, per ciascuna settimana, i quali avevano prima dell’unione una veste, c cappuccio rosso, uniforme al cataletto, come si può vedere in una pittura antica esprimente la Misericordia, la quale ora resta in una nuova stanza del commissariato del Bigallo. Questa stanza fu tutta dipinta nel mese di novembre dell’anno 1777 da Francesco Panaiotti, ed ora serve per uso del detto sig. commissario. Nella suddetta pittura viene rappresentata tal vestitura, e coperta rossa, unitamente ad una figura gigantesca ammantata di piviale con mitra tonda in capo, e stola fino ai piedi; nella quale veggonsi alcuni tondi, in cui vi sono descritte le opere di Misericordia. Questa figura sta in atto maestoso di padronanza sopra a Firenze, sotto di cui il popolo in ginocchioni. In allusione di questa il pittore volle spiegare il sentimento con quest’iscrizione: {{Sc|Omnis misericordia faciat locum unicuique secundum meritum operum suorum, et secundum}} {{Pt|{{Sc|intel-}}}}<noinclude>{{rule|4em|l=2em}} <references/></noinclude> cbkx59x0ahr3j3owed0oem6ri5y86k4 Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/12 108 973886 3535178 3517951 2025-06-14T04:47:58Z OrbiliusMagister 129 3535178 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||― 10 ―|}}</noinclude>{{Pt|{{Sc|lectum|intellectum}}}} {{Sc|peregrinationis illius anno MCCCLII die II mensis septembris}}<ref>La suddetta pittura si vede oggi nella stanza del cassiere del Bigallo a mano sinistra, che colla figura di una persona gigantesca, esprime la misericordia che sta come in atto di padrona sopra Firenze. Innanzi ad essa vi sono in ginocchioni molte persone di vari ceti. È ammantata di piviale con mitra in capo ed una stola fino ai piedi in cui si vedono undici ovati. Nell’orlo della mitra è scritto ''Misericordia Domini''. A destra della testa: v''enite benedicti patris mei possidete'' e dalla sinistra ''paratum cobis regnum a costitutione mundi''. Dal lato destro poco sotto le spalle: ''risito, poto, cibo, redimo'', o dal lato sinistro: ''tego, colligo, condo''.<br>{{gap|1em}} Nella stola vi sono undici ovati cinquo da un lato, cinque da un altro ed uno solto al collo. In questo sta scritto: ''Misericordia Domini plena est terra'', nel destro ovato: ''beati misericordes quoniam misericordiam con equetur'', nel sinistro: ''misericordia el veritas non te deserant circumda eas gulturi tuo''. <br />{{gap|1em}}Negli altri otto ovati sono espresso, con grazioso figurine, quattro opere di misericordia con molti analoghi. Nel secondo dal lato destro: ''Exurioi et dedistis mihi manducare'' e in quei che gli succedono: ''hospes eram et collegistis me'', poi: ''infirmus eram, el visitastis me'', nell’ultimo dalla parte destra: ''nullus de misericordia Dei desperarit''. Nel secondo dalla parte sinistra: ''sitivi et dedistis mihi bibere'' in quei che gli succedono: ''nudus eram et opereistis me'', quindi: ''in carcere eram et tenixtas ad me''. Nell’ultimo poi si vedono i fratelli della Misericordia che portano la bara colla cappa di colore vermiglio. Ancora in questo ovalo v’è un passo latino ma non ci è riuscito poterlo leggere.<br />{{gap|1em}Questa pittura del Richa è attribuita a {{Wl|Q947337|Giottino}}. Presso di questa dal lato destro si vedono scritti nel muro a caratteri gotici i dieci comandamenti di Dio, ei sette sacramenti.</ref>. La medesima pittura nel mese di dicembre dell’anno 1777, dopo la terminazione della nuova fabbrica, fatta per maggior comodità degli abbandonati, per ordine del sig. commissario fu fatta ripulire da {{Wl|Q27493842|Santi Pacini}} insieme con gli altri diciotto quadri esistenti in parte nella medesima stanza, di altezza braccia uno<noinclude>{{rule|4em|l=2em}} <references/></noinclude> 1cd3vhnsgdj6r1805wsf3ltnax063iq 3535180 3535178 2025-06-14T04:50:13Z OrbiliusMagister 129 3535180 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||― 10 ―|}}</noinclude>{{Pt|{{Sc|lectum}}|{{Sc|intellectum}}}} {{Sc|peregrinationis illius anno MCCCLII die II mensis septembris}}<ref>La suddetta pittura si vede oggi nella stanza del cassiere del Bigallo a mano sinistra, che colla figura di una persona gigantesca, esprime la misericordia che sta come in atto di padrona sopra Firenze. Innanzi ad essa vi sono in ginocchioni molte persone di vari ceti. È ammantata di piviale con mitra in capo ed una stola fino ai piedi in cui si vedono undici ovati. Nell’orlo della mitra è scritto ''Misericordia Domini''. A destra della testa: v''enite benedicti patris mei possidete'' e dalla sinistra ''paratum cobis regnum a costitutione mundi''. Dal lato destro poco sotto le spalle: ''risito, poto, cibo, redimo'', o dal lato sinistro: ''tego, colligo, condo''.<br>{{gap|1em}} Nella stola vi sono undici ovati cinquo da un lato, cinque da un altro ed uno solto al collo. In questo sta scritto: ''Misericordia Domini plena est terra'', nel destro ovato: ''beati misericordes quoniam misericordiam con equetur'', nel sinistro: ''misericordia el veritas non te deserant circumda eas gulturi tuo''. <br />{{gap|1em}}Negli altri otto ovati sono espresso, con grazioso figurine, quattro opere di misericordia con molti analoghi. Nel secondo dal lato destro: ''Exurioi et dedistis mihi manducare'' e in quei che gli succedono: ''hospes eram et collegistis me'', poi: ''infirmus eram, el visitastis me'', nell’ultimo dalla parte destra: ''nullus de misericordia Dei desperarit''. Nel secondo dalla parte sinistra: ''sitivi et dedistis mihi bibere'' in quei che gli succedono: ''nudus eram et opereistis me'', quindi: ''in carcere eram et tenixtas ad me''. Nell’ultimo poi si vedono i fratelli della Misericordia che portano la bara colla cappa di colore vermiglio. Ancora in questo ovalo v’è un passo latino ma non ci è riuscito poterlo leggere.<br />{{gap|1em}Questa pittura del Richa è attribuita a {{Wl|Q947337|Giottino}}. Presso di questa dal lato destro si vedono scritti nel muro a caratteri gotici i dieci comandamenti di Dio, ei sette sacramenti.</ref>. La medesima pittura nel mese di dicembre dell’anno 1777, dopo la terminazione della nuova fabbrica, fatta per maggior comodità degli abbandonati, per ordine del sig. commissario fu fatta ripulire da {{Wl|Q27493842|Santi Pacini}} insieme con gli altri diciotto quadri esistenti in parte nella medesima stanza, di altezza braccia uno<noinclude>{{rule|4em|l=2em}} <references/></noinclude> l945lth4dt95vc7bf8l9pwyza1arxwp Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/16 108 973893 3535181 3514025 2025-06-14T04:50:53Z OrbiliusMagister 129 /* Senza testo */ 3535181 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="0" user="OrbiliusMagister" /></noinclude><noinclude><references/></noinclude> jvp8wreqm87hx85i2aouga20yiez8cn Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/277 108 974134 3535147 3524550 2025-06-13T17:02:44Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535147 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|211}}</noinclude><div class="titolo"><p> XLIV. — ''A Ser Antonio di Ciolo.''<ref>Di qui forse i Ciuoli, famiglia nobile senese spenta. Scorcio di Pieracciuolo o simile. ''Sere'', anco nel secolo passato dicevasi de’ notai: e notaio poteva ben essere gentiluomo.</ref> </p></div> <div class="sottotitolo"><p> L’anima, forza è che ami: so non l’alto coso, lo vili. Ma queste le danno pena, perchè impari a lei. Provida pena, effetto e mezzo della sua dignità. La purità non consiste nel non sentire le battaglie del senso o dell’affetto, ma sì noi vincerle. Anzi è rosa che la mano della libertà coglie da quelle spine. Le battaglie accrescono il merito, umiliano salutarmente, fanno sentire il bisogno di Dio, amore degno. A purificare l’anima giova la fede in quella redenzione che le dimostra il pregio della sua nobiltà. Consigli. </p></div> Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi unito per santo desiderio nel nostro dolce Salvatore; perocché in altro modo non potremmo spregiare il mondo né venire a perfetta purità, conservando la mente ed il corpo nostro nello stato della continenzia. Perocché l’anima che non<ref>Nella stampa il ''non'' manca.</ref> si accosta<ref>Diceva in antico stretta prossimità, e rendeva il latino ''adhaerere''.</ref> a Dio, ed uniscesi in lui per affetto d’amore, conviensi per forza <ref>Di qui la necessità che l’anima si crea del male, non usando bene la propria libertà.</ref> ch’el sia unita con le creature fuora di Dio, e con le delizie e piaceri e stati del mondo: perchè l'anima non può vivere senza amore; conviengli amare o Dio o il mondo. E l’anima sempre s’unisce in quella cosa che ama, ed ine si trasforma; che sempre piglia di quello che é nella cosa che ama. <ref>in Santa Maria della Scala, a 14 d’Agosto del 1391; e del 1410 v’era in uffizio di cancelliere. Vestivano sottana e mantello nero con piccolo cappuccio, e dai lato sinistro per insegna una scaletta di seta gialla. Durarono fino al 500; e dopo la morto del Rettore Claudio Saracini, deposero l’abito o il nome di frati. Morì ser Cristofano tra le braccia di Stefano Maconi diletto a Caterina, e parlando di lei. Fu il primo a scrivere del Beato Giovanni Colombini.</ref><noinclude><references/></noinclude> bvsbowf0kfewnhn49cde64gqsrdmtp6 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/279 108 975954 3535144 3524611 2025-06-13T16:57:44Z Cor74 73742 3535144 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|213}}</noinclude>per sé, acciò ohe l’amasse con tutto il cuore e con tutto l’affetto suo, e lui servisse in verità. E però queste cose del mondo non possono saziare l’uomo, perchè sono meno di lui. Adunque lui pace e riposo quando sta in lui; partecipa una larghezza di cuore, che ogni creatura che ha in so ragione, vi cape dentro per affetto di carità. Anzi s’ingegna di servirli, sovvenendo il prossimo suo, mostrando in lui r amore che ha al suo creatore. Perchè Dio è somma ed eterna purità, però r anima e ’l corpo ne partecipa per l’unione che ha fatta in lui, conservando la mente e ’l corpo suo in perfetta purità, eleggendo innanzi la morte che volere contaminare e lordare<ref>''Lordare'', è più materiale, e più visibilmente schifoso. ''Luridus''.</ref> la mente e il corpo suo per immondizia. Non, che i pensieri del cuore, egli li possa tenere, né spesse volte i movimenti della carne; ma i movimenti e’ pensieri non lordano l’anima, ma la volontà, quando ella consente volontariamente alla fragilità sua e alle cogitazioni<ref>Bello che dica non pensieri ma ''cogitazioni'' (che con l’origine rammenta ''agitazioni''; e Virgilio): ''«Quid cogitet Auster»''); e non della mente ma del cuore.</ref> del cuore. Ma non consentendo, non commette colpa neuna, ma merito,<ref>''Commettere'' può stare anche con merito, e lo dice l’origine.</ref> facendo una resistenzia santa, traendo sempre di queste spine la rosa odorifera d’una perfetta purità. Perché per questo viene a maggior cognoscimento di sé, e con un odio santo si leva centra la propria fragilità, e con amore rifugge a Cristo crocifisso con umili e continue orazioni, vedendo che da tanti mali in altro modo non può campare. E già aviamo detto che quanto più s’accosta a lui, più partecipa della sua purità. Adun-<noinclude><references/></noinclude> 9k9na9nnfmuxukuab8j0xxk6rb2zv51 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/280 108 975956 3535142 3524613 2025-06-13T16:57:01Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535142 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|214|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>que bene è vero che di queste battaglie egli ne trae la rosa<ref>Quasi corona della gentile vittoria.</ref> purissima. Questo si è il rimedio centra questo miserabile peccato della debile e fragile carne, e d’ogni altra gravezza di peccato; che noi ci accostiamo e conformiamo per affetto d’amore in Dio. E non aspettiamo il tempo, carissimo figliuolo: però ch’egli è breve e non ci aspetta, non doviamo aspettar lui. Gran fatto è che l'uomo voglia dormire in tanta cecità, e non destarsi da questo sonno. Ma bene è vero che destare- non ci potiamo, ne venire a questa unione, senza il lume. Convienci cognoscere col lume della santissima fede la miseria e colpa nostra, e coll’ occhio purificato penerei per obietto l’amore ineffabile che Dio ci ha, il quale ci ha manifestato col Verbo dell’unigenito suo Figliuolo, e ’l Figliuolo ce l’ha mostrato col sangue suo sparto con tanto fuoco d’amore, corso come innamorato alla obbrobriosa morte della santissima croce. E come si potrebbe tenere l’anima, vedendosi tanto amare, che non amasse? Non potrebbe. O carissimo figliuolo, non vi dilungate da questo lume, ma con sollecitudine dissolvete la nuvila dell’amore proprio di voi; e con fede viva ragguardate lo immacolato e svenato Agnello, che con tanto amore vi chiama. E rispondendogli verrete a questa perfetta unione; essendo unito, sentirete l’odore della perfetta purità. Molto è buono centra questo vizio il ragguardare la dignità, in che è venuta r anima nostra, e la miserabile carne, per l’unione che Dio ha fatto nell’uomo, unita la natura divina con la natura nostra umana. Vergognerassi l’anima: e saragli un freno di darsi a tanta miseria, veden-<noinclude><references/></noinclude> lcdojqzbnlua3lk5oetr30cizbjzz1z 3535145 3535142 2025-06-13T16:58:13Z Cor74 73742 3535145 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|214|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>que bene è vero che di queste battaglie egli ne trae la rosa<ref>Quasi corona della gentile vittoria.</ref> purissima. Questo si è il rimedio centra questo miserabile peccato della debile e fragile carne, e d’ogni altra gravezza di peccato; che noi ci accostiamo e conformiamo per affetto d’amore in Dio. E non aspettiamo il tempo, carissimo figliuolo: però ch’egli è breve e non ci aspetta, non doviamo aspettar lui. Gran fatto è che l'uomo voglia dormire in tanta cecità, e non destarsi da questo sonno. Ma bene è vero che destare non ci potiamo, ne venire a questa unione, senza il lume. Convienci cognoscere col lume della santissima fede la miseria e colpa nostra, e coll’occhio purificato penerei per obietto l’amore ineffabile che Dio ci ha, il quale ci ha manifestato col Verbo dell’unigenito suo Figliuolo, e ’l Figliuolo ce l’ha mostrato col sangue suo sparto con tanto fuoco d’amore, corso come innamorato alla obbrobriosa morte della santissima croce. E come si potrebbe tenere l’anima, vedendosi tanto amare, che non amasse? Non potrebbe. O carissimo figliuolo, non vi dilungate da questo lume, ma con sollecitudine dissolvete la nuvila dell’amore proprio di voi; e con fede viva ragguardate lo immacolato e svenato Agnello, che con tanto amore vi chiama. E rispondendogli verrete a questa perfetta unione; essendo unito, sentirete l’odore della perfetta purità. Molto è buono centra questo vizio il ragguardare la dignità, in che è venuta r anima nostra, e la miserabile carne, per l’unione che Dio ha fatto nell’uomo, unita la natura divina con la natura nostra umana. 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Ma poichè queste due compagnie si separarono affatto e la Misericordia passò in S. Cristofano allora cominciarono ad usarsi scambievoli atti di riguardo, ed a dimostrarsi un reciproco affetto, onde nelle loro feste solenni si riconoscevano scambievolmente di candele, pannellini ec. in memoria della loro antica unione, ovvero per non avere più che fare l’una coll’altra. Ma anche questo ebbe il suo fine, poichè soppressi da {{Wl|Q48547|Cosimo I}}. i capitani del Bigallo, fu creato un magistrato composto di dodici cittadini e d’un dignitario ecclesiastico. Nel 1776 soppresso questo gli fu sostituito un commissario dipendente da una congregazione di tre secolari e d’un dignitario eccelesiastico, ed infine nel 1790 abolita anche questa deputazione e tutti i privilegi che aveva il Bigallo rimase sotto la vigilanza di un solo commissario. Cosi a poco a poco fini la società del Bigallo e le respettive dimostrazioni d’affetto fra questa e la compagnia della Misericordia.</ref>Nel venti del mese di gen- 10 Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> me4ge0k2hj4bt97f0zed66emw2mz9rz 3535095 3535094 2025-06-13T15:19:12Z Giaccai 13220 3535095 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 57 –|}}</noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XI.'''}} Una pace reciproca regna fra questa e la compagnia del Bigallo mentre solennizzandosi la festa dei respettivi santi loro protettori, scambievolmente si riconoscono per la purificazione con sei candele benedette, che manda alla compagnia il commissariato del Bigallo, in vece del magistrato per distribuirsi al provveditore, al cancelliere, al computista, scrivano e servi, come pure la Misericordia rimette per tal solennità altre sei candele al commissario, per distribuirsi medesimamente ai suoi ministri <ref>Fino a tanto che la compagnia della Misericordia e quella del Bigallo o:cuparono lo stesso locale non dovéè esser molta la pace che regno fra i componenti le due società. 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Cosi a poco a poco fini la società del Bigallo e le respettive dimostrazioni d’affetto fra questa e la compagnia della Misericordia.</ref>Nel venti del mese di gen-<noinclude><references/>{{PieDiPagina|||{{smaller|10}}}}</noinclude> gegeqv9flz6ju9sbeemr1d83ffsr7ud 3535117 3535098 2025-06-13T15:36:55Z Giaccai 13220 3535117 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 57 –|}}</noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XI.'''}} {{Capolettera|U|96pt}}na pace reciproca regna fra questa e la compagnia del Bigallo mentre solennizzandosi la festa dei respettivi santi loro protettori, scambievolmente si riconoscono per la purificazione con sei candele benedette, che manda alla compagnia il commissariato del Bigallo, in vece del magistrato per distribuirsi al provveditore, al cancelliere, al computista, scrivano e servi, come pure la Misericordia rimette per tal solennità altre sei candele al commissario, per distribuirsi medesimamente ai suoi ministri <ref name=p61>>Fino a tanto che la compagnia della Misericordia e quella del Bigallo o:cuparono lo stesso locale non dovéè esser molta la pace che regno fra i componenti le due società. Ma poichè queste due compagnie si separarono affatto e la Misericordia passò in S. Cristofano allora cominciarono ad usarsi scambievoli atti di riguardo, ed a dimostrarsi un reciproco affetto, onde nelle loro feste solenni si riconoscevano scambievolmente di candele, pannellini ec. in memoria della loro antica unione, ovvero per non avere più che fare l’una coll’altra. Ma anche questo ebbe il suo fine, poichè soppressi da {{Wl|Q48547|Cosimo I}}. i capitani del Bigallo, fu creato un magistrato composto di dodici cittadini e d’un dignitario ecclesiastico. Nel 1776 soppresso questo gli fu sostituito un commissario dipendente da una congregazione di tre secolari e d’un dignitario eccelesiastico, ed infine nel 1790 abolita anche questa deputazione e tutti i privilegi che aveva il Bigallo rimase sotto la vigilanza di un solo commissario. Cosi a poco a poco fini la società del Bigallo e le respettive dimostrazioni d’affetto fra questa e la compagnia della Misericordia.</ref>Nel venti del mese di gen-<noinclude><references/>{{PieDiPagina|||{{smaller|10}}}}</noinclude> ssux5qwitjx33f1dqxqwss3senwcus8 3535125 3535117 2025-06-13T15:53:01Z Giaccai 13220 3535125 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 57 –|}}</noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XI.'''}} {{Capolettera|U|96pt}}na pace reciproca regna fra questa e la compagnia del Bigallo mentre solennizzandosi la festa dei respettivi santi loro protettori, scambievolmente si riconoscono per la purificazione con sei candele benedette, che manda alla compagnia il commissariato del Bigallo, in vece del magistrato per distribuirsi al provveditore, al cancelliere, al computista, scrivano e servi, come pure la Misericordia rimette per tal solennità altre sei candele al commissario, per distribuirsi medesimamente ai suoi ministri <ref name=p61>Fino a tanto che la compagnia della Misericordia e quella del Bigallo o:cuparono lo stesso locale non dovéè esser molta la pace che regno fra i componenti le due società. Ma poichè queste due compagnie si separarono affatto e la Misericordia passò in S. Cristofano allora cominciarono ad usarsi scambievoli atti di riguardo, ed a dimostrarsi un reciproco affetto, onde nelle loro feste solenni si riconoscevano scambievolmente di candele, pannellini ec. in memoria della loro antica unione, ovvero per non avere più che fare l’una coll’altra. Ma anche questo ebbe il suo fine, poichè soppressi da {{Wl|Q48547|Cosimo I}}. i capitani del Bigallo, fu creato un magistrato composto di dodici cittadini e d’un dignitario ecclesiastico. Nel 1776 soppresso questo gli fu sostituito un commissario dipendente da una congregazione di tre secolari e d’un dignitario eccelesiastico, ed infine nel 1790 abolita anche questa deputazione e tutti i privilegi che aveva il Bigallo rimase sotto la vigilanza di un solo commissario. Cosi a poco a poco fini la società del Bigallo e le respettive dimostrazioni d’affetto fra questa e la compagnia della Misericordia.</ref>Nel venti del mese di gen-<noinclude><references/>{{PieDiPagina|||{{smaller|10}}}}</noinclude> dj24imukocgt8pxy2qt90wi049ujj7b Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/65 108 977560 3535099 3529849 2025-06-13T15:23:40Z Giaccai 13220 3535099 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XII.'''}} {{Capolettera|L|96pt}}a volta della corqpagnia ora vedasi lavorata a stucchi, nuovamente dorati nell’anno 1766 o fatta per mezzo di collette da Michele Maechiolini sottoprovveditore, c da quei fratelli della compagnia che si sentirono inspirati di concorrere con elemosine per simile rinnovazione. In questa occasiono fu levato un quadro di tela che rappresentava il martirio di S. Bastiano opera di Piero Dandini, dono stato fatto alla compagnia da monsignore Orazio Panciatici vescovo di Fiesole, uno decapi di guardia, c in luogo di questa pittura ve ne fu fatta fare un’altra a fresco da Giuseppe Parenti, che con vaghi colori espresse in bellissima attitudine S. Bastiano, con varie figure, che tengono nelle mani il segno del suo martirio e della sua gloria (i;. Sotto la volta all’intorno della compagnia vi sono undici mezzi ovati di tela di lunghezza braccia tre c mezzo, nei quali mirasi effigiata la vita di S. Tobia primo autore dcll’opere di misericordia, le quali pitture furono ripulite da Raffaello Perini, ed alcune sono opera di Giovanni Montini (n). In (i) Oggi nello sfondo della volta si vede dipinta l’assunzione di Maria Vergine pittura di Santi Pacini eseguita il (780 quando il localo fu ridotto allo stato presente. pi) Le lunette che ornavano l’antico oratorio erano dieci, cinque per parte: )’ undecima restava sulla porta di sagrestia. Alcune di ques’.e pitturo son opera di Giocanti! Martini da L’dine, o non di Giovanni Montini come ha riportalo anche il Becchi sull’autorità del tondini. I (I Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> rtfgo4amuafpgpexlqkwjfzrhwrwcz6 3535135 3535099 2025-06-13T16:32:35Z Giaccai 13220 /* Trascritta */ 3535135 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 61 –|}}</noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XII.'''}} {{Capolettera|L|96pt}}a volta della compagnia ora vedesi lavorata a stucchi, nuovamente dorati nell’anno 1766 o fatta per mezzo di collette da Michele Macchiolini sottoprovveditore, e da quei fratelli della compagnia che si sentirono inspirati di concorrere con elemosine per simile rinnovazione. In questa occasione fu levato un quadro di tela che rappresentava il martirio di S. Bastiano opera di Piero Dandini, dono stato fatto alla compagnia da monsignore Orazio Panciatici vescovo di Fiesole, uno de’ capi di guardia, e in luogo di questa pittura ve ne fu fatta fare un’altra a fresco da Giuseppe Parenti, che con vaghi colori espresse in bellissima attitudine S. Bastiano, con varie figure, che tengono nelle mani il segno del suo martirio e della sua gloria<ref>Oggi nello sfondo della volta si vede dipinta l’assunzione di Maria Vergine pittura di Santi Pacini eseguita il 1780 quando il locale fu ridotto allo stato presente.</ref>. Sotto la volta all’intorno della compagnia vi sono undici mezzi ovali, di tela di lunghezza braccia tre e mezzo, nei quali mirasi effigiata la vita di S. Tobia primo autore dll’peredi eo misericordia, le quali pitture furono ripulite da Raffaello Perini, ed alcune sono opera di Giovanni Montini<ref>Le lunette che ornavano l’antico oratorio erano dieci, cinque per parte: l’undecima restava sulla porta di sagrestia. Alcune di queste pitture son opera di ''Giovanni Martini da Udine'', e non di ''Giovanni Montini'' come ha riportato anche il Becchi sull’autorità del Landini</ref>. In<noinclude><references/>{{PieDiPagina|||{{smaller|11}}}}</noinclude> aufdw72v3k3k0ee4zeviz69as3rwe78 Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/68 108 977561 3535100 3529850 2025-06-13T15:24:08Z Giaccai 13220 3535100 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XIII.'''}} {{Capolettera|D|96pt}}alla compagnia si entra nell’altra stanza anticamente dcll’udicnza de’ pupilli lunga braccia dicci, e larga nove e mezzo o clic serve ora per le adunanzo del magistrato. In essa vi sono solamente due banchi di legno tinti a olio a a guisa d’armadi i quali servono per riporre gli arredi sacri, ed altri oggetti della compagnia, coprendoli nel giorno delle adunanze, e quando fa di bisogno, di pelle (i). Parimente alle pareti vi sono le prospere c le casse per uso dei sacerdoti, le quali servono ancor di sedili; ed a ciascuna di queste prospere in ogni divisione si vedo clic vi fu fatto a chi più, a chi meno lavoro per la distinzione dei posti fra gli ecclesiastici c i secolari, come pure ancora vi è quello del ministro del Bigallo diversamente lavorato, per quando gli piacesse intervenire all’adunanzo del ma tti Siccome nel 1780 il locate della compagnia cambiò affatto di aspetto ò difficile poter precisare quali oggi sieno queste manza. Però colle notizie elio abbiamo degli acquisti fatti dalla compagnia in diverso epoche, sapendo quanto estendeva»! il locato de pupilli, o coli’ indizio d’un vicolo dello dello odio clic rimaneva dietro, e di cui tuttora resta una traccia, potremo approssimativamente indicarlo. Sappiamo clic il locale ove era l’tiPizio de’ pupilli era composto di sole tre stanze, c die questo terminavano al vicolo detto delle Odio aperto fino al 1780 e Digitlzed by Google<noinclude><references/></noinclude> 4w6y0hbkagsdckrz8hbjtza2l3nhw8y Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/71 108 977562 3535101 3529851 2025-06-13T15:24:37Z Giaccai 13220 3535101 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XIV.'''}} {{Capolettera|A|96pt}}lle mura della medesima stanza vi sono affissi sci quadri di più grandezze dipinti da vari professori, in capo de’quali vi è il ritratto del sommo pontefice Clemente XII Corsini di gloriosa ricordanza stato uno dc’settantaduc capi di guardia (i). In questa stanza ve un uscio dentro a un armadio clic corrisponde ad altro piccolo uscio, che mette sul cimitero della compagnia (n) ove sono quattro sepolture, due dello quali fatte l’anno 1576, c le altre due aggiunte alle medesimo l’anno 1731 (m) nella quale occasione questo cimitero che era (i) Il quadro surriferito ò nella stanza delta del magistrato a sinistra della Madonna d’Andrea del Sarto. (ti) So osservi la facciata della compagnia dipiota dal Cigoli, si vedrà che anticamente sul cimitero non vi era elio una sola porta, quella cioè di chiesa. Per entrare in sagrestia o nella Blanza d’udienza che era porzione del moderno spogliatoio bisognava passare di compagnia. Pare però che in questa stanza ascoso dentro un armadio restasse un piccolo uscio cho corrispondeva sul cimiterio, e che servisso o s’aprisse solo in caso di estremo bisogno. r (in) Queste sepolture furono votate e chiuso quando Leopoldo 1 proibì di seppellire nelle città. Nel 1780 quando si ridusse il locale allo stato presente furono tolte aitano, e sul nuovo cimitero s’incisero quattro lapide finto con ossi di morto per memoria delle antiche sepolture. Queste però servivano solo por gl’individui morti casualmente per via, poiché la sepoltura dei capi di guardia era come abbiamo dello in compagnia, e quella dei giornanti nell’oratorio del Bigallo. Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> 6gufohsscuipwa48kz0nxkropnb5bf7 Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/73 108 977563 3535102 3529852 2025-06-13T15:25:08Z Giaccai 13220 3535102 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XV.'''}} {{Capolettera|S|96pt}}i conservano ancora nella medesima compagnia due paci di mestnra di metallo nelle quali Santi di Tito dipinse la Misericordia che tiene sotto il suo manto cardinali, vescovi, principi c una moltitudine di altri fratelli (i). Questo stesso simancora in una coltre di color violetto, lavoro antico con l’arme della compagnia, come pure nella banda simile fatta con trina e contorno d’oro, la quale coltre viene messa fuori per la festa della purificazione, distesa sopra di un cataletto in mezzo di compagnia (n), e serve per segno della morte di qualche capo di guardia, mettendola quel giorno sopra di un’arca sulla porta di chiesa col segno sul guanciale del grado del defunto fratello. Serviva pure per coprire la ta bolo fu espresso [t) Queste due paci si conservano nella stanza del provveditore. In antico servivano per dar la paco ai fratelli; ma non saprei perchè il Landini ed il Becchi le dicano di mestnra, mentre non sono che due piccoli quadre^! ne’ quali è dipinto un Salvatore col seno aperto in cui tiene una figura esprimente la Misericordia, avente sotto il suo manto persone d ogni ceto. (irt Quest’uso, che per verità era molto ridicolo, di distendere in chiesa in giorno di festa solenne una coltre da morti fu tolto; e questa antichissima coltre è quella che anche oggi si mette sopra l’arca alla morte di un capo di guardia sulla porta di compagnia. La banda simile, divenuta inservibile, fu disfatta.<noinclude><references/></noinclude> 26yolu6xkblvji3cslultkuzyehcvnx Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/76 108 977564 3535103 3529853 2025-06-13T15:25:50Z Giaccai 13220 3535103 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XVI.'''}} 72 DESCRIZIONE DELLA NUOVA FABBRICA DELLA" COMPAGNIA CAPITOLO XVI. Splendei sacra aedes ma tori ornala datore. In misero* atra splendei al ilio magi s. {{Capolettera|A|96pt}}vendo io sin qui descritta l’antica fabbrica della compagnia con quanto altro si trovava in essa di più pregevole, prima di por termine all’istoria di questo pio istituto credo conveniente dare una descrizione della nuova fabbrica condotta a fine nel 20 gennaio 1782 e per la quale furono spesi più di sedici mila scudi come apparisce dai libri a campione di compagnia. Nè per tutto il tempo che vi volle per condurre a fine questa fabbrica cessarono i fratelli di prestarsi con zelo negli alti di carità sebbene ciò fosse con maggior loro incomodo. L’apertura della nuova chiesa fu fatta nel giorno della festa di S. Sebastiano, nella quale occasione fu rinnovata una bellissima muta di candelieri intagliati dal sottoprovveditore Romualdo >L", *>■ Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> lvink9amcruqtwbq2ftbyce8nyck3mn Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/82 108 977565 3535104 3529854 2025-06-13T15:26:30Z Giaccai 13220 3535104 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude> — 78 — {{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XVII.'''}} {{Capolettera|D|96pt}}ue magnifiche porte furono aperte sul nuovo cimitero sopra le quali si leggono incise le se 8 ucn ** iscrizioni, le quali ci ricordano e il principe munificente, ed il generoso largitore con la cui eredità quell’opera si compiva. Se tali esempi di frequente si rinnovassero le arti ne vantaggierebbero e di nuovi e preziosi monumenti si vedrebbero abbellite le nostre città. Sulla porta principale di chiesa D. 0. M. PETRVS LEOPOLDYS ARCIIIDVX AVSTRIAE M. E. D. FRANCISCI I. MED. DONVM MAGNIFICENTIORI EXTRVCTO OPERE CVMVLAVIT A. D. MDCCLXXXI Sulla porta principale dello spogliatoio D. 0. M. MISERICORDIAE S0DALIT1VM EX HAEREDITATE LAVRENTII OABBVOG1ANI APODTTERIVM HOC A FVNDAMENTIS AEDIFICAVIT A. D. MDCCLXXXI. Dall’antica facciata fu tolta (i) l’arme granducale, e le pitture indietro ricordate le quali però furono esattamente prima (■) La facciala oggi non offre alcuna particolarità tranne lo dne surriferite Terminati perù i lavori occorsi in occasione dell’allargamento ed allineamento di via de’ Calzaioli la facciata della compagnia, merefe lo zelo indefesso o l’attività del provvediloro sig. cav. arcidiacono Giuseppe Grazzini, resterà isolala, e sarà ■ una delle più bolle e regolari. Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> mnzp5p4uf9tkc0c4fmofnf0l8l761hb Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/85 108 977566 3535105 3529855 2025-06-13T15:27:05Z Giaccai 13220 3535105 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>— 81 — {{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XVIII.'''}} {{Capolettera|Q|96pt}}uesta nuova chiesa ora è lunga braccia trentasette con volta reale liscia, e più alta dell’antica mantenendo però l’antica larghezza: nel mezzo del pavimento vi resta tuttora l’antica lapida della sepoltura dei capi di guardia (i) sopra della quale si tengono sempre disposti dei cataletti per gli opportuni bisogni. Ai lati vi sono sei panche con inginoc (i) I ta Pattare o questa sepoltura ovvi quella dei fratelli Bonn il patrimonio dei quali fu lasciato alla compagnia dal cav. Gio. Battista Bonn ultimo di tal famiglia con la seguente iscrizione: Locvs srpvltvrae A lo. Bapt. P. Iosrphi kqvitis n Borisi Sycchiilli e VII io. dicembri* A. MDCCCX qvi CKNTI9 SVAB POSTREMA S SVBSTANT1AV OVSKM SVAM AD SODALITIVW S. M. MlSRRlCORDIAE PERTINERE CX TESTAMENTO IVSSIT I TP-MQ VE FRATRVVM IIVB Caroli senatori? iovitis priori* 0. S. Strph. «XI cal. aprili* A. MDCCCIX it Bonsi Pii in ardi mrtrop. canonici prarp.» XI CAL. saia* A. MDCCrf BT PRANCISCI ® V NONAS 0CT0BRIS A. DCCCI QVI OXNBS INTBGRITATR AVVIA AMORE PARI 14 Digitized by Googte<noinclude><references/></noinclude> isu2wpl2904fzro85kk685dzlzrw12y Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/89 108 977567 3535107 3529856 2025-06-13T15:28:01Z Giaccai 13220 3535107 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XIX.'''}} {{Capolettera|A|96pt}}i lati dell’altare vi sono due porte che scmbrano finte; dentro una di esse v’ò un comodo fi armadio in cui si conservano gli opportuni e necessari oggetti pel servizio di chiesa, l’altra • * -, ■ *” per un corto andito rimette alla scala della casa dei servi e conduce ancora in due comodi separati coretti, terminati nel mese di dicembre 1783 (i) unitamente alla stanza del nuovo archivio, le finestre dei quali corrispondono sul presbiterio di chiesa. Fiancheggiano la tribuna le due celebri pitture altrove descritte, cioè S. Tobia c S. Bastiano, che prima erano nell’antico altare di legno, ora riportate in due ovati dal professore Pacini c sopra le medesime ricorrono quattro finestre traforate accompagnate con finimento di pittura, le quali servono per comodo degli abitanti ed altri privati addetti a si nobil luogo. Nel cielo della tribuna v’eflìgiò il menzionato Pacini Tobia con il giovane Tobiolo, mentre dall’angiolo sono esortati alla pratica delle virtù sopradescritte accennando loro lo sfondo (i) 1 corcai piò alti incuoilo io comunicazione ii secondo piano delia casa dei servi ed il mezzanino dcll’attual casamento per mozzo d’un andito. Ciò fu ideato dallarchitcìio Diletti per comodo della compagina: poiché per quest’andito i servi potessero facilmente avvisare i fratelli che si tenevano di guardia nel mezzanino pe bisogni di notte quando dopo una cert’ora era proibito di sonar campane. ^ ^ Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> tsa4sxqdkk1kk28vc9blyn1mchrgybr Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/94 108 977568 3535108 3529866 2025-06-13T15:28:28Z Giaccai 13220 3535108 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>- 90 — {{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XX.'''}} {{Capolettera|D|96pt}}alla sinistra di questo altare si entra nel vecchio magazzino stato diviso in occasione della nuova fabbrica fino ad una certa altezza con un tramezzo di cui la metà ora serve per sagrestia, prendendo lume dall’altra stanza, detta dell’udienza. Circondano la nuova sagrestia vari armadi di più grandezze, ognuno dc’quali diviso in trenta cassette numerato nelle quali si conservano le vesti dei nobili. Dalla parte opposta v’è un’altro armadio diviso pur questo in sette casse su’di cui sportelli ve a ciascuna l’indicazione d’un giorno della settimana, c servono queste per riporvi ogni capo di guardia di quel giorno, la veste, rassegna, borsa c altro; ed in basso vi sono altri armadi in cui si conservano le cotte per gli ecclesiastici. Sopra del descritto armadio posa una piccola statua di marmo di Benedetto da Majano esprimente San Bastiano, già in altro luogo descritta<ref>La statua surriferita è quella clic resta accanto alla porta principale delio spogliatoio.</ref> dirimpetto al quale ve un altro grande armadio il quale serve per tenervi gli arredi sacri. Nella parete che resta in faccia alla porta di sagrestia sopra un vecchio banco riposa la maggior parte del vecchio altare mun-<noinclude><references/></noinclude> ayk4gjmbdlt8f51dv1y1fz2ar1drxts Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/98 108 977569 3535110 3529858 2025-06-13T15:29:20Z Giaccai 13220 3535110 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XXI.'''}} {{Capolettera|C|96pt}}rescendo il bisogno della compagnia a cagione dell’angustia del luogo fu comprata in seguito per nie/zo del senatore Cammillo Coppoli provvedi toc:, una casa di più piani che apparteneva a Francesco Caselli; come apparisce dal contratto rogato da scr Gio. Domenico Secchioni esistente nell’archivio della compagnia (i). Fu pertanto dal piano terreno da monsignore Albergali! si conserva nella stanza della do’ rinfreschi. Fra il ritrailo di Clemente XII e quello di Luca Dorsi vi fu collocala la Madonna della scuola di Andrea del Sano che formava la tavola dell’altare di chiesa. A destra di questo quadro Vè il ritrailo di Luca di Fiero Dorsi restauralo non è multo dal sig. Gaetano Bollicela, e dal medesimo giudicato di Francesco Granacci. Il provveditore Giuseppe lìnldorineM, di cui fu acquisto, fece dipingere in questo quadro da un tal Man fri ani un cataletto in atto di essere offerto dal ’Jorsi al crocifisso, non si ricordando che ai tempi del Borei usavano le zane, c che quando fu trovalo Fuso dei cataletti il Dorsi era già morto. Il catalogo generale dei capi di guardia diviso in due tabelle è cosi intitolato: / «Catalogo generale dei discreti e sari uomini della venerabile compagnia di S. Maria della Misericordia di Firenze, e dei capi di guardia della medesima e loro respetti c a elezione.» Incomincia dal 1338 e arriva Fino ai nostri giorni. (i) Questa casa era lamico albergo de) Leon Bianco, ed è oggi l’abitazione dei due servi e di uo porta. Destava al di quà del vicolo delle Oche, e fu acquisto fatto dalla compagnia prima elio il locale fosso ridotto allo stalo presente. Quando fu comprato il magazzino da cui fu levata la moderna sagrestia, la stanza del magistrato, e fu chiuso il vicolo surriferito, questa casa fu incorporata al resto del locale, e nella 7 stanza del provveditore fu aperta una porta che inette nella stanza del magistrato. Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> egu0w7z4kz7wdlt3urjluqdvdrug9wk Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/104 108 977570 3535112 3529859 2025-06-13T15:29:44Z Giaccai 13220 3535112 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>— 100 — ORDINAMENTO INTERNO DELLA COMPAGNIA DI FIRENZE {{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XXIII.'''}} {{Capolettera|L|96pt}}a compagnia della Misericordia è composta di setlanladue capi eli guardia, cd a questi si aggiungono cenlacinque fratelli delti giornanti() a forma dei capitoli della medesima, i quali sono obbligati di portarsi a far l’opera di carità di giorno e di notte e ad ogni cenno della campana, la quale è posta nel campanile del duomo, di non piccola gran (i) Il numero ilei giornanti secolari propriamente (letti, è oggi di centoseitantacinque, e sono chiamali giornanti perchè fanno il caritatevole ufizio distribuiti in venticinque per giorno. A questi se ne aggiungono altri detti soprannumeri distribuiti pure nei diversi giorni della settimana, che co’ primi formano il numero di quasi quaranta giornanti al giorno. Vi sono poi i giornanti di riposo, e sono coloro i quali o per l’età o per incomodi di salute sono stati dispensati dal sorvlgio ordinario. Infine v’è un numero di fratelli detti buone toglie che è illimitato. Alcuni di questi si dicono buone toglie giornanti, altri buone toglie semplici. Essi possono intervenire a faro le opero di carità a loro piacimento, ma non godono nè avanzamenti nè altri vantaggi riservati alle classi sopradette. Di tutti questi fratelli dinariamcnle il numero ascende a 702. L Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> dcv2kh0bcizcsk7ze7xp3mzzbwpzlpo Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/108 108 977571 3535113 3529860 2025-06-13T15:31:10Z Giaccai 13220 3535113 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" /></noinclude>— 101 — {{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XXIII.'''}} {{Capolettera|O|96pt}}ltre i giornanti secolari, vi sono annoverati sei sa cordoli per giorno cioè tre capi guardia e tre giornanti (i), ad eccezione della Domenica, poiché in questo giorno i sacerdoti capi di guardia non sono clic due essendo di venti il loro numero e questi pure in occasione di malattia possono goder -dei predetti benefìzi. Oltre questi sacerdoti sono ascritti pure alla compagnia molti cliorici ed altri sacerdoti col grado di straccia fogli, i quali pure prestano un continuo servizio col quale questi ultimi si rendono meritevoli di essere passati giornanti, e benché alcuno di essi abbia prestato poco servizio nel giorno destinatogli, può essere non ostante promosso al posto di capo di guardia (n). La cosa però cammina diversamente coi giornanti secolari, poiché uno di loro non può chiedere alla vacanza di qualche capo di guardia non statuale, se non abbia terminato anni otto di servizio in qualità di giornante; o senza un tal servizio non può essere mandato a partito per entrare i i l (i) / giornanti sacerdoti sono tre per Riorno. Gli altri che non hanno giorno assegnalo son detti giornanti aggregati, ed ognuno di questi presta per turno un erri ir io di quindici giorni nei quali i tenuto a portarsi alla compagnia in quelle fere in cni vi sia da trasportare qualche defunto alla stanza mortuaria. (it) Onde i saeerdoii giornanli possano alla vacanza domandare il posto di capo di guardia 6 necessario clic siano in attiviti, c fra i giornanli di giorno. Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> sdb7tr0owd8elohv9jkagyyyjxbsmde Wikisource:Bar/Archivio/2025.06 4 977597 3535175 3533066 2025-06-13T23:01:32Z MediaWiki message delivery 17789 /* Vote now in the 2025 U4C Election */ nuova sezione 3535175 wikitext text/x-wiki {{Bar}} == <span lang="en" dir="ltr">Tech News: 2025-23</span> == <div lang="en" dir="ltr"> <section begin="technews-2025-W23"/><div class="plainlinks"> Latest '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|tech news]]''' from the Wikimedia technical community. Please tell other users about these changes. Not all changes will affect you. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2025/23|Translations]] are available. '''Weekly highlight''' * The [[mw:Special:MyLanguage/Extension:Chart|Chart extension]] is now available on all Wikimedia wikis. Editors can use this new extension to create interactive data visualizations like bar, line, area, and pie charts. Charts are designed to replace many of the uses of the legacy [[mw:Special:MyLanguage/Extension:Graph|Graph extension]]. '''Updates for editors''' * It is now easier to configure automatic citations for your wiki within the visual editor's [[mw:Special:MyLanguage/Citoid/Enabling Citoid on your wiki|citation generator]]. Administrators can now set a default template by using the <code dir=ltr>_default</code> key in the local <bdi lang="en" dir="ltr">[[MediaWiki:Citoid-template-type-map.json]]</bdi> page ([[mw:Special:Diff/6969653/7646386|example diff]]). Setting this default will also help to future-proof your existing configurations when [[phab:T347823|new item types]] are added in the future. You can still set templates for individual item types as they will be preferred to the default template. [https://phabricator.wikimedia.org/T384709] * [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|class=skin-invert|Recurrent item]] View all {{formatnum:20}} community-submitted {{PLURAL:20|task|tasks}} that were [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Recently resolved community tasks|resolved last week]]. '''Updates for technical contributors''' * Starting the week of June 2, bots logging in using <code dir=ltr>action=login</code> or <code dir=ltr>action=clientlogin</code> will fail more often. This is because of stronger protections against suspicious logins. Bots using [[mw:Special:MyLanguage/Manual:Bot passwords|bot passwords]] or using a loginless authentication method such as [[mw:Special:MyLanguage/OAuth/Owner-only consumers|OAuth]] are not affected. If your bot is not using one of those, you should update it; using <code dir=ltr>action=login</code> without a bot password was deprecated [[listarchive:list/wikitech-l@lists.wikimedia.org/message/3EEMN7VQX5G7WMQI5K2GP5JC2336DPTD/|in 2016]]. For most bots, this only requires changing what password the bot uses. [https://phabricator.wikimedia.org/T395205] * From this week, Wikimedia wikis will allow ES2017 features in JavaScript code for official code, gadgets, and user scripts. The most visible feature of ES2017 is <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>async</code>/<code>await</code></bdi> syntax, allowing for easier-to-read code. Until this week, the platform only allowed up to ES2016, and a few months before that, up to ES2015. [https://phabricator.wikimedia.org/T381537] * [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|class=skin-invert|Recurrent item]] Detailed code updates later this week: [[mw:MediaWiki 1.45/wmf.4|MediaWiki]] '''Meetings and events''' * Scholarship applications to participate in the [[m:Special:MyLanguage/GLAM Wiki 2025|GLAM Wiki Conference 2025]] are now open. The conference will take place from 30 October to 1 November, in Lisbon, Portugal. GLAM contributors who lack the means to support their participation can [[m:Special:MyLanguage/GLAM Wiki 2025/Scholarships|apply here]]. Scholarship applications close on June 7th. '''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' prepared by [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|Tech News writers]] and posted by [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]]&nbsp;• [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribute]]&nbsp;• [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2025/23|Translate]]&nbsp;• [[m:Tech|Get help]]&nbsp;• [[m:Talk:Tech/News|Give feedback]]&nbsp;• [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Subscribe or unsubscribe]].'' </div><section end="technews-2025-W23"/> </div> <bdi lang="en" dir="ltr">[[User:MediaWiki message delivery|MediaWiki message delivery]]</bdi> 01:54, 3 giu 2025 (CEST) <!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=28819186 --> == itWikiCon 2025: fase di proposte per il programma aperta fino al 15 luglio == Ciao a tutti, dichiariamo ufficialmente aperta la raccolta di proposte di sessioni per '''[[m:ItWikiCon/2025|ItWikiCon 2025]]''', il convegno annuale della comunità italofona dei progetti Wikimedia che si terrà '''a Catania da venerdì 7 a domenica 9 novembre'''. Il programma dell’evento è costruito dal basso grazie a presentazioni, discussioni e laboratori proposti dalla comunità e selezionati dalla commissione Programma. La fase di proposte è ora aperta '''fino al 15 luglio incluso'''. Seguendo le istruzioni '''[[m:ItWikiCon/2025/Programma/Proposte|sulla pagina Proposte]]''' potete presentare una o più proposte di sessioni, talk o workshop che vi piacerebbe tenere durante l’evento. L'itWikiCon è lo spazio di incontro dal vivo delle comunità dei vari progetti Wikimedia in italiano e nelle lingue regionali. Vi invitiamo a proporre sessioni che aiutano a rafforzare il senso di comunità e la voglia di contribuire ai progetti, ma anche a identificare dei problemi e individuare delle soluzioni. Daremo la priorità alle sessioni in cui tutti i partecipanti sono parte attiva, come ad esempio discussioni e laboratori. Se cercate ispirazione, alcune '''richieste di temi''' sono state fatte sulla [[m:ItWikiCon/2025/Programma/Proposte/Temi|relativa pagina]], a cui potete liberamente attingere per elaborare una proposta. Inoltre, per chi non se la sente di tenere una sessione, ma vorrebbe che durante la conferenza si parlasse di un argomento che gli sta a cuore, è possibile continuare ad aggiungere delle richieste di temi fino al 15 luglio. La selezione delle proposte avverrà durante l’estate e i relatori saranno confermati a fine agosto. Nel frattempo, la fase di '''[[m:ItWikiCon/2025/Borse|richieste di borse di partecipazione]] sarà aperta dal 17 giugno al 27 luglio''', quindi se considerate di proporre una sessione per il programma, ma avete bisogno di supporto economico per raggiungere Catania, vi invitiamo a farne richiesta entro le scadenze previste. Per qualsiasi domanda o suggerimento, non esitare a scrivere un messaggio sulla pagina di discussione dell’evento o di contattarci a info(at)itwikicon.org. A presto, Il team organizzatore itWikiCon 2025 e la commissione Programma,[[User:Mastrocom|Mastrocom]] ([[User talk:Mastrocom|disc.]]) 11:52, 3 giu 2025 (CEST) == Categorie autori: bot fermo, andranno create a mano == Il mio [[Utente:CandalBot|bot]], che si occupava di creare le categorie per le pagine Autore ("Categoria:Testi di Tizio Caio" e simili), è fermo da una ventina di giorni. Hanno di nuovo cambiato qualcosa dall'alto, e adesso c'è un problema con la login che non riesco a risolvere. È probabile che resterà così a lungo, anzi temo che finirò per abbandonarlo del tutto. Quindi le categorie degli autori andranno create a mano. Se vedete un link rosso nel riquadro dell'autore (esempio su [[Autore:Arturo Onofri]]), cliccateci e dovrebbe venire pre-popolato con un qualcosa che dovrebbe essere già abbastanza sensato (ma controllate prima di salvare!). [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 10:28, 6 giu 2025 (CEST) :@[[Utente:Candalua|Candalua]] Che nostalgia dei vecchi tempi, quando anche un eterno principiante della programmazione come me ce la faceva.... :-(. Mi spiace molto. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 23:27, 6 giu 2025 (CEST) == <span lang="en" dir="ltr">Tech News: 2025-24</span> == <div lang="en" dir="ltr"> <section begin="technews-2025-W24"/><div class="plainlinks"> Latest '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|tech news]]''' from the Wikimedia technical community. Please tell other users about these changes. Not all changes will affect you. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2025/24|Translations]] are available. '''Weekly highlight''' * The [[mw:Special:MyLanguage/Trust and Safety Product|Trust and Safety Product team]] is finalizing work needed to roll out [[mw:Special:MyLanguage/Trust and Safety Product/Temporary Accounts|temporary accounts]] on large Wikipedias later this month. The team has worked with stewards and other users with extended rights to predict and address many use cases that may arise on larger wikis, so that community members can continue to effectively moderate and patrol temporary accounts. This will be the second of three phases of deployment – the last one will take place in September at the earliest. For more information about the recent developments on the project, [[mw:Special:MyLanguage/Trust and Safety Product/Temporary Accounts/Updates|see this update]]. If you have any comments or questions, write on the [[mw:Talk:Trust and Safety Product/Temporary Accounts|talk page]], and [[m:Event:CEE Catch up Nr. 10 (June 2025)|join a CEE Catch Up]] this Tuesday. '''Updates for editors''' * [[File:Octicons-gift.svg|12px|link=|class=skin-invert|Wishlist item]] The [[mw:Special:MyLanguage/Help:Watchlist expiry|watchlist expiry]] feature allows editors to watch pages for a limited period of time. After that period, the page is automatically removed from your watchlist. Starting this week, you can set a preference for the default period of time to watch pages. The [[Special:Preferences#mw-prefsection-watchlist-pageswatchlist|preferences]] also allow you to set different default watch periods for editing existing pages, pages you create, and when using rollback. [https://phabricator.wikimedia.org/T265716] [[File:Talk pages default look (April 2023).jpg|thumb|alt=Screenshot of the visual improvements made on talk pages|Example of a talk page with the new design, in French.]] * The appearance of talk pages will change at almost all Wikipedias ([[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2024/19|some]] have already received this design change, [[phab:T379264|a few]] will get these changes later). You can read details about the changes [[diffblog:2024/05/02/making-talk-pages-better-for-everyone/|on ''Diff'']]. It is possible to opt out of these changes [[Special:Preferences#mw-prefsection-editing-discussion|in user preferences]] ("{{int:discussiontools-preference-visualenhancements}}"). [https://phabricator.wikimedia.org/T319146][https://phabricator.wikimedia.org/T392121] * Users with specific extended rights (including administrators, bureaucrats, checkusers, oversighters, and stewards) can now have IP addresses of all temporary accounts [[phab:T358853|revealed automatically]] during time-limited periods where they need to combat high-speed account-hopping vandalism. This feature was requested by stewards. [https://phabricator.wikimedia.org/T386492] * This week, the Moderator Tools and Machine Learning teams will continue the rollout of [[mw:Special:MyLanguage/2025 RecentChanges Language Agnostic Revert Risk Filtering|a new filter to Recent Changes]], releasing it to several more Wikipedias. This filter utilizes the Revert Risk model, which was created by the Research team, to highlight edits that are likely to be reverted and help Recent Changes patrollers identify potentially problematic contributions. The feature will be rolled out to the following Wikipedias: {{int:project-localized-name-afwiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-bewiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-bnwiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-cywiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-hawwiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-iswiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-kkwiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-simplewiki/en}}{{int:comma-separator/en}}{{int:project-localized-name-trwiki/en}}. The rollout will continue in the coming weeks to include [[mw:Special:MyLanguage/2025 RecentChanges Language Agnostic Revert Risk Filtering|the rest of the Wikipedias in this project]]. [https://phabricator.wikimedia.org/T391964] * [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|class=skin-invert|Recurrent item]] View all {{formatnum:27}} community-submitted {{PLURAL:27|task|tasks}} that were [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Recently resolved community tasks|resolved last week]]. '''Updates for technical contributors''' * AbuseFilter editors active on Meta-Wiki and large Wikipedias are kindly asked to update AbuseFilter to make it compatible with temporary accounts. A link to the instructions and the private lists of filters needing verification are [[phab:T369611|available on Phabricator]]. * Lua modules now have access to the name of a page's associated thumbnail image, and on [https://gerrit.wikimedia.org/g/operations/mediawiki-config/+/2e4ab14aa15bb95568f9c07dd777065901eb2126/wmf-config/InitialiseSettings.php#10849 some wikis] to the WikiProject assessment information. This is possible using two new properties on [[mw:Special:MyLanguage/Extension:Scribunto/Lua reference manual#added-by-extensions|mw.title objects]], named <code dir=ltr>pageImage</code> and <code dir=ltr>pageAssessments</code>. [https://phabricator.wikimedia.org/T131911][https://phabricator.wikimedia.org/T380122] * [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|class=skin-invert|Recurrent item]] Detailed code updates later this week: [[mw:MediaWiki 1.45/wmf.5|MediaWiki]] '''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' prepared by [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|Tech News writers]] and posted by [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]]&nbsp;• [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribute]]&nbsp;• [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2025/24|Translate]]&nbsp;• [[m:Tech|Get help]]&nbsp;• [[m:Talk:Tech/News|Give feedback]]&nbsp;• [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Subscribe or unsubscribe]].'' </div><section end="technews-2025-W24"/> </div> <bdi lang="en" dir="ltr">[[User:MediaWiki message delivery|MediaWiki message delivery]]</bdi> 03:16, 10 giu 2025 (CEST) <!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=28846858 --> == Vote now in the 2025 U4C Election == <div lang="en" dir="ltr" class="mw-content-ltr"> Apologies for writing in English. {{Int:Please-translate}} Eligible voters are asked to participate in the 2025 [[m:Special:MyLanguage/Universal_Code_of_Conduct/Coordinating_Committee|Universal Code of Conduct Coordinating Committee]] election. More information–including an eligibility check, voting process information, candidate information, and a link to the vote–are available on Meta at the [[m:Special:MyLanguage/Universal_Code_of_Conduct/Coordinating_Committee/Election/2025|2025 Election information page]]. The vote closes on 17 June 2025 at [https://zonestamp.toolforge.org/1750161600 12:00 UTC]. Please vote if your account is eligible. Results will be available by 1 July 2025. -- In cooperation with the U4C, [[m:User:Keegan (WMF)|Keegan (WMF)]] ([[m:User talk:Keegan (WMF)|talk]]) 01:01, 14 giu 2025 (CEST) </div> <!-- Messaggio inviato da User:Keegan (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Distribution_list/Global_message_delivery&oldid=28848819 --> q2jmxp4n61eex475eona5obh0js29pf Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/317 108 977603 3535134 3529915 2025-06-13T16:32:28Z Cor74 73742 3535134 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|251}}</noinclude><section begin="s1" />questo sano vestimento, mettiti nelle mani del tuo Sposo eterno; e nella su:i Volontà ti metti, ohe ne faccia e disfaccia quello ohe sia suo onore e meglio di te. Altro non dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.<section end="s1" /> <div class="titolo"><p> LV. - ''Al Venerabile Religioso D. Guglielmo<ref>Guglielmo Rainaudo, vigesimoquinto priore generale di Certosa; nel 1367 succedette ad Elzeario Grimoaldi, che alcumi fanno nepote ad Urbano papa quinto; che governò per anni trentacinque. Rifiutò il titolo d’abate generale proffertogli dal papa, e il grado di cardinale, e la dispensa a’ suoi monaci dall’assistenza delle carni in caso d’inlerraità. Aderì a Clemente e allo scisma; e, come Generale, lo ordinò a’ suoi religiosi; ma questi ne’ paesi tenutisi in fede d’Urbano, non gli diedero retta, e tennero nuovo capitolo, e, approvante Urbano, si elessero a visitatore generale Giovanni di Bar. Rainando fu scomunicato; e Bonifazio IX poi lo depose. Ma que’ paesi, che aderivano a Clemente, lo tennero generale fino alla morte sua: e per lo scisma gli succedette Bonifacio Ferreri, I rateilo di San Vincenzo, il quale Vincenzo per la lontananza ignaro de’ fatti, e turbato nel suo retto giudizio dai clamori e dalle passioni e dai mali esempii di parecchi uomini dell’una e dell’altra parte, parve non riconoscere la legittima elezione di Roma. Nel 1410 il Alaconi, diletto discepolo di Caterina, giunse a concigliare i due generali; e, rinunziando essi insieme alla dignità, un nuovo capo elessero all’ordine concordemente</ref>. Priore Generale dell’Ordine della Certosa.'' </p></div> <div class="sottotitolo"><p> L'intelletto nutrito dalla memoria, nutrisce l’affetto. L’amore attinto dal sangue di Gesù Cristo non si turba per battaglie di dolore, ma ne trae alti diletti. Il governare un’angoscia di per se. Chi regge non perda l'opportunità del presente per timori fantastici. Cristo è modello reale d’un idealo supremo. Il prelato sia coraggioso, giusto con misericordia, elegga reggitori buoni, stia al loro consiglio. Nota l’ignoranza de’ religiosi, chiede scusa della propria ignoranza. </p></div> Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel<noinclude><references/></noinclude> e9nvvantn3ha2sv7vmlqxxyp8zvorf6 3535136 3535134 2025-06-13T16:32:51Z Cor74 73742 3535136 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|251}}</noinclude><section begin="s1" />questo sano vestimento, mettiti nelle mani del tuo Sposo eterno; e nella sua Volontà ti metti, ohe ne faccia e disfaccia quello ohe sia suo onore e meglio di te. Altro non dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.<section end="s1" /> <div class="titolo"><p> LV. - ''Al Venerabile Religioso D. Guglielmo<ref>Guglielmo Rainaudo, vigesimoquinto priore generale di Certosa; nel 1367 succedette ad Elzeario Grimoaldi, che alcumi fanno nepote ad Urbano papa quinto; che governò per anni trentacinque. Rifiutò il titolo d’abate generale proffertogli dal papa, e il grado di cardinale, e la dispensa a’ suoi monaci dall’assistenza delle carni in caso d’inlerraità. Aderì a Clemente e allo scisma; e, come Generale, lo ordinò a’ suoi religiosi; ma questi ne’ paesi tenutisi in fede d’Urbano, non gli diedero retta, e tennero nuovo capitolo, e, approvante Urbano, si elessero a visitatore generale Giovanni di Bar. Rainando fu scomunicato; e Bonifazio IX poi lo depose. Ma que’ paesi, che aderivano a Clemente, lo tennero generale fino alla morte sua: e per lo scisma gli succedette Bonifacio Ferreri, I rateilo di San Vincenzo, il quale Vincenzo per la lontananza ignaro de’ fatti, e turbato nel suo retto giudizio dai clamori e dalle passioni e dai mali esempii di parecchi uomini dell’una e dell’altra parte, parve non riconoscere la legittima elezione di Roma. Nel 1410 il Alaconi, diletto discepolo di Caterina, giunse a concigliare i due generali; e, rinunziando essi insieme alla dignità, un nuovo capo elessero all’ordine concordemente</ref>. Priore Generale dell’Ordine della Certosa.'' </p></div> <div class="sottotitolo"><p> L'intelletto nutrito dalla memoria, nutrisce l’affetto. L’amore attinto dal sangue di Gesù Cristo non si turba per battaglie di dolore, ma ne trae alti diletti. Il governare un’angoscia di per se. Chi regge non perda l'opportunità del presente per timori fantastici. Cristo è modello reale d’un idealo supremo. Il prelato sia coraggioso, giusto con misericordia, elegga reggitori buoni, stia al loro consiglio. Nota l’ignoranza de’ religiosi, chiede scusa della propria ignoranza. </p></div> Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel<noinclude><references/></noinclude> 9o55rkbb9ekao3ckft44yivf7v7nxwo Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/219 108 977626 3534941 3534777 2025-06-13T12:37:13Z Cor74 73742 3534941 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|155}}</noinclude>dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi quello pastore buono e virile, che pasciate e governiate con sollicitudine perfetta le pecorelle a voi commesse, imparando dal dolce Maestro della Verità, che ha posta la vita per noi pecorelle che eravamo fuore della via della Grazia. È vero, dolcissimo fratello in Cristo dolce Gesù, che questo non potete fare senza Iddio, e Iddio non potiamo avere nella terra; ma un dolce rimedio ci veggo: che,''essendo con cuore basso e piccolo, voglio che facciate come Zaccheo, che, essendo piccolo, salì sull’arbore per vedere <ref follow="pag154">Benedettini, Certosini, Vallombrosani. San Benedetto ordinò che, per evitare la famigliarità soverchia, al nome de’ monaci aggiungessesi un qualche titolo, che i giovani chiamassero i superiori ''padre'' o abate (che in siriaco vale padre), e gli altri maggiori, nonni: e nonne fin dal tempo di San Girolamo dicevansi le religiose, titolo nella lingua francese vivo. I Greci chiamano JtaJtJtO il nonno; ch’è affine a ''babbo'' e a ''papa''; e papi chiamavansi nel terzo secolo i vescovi. Di qui forse l’ingiunzione di San Benedetto. Altri, li vuole chiamati ''noni'', come i nove soggetti al decano; titolo che vale tuttavia superiore, anco che gli altri siano più di dieci; ossivvero che ''nono'' dicessesi qualche vien dopo il decano, secondo in dignità. Col tempo il nonno ai più vecchi e il ''fratello'' ai più giovani, smessesi; e tutti i Benedettini s’intitolarono ''don''è, che i Francesi scrivono dom: e il Burlamacchi io vuole scorcio d’umiltà, per non si dare del ''donno''. Interpretazione troppo argutamente benigna; giacché meglio era non assumere la signoria, neanche contratta. E chi sa da che antichi tempi contraevasi ''dominus'', se in Omero abbiamo ''do'', come le ciane dicono ''ca''? Senonchè gli Olivetani, sorti nel 1319, presero il più umile contratto: ''fra, frate, fratello''. Nel 1544 il cardinale del Monte, poi Giulio III, protettore dell’Ordine, lece che Paolo III (il quale pare non avesse da dar le sue cure che al ''fra'' ed ai Farnese) ordinasse per santa obbedienza agli Olivetani intitolarsi ''domini'', non fare scandalo. Priore chiama qui Caterina il superiore di questo Monastero, perchè fondato di fresco, e abati intitolavansi quelli nelle Badie antiche e medie. Ma poi tutti furono abati; e chi governava invece dell’abate, priore o vicario; e l’abate del Monastero maggiore (ch’era la capitale dell’Ordine), vicario generale. Così, i gradi minori fregiandosi di più pomposo titolo, al maggiore scemava lustro; e così vanno sempre le cose. ''Omnia vanitas''.</ref><noinclude><references/></noinclude> sj86gfbhhdp8g7wna65jbhp45oc8jv7 3534963 3534941 2025-06-13T13:02:05Z Cor74 73742 3534963 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|155}}</noinclude>dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi quello pastore buono e virile, che pasciate e governiate con sollicitudine perfetta le pecorelle a voi commesse, imparando dal dolce Maestro della Verità, che ha posta la vita per noi pecorelle che eravamo fuore della via della Grazia. È vero, dolcissimo fratello in Cristo dolce Gesù, che questo non potete fare senza Iddio, e Iddio non potiamo avere nella terra; ma un dolce rimedio ci veggo: che, essendo con cuore basso e piccolo, voglio che facciate come Zaccheo, che, essendo piccolo, salì sull’arbore per vedere <ref follow="pag154">Benedettini, Certosini, Vallombrosani. San Benedetto ordinò che, per evitare la famigliarità soverchia, al nome de’ monaci aggiungessesi un qualche titolo, che i giovani chiamassero i superiori ''padre'' o abate (che in siriaco vale padre), e gli altri maggiori, nonni: e nonne fin dal tempo di San Girolamo dicevansi le religiose, titolo nella lingua francese vivo. I Greci chiamano JtaJtJtO il nonno; ch’è affine a ''babbo'' e a ''papa''; e papi chiamavansi nel terzo secolo i vescovi. Di qui forse l’ingiunzione di San Benedetto. Altri, li vuole chiamati ''noni'', come i nove soggetti al decano; titolo che vale tuttavia superiore, anco che gli altri siano più di dieci; ossivvero che ''nono'' dicessesi qualche vien dopo il decano, secondo in dignità. Col tempo il nonno ai più vecchi e il ''fratello'' ai più giovani, smessesi; e tutti i Benedettini s’intitolarono ''don''è, che i Francesi scrivono dom: e il Burlamacchi io vuole scorcio d’umiltà, per non si dare del ''donno''. Interpretazione troppo argutamente benigna; giacché meglio era non assumere la signoria, neanche contratta. E chi sa da che antichi tempi contraevasi ''dominus'', se in Omero abbiamo ''do'', come le ciane dicono ''ca''? Senonchè gli Olivetani, sorti nel 1319, presero il più umile contratto: ''fra, frate, fratello''. Nel 1544 il cardinale del Monte, poi Giulio III, protettore dell’Ordine, lece che Paolo III (il quale pare non avesse da dar le sue cure che al ''fra'' ed ai Farnese) ordinasse per santa obbedienza agli Olivetani intitolarsi ''domini'', non fare scandalo. Priore chiama qui Caterina il superiore di questo Monastero, perchè fondato di fresco, e abati intitolavansi quelli nelle Badie antiche e medie. Ma poi tutti furono abati; e chi governava invece dell’abate, priore o vicario; e l’abate del Monastero maggiore (ch’era la capitale dell’Ordine), vicario generale. Così, i gradi minori fregiandosi di più pomposo titolo, al maggiore scemava lustro; e così vanno sempre le cose. ''Omnia vanitas''.</ref><noinclude><references/></noinclude> hxzvmv6a4mmj2y0ysgnft27h0mnvnae Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/220 108 977627 3534940 3530957 2025-06-13T12:35:17Z Cor74 73742 3534940 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|156|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>Dio. Per la quale sollicitudine meritò d’udire quella dolce parola, dicendo:<ref>Per ''dicente'': modo del tempo.</ref> «Zaccheo, vattene alla tua casa; che oggi è di bisogno che io mangi con teco». Così doviamo fare noi: che essendo noi bassi, con stretto cuore e poca carità, noi saliamo in sull'arbore della santissima croce. Ine vedremo e toccheremo<ref>Pare accenni al ''«Noli me tangere: Nondum enim ascendi ad Patrem meum et Patrem vestrum, ad Deum meum et Deum vestrum»''. Pare intenda che non e’ è vero contatto d’unione altro che spirituale. E infatti ai fisici è mistero il moto e la comunicazione del moto, l’impulso e la compenetrazione e l’impenetrabilità. Da questa ardita parola della popolana senese ha forse nuova illustrazione la parola del Verbo di Dio.</ref> Iddio: ine troveremo il fuoco della sua inestimabile carità e amore, il quale l’ha fatto correre infino agli obbrobrii della croce, levato in alto, affamato e assetato di sete<ref>Dante: ''«Sete del deiforme regno»''.</ref> dell’onore del padre e della salute nostra. Ecco dunque il nostro dolce e buono pastore, che ha posta la vita con tanto affamato desiderio e affocato amore, non ragguardando alle pene sue, né alla nostra ignoranzia e ingratitudine di tanto beneficio, nè a rimproveri de’ Giudei; ma, come innamorato, ubbidiente al Padre con grandissima reverenzia. Bene si può adunque, se noi vorremo, adempire in noi quella parola (se la nostra negligenzia non ci trae) salendo in su l’arbore, siccome disse la dolce bocca della verità: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me». E veramente così è che l’anima che ci è salita, vede versare <ref>''Versare'', assoluto, vive; ed è bella imagine, vedere dall’alto della croce la fonte che scende della Grazia e della parola.</ref> la bontà e potenzia<ref name="page156">Dante: <poem>''«La sapienza e la possanza'' ''Che aprì le strade tra il cielo e la terra».''</poem> La redenzione per la incarnazione, e quindi per la comunione de’ dolori</ref> del padre, per la quale poten-<noinclude><references/></noinclude> 58k6wbdr6md8pnc8g6v290iadejvz5h Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/221 108 977629 3534942 3530956 2025-06-13T12:38:57Z Cor74 73742 3534942 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|157}}</noinclude>zia ha data virtù al sangue del Figliuolo di Dio di lavare le nostre iniquitadi. Ine vediamo l’obedienzia di disto crocifisso, che, per obedire, muore; e fa questa obedienzia con tanto desiderio, che maggiore gli è la pena del desiderio, che la pena del corpo. Vedesi la clemenzia e l’abbondanzia dello Spirito Santo; cioè quello amore ineffabile che ’l tenne confitto in sul legno della santissima croce, che ne chiovi né fune l’avrebbe potuto tenere legato se il legame della Carità non fusse. Ben sarebbe cuore di diamante, che non dissolvesse la sua durizia a tanto smisurato amore. E veramente il cuore vulnerato di questa saetta, si leva<ref>Bello che la ferita lo faccia forte e presto a levarsi. Più bello che in Virgilio: ''«Qualis conjecta cerva sagitta... illa fuga saltus silvasque peragrat»''</ref> su con tutta sua forza: e non tanto è l’uomo in sé mondo, ma é monda l’anima, per la quale Dio ha fatto ogni cosa. <ref>Non chiaro. Pare intenda: da sé non ha il bene, ma lo riceve da questa sanatrice ferita d’amore. Ovvero: non in tutto l’umana natura è perfettamente purificata dalla Redenzione, ma l’anima, la quale può quindi resistere al senso corrotto.</ref> E se mi diceste: «io non posso salire, perocché esso é molto in alto» dicovi, che egli ha fatti gli scaloni<ref>Per ''scalino'', vive in qualche paese toscano.</ref> nel corpo suo. Levate l’affetto a’ piedi del Figliuolo di Dio, e salite, al cuore che é aperto e consumato per noi; e giugnerete alla pace della bocca sua, e diventerete gustatore e mangiatore dell’anime; e così sarete vero pastore, che porrete la vita per le pecorelle vostre. Fate che sempre abbiate l’occhio sopra di loro acciocché il vizio sia stirpato; e piantatavi la virtù. <ref follow="page156">e de’ meriti operata anco per mezzi sensibili, è più splendida prova di potenza, che la creazione stessa: il qual sublime concetto è novella dimostrazione della divinità del principio che noi crediamo</ref><noinclude><references/></noinclude> 5b581s0r071nseeg5fpd6nkdivbs1s7 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/222 108 977632 3534943 3530958 2025-06-13T12:39:33Z Cor74 73742 3534943 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|158|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>E io vi mando due altre pecorelle: <ref>Non li manda a’ suoi Domenicani, perchè non vuol parere avida conquistatrice, e perchè rispetta le varie vocazioni; e insegna la tolleranza a noialtri liberali arrabbiati. Oli Olivetani a quel tempo avevano fama di soda virtù; e Urbano Vii aveva chiamati specchio di osservanza; e furono eletti a rimettere in regola Montecassino, e perciò stesso tennero non piccol tempo in Padova l’illustre Monastero di Santa Giustina, il quale a’ tempi nostri si onorava di quel gentile ingegno di Placido Talia, che ora vive nelle solitudine di Fraglia l’onoranda vecchiezza.</ref> date a loro l'agio della cella e dello studio:<ref>Allora gli Olivetani attendevano all’orazione in comune e solitaria, a opere pie, a fatiche di mano: nel cinquecento si diedero agli studi con onore. Ma un padre abate Olivetano, nella giovinezza mia vecchio, per confortarmi allo studio, con gravità benigna diceva: ''tibi aras, tibi ocoas'', dice Virgilio. Il Rosmini, presente, non potè tenere il sorriso: io stetti serio. L’umile donna chiedeva anco agli Ordini non dati alla scienza, acquistassero scienza, si facessero anche così autorevoli al mondo, valenti ministri di Dio; trapassassero per questo fine la regola santamente.</ref> perocché sono due pecorelle le quali nutricherete senza fatiga, e averetene grande allegrezza e consolazione. Altro non vi dico. Confortatevi insieme, legandovi col vincolo della carità, sagliendo in su quello arbore santissimo dove si riposano<ref>Bello il riposare de’ frutti. Il vento delle passioni e della vanità non li scuote né getta a terra immaturi</ref> i frutti delle virtù, maturi sopra al corpo del Figliuolo di Dio. Correte con sollicitudine. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.<noinclude><references/></noinclude> 7a5yqs24k8s78jphuh4b9duvj08wgbs Indice:Jacini - Frammenti dell'inchiesta agraria, 1884.djvu 110 978076 3535167 3532411 2025-06-13T18:29:22Z Carlomorino 42 3535167 proofread-index text/x-wiki {{:MediaWiki:Proofreadpage_index_template |Autore=Stefano Jacini |NomePagina=Frammenti dell'inchiesta agraria |Titolo= |TitoloOriginale= |Sottotitolo= |LinguaOriginale= |Lingua= |Traduttore= |Illustratore= |Curatore= |Editore= |Città=Roma |Anno=1883 |Fonte={{IA|frammentidellin00jacigoog.djvu}} |Immagine=4 |Progetto= |Argomento= |Qualità=25% |Pagine=<pagelist 1to3=- 4=1 329to335=- /> |Sommario={{Indice sommario|nome= Frammenti dell'inchiesta agraria/Il problema agrario in Italia e l'Inchiesta | titolo=Il problema agrario in Italia e l'Inchiesta | from=8 |delta= 3 }} {{Indice sommario|nome= Frammenti dell'inchiesta agraria/Generalità sull'Italia agricola | titolo=Generalità sull'Italia agricola | from=58 |delta= 3 }} {{Indice sommario|nome= Frammenti dell'inchiesta agraria/Relazione sulle condizioni dell'agricoltura e degli agricoltori in Lombardia | titolo=Relazione sulle condizioni dell'agricoltura e degli agricoltori in Lombardia | from=62 |delta= 3 }} {{Indice sommario|nome= Frammenti dell'inchiesta agraria/Avvertenza | titolo=Avvertenza | from=84 |delta= 3 }} {{Indice sommario|nome= Frammenti dell'inchiesta agraria/Le regioni agrarie nella X circoscrizione | titolo=Le regioni agrarie nella X circoscrizione | from=88 |delta= 3 }} <!--a {{Indice sommario|nome= Frammenti dell'inchiesta agraria/Le regioni agrarie nella X circoscrizione | titolo=Le regioni agrarie nella X circoscrizione | from=88 |delta= 3 }} |- |''Avvertenza'' ||81 |- |Le regioni agrarie nella X circoscrizione ||85 |- |{{Sc|Parte prima}}. La regione delle montagne|| 89 |- |{{Sc|Parte seconda}}. La regione delle colline e dell'altipiano|| 147 |- |{{Sc|Parte terza}}. La regione della bassa pianura ||211 |- |{{Sc|Parte quarta}}. Conclusioni, desideri e proposte {{!}}{{!}}297 {{!}}Correlazione fra la divisione dell'istruttoria per regioni agrarie, e la pubblicazione dei relativi documenti {{!}}{{!}}319 {{!}}Elenco delle monografie dovute all'iniziativa della Giunta per l'Inchiesta agraria, compilate secondo il suo programma-questionario relative a territori compresi nella X circoscrizione, e state premiate o giudicate degne d'incoraggiamento{{!}}{{!}} 321 {{!}}} --> |Volumi= |Note= |Css= }} pjhc208sjmxkff2vcr5dvjvvzhaxora Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/146 108 978105 3535156 3532681 2025-06-13T18:02:54Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535156 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|4|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} {{Sc|Acri}}, vinta dal soldano. {{Pg|353|II. 353|c2}}. {{Sc|Adimari}}, dove abitavano. {{Pg|170|I. 170|c1}} — son combattuti dal popolo e vinti, e dove erano le loro case. A {{Pg|66|VII. 66|c7}}. — erano i più virili arditi e possenti grandi di Firenze di qua capo da Arno. {{Pg|67|''Ivi'', 67|c7}}. {{Sc|Adimari}}, Antonio di od Baldinaccio, si fa di popolo, {{Pg|59|VII. 59|c7}}. {{Sc|Adimari}}, Tegghiaio Aldobrandi degli, dis suade invano i Fiorentini dall’impresa di Siena. {{Pg|107|II. 107|c2}}. — suo rimproccio allo Spedito. {{Pg|116|''Ivi'', 116|c2}}. {{Sc|Adoardo}} I. re d’Inghilterra, fa accordo col re di Francia. {{Pg|115|III. 115|c3}}. — quando morì. {{Pg|169|''Ivi'', 169|c3}}. {{Sc|Adoardo}} II. re d’Inghilterra, si ritira in Scozia per contrastare l’armata della reina Isabella sua moglie. {{Pg|15|V. 15|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} — assediato in Guales, sopra una barchetta si dirige in Irlanda col Dispensiere. {{Pg|16|''Ivi'', 16|c5}}. — il vento gli ritorna in Guales, e ivi son presi. {{Pg|17|''Ivi'', 17|c5}}. — suo grand’animo: piuttosto vuol rimaner prigione che regnare perdonando alla moglie. {{Pg|18|''Ivi'', 18|c5}}. — è fatto morire. {{Pg|18|''Ivi''|c5}}. {{Sc|Adoardo}} III. re d’Inghilterra, fa impiccare il conte di Lancastro ed altri baroni. {{Pg|132|IV. 132|c4}}. — fa pace col re di Francia, cedendogli la Guascogna. {{Pg|276|''Ivi'', 276|c4}}. — quando e come eletto. {{Pg|18|V. 18|c5}}. — ha guerra con i gli Scotti. {{Pg|53|''Ivi'', 53|c5}}. — fa pace col re di Scozia. {{Pg|101|''Ivi'', 101|c5}}. — fa tagliare la testa al conte di Cantibiera suo zio, e fa impiccare il Mortimiere. {{Pg|195|''Ivi'', 195|c5}}.<noinclude></noinclude> exhi5hvvlfy0c9ixggtx3z1j6oyvup7 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/147 108 978106 3535157 3532682 2025-06-13T18:05:42Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535157 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|5}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — sconfigge gli Scotti a Vervicche. {{Pg|278|V. 278|c5}}. — per quali motivi muove guerra al re Filippo di Francia. {{Pg|114|VI. 114|c6}}. — s’allega col Bavaro. {{Pg|115|''Ivi'', 115|c6}}. — viene in Brabante, e tiene più parlamenti col legato. {{Pg|164|''Ivi'', 164|c6}}. — comincia guerra co’ collegati contro il re di Francia. {{Pg|165|''Ivi'', 165|c6}}. — sfida a battaglia il re di Francia, accetta il guanto, e si disciolgono le due armate. {{Pg|168|''Ivi'', 168|c6}}. — ricomincia guerra al redi Francia, facendosi egli stesso appellare in tal guisa. {{Pg|204|''Ivi'', 204|c6}}. — sconfigge in mare l’armata del re di Francia. {{Pg|206|''Ivi'', 206|c6}}. — dopo la sconfitta scende a terra con sua gente, e ordina generale oste a Tornai. ''Ivi6'',208. — per quali cagioni fa tregua col re di Francia. {{Pg|209|''Ivi'', 209|c6}}, 210. {{altraColonna|em=-1}} — si parte di Fiandra e va in Inghilterra, dove fa prendere i suoi tesorieri, e toglier loro i denari trafugati. {{Pg|210|VI. 210|c6}}. — suoi nuovi apparecchiamenti per la guerra contro il re di Francia. {{Pg|118|VII. 118|c7}}. — passa in Fiandra, e ritorna poi in Inghilterra. {{Pg|119|''Ivi'', 119|c7}}. — quali ragioni diceva d’avere per far la guerra al re di Francia e riconquistare il regno. {{Pg|155|''Ivi'', 155|c7}}. — invade colla sua numerosa armata la Normandia. {{Pg|156|''Ivi'', 156|c7}}. — sua fortuna nel conquistare le terre e città di Normandia.{{Pg|156|''Ivi'', 156|c7}}. e seg. — va verso Parigi, ardendo molte città e campagne. {{Pg|159|''Ivi'', 159|c7}}. — si parte da Pusci, e va ad Albavilla per unirsi a’ Fiamminghi. {{Pg|160|''Ivi'', 160|c7}}. e seg. — sua gente si trova a<noinclude></noinclude> 5n5lhwqs59ogkg2xviv9smde0ucbt2o Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/148 108 978107 3535158 3532690 2025-06-13T18:07:57Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535158 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|6|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}gran pericolo di vittuaglia, e come felicemente riuscisse. {{Pg|162|VII. 162|c7}}. — s’accampa e si trincera tra Crecì e Albavilla in Ponti. ''Ivi7'', 163. — gran vittoria che riporta a Crecì sopra re Filippo di Francia. ''Ivi7'', 167. — si pone all’assedio a Calese. ''Ivi7'', 171. — viene in Fiandra, e ordina lega co’ Fiamminghi contro il re di Francia. ''Ivi7'', 202. — prende il navilio del re di Francia destinato a fornire Calese. ''Ivi7'', 213. — prende dopo lungo assedio Calese, e vuol farne impiccare i terrazzani. ''Ivi7'', 217. — fa pace a suo pro col re di Francia fino a san Giovanni. ''Ivi7'', 218. — è eletto imperadore dagli elettori della Magna, e come si sospenda l’elezione. ''Ivi7'', 236. {{altraColonna|em=-1}} {{Sc|Adriano}} V. sua elezione e morte. {{Pg|221|II. 221|c2}}. {{Sc|Affrica}}, e suoi confini. {{Pg|5|I. 5|c1}}. {{Sc|Agrippa}} Silvio. {{Pg|35|I. 35|c1}} {{Sc|Agusta}}, castello in Lucca. ''V''. Gosta. {{Sc|Alagna}}, è presa dalla gente del re Ruberto. {{Pg|122|V. 122|c5}}. {{Sc|Alba}} Silvio. {{Pg|35|I. 35|c1}} {{Sc|Alberighi}}, dove abitavano. {{Pg|170|I. 170|c1}} {{Sc|Alberigo}}, frate, delle male frutta. {{Pg|35|V. 35|c5}}. {{Sc|Alberigo}} re de’ Goti. {{Pg|83|I. 83|c1}} {{Sc|Alberto}} d’Alamagna, è ucciso da un suo nipote. {{Pg|177|III. 177|c3}}. {{Sc|Albino}}, Smalta la nuova Firenze. {{Pg|53|I. 53|c1}} {{Sc|Albizzi}}, Antonio di Lando, uno de’ dieci ambasciadori de’ Fiorentini al re d’Ungheria. {{Pg|241|VII. 241|c7}}. {{Sc|Santo Alessandro}}, martirizzato. {{Pg|100|I. 100|c1}} {{Sc|Alassandro}} III. combattuto dal Barbarossa. {{Pg|215|I. 215|c1}} — miracolo accaduto<noinclude></noinclude> 1brxvgru7q9ftcw61zzz5ypx4uk4v6g Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/149 108 978108 3535160 3532683 2025-06-13T18:12:08Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535160 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|7}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}alla sua andata in Francia . {{Pg|216|I. 216|c1}}. — fa concilio generale al Torso . {{Pg|216|''Ivi''|c1}}. — va a Vinegia. {{Sc|Alessandro}} IV, quando eletto; fa guerra a Manfredi, e lo scomunica. {{Pg|70|II. 70|c2}}. {{Sc|Alighieri}}, Dante, dove morì, e dove fu seppellito. {{Pg|128|IV. 128|c4}}. — sue opere, e suo carattere. ''Ivi'', 129, 130. {{Sc|Alloon}} prende Baldacca, e sconfigge e fa morire il calif di quella. {{Pg|84|II. 84|c2}}. — lascia il conquisto di terra santa in favor de’cristiani ./pz, 85. {{Sc|Altoviti}}, Guiglielmo, gli è fatta tagliar la testa dal duca d’Atene. {{Pg|8|VII. 8|c7}}. {{Sc|Altoviti}}, Oddo, diraesser Bindo, ambasciadorè al re d’Ungheria {{Pg|240|VII. 240|c7}}. {{Sc|Amare}}, re di Tunisi, sue discordie col fratello. {{Pg|225|VII. 225|c7}}. {{Sc|Ambasciadori}} dell’imperadore Arrigo cacciati di Firenze. {{Pg|26|IV. 26|c4}}. {{altraColonna|em=-1}} {{Sc|Ambasciadori}} del comune di Firenze al re d’Ungheria chi fossero. {{Pg|240|VII. 240|c7}}. {{Sc|Amelia}}, Carlo d’, podestà di Firenze, fugge col suggello del comune. {{Pg|177|III. 177|c3}}. {{Sc|Amulio}} Silvio. {{Pg|35|I. 35|c1}} {{Sc|Analdo}}, conte d’, va in corte del papa ad Avignone, ed egli per paura l’assolve di lontano e lo rimanda indietro. {{Pg|201|V. 201|c5}}. {{Sc|Anchise}}, muore nellì isola Trinacria. {{Pg|27|I. 27|c1}} {{Sc|Ancisa}}, quando fatta. {{Pg|11|II. 11|c2}}. {{Sc|Anco}} Marzio. {{Pg|89|I. 89|c1}} — fece il tempio di Giano. {{Pg|89|''Ivi''|c1}}. {{Sc|Andrea}} Pisano, quando cominciò a fondere le porte di san Giovanni. {{Pg|229|V. 229|c5}}. {{Sc|Andreasso}}, figliuolo di Carlo Umberto, viene col padre a Napoli. {{Pg|280|V. 280|c5}}.<noinclude></noinclude> 55rsb4kms6oxlfktzvhk69t9l3lbug2 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/150 108 978113 3535162 3532702 2025-06-13T18:13:42Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535162 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|8|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — sposa la figliuola maggiore del duca di Calavra. {{Pg|281|V. 281|c5}} — è fatto dal re Ruberto duca di Calavra, che dovesse succedere dopo di lui al reame di Cicilia e di Puglia. {{Pg|181|''Ivi'', 181|c5}}. — è condotto a Napoli dalla madre con molti baroni per dargli consiglio. {{Pg|19|VII. 19|c7}} — è ordinata la sua morte e perchè, e quali i furono i traditori.''Ivi'', 129. — come e in qual modo èvstrangolato ad Aversa. {{Pg|130|''Ivi'', 130|c7}}. {{Sc|Andri}}, duca di, ''V''. conte Novello. {{Sc|Anfus}}, re d’Araona, quando morto. {{Pg|25|III. 25|c3}}. {{Sc|Anfus}}, infante d’Araona, conquista in un anno la Sardigna sopra i Pisani. {{Pg|230|IV. 230|c4}}. — fa rubare le decime del papa raccolte in Spagna. {{Pg|298|''Ivi'', 298|c4}}. {{Sc|Anguillara}}, Conte dell’, è ucciso da Stefanuccio della Colonna. {{Pg|276|V. 276|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} {{Sc|Anna}}, santa, sua festa in Firenze si celebrava come pasqua, per la cacciata del duca d’Atene. {{Pg|54|VII. 54|c7}} {{Sc|Antellesi}}, quando e perchè fallirono. {{Pg|261|VI. 261|c6}}. {{Sc|Antinoro}}, fonda Vinegia e Padova. {{Pg|20|I. 20|c1}} {{Sc|Antioccia}}, quando presa da’ saracini. {{Pg|171|II. 171|c2}}. {{Sc|Apollino}} astrolago. {{Pg|113|I. 113|c1}}. {{Sc|Apollo}}, adorato nell’isola d’Ortigia. {{Pg|26|''Ivi'', 26|c1}}. {{Sc|Aquila}}, frate Piero dell’, inquisitore, uomo superbo e pecunioso. {{Pg|140|VII. 140|c7}}. {{Sc|Aquino}}, Tommaso d’, chi fosse, e come morisse di veleno. {{Pg|195|IV. 195|c4}} {{Sc|Araona}}, liguaggio dei suoi re. {{Pg|262|II. 262|c2}} {{Sc|Araona}}, Piero re d’, s’accorda col re Carlo di combattere insieme a Bordello. {{Pg|276|II. 276|c2}}.<noinclude></noinclude> 4zo7jxpej1krpdah2onosb85c32kk42 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/151 108 978114 3535163 3532709 2025-06-13T18:15:44Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535163 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|9}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — sua segreta cagione. {{Pg|278|II. 278|c2}} — fallisce la promessa, ed è scoraunicato. {{Pg|279|''Ivi'', 279|c2}} — privato dal papa del reame. ''Ivi''. — guerreggiato dal re di Francia. {{Pg|299|''Ivi'', 299|c2}}. — sconfitto. {{Pg|302|''Ivi'', 302|c2}}. — ritorna in Cicilia. {{Pg|3|''Ivi'', 3|c2}}i5. — giura d’aiutare la ribellazione di Cicilia. {{Pg|240|''Ivi'', 240|c2}}. — giunge con suo navilio in Cicilia, e n’è fatto re. {{Pg|254|''Ivi'', 254|c2}}. — sua lettera al re Carlo. {{Pg|257|''Ivi'', 257|c2}}. — va sopra Gaeta, e ritorna per patti in Cicilia. {{Pg|344|''Ivi'', 344|c2}}. {{Sc|Araona}}, Giamo d’, fa pace colla Chiesa e col re Carlo, e con quali patti. {{Pg|25|III. 25|c3}} — parte di Cicilia. {{Pg|26|''Ivi'', 26|c3}}. — viene a Roma chiamato dal papa. ''Ivi3'',30. — giura d’esser contro a suo fratello. ''Ivi''. — combatte contro suo fratello. {{Pg|41|''Ivi'', 41|c3}}. {{altraColonna|em=-1}} {{Sc|Arca}}, dell’, dove abitavano. {{Pg|171|I. 171|c1}} {{Sc|Ardinghi}}, dove abitavano. {{Pg|170|I. 170|c1}} {{Sc|Aremolo}} Silvio. {{Pg|35|I. 35|c1}} {{Sc|Aretini}}, Sconfitti da’ Fiorentini. {{Pg|224|I. 224|c1}} — guastano il contado di Firenze. {{Pg|328|II. 328|c2}} — sono sconfitti da’Fiorentini a Certomondo. {{Pg|332|''Ivi'', 332|c2}}. — riprendono Laterino sopra ìFiorentiui. {{Pg|132|III. 132|c3}} — trattano di aver Cortona, e va a vuoto il tradimento di messer Cuccio. {{Pg|247|V. 247|c5}} — sconfiggono i Perugini. {{Pg|67|VI. 67|c6}} — loro stato sempre irrequieto. {{Pg|17|VII. 17|c7}} {{Sc|Arezzo}}, sua descrizione. {{Pg|68|I. 68|c1}} — quando e come venne sotto il potere dei Fiorentini. {{Pg|123|VI. 123|c6}}. — si dilibera dalla signoria del comune di Firenze. {{Pg|76|VII. 76|c7}}<noinclude></noinclude> kptvvtge282t8bxweydp5v3edej3vsm Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/152 108 978123 3535165 3532714 2025-06-13T18:17:53Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535165 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|10|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — si leva ad arme contro i ghibellini. {{Pg|191|VII. 191|c7}} {{Sc|Argenta}}, è presa da’ marchesi da Ferrara. {{Pg|40|VI. 40|c6}} {{Sc|Arimino}}, Malatesta d’, è fatto da’ Fiorentini loro capitano di guerra. {{Pg|256|VI. 256|c6}} {{Sc|Arimino}}, Malatesta d’,il giovane, è fatto da Fiorentini loro capitano di guerra. {{Pg|151|IV. 151|c4}} {{Sc|Arno}} esce da’ suoi termini. II. 197 — allaga gran parte di Firenze. {{Pg|280|''Ivi'', 280|c4}}. — allaga di nuovo. {{Pg|293|''Ivi'', 293|c4}}. — fa rovinare alcuni palazzi e case. {{Pg|328|''Ivi'', 328|c4}}. — s’intorbida per molto tempo a cagione della rovina d’una parte della Falterona. {{Pg|65|VI. 65|c6}} — nuovo muro quando fu fatto di costa a san Giorgio. {{Pg|266|VII. 266|c7}} {{Sc|Arnonico}}, fosso,quando fatto e perchè. {{Pg|223|II. 223|c2}} {{altraColonna|em=-1}} {{Sc|Arrigo}} di Soavia viene in Italia. {{Pg|235|I. 235|c1}} — è coronato a Roma imperadore. {{Pg|235|''Ivi''|c1}}. — prende a moglie CoIstanza sorella del re Guglielmo di Puglia, che già era monaca. {{Pg|236|''Ivi'', 236|c1}}. — conquista il regno di Puglia, e assedia Napoli. {{Pg|237|''Ivi'', 237|c1}}. — acceca, e castra Guglielmo il giovane di Puglia. {{Pg|237|''Ivi''|c1}}. — si fa nemico della Chiesa, e muore. {{Pg|238|''Ivi'', 238|c1}}. {{Sc|Arrigo}} di Spagna, viene in Puglia. {{Pg|156|II. 156|c2}} {{Sc|Arrigo}}, figliuolo di Castruccio, corre Lucca dopo la morte del padre, e se ne fa signore. {{Pg|114|V. 114|c5}} {{Sc|Arrigo}} Sciancato, preso e deposto da suo padre Federigo. {{Pg|33|II. 33|c2}} {{Sc|Arrigo}} II. di lui profezia. {{Pg|174|I. 174|c1}} — depone tre papi. {{Pg|175|''Ivi'', 175|c1}}. {{Sc|Arrigo}} III. scomunicato dal papa. {{Pg|194|I. 194|c1}}<noinclude></noinclude> gdjlh2fdtsq72ti8vvnkh1xfi5x2164 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/153 108 978130 3535166 3532716 2025-06-13T18:25:51Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535166 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|11}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — viene a misericordia, ma il papa sta fermo. Arrigo sdegnato l’assedia in Castel s. Angelo. {{Pg|194|''Ivi'', 194|c4}}e 195. {{Sc|Arrigo}} IV. fa prendere papa Pasquale,il quale poscia si riconcilia con lui. {{Pg|200|I. 200|c4}} e 201. — torna all’obbedienza della Chiesa. {{Pg|202|''Ivi'', 202|c4}}. {{Sc|Arrigo}} di Luzimborgo, quanto imperiò; e suo carattere. {{Pg|5|IV. 5|c4}} — viene in Italia. {{Pg|8|''Ivi'', 8|c4}}. — entra in Milano e si fa coronare. {{Pg|11|''Ivi'', 11|c4}}. — assedia Cremona, e prende Vicenza. {{Pg|16|''Ivi'', 16|c4}}. — prende Cremona, e assedia Brescia. {{Pg|17|''Ivi'', 17|c4}} — suoi disastri all’assedio di Brescia. {{Pg|20|''Ivi'', 20|c4}}. — l’ottiene a patti. {{Pg|20|''Ivi''|c4}}. — viene a Genova. {{Pg|25|''Ivi'', 25|c4}}. — fa processo contro i Fiorentini. {{Pg|27|''Ivi'', 27|c4}}. — gli si rubellano molte città di Lombardia. {{Pg|28|''Ivi'', 28|c4}} al 31. {{altraColonna|em=-1}} — viene in Pisa. {{Pg|31|''Ivi'', 31|c4}}. — entra per forza in Roma. {{Pg|35|''Ivi'', 35|c4}}. — è coronato in Roma. {{Pg|37|''Ivi'', 37|c4}}. — se ne va a Tiboli e quindi ad Arezzo. {{Pg|38|''Ivi'', 38|c4}}. — sconfigge i Fiorentini a Montefeltro. {{Pg|41|''Ivi'', 41|c4}}. — si pone a oste a Firenze. {{Pg|41|''Ivi''|c4}}. — se ne parte. {{Pg|45|''Ivi'', 45|c4}}. — si trova in cattivo stato con la sua armata. {{Pg|47|''Ivi'', 47|c4}}. — torna in Pisa. {{Pg|47|''Ivi''|c4}}. — fa lega con don Federigo di Cicilia e co’ Genovesi contro al re Ruberto. {{Pg|49|''Ivi'', 49|c4}}. — si parte di Pisa. {{Pg|50|''Ivi'', 50|c4}}. — muore a Bonconvento. {{Pg|50|''Ivi''|c4}}. — è sepolto in Pisa da’ suoi baroni. {{Pg|51|''Ivi'', 51|c4}}. {{Sc|Arrigo}} III. d’Inghilterra fa vergognosa pace<noinclude></noinclude> 0znikb9r58306st729z8ea17t08d9o4 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/154 108 978183 3535168 3532717 2025-06-13T18:29:41Z Alex brollo 1615 /* new eis level3 */ 3535168 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|12|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}col re di Scozia. {{Pg|182|IV. 182|c4}}. {{Sc|Arrigucci}}, dove abitavano. {{Pg|169|I. 169|c1}}. {{Sc|Arrio}}, sua setta. {{Pg|80|I. 80|c1}}. {{Sc|Artimino}}, quando fu preso e disfatto da’ Fioteutini. {{Pg|255|IV. 255|c4}}. {{Sc|Art}}ù, redi Brettagna, {{Pg|34|I. 34|c1}}. {{Sc|Ascanio}} Giulio, figliuolo di Greusa e d’Enea. {{Pg|26|''Ivi'', 26|c1}}, e {{Pg|26|32|c1}}. — edifica Alba. ''Ivi''. — regna dopo Enea trentott’anni. {{Pg|33|''Ivi'', 33|c1}}. {{Sc|Asciesi}}, si rende a’ Perugini. {{Pg|133|IV. 133|c4}}. {{Sc|Asciesi}}, Guiglielmo d’, capitano del popolo, acconsente al tradimento di dar la signoria al duca d’Atene, ed è fatto suo carnefice. {{Pg|12|VII. 12|c7}}. — dove abitava. {{Pg|2|''Ivi'', 2|c7}}S. — è tagliato e smembrato dal popolo di Firenze. {{Pg|52|''Ivi'', 52|c7}}. {{Sc|Ascoli}}, Gecco d’, quando e perchè arso in Firenze. {{Pg|55|V. 55|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} {{Sc|Ascone}}, stella comata, quando apparve. {{Pg|141|VI. 141|c6}}. {{Sc|Asia}}, la prima e maggior parte del mondo. {{Pg|5|I. 5|c1}}. — fu abitata da’ discendenti di Sem. {{Pg|5|''Ivi''|c1}}. {{Sc|Atene}}, duca d’, viene in Firenze per vicario del duca di Calavra. {{Pg|338|IV. 338|c4}}. — va in Romania per riacquistare suo paese, e gli torna invano l’impresa. {{Pg|241|V. 241|c5}}. — giunge nell’oste de’ Fiorentini a Lucca. {{Pg|266|VI. 266|c6}}. — è eletto da’ Fiorentini per loro capitano e conservadore del popolo. {{Pg|5|VII. 5|c7}}. — va ad abitare a santa Croce. {{Pg|6|''Ivi'', 6|c7}}. — prima giustizia a torto che fa in Firenze. {{Pg|7|''Ivi'', 7|c7}}. — fa tagliar la testa a Ridolfo Pugliesi e a Giovanni de’ Medici. {{Pg|7|''Ivi''|c7}}. — giustizie di fatto che fece in Firenze. {{Pg|8|''Ivi'', 8|c7}}.<noinclude><references/></noinclude> t9819zfuw1vhbi8v4vmro5zmnbjd0o1 Ville e Castelli d'Italia/Il Villino del Dott. Leopoldo Zambelletti 0 978218 3535072 3532605 2025-06-13T14:43:58Z TrameOscure 74099 Porto il SAL a SAL 75% 3535072 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Il Villino del Dott. Leopoldo Zambelletti - Velate Varesino<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../La Villa Lattuada<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../La Villa d'Este<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Il Villino del Dott. 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Crespi - Lago d'Orta<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../La Villa Bozzoti a Tassera<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Il Castello Crespi a Crespi d'Adda<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>8 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=8 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=La Villa Pia Comm. C. 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Caterina da Siena/XXXVI 0 978532 3535007 3533072 2025-06-13T13:46:16Z Cor74 73742 Porto il SAL a SAL 75% 3535007 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>XXXVI. - A certi novizii dell' Ordine di Santa Maria di Monte Oliveto<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../XXXV<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../XXXVII<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=XXXVI. - A certi novizii dell' Ordine di Santa Maria di Monte Oliveto|prec=../XXXV|succ=../XXXVII}} <pages index="Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu" from="230" to="237" fromsection="" tosection="" /> cnrvnxd8cztbdxtufrb6xwl88you5ze 3535015 3535007 2025-06-13T13:51:47Z Cor74 73742 3535015 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>XXXVI. - A certi novizii dell' Ordine di Santa Maria di Monte Oliveto<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../XXXV<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../XXXVII<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=XXXVI. - A certi novizii dell' Ordine di Santa Maria di Monte Oliveto|prec=../XXXV|succ=../XXXVII}} <pages index="Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu" from="230" to="237" fromsection="" tosection="s1" /> dp10bqk4x0it977sdok08x8et8stjv5 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/233 108 978536 3535004 3533077 2025-06-13T13:44:05Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535004 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|169}}</noinclude>paresse in sostenere l’obedienzia e l’Ordine<ref>Dice pia che l’obbedienza dell’Ordine, perchè l’Ordine ha, oltre l’obbedienza, altri vincoli, soavi a chi ama.</ref> vostro, nè per veruna cosa che potesse avvenire, non temete mai. Conservate pure<ref>''Pure''. Qui non ha senso di concessione, ma rincalza ed è affine a ''sempre''.</ref> in voi la buona e santa volontà, quella die è signore di questo muro,<ref>Non correggo ''signora'', perchè la virile fanciulla si compiace nell’accordare i lemininini a’ maschili quando porta l’idea. Così dicesi: donna capo di casa. Dante: ''«Avran di consolar l’anime donne»''. Il signore che vien poi è la volontà stessa, non Dio.</ref> che col piccone del libero arbitrio il può disfare e conservare, secondo che piace al signore della buona volontà. Adunque non voglio che giammai temiate: ogni timore servile sia tolto da voi. Direte col dolce e innamorato di Paolo, rispondendo alla tiepidezza del cuore, e alle illusioni delle dimonia: «Porta oggi, anima mia. Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò; perocché, per desiderio e amore,<ref>Forse il ''perocché'' va posposto ad amore.</ref> è in me chi mi conforta». Amate, amate, amate. Inebriatevi nel sangue di questo dolce Agnello, che fatta v’ha forte la ròcca dell’anima vostra, l’ha tratta dalla servitù col tiranno perverso <ref>Dante: ''«Il perverso Che cadde di quassù»'''. Un Inno: ''«Hostis tyrannidi»''.</ref> dimonio; havvela data libera e donna, che veruno è che gli possa torre la signoria, se ella non vuole. E questa ha dato ad ogni creatura. Ma io m’avvedo che la divina Providenzia v’ha posti in una navicella, acciocché non veniate meno nel mare tempestoso di questa tenebrosa vita; cioè la santa e vera religione. La quale navicella è me-<noinclude><references/></noinclude> jo7kzgp0ebhlk4hruortfvcohlp7jl1 3535006 3535004 2025-06-13T13:45:16Z Cor74 73742 3535006 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|169}}</noinclude>paresse in sostenere l’obedienzia e l’Ordine<ref>Dice più che l’obbedienza dell’Ordine, perchè l’Ordine ha, oltre l’obbedienza, altri vincoli, soavi a chi ama.</ref> vostro, nè per veruna cosa che potesse avvenire, non temete mai. Conservate pure<ref>''Pure''. Qui non ha senso di concessione, ma rincalza ed è affine a ''sempre''.</ref> in voi la buona e santa volontà, quella che è signore di questo muro,<ref>Non correggo ''signora'', perchè la virile fanciulla si compiace nell’accordare i femininini a’ maschili quando porta l’idea. Così dicesi: donna capo di casa. Dante: ''«Avran di consolar l’anime donne»''. Il signore che vien poi è la volontà stessa, non Dio.</ref> che col piccone del libero arbitrio il può disfare e conservare, secondo che piace al signore della buona volontà. Adunque non voglio che giammai temiate: ogni timore servile sia tolto da voi. Direte col dolce e innamorato di Paolo, rispondendo alla tiepidezza del cuore, e alle illusioni delle dimonia: «Porta oggi, anima mia. Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò; perocché, per desiderio e amore,<ref>Forse il ''perocché'' va posposto ad amore.</ref> è in me chi mi conforta». Amate, amate, amate. Inebriatevi nel sangue di questo dolce Agnello, che fatta v’ha forte la ròcca dell’anima vostra, l’ha tratta dalla servitù col tiranno perverso <ref>Dante: ''«Il perverso Che cadde di quassù»'''. Un Inno: ''«Hostis tyrannidi»''.</ref> dimonio; havvela data libera e donna, che veruno è che gli possa torre la signoria, se ella non vuole. E questa ha dato ad ogni creatura. 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Se egli è vero obediente, non ha a rendere ragione di sé medesimo; ma ha a rendere<ref>Forse: l’ha a rendere, cioè la ragione. Ma può sottintendersi. Gli antichi erano parchi a pronomi, perche si fidavano dell’altrui intelligenza. La troppa chiarezza delle lingue così dette analitiche o logiche, è una confessione o un’accusa di debolezza di mente.</ref> l’Ordine; che egli ha osservata l’obedienzia del prelato suo. A questo m’avvedrò, che voi seguiterete l’Agnello svenato; se sarete obedienti. Già v’ho detto, che io voglio che impariate dal dolce e buono Gesù, che fu obediente infino alla morte, adempì la volontà del Padre e l’obedienzia sua: così vuole Dio che facciate voi; che voi adempiate la volontà sua; osservando l’Ordine vostro, ponendovela per ispecchio. Innanzi eleggere la morte, che trapassare mai l’obedienzia del prelato. Guardate<ref>Modo d’eccezione; come dire: Badate bene! Ed è forma quasi d’esclamazione simile a ''vedi, ve’''.</ref> già, che se mai veruno caso venisse (e Dio, per la sua pietà, il levi) che il prelato comandasse cose che fussero fuore di Dio; a questo non dovete, né voglio anch’io che obediate mai: perocché non si debbe obedire la creatura fuore del Creatore. Ma in ogni altra cosa vogliate sempre obedire. Non mirate a vostra consolazione né spirituale né temporale. Questo vi dico perché alcuna volta il dimonio ci fa vedere sotto colore di virtù e di più devozione. Vorremmo i luoghi e tempi a nostro modo, di<noinclude><references/></noinclude> nbknhtubbllqev7pfwie20hk78h4an9 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/235 108 978538 3534978 3533080 2025-06-13T13:18:41Z Cor74 73742 3534978 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|171}}</noinclude>cendo: «nel cotale tempo e luogo io ho più cousolazioue e pace dell’anima mia». L’obedienzia alcuna volta non vorrà. ’ Dico ch’io voglio, ^ e dovete seguitare più tosto l’obedienzia, che le vostre consolazioni, l^eusate che questo è uno inganno occulto che tocca a tutti i servi di Dio; che sotto specie di più servire a Dio, ^ egli disservono Dio. Sapete che sola la volontà è quella che disserve e serve. Se tu, religioso, hai volontà, il dimonio non te la mostra ■* colle cose grosse di fuore; che già r hai abbandonate, avendo lassato il secolo: ma egli te la pone dentro colle spirituali, dicendo: «egli mi pare avete più pace e più stare in amore di Dio, starmi nel tale luogo, e non nell’altro». E per avere questo, egli resiste all’obedienzia: e se pure li le ^ conviene fare, il fa con pena. Sicché volendo la pace, egli si toglie la pace. Meglio è dunque a torre*’ la propria volontà, e non pensare'' di sé niente; solo di vedere in sé compire la volontà di Dio e dell’Ordine santo, e compire l’obedienzia del suo prelato. Son certa che sarete aquilini, che imparerete dall’aquila vera. ^ Così fanno 1 Quel che a voi pare meglio. 2 Sottinteso che seguitiate. 3 La stampa: e a Dio. * Se hai volontà di tuo capo, capricci; il demonio non te ne lascia accorgere, tentandoti con desiderii di cose materialmente mondane, cattive grossolanamente. L’amor proprio de’ divoti è tanto più sottile, quanto più raffinata dallo studio del bene l’anima loro. * Le per lo negli antichi: e nell’uso toscano gliene per glielo tuttavia. 8 Torre via, quasi impaccio. Intende le voglie. ’ Il badare troppo non solo a quel rhe un vuole, ma a quel che sente o patisce, aggrava le infermità e dello spirito e del corpo con la fantasia. E però il popolo chiama lantasia la volontà non ragionevole, sapientemente. 8 Più sopra comparò all’aquila Cristo. Nella Bibbia è simile comparazione, dell’educare che fa Dio l’uomo e i popoli. Dice Caterina: siccome Cristo non guardò alla terra ma ad alto, così voi non alle vostre tenerezze di divozione.<noinclude><references/></noinclude> 23u6klhnmd80sueffgs4jkys5nq9wi9 3534996 3534978 2025-06-13T13:33:30Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3534996 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|171}}</noinclude>cendo: «nel cotale tempo e luogo io ho più cousolazioue e pace dell’anima mia». L’obedienzia alcuna volta non vorrà. <ref>Quel che a voi pare meglio.</ref> Dico ch’io voglio,<ref>Sottinteso ''che seguitiate''.</ref> e dovete seguitare più tosto l’obedienzia, che le vostre consolazioni. Pensate che questo è uno inganno occulto che tocca a tutti i servi di Dio; che sotto specie di più servire a Dio,<ref>La stampa: e ''a Dio''.</ref> egli disservono Dio. Sapete che sola la volontà è quella che disserve e serve. 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Si vedano in proposito le indagini e le conclusioni contenute nell’opera di {{Sc|Napoleone}} III sopra citata (vol. II, p. 49 segg., con note relative e la tav. 3 del vol. II degli ''Atlanti'' annessi) e {{Sc|Napoleone}} I, ''Précis sur les guerres de Jules César'', — ''Correspondance'', op. cit., vol. XXXII, Paris, 1870. Si consulti pure: C. {{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, ''Histoire de la Gaule'', vol. III, p. 199 (Paris, Hachette, edit., 1923).</ref>. Finito il lavoro dispone le guardie e presidia i fortini perchè gli sia più facile, se i nemici vogliono passare a {{FI |file = Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939 (page 14 crop).jpg |width = 100% |caption = GINEVRA.<br>(Dalla traduzione italiana di {{Ac|Francesco Baldelli|F. {{Sc|Baldelli}}}}, illustrata da {{AutoreCitato|Andrea Palladio|A. {{Sc|Palladio}}}},<br>Venezia, P. De Franceschi, 1575).<div style="column-count: 2; text-align: left; margin-top: 0.4em"> ''A'') Ginevra.<br> ''B'') Ponte tagliato per Ginevra.<br> ''C'') Elvezi sulla riva del Rodano.<br> ''D'') Parapetto alto sedici piedi.<br> ''E'') Lago Lemanno.<br> ''F'') Monte Giura.<br> ''G'') Castelli fortificati.<br> ''H'') Elvezi che tentano il passaggio del Rodano.<br> ''I'') Truppe romane in ordinanza. </div> }} {{no rientro}}tutti i costi, di tenerli lontani. Quando arriva il giorno fissato e tornano i delegati, dice loro ch’egli — fedele al costume ed<noinclude><references/></noinclude> a1hm31tdcz3o18lvf7f9j0x1yjqycbp Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/16 108 978614 3535043 3533329 2025-06-13T13:59:29Z Candalua 1675 3535043 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|10|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>alture, tentano di sbarrare il cammino all’esercito. Cacciatili dopo molte zuffe da Ocelo<ref>L’identificazione con Usseau, in Val Chisone, trovò un fautore in Napoleone III. Più recentemente invece l’«''Ocelum oppidum''» parve corrispondere meglio all’attuale borgata di ''Drubiaglio'', rimpetto ad Avigliana, sulla sinistra della Dora, nel territorio di Almese (C. {{Sc|Promis}}, ''Storia dell’antica Torino'', p. 288). Vedasi anche: E. {{Sc|Desjardins}}, op. cit., I, pp. 82, 84, 85: C. {{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, op. cit., III, p. 202 nota 11; {{Sc|César}}, ''Guerre des Gaules'' (Collection des Universités de France, tome I, Paris, 1926).</ref> — ultima città della Gallia citeriore — arriva al settimo giorno nella Provincia ulteriore nel paese dei Voconzii. Di là conduce l’esercito tra gli Allobrogi e dagli Allobrogi fra i Segúsiavi<ref>Regione di Lione, o presso Sathonay o presso Fourvières.</ref>. Questi sono già fuori della Provincia ed i primi al di là del Rodano. XI. - Gli Elvezi intanto erano già passati con tutte le loro genti per gli angusti valichi e per le terre dei Séquani ed, arrivati al paese degli Edui, devastavano le loro terre. Gli Edui, non bastando a difendere nè sè stessi nè i loro averi, mandano ambasciatori a Cesare chiedendo aiuto. «Essi — dicevano — erano stati sempre così benemeriti del popolo romano, da non meritar di vedere, quasi in cospetto del nostro esercito, le loro terre saccheggiate, i loro figli condotti in schiavitù, i loro castelli espugnati». Nello stesso tempo gli Ambarri<ref>Rivieraschi dell’Arar (''Saône'').</ref> — amici e consanguinei degli Edui — avvertono Cesare che ad essi, una volta devastate le terre, non è facile tenere lontane dai fortilizi le truppe nemiche. Così gli Allobrogi, che avevano villaggi e possessi al di là del Rodano, si rifugiano presso Cesare e gli dichiarano che loro non resta più che la nuda terra. Spinto da tutte queste ragioni, Cesare sente ch’egli non può stare inoperoso sino a che — andati ormai in rovina tutti i beni degli alleati di Roma — gli Elvezi non sieno arrivati al paese dei Santoni. {{Centrato|{{Sc|La strage dei Tigurini presso la Saona.}}}} XII. - La Saona è fiume che — per le terre degli Edui e dei Séquani — affluisce nel Reno con incredibile lentezza, tanto che agli occhi non è dato scorgere in quale direzione essa vada. Gli Elvezi la stavano attraversando su battelli e zattere. Quando Cesare sa dagli esploratori che già per tre quarti le forze elvetiche hanno passato il fiume e che solo una quarta parte all’incirca resta al di qua della Saona; verso la terza vigilia della notte<ref>Due o tre ore avanti l’alba.</ref>,<noinclude><references/></noinclude> axi08wvgydpy8lzcz22dljmy2m9q8hl Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/17 108 978616 3535044 3534035 2025-06-13T13:59:44Z Candalua 1675 3535044 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la guerra gallica — libro i}}|11}}</noinclude>partito con le legioni dal campo, sorprende le forze che non erano ancora passate. Le attacca, impedite ancora e sorprese, e le annienta<ref>Forse tra Villafranca e Trévoux ({{Sc|Napoleone}} III) oppure presso Mâcon ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}).</ref>. Gli avanzi fuggono rintanandosi nelle prossime selve. Quella stirpe si chiamava tigurina<ref>''Tigurinus pagus''. Corrisponde ai cantoni di Vaud, Friburgo ed a parte del cantone di Berna.</ref> poichè tutto il popolo elvetico si divide in quattro stirpi, e la tigurina appunto era stata proprio quella che, a memoria dei padri nostri, uscita dal suo territorio, aveva ucciso il console L. Cassio e mandato il suo esercito sotto il giogo. Così — o per caso o per volere degli Dei immortali — proprio quella parte del popolo elvetico che aveva causato al popolo romano una grave sciagura fu la prima a pagarne il fio. In questo modo Cesare vendicava non solo le pubbliche ma anche le private offese, poichè l’avo del suo suocero L. Pisone, il legato L. Pisone, era stato ucciso dai Tigurini insieme con Cassio<ref>Nuova allusione alla rotta sofferta dal console L. Cassio presso Agen, nel 107 a. C. per opera degli Elvezi Tigurini guidati da Divicone ({{Sc|{{AutoreCitato|Paolo Orosio|Orosio}}}}, V, 15-23; {{Sc|{{AutoreCitato|Appiano di Alessandria|Appiano}}}}, ''Celt''., I, 3). L. Pisone era padre di Calpurnia moglie di Cesare. I ''legati'' — tratti dall’ordine senatorio — assistevano quali luogotenenti il comandante in capo, disimpegnando uffici di varia natura (custodia dei campi, comando di legioni o di riparti di legione, allestimento di flotte, intendenze, missioni politico-militari ecc.). Vedasi anche l’''Appendice'' al presente volume.</ref>. {{Centrato|{{Sc|Il ponte sulla Saona.}}}} XIII. - Finita la battaglia, per inseguire le truppe che erano già passate, fa gittare un ponte sulla Saona e così traghetta l’esercito sull’altra riva. Sorpresi dal repentino arrivo, al vedere ch’egli aveva fatto in un solo giorno quel passaggio sul fiume ch’essi avevano potuto fare, a stento, in venti giorni, gli Elvezi mandano una delegazione a Cesare. Alla testa era quel Divicone che, nella guerra contro Cassio, era stato duce degli Elvezi. Egli dice in sostanza a Cesare: «Se il popolo romano facesse la pace con gli Elvezi, essi andrebbero e resterebbero nel territorio che Cesare volesse loro destinare; ma se egli invece intendesse continuare a tormentarli con la guerra, dovrebbe rammentarsi degli antichi danni toccati al popolo romano e dell’antico valore degli Elvezi. Per avere attaccato una sola stirpe — mentre quelle che avevano già passato il fiume non potevano darle aiuto — Cesare non abbia troppa fiducia in sè stesso e non<noinclude><references/></noinclude> 2idgpd75uzgu49z30rfuttrme3mqjl4 Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/26 108 978640 3535045 3533920 2025-06-13T14:00:03Z Candalua 1675 3535045 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|20|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>{{Nop}} XXVIII. Non appena Cesare viene a conoscere attraverso quali genti marci la schiera fuggitiva, ordina loro di catturarla e di condurgliela se non vogliono essere punite. Tratta i ricondotti come nemici e tutti gli altri, consegnati gli ostaggi, le armi, i transfughi, accoglie in un patto di resa. Comanda agli Elvezi, ai Tulingi, ai Latóbici, di rientrare nelle loro terre e poichè, perduti ormai tutti i raccolti, non vi avrebbero trovato di che sfamarsi, ordina agli Allobrogi di fornire loro frumento ed obbliga i vinti a ricostruire tutti i castelli ed i villaggi incendiati. Con ciò mirava soprattutto ad evitare che il territorio abbandonato dagli Elvezi attraesse, con i suoi buoni campi, i Germani che abitano al di là del Reno, facendoli transitare nell’Elvezia e facendone i confinanti della Provincia gallica e degli Allobrogi. Chiedendo gli Edui che i Boii, noti per il loro valore, fossero disposti sui loro confini, Cesare lo concede; e gli Edui assegnano campi ai Boii e li accolgono nella loro libera cittadinanza con parità di diritti. {{Centrato|{{Sc|Le masse dei vinti.}}}} XXIX. - Nel campo degli Elvezi si trovarono tavole a caratteri greci e furono portate a Cesare. In esse erano specificati il numero degli uscenti dal paese, il numero degli atti alle armi ed il numero dei fanciulli, dei vecchi e delle donne. Le cifre erano queste: Elvezi 263.000, Tulingi, 36.000, Latóbici 14,000, Ráuraci 23.000, Boii 32.000. Tra tutti questi gli atti alle armi erano circa 92.000 e la massa emigrante, nel suo complesso, saliva a circa 368.000. Fatto, come Cesare aveva ordinato, il censimento di quelli che ritornavano in patria, risultò che essi ascendevano a 110.000<ref>L’emigrazione si era così ridotta a meno di un terzo. La capitolazione dei popoli elvetici (''Tulingi, Verbigéni, Tigurini'' e ''Ráuraci'') nonchè dei loro alleati deve essere avvenuta sull’Armançon, verso Tonnerre. Sul computo delle cifre di cui sopra e sulla loro attendibilità, si veda {{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, op. cit., III, p. 197, nota 8.</ref>. {{Ct|{{Sc|Le ripercussioni politiche in Gallia.}}}} {{Ct|{{Sc|La conferenza pangallica.}}}} XXX. - Finita la guerra elvetica, ambasciatori di quasi tutta la Gallia e principi dei loro popoli vennero a rallegrarsi con Cesare. Essi dicevano di veder ben chiaro come, pur avendo egli puniti gli Elvezi per le antiche loro offese al popolo romano, fosse quel castigo non meno utile alla Gallia che al popolo romano medesimo; dal momento che, con deliberato proposito ed<noinclude><references/></noinclude> lre1x4otb4ofiqx1eom86q21mgksgnp Discussioni utente:Francyskus 3 978724 3534973 3533894 2025-06-13T13:13:40Z Spinoziano 7520 /* Viaggi alle Due Sicilie */ nuova sezione 3534973 wikitext text/x-wiki {{benvenuto|firma=[[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 08:30, 12 giu 2025 (CEST)}} == Copyright== Ciao Francyskus, non possiamo caricare testi ancora sotto copyright. Come regola generale, devono essere passati 70 anni dalla morte dell'autore, e sia Calvino che la Viganò sono morti molto più di recente. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 08:30, 12 giu 2025 (CEST) == Viaggi alle Due Sicilie == Ciao, per favore lascia perdere la trascrizione di [[Indice:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu]]: le pagine che hai pubblicato al 75% non era formattate ed è anche inutile che pubblichi pagine al 25% utilizzando l'OCR senza un buon criterio. Visto che stiamo già lavorando sull'opera io e un'altra utente, lei trascrivendo e io rileggendo il testo, i tuoi interventi sono solo una perdita di tempo per te e per noi, che dobbiamo rifare il lavoro che lasci indietro, quindi per cortesia dedicati a fare esperienza su altre opere. Grazie. [[User:Spinoziano|Spinoziano]] ([[User talk:Spinoziano|disc.]]) 15:13, 13 giu 2025 (CEST) f1peyaa9wf2pxn4gexawwopobz587z3 3535053 3534973 2025-06-13T14:05:11Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Viaggi alle Due Sicilie */ 3535053 wikitext text/x-wiki {{benvenuto|firma=[[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 08:30, 12 giu 2025 (CEST)}} == Copyright== Ciao Francyskus, non possiamo caricare testi ancora sotto copyright. Come regola generale, devono essere passati 70 anni dalla morte dell'autore, e sia Calvino che la Viganò sono morti molto più di recente. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 08:30, 12 giu 2025 (CEST) == Viaggi alle Due Sicilie == Ciao, per favore lascia perdere la trascrizione di [[Indice:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu]]: le pagine che hai pubblicato al 75% non era formattate ed è anche inutile che pubblichi pagine al 25% utilizzando l'OCR senza un buon criterio. Visto che stiamo già lavorando sull'opera io e un'altra utente, lei trascrivendo e io rileggendo il testo, i tuoi interventi sono solo una perdita di tempo per te e per noi, che dobbiamo rifare il lavoro che lasci indietro, quindi per cortesia dedicati a fare esperienza su altre opere. Grazie. [[User:Spinoziano|Spinoziano]] ([[User talk:Spinoziano|disc.]]) 15:13, 13 giu 2025 (CEST) :{{ping|Candalua}} questo nuovo utente non si ferma e non risponde ai messaggi, puoi intervenire? Sta facendo danni. --[[User:Spinoziano (BEIC)|Spinoziano (BEIC)]] ([[User talk:Spinoziano (BEIC)|disc.]]) 16:05, 13 giu 2025 (CEST) hezuc56bu8kn5ubrxhqvxif68zb4qty 3535070 3535053 2025-06-13T14:41:45Z Candalua 1675 /* Viaggi alle Due Sicilie */ Risposta 3535070 wikitext text/x-wiki {{benvenuto|firma=[[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 08:30, 12 giu 2025 (CEST)}} == Copyright== Ciao Francyskus, non possiamo caricare testi ancora sotto copyright. Come regola generale, devono essere passati 70 anni dalla morte dell'autore, e sia Calvino che la Viganò sono morti molto più di recente. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 08:30, 12 giu 2025 (CEST) == Viaggi alle Due Sicilie == Ciao, per favore lascia perdere la trascrizione di [[Indice:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu]]: le pagine che hai pubblicato al 75% non era formattate ed è anche inutile che pubblichi pagine al 25% utilizzando l'OCR senza un buon criterio. Visto che stiamo già lavorando sull'opera io e un'altra utente, lei trascrivendo e io rileggendo il testo, i tuoi interventi sono solo una perdita di tempo per te e per noi, che dobbiamo rifare il lavoro che lasci indietro, quindi per cortesia dedicati a fare esperienza su altre opere. Grazie. [[User:Spinoziano|Spinoziano]] ([[User talk:Spinoziano|disc.]]) 15:13, 13 giu 2025 (CEST) :{{ping|Candalua}} questo nuovo utente non si ferma e non risponde ai messaggi, puoi intervenire? Sta facendo danni. --[[User:Spinoziano (BEIC)|Spinoziano (BEIC)]] ([[User talk:Spinoziano (BEIC)|disc.]]) 16:05, 13 giu 2025 (CEST) ::Francyskus, prima di tutto dovresti sempre rispondere ai messaggi che ricevi, anche solo per darci conferma che hai capito e che terrai conto delle indicazioni. Questo è un progetto collaborativo e la comunicazione per noi è imprescindibile. Poi: le pagine senza testo non vanno segnate come "trascritte" ma come "pagine vuote": vedi [[Aiuto:Stato di Avanzamento del Lavoro]] per capire meglio come funziona. Altra cosa: ti sei messo a trascrivere alcune pagine di [[Indice:Yambo - Manoscritto trovato in una bottiglia - 1905 - Scotti.pdf]], ma quello è un indice abbandonato, come è indicato; quindi hai fatto del lavoro inutile. In generale vedo che stai lavorando su una pagina qua, un'altra là... io ti consiglierei di fare pratica con un'opera per volta, magari cominciando con una da rileggere. Così anche per noialtri è più facile seguirti e darti le giuste dritte. Attendo una tua risposta. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 16:41, 13 giu 2025 (CEST) b5nro9vjo155lw16ymqleez8klhk2px Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/35 108 978735 3535046 3533987 2025-06-13T14:00:17Z Candalua 1675 3535046 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la guerra gallica — libro i}}|29}}</noinclude>qualunque altro, questi gli consigliò un giro<ref>Per trasferirsi da Besançon in val di Reno, le legioni romane debbono aver attraversato le dorsali settentrionali del Giura. L’itinerario deve essere stato verosimilmente: Voray-Val d’Ognon-Villersexel-Arcey-Belfort-Cernay ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, op. cit., III, p. 230).</ref> di più che cinquanta miglia in terreno scoperto, ed alla quarta vigilia<ref>Militarmente, la notte si suddivideva in quattro vigilie, tra il calare ed il sorgere del sole, la cui lunghezza variava con le stagioni. Mezzanotte segnava il termine della seconda vigilia. Da tale costumanza deriva il servizio marinaro di «''quarto''» (A. {{Sc|Guglielmotti}}, ''Vocabolario marino e militare'', Roma, Voghera edit., 1889, colonna 1401).</ref>, come aveva promesso, Cesare partì. Non avendo mai intralasciata la marcia, al settimo giorno è informato dagli esploratori che le forze di Ariovisto non distano più dai nostri che ventiquattro miglia<ref>Circa 36 chilometri.</ref>. {{Centrato|{{Sc|Ariovisto manda ambasciatori.}}}} XLII. - Saputo dell’arrivo di Cesare, Ariovisto gli manda ambasciatori. «Ormai — egli diceva — gli era possibile far quello che prima Cesare gli aveva chiesto circa un colloquio, dal momento che Cesare si era avvicinato a lui ed egli, Ariovisto, credeva ormai di poter fare senza pericolo ciò che gli era stato chiesto». Non respinse le trattative Cesare e già sperava che Ariovisto tornasse alla ragione, poichè prometteva a Cesare quello che, per l’innanzi, sempre gli aveva negato. Cesare sperava adunque seriamente che Ariovisto — dati i grandi favori fattigli da lui e dal popolo romano — una volta conosciuti i desideri di Cesare tornasse a più miti consigli, e così fu fissato un colloquio per il quinto giorno a partire da quello. Frattanto — nell’attesa — andando e venendo di frequente ambasciatori da una parte e dall’altra, Ariovisto domandò che Cesare non conducesse seco al colloquio armati a piedi, poichè egli temeva d’essere insidiosamente aggirato. «L’uno e l’altro avrebbero dovuto venire con la sola cavalleria: altrimenti egli non sarebbe venuto». Cesare, non volendo che per tale ragione il colloquio sfumasse e non osando, d’altra parte, affidare la sua vita alla cavalleria ausiliaria dei Galli, pensò che la cosa più prudente sarebbe stata, tolti tutti i cavalli ai cavalieri Galli, di farli montare dai legionari della decima legione di cui aveva illimitata fiducia, in modo che — se ce ne fosse bisogno — egli avesse a fianco il più fido dei corpi di guardia.<noinclude><references/></noinclude> o6geui44dyxc7pe10ual4cv8v21hudm Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/36 108 978736 3535047 3534010 2025-06-13T14:00:33Z Candalua 1675 3535047 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|30|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>{{Nop}} Mentre ciò avveniva, qualcuno dei militi della decima legione osservò — non senza arguzia — che Cesare manteneva anche di più di quello che aveva promesso. Aveva cioè promesso che avrebbe fatto della decima legione la sua coorte pretoriana ed ecco che egli ne faceva persino un corpo di cavalleria (''ad equum rescribere''<ref>Doppio senso, romanamente capace di denotare tanto la trasformazione dei legionari in unità di cavalleria, quanto la loro ammissione all’ordine equestre ({{Sc|César}}, ''Guerre de Gaules'', op. cit., I, p. 35 nota 1. ''Collection des universités de France'', Paris, 1926).</ref>). {{Centrato|{{Sc|Un convegno drammatico.}}}} XLIII. - Si era in una grande pianura dalla quale sorgeva un poggio eminente<ref>Verosimilmente tra Thann e Mulhouse, verso Cernay, nella pianura alsaziana. Località in ogni modo assai controversa nei giudizi dei critici, quali il colonnello Stoffel ed il Winkler ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, III, p. 231 nota 4).</ref>. Questo era all’incirca egualmente lontano dal campo d’Ariovisto e da quello di Cesare. Là, come era stato fissato, convennero i due a colloquio. Cesare fermò la legione che aveva montata sui cavalli a duecento passi dal poggio, ed i cavalieri d’Ariovisto si fermarono ad eguale distanza. Ariovisto chiese che si parlasse stando in sella e che ognuno conducesse con sè al colloquio dieci dei suoi. Quando si venne sul posto, Cesare cominciò rammentando ad Ariovisto i favori che egli stesso ed il senato gli avevano fatti: «Che il senato lo aveva chiamato ‘re ed amico‚ e lo aveva colmato di doni, cosa che egli ricordava essere capitata a ben pochi e solersi fare soltanto con uomini di singolare zelo nel loro dovere. Lui, invece, — Ariovisto — senza avere alcuna seria ragione per pretendere a ciò, aveva ottenuto quegli alti premi soltanto in grazia di lui — Cesare — e della liberalità del senato. Ricordava inoltre quali vecchie e giuste ragioni di amicizia legassero i Romani agli Edui e quali senatoconsulti e quante volte, e con che onorevoli motivazioni, fossero stati fatti in loro favore, riconoscendo che gli Edui avevano avuto il principato su tutta la Gallia in ogni tempo, e prima ancora che essi avessero chiesta la nostra amicizia. «Era consuetudine del popolo romano, non solo tener sempre nel debito favore gli alleati e gli amici, ma accrescere con ogni mezzo il loro credito, la loro dignità, il loro onore. E chi avrebbe adunque potuto permettere che fosse tolto agli Edui ciò che avevano affidato all’amicizia del popolo romano?». Cesare chiese da ultimo quello che già aveva chiesto per mezzo degli ambasciatori: «Che cioè Ariovisto non facesse<noinclude><references/></noinclude> 9dsaly0xcytezyw0aljedowr8nkn621 Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/46 108 978770 3535037 3534291 2025-06-13T13:57:36Z Candalua 1675 3535037 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|40|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>un grande prestigio militare. Quanto agli effettivi, i Remi dicevano di avere dati sicuri, poichè essi erano congiunti da parentela e da affinità alle altre popolazioni galliche, e sapevano quindi con precisione quale contingente ognuna di esse avesse promesso per la guerra all’assemblea generale dei Belgi. La più forte popolazione era di gran lunga, quella dei Bellovaci<ref>Territorio di Beauvais, tra Senna, Somme ed Oise.</ref>, per valore, per autorità e per numero. Questi potevano mettere insieme, da soli, un esercito di centomila uomini e ne avevano promessi sessantamila scelti chiedendo per sè il comando supremo. I Suessioni erano confinanti dei Remi e possedevano terre vastissime e feracissime. Anche noi rammentavamo come loro re fosse stato Diviziaco — il più potente di tutta la Gallia — che aveva ottenuto la sovranità non solo di una gran parte di queste regioni, ma anche della Britannia. Ora era re Galba ed a lui, per la sua equità e per la sua esperienza, era stato affidato, con consenso unanime, il comando supremo della guerra. Governava dodici città e prometteva un esercito di cinquantamila uomini. Altrettanti ne assicuravano i Nervii<ref>Tra Escaut e Sambra, il cui dominio si estendeva fino ad Anversa ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, VI, p. 462 e sgg. note).</ref>, che avevano fama di fierissimi fra i Belgi ed erano i più lontani, quindicimila gli Atrébati<ref>Contrade dell’Artois.</ref>, diecimila gli Ambieni<ref>Genti della Somme con il capoluogo di Samarobriva (''Amiens'') ({{Sc|Jullian}}, VI, p. 456).</ref>, venticinquemila i Morini<ref>Dipartimento del Passo di Calais.</ref>, settemila i Ménapi<ref>Bocche dell’Escaut, della Mosa e del Reno.</ref>, diecimila i Caléti<ref>Contrade di Caux (Senna inferiore).</ref>, altrettanti i Veliocassi<ref>Vexin nella Normandia.</ref> ed i Viromandui<ref>Vermandois nell’alta valle della Somme.</ref>, diciannovemila gli Aduatuci<ref>Territorio di Namur (''Civitas Tungrorum'').</ref>. I Condrusi, gli Eburoni, i Ceroesi, i Pémani<ref>I Condrusi, gli Eburoni, i Ceroesi ed i Pémani abitavano nelle Ardenne e se ne dividevano il dominio.</ref> — che si chiamano tutti genericamente Germani — calcolavano su di un contributo complessivo di circa quarantamila uomini. {{Centrato|{{Sc|Cesare oltre la linea dell’Aisne.}}}} V. - Cesare, rianimati i Remi con un generoso discorso, ordina che si aduni presso di lui il loro senato e che i figli dei principi gli sieno condotti come ostaggi. Tutto questo fu ese-<noinclude><references/></noinclude> 5dlise0qz8nrwbrajjpf3parjoh7fh2 Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/47 108 978772 3535038 3534321 2025-06-13T13:57:50Z Candalua 1675 3535038 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la guerra gallica — libro ii}}|41}}</noinclude>guito puntualmente il giorno fissato. Egli stesso esorta intanto vivamente l’eduo Diviziaco, dimostrandogli quanto, per la repubblica e per la comune salute, importi che le forze dei nemici restino divise, in modo che non si abbia da affrontare una così grande massa tutta in una volta. Lo scopo si può raggiungere sempre, quando gli Edui puntino con le loro forze contro i confini dei Bellovaci e comincino a devastare i loro campi. Con quest’incarico Cesare licenzia Diviziaco. Quando vede poi che tutte le forze dei Belgi, radunate, vengono alla sua volta, e sa dagli esploratori e dai Remi stessi che oramai i nemici sono vicini, si affretta a varcare il fiume Aisne<ref>Forse nei pressi di Berry-au-Bac. {{Sc|Rice Holmes}} opina invece presso Pontavert (''Conquest of Gaul'', 2ª ediz., p. 659).</ref> che forma l’estremo confine dei Remi, a portare il suo esercito oltre la linea a nord del fiume, ed ivi pone il campo. Questa posizione gli offriva, con la riva del fiume, la miglior difesa per tutto un lato del campo, teneva al sicuro dai nemici anche il resto e permetteva che i rifornimenti vi fossero recati senza pericolo dai Remi e da tutte le altre popolazioni. V’era sul fiume un passaggio. Cesare costruisce una testa di ponte e lascia sull’altra riva il suo legato Quinto Titurio Sabino con sei coorti: ordina che il campo sia fortificato con un parapetto di dodici piedi d’altezza ed un fosso di diciotto<ref>Alcuni scavi ordinati da Napoleone III nel 1862 hanno scoperto gli avanzi di queste linee di fortificazione dei Romani.</ref>. {{Centrato|{{Sc|I Belgi attorno Bibrax.}}}} VI. - Da quel campo era lontana circa otto miglia una città dei Remi che si chiama Bibrax<ref>Probabilmente presso Vieux-Laon o Beaurieux: trae nome da una divinità locale (''Dea Bibracti'') ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, III, p. 253 nota 2).</ref>. I Belgi, ancora in marcia, l’assaltarono con grande impeto ed a stento si potè per quel giorno far fronte. La tattica d’assedio dei Belgi è la medesima dei Galli: gittata una grande massa d’uomini tutt’intorno alle opere di difesa, cominciano a lanciare pietre contro le mura, e quando queste sono finalmente sguernite di difensori, fatta la testuggine, incendiano le porte e scavano sotto il muro. La manovra era facile perchè, essendo così densa la massa degli assalitori, la pioggia delle pietre era tale che non era possibile restare alla difesa delle mura. Avendo la notte posto fine all’azione, il comandante della fortezza — che era il remo Iccio — uomo di gran lignaggio e di gran credito fra i suoi ed<noinclude><references/></noinclude> r060n8kd869cpmfdd0v0jutabc5g453 Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/52 108 978781 3535039 3534389 2025-06-13T13:58:07Z Candalua 1675 3535039 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|46|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>{{Pt|nati|impressionati}} dalla quantità delle macchine d’assedio che i Galli non avevano mai veduto e non conoscevano neppure di fama, e dalla celerità dei Romani — mandarono ambasciatori a Cesare per la resa e, intercedendo i Remi per il loro perdono, l’ottennero. XIII. - Presi in ostaggio i più cospicui personaggi di quel popolo — tra cui due figli dello stesso re Galba — Cesare, dopo la consegna di tutte le armi, considera quali sottomessi i Suessioni e conduce l’esercito contro i Bellovaci. Essendosi questi rifugiati con tutte le loro robe nella città dei Bratuspanti<ref>Probabilmente presso Beauvais (''Caesaromagus'') ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, III, p. 259 nota 7; {{Sc|Desjardins}}, II, p. 451).</ref> e non distando più Cesare dalla medesima che un cinque miglia, tutti gli adulti, usciti dalle mura, tesero a Cesare le braccia, e cominciarono a dire che essi si affidavano a lui, mettendosi in sua balìa, e che non intendevano affatto lottare con le armi contro il popolo romano. Similmente, quando Cesare giunse sotto la città e si accampò, i bimbi e le donne, dalle mura, giungendo le mani alla loro maniera chiesero la pace. XIV. - In loro nome Diviziaco, che dopo la partenza dei Belgi, rimandate le forze edue, era ritornato a Cesare, così parla: «I Bellovaci erano stati sempre in amicizia ed in concordia con il popolo eduo: essi erano stati spinti a quella guerra dai loro principi che andavano dicendo che gli Edui, ridotti in servitù da Cesare, sopportavano ormai ogni indegnità e contumelia. Così i Bellovaci avevano abbandonato gli Edui per fare guerra al popolo romano. I principali istigatori, vista la grande sciagura che avevano fatto cadere sul loro popolo, erano fuggiti in Britannia. Non solo, adunque, i Bellovaci ma anche, in loro favore, gli Edui chiedevano a Cesare che trattasse i vinti con la sua clemenza e la sua mitezza. Così facendo, avrebbe accresciuto l’autorità degli Edui presso tutti i Belgi, dei cui aiuti e delle cui sostanze erano avvezzi a giovarsi non appena insorgesse una guerra». XV. - Cesare, per fare onore a Diviziaco ed agli Edui, disse che avrebbe accolto in un patto di resa i Bellovaci e li avrebbe risparmiati. Era questo un grande popolo tra i Belgi e predominava per autorità e per numero, e Cesare chiese seicento ostaggi. Ricevutili e prese tutte le armi che erano nella città, Cesare va dritto verso il paese degli Ambieni, i quali si arresero subito e consegnarono tutte le loro robe. Erano al loro confine i<noinclude><references/></noinclude> 5rcuuuce4aedan3vn55hzunz2o3x16g Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/53 108 978782 3535040 3534397 2025-06-13T13:58:28Z Candalua 1675 3535040 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la guerra gallica — libro ii}}|47}}</noinclude>Nervii<ref>I Nervii come è detto sopra — abitavano le valli dell’Escaut e della Sambra (''Sabis'').</ref>, sul cui carattere e sulle cui costumanze Cesare, informatosi, riseppe questo. Quel popolo non permetteva in alcun modo ai mercanti di entrare nel paese e non permetteva che vi si introducesse vino, o derrate voluttuarie, perchè pensava che per quelle cose potessero infrollirsi gli animi e spegnersi la virtù: erano uomini fieri, di straordinario coraggio, e vituperavano ed accusavano gli altri Belgi che si erano sottomessi al popolo romano ed avevano così avvilito il tradizionale valore. Essi confermarono che nè avrebbero mandato ambasciatori, nè avrebbero mai accettato alcuna condizione di pace. {{Centrato|{{Sc|La battaglia della Sambra.}}}} XVI. - Avendo marciato per tre giorni nei loro territori, Cesare veniva a conoscere dai prigionieri che la Sambra non distava dal suo campo più di dieci miglia<ref>Forse presso Bavay ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, III, p. 261 nota 2).</ref>, che al di là di quel fiume si erano radunati tutti i Nervii e là aspettavano l’arrivo dei Romani insieme con gli Atrébati ed i Viromandui, loro vicini; avendo persuasi anche questi due popoli a tentare assieme la sorte delle armi. S’attendevano anche forze dagli Aduatuci le quali già erano in marcia. Le donne e tutti quelli che per età sembravano inetti a combattere erano stati avviati in un luogo paludoso ed inaccessibile alle truppe. XVII. - Saputo ciò, Cesare manda avanti esploratori e centurioni che scelgano un luogo adatto per il campo. Intanto, poichè moltissimi Belgi, anresisi, ed altri Galli seguivano Cesare facendo la sua stessa strada, qualcuno di costoro — come poi si seppe dai prigionieri — notato in quei giorni l’ordine di marcia dell’esercito nostro, arrivò di notte presso i Nervii e spiegò loro come, tra una legione e l’altra intercedendo grande quantità di carriaggi, sarebbe stato facile, una volta entrata nel campo la prima legione, rimanendo ancora le altre a grande distanza, attaccare la prima così impacciata<ref>''Sub sarcinis'', cioè sotto l’impaccio dell’equipaggiamento individuale portato a dosso: le salmerie ed il carreggio costituivano gli impedimenta. Di regola però si valevano dei carri i mercanti ed i vivandieri al seguito delle legioni.</ref>. Una volta battuta questa e scompigliati i carriaggi, ne sarebbe venuto di conseguenza che le altre non avrebbero più osato far fronte. Il consiglio di quelli che proponevano l’impresa era appoggiato dal fatto che i Nervii, essendo privi fino dai tempi antichi<noinclude><references/></noinclude> hxkmtjdhtjdryoe5pcr8pb4wtchi3tf Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/60 108 978790 3535041 3534427 2025-06-13T13:58:45Z Candalua 1675 3535041 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|54|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>{{Nop}} {{Centrato|{{Sc|La fortezza degli Aduatuci.}}}} XXIX. - Gli Aduatuci che — come abbiamo visto sopra — venivano con le loro forze in aiuto dei Nervii, saputo di questa battaglia, cambiarono strada e tornarono a casa. Sguerniti tutti gli altri castelli e tutte le altre città, raccolsero i loro averi in una fortezza gagliardamente difesa per natura. Essa aveva infatti tutt’attorno altissime balze e precipizi, e da una sola parte s’apriva un accesso in pendio di larghezza non maggiore di duecento piedi<ref>Si tratta probabilmente della cittadella di Namur o di quella di Mont Falhize ({{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, III, p. 270).</ref>. Gli Aduatuci avevano costrutto da quel lato una poderosa difesa con una duplice altissima muraglia ed avevano collocato sul muro pietre di grande peso e pali acutissimi. Discendevano questi Aduatuci dai Cimbri e dai Teutoni che, avviandosi verso la Provincia nostra e l’Italia — abbandonati al di là del Reno quei carichi che non potevano portar seco — vi avevano lasciato a custodia genti della loro stirpe ed un presidio di seimila uomini. Questi, dopo la rotta dei Cimbri e dei Teutoni, incalzati per molti anni dai vicini, un po’ portando la guerra ed un po’ difendendosi, fatta finalmente la pace, col consenso di tutti s’erano scelti quel luogo a dimora. XXX. - Al primo arrivo delle legioni, facevano frequenti sortite dalla città e scaramucciavano con i nostri. Poi, rafforzatisi tutto all’ingiro con una trincea di quindicimila piedi di circuito<ref>Corrispondenti a 3000 passi, cioè a circa 4 chilometri e mezzo.</ref> e con numerose ridotte, si tennero quieti nelle loro mura. Ma quando — accostatesi le vinee ed alzatosi il terrapieno — videro da lungi sorgere una torre, cominciarono dapprima a motteggiare dalle mura ed a schernirci perchè si preparavano tante macchine a tanta distanza. E chiedevano con quali mani — e con quali forze soprattutto — uomini di così piccola statura (poichè per la maggior parte dei Galli, in confronto della loro, la nostra statura sembrava assai umile) presumessero di poter sollevare all’altezza delle mura una torre di tanta mole. {{Centrato|{{Sc|Le trattative.}}}} XXXI. Ma quando scorgono alzarsi il terrapieno e la torre avvicinarsi alle mura, sbalorditi dall’impensato prodigio mandano parlamentari a Cesare per la resa, e questi dicono: «Essi non<noinclude><references/></noinclude> t0qn5hnjabm3abr92m51jwrienarzzb Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/199 108 978799 3534957 3534867 2025-06-13T12:56:36Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534957 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>195 aveva l'interiore dei frammenti, quantun- que i sorli rimanessero inalterati, così nel tessuto, come nel colore. Ma il ci- tato Autore conviene d'altra parte, che l'acido sulfurico è abile egli pure nel produrre il medesimo effetto: ed io nelle citate due lave l'ho veduto praticamen- te (a). Ed è noto del pari competere N 2 23 , pure (a) Non ostante che nel giro d'un mese gli acidi muriatico, e sulfurico fossero egualmente ef- ficaci nell' alterare alquanto le due lave dirò che in procedimento di tempo fu più opera- tivo il muriatico del sulfurico. Dopo sette mesi e mezzo ritornato essendo io con l'occhio alle la- ve restate sempre nel medesimo sito dentro all' acido muriatico, e al sulfurico, vidi che il primo acido decomposte le aveva di più del secondo. Oltre l'acquistata bianchezza quasi pari a quella della neve, divenute eran leggere, friabilissime, e spugnosette pei logoramenti sofferti dall' acido. I sorli restavan neri, perduto però l'occhio ve- troso. Queste due lave avviluppano anche di molti feldspati, i quali si sono portati meglio dei sorli, ritenendo tuttavia il naturale loro cangiante. Ma l'acido sulfurico in queste lave ha prodotto soltanto un colore di cenere, una minore friabili- tà, e leggerezza, e nei neri sorli non è venuta meno la lucidezza vetrosa. Questo acido era con- centrato egualmente che il muriatico. Dove prima aveva il colore, e la limpidezza dell' acqua, si è<noinclude><references/></noinclude> ivcjp501iyua9ryvcn8ravdqjm1lea9 3534962 3534957 2025-06-13T13:01:57Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534962 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||195}}</noinclude>aveva l'interiore dei frammenti, quantunque i sorli rimanessero inalterati, così nel tessuto, come nel colore. Ma il citato Autore conviene d'altra parte, che l'acido sulfurico è abile egli pure nel produrre il medesimo effetto: ed io nelle citate due lave l'ho veduto praticamente<ref name="nota_p195">Non ostante che nel giro d'un mese gli acidi muriatico, e sulfurico fossero egualmente efficaci nell'alterare alquanto le due lave, pure dirò che in procedimento di tempo fu più operativo il muriatico del sulfurico. Dopo sette mesi e mezzo ritornato essendo io con l'occhio alle lave restate sempre nel medesimo sito dentro all'acido muriatico, e al sulfurico, vidi che il primo acido decomposte le aveva di più del secondo. Oltre l'acquistata bianchezza quasi pari a quella della neve, divenute eran leggere, friabilissime, e spugnosette pei logoramenti sofferti dall'acido. I sorli restavan neri, perduto però l'occhio vetroso. Queste due lave avviluppano anche di molti feldspati, i quali si sono portati meglio dei sorli, ritenendo tuttavia il naturale loro cangiante. Ma l'acido sulfurico in queste lave ha prodotto soltanto un colore di cenere, una minore friabilità, e leggerezza, e nei neri sorli non è venuta meno la lucidezza vetrosa. Questo acido era concentrato egualmente che il muriatico. Dove prima aveva il colore, e la limpidezza dell'acqua, si è</ref>. Ed è noto del pari competere<noinclude>{{RigaIntestazione||N 2}}</noinclude> nfkk70ev6r1uagap9ntvs8xv1qlr9p1 3534988 3534962 2025-06-13T13:25:50Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3534988 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||195}}</noinclude>aveva l'interiore dei frammenti, quantunque i sorli rimanessero inalterati, così nel tessuto, come nel colore. Ma il citato Autore conviene d'altra parte, che l'acido sulfurico è abile egli pure nel produrre il medesimo effetto: ed io nelle citate due lave l'ho veduto praticamente<ref name="nota_p195">Non ostante che nel giro d'un mese gli acidi muriatico, e sulfurico fossero egualmente efficaci nell'alterare alquanto le due lave, pure dirò che in procedimento di tempo fu più operativo il muriatico del sulfurico. Dopo sette mesi e mezzo ritornato essendo io con l'occhio alle lave restate sempre nel medesimo sito dentro all'acido muriatico, e al sulfurico, vidi che il primo acido decomposte le aveva di più del secondo. Oltre l'acquistata bianchezza quasi pari a quella della neve, divenute eran leggere, friabilissime, e spugnosette pei logoramenti sofferti dall'acido. I sorli restavan neri, perduto però l'occhio vetroso. Queste due lave avviluppano anche di molti feldspati, i quali si sono portati meglio dei sorli, ritenendo tuttavia il naturale loro cangiante. Ma l'acido sulfurico in queste lave ha prodotto soltanto un colore di cenere, una minore friabilità, e leggerezza, e nei neri sorli non è venuta meno la lucidezza vetrosa. Questo acido era concentrato egualmente che il muriatico. Dove prima aveva il colore, e la limpidezza dell'acqua, si è</ref>. Ed è noto del pari competere<noinclude>{{RigaIntestazione||N 2}}<references/></noinclude> czkn2kwhkcnutcwamej2fp3cbv2f1ib Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/200 108 978800 3534958 3534870 2025-06-13T12:56:54Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534958 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>196 somigliante virtù all' acido sulfureo, fac- cendo lentissimamente bruciare il solfo. Resta dunque a sapersi quale dei due acidi, muriatico, e sulfureo, sia veramen- te l'autore delle decomposizioni, e degli imbiancamenti, che nei Vulcani bene spesso osserviamo, in quegli almeno da me diligentemente esaminati, quali sono Stromboli, e Vulcano. E quantunque io abbia pruove dirette da prodursi in altra parte dell' Opera presente, che alcune lave, e smalti, e vetri, vulcanici danno talvolta ricetto all' acido muriatico, pu- re le summentovate decomposizioni non già a quest' acido, ma al sulfureo si deb- fatto torbidiccio e scuro. Il muriatico poi ha acqui- stato un bellissimo giallo d'oro. Debbo però ag- giugnere, che all' acido sulfurico vecchio surroga- to avendone del fresco, la decomposizione, e l'imbiancatura delle due lave dopo qualche tempo non è stata inferiore alle notate per l'acido mu- riatico. Un rimarcabil divario ho io trovato tra le alterazioni, cui van soggette ne' Vulcani le lave, e quelle che offrono elleno per gli acidi sulfurico, e muriatico: ed è che le alterazioni vulcaniche vanno di rado scompagnate da una untuosa pastosità, che non ho punto veduta nelle due lave sottoposte ai nominati acidi, le quali per l'opposto diventano aspre e scabrose.<noinclude><references/></noinclude> st9pm0qbsgjq3bwysfylbcuusnqpsol 3534966 3534958 2025-06-13T13:08:19Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534966 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|196}}</noinclude>somigliante virtù all'acido sulfureo, faccendo lentissimamente bruciare il solfo. Resta dunque a sapersi quale dei due acidi, muriatico, e sulfureo, sia veramente l'autore delle decomposizioni, e degli imbiancamenti, che nei Vulcani bene spesso osserviamo, in quegli almeno da me diligentemente esaminati, quali sono Stromboli, e Vulcano. E quantunque io abbia pruove dirette da prodursi in altra parte dell'Opera presente, che alcune lave, e smalti, e vetri vulcanici danno talvolta ricetto all'acido muriatico, pure le summentovate decomposizioni non già a quest'acido, ma al sulfureo si {{Pt|deb-|}} <ref follow="nota_p195">fatto torbidiccio e scuro. Il muriatico poi ha acquistato un bellissimo giallo d'oro. Debbo però aggiugnere, che all'acido sulfurico vecchio surrogato avendone del fresco, la decomposizione, e l'imbiancatura delle due lave dopo qualche tempo non è stata inferiore alle notate per l'acido muriatico. Un rimarcabil divario ho io trovato tra le alterazioni, cui van soggette ne' Vulcani le lave, e quelle che offrono elleno per gli acidi sulfurico, e muriatico: ed è che le alterazioni vulcaniche vanno di rado scompagnate da una untuosa pastosità, che non ho punto veduta nelle due lave sottoposte ai nominati acidi, le quali per l'opposto diventano aspre e scabrose.</ref><noinclude><references/></noinclude> g1v42txkn85howkbz2cggouv6jqjtm4 3534992 3534966 2025-06-13T13:29:44Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3534992 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|196}}</noinclude>somigliante virtù all'acido sulfureo, faccendo lentissimamente bruciare il solfo. Resta dunque a sapersi quale dei due acidi, muriatico, e sulfureo, sia veramente l'autore delle decomposizioni, e degli imbiancamenti, che nei Vulcani bene spesso osserviamo, in quegli almeno da me diligentemente esaminati, quali sono Stromboli, e Vulcano. E quantunque io abbia pruove dirette da prodursi in altra parte dell'Opera presente, che alcune lave, e smalti, e vetri vulcanici danno talvolta ricetto all'acido muriatico, pure le summentovate decomposizioni non già a quest'acido, ma al sulfureo si {{Pt|deb-|}} <ref follow="nota_p195">fatto torbidiccio e scuro. Il muriatico poi ha acquistato un bellissimo giallo d'oro. Debbo però aggiugnere, che all'acido sulfurico vecchio surrogato avendone del fresco, la decomposizione, e l'imbiancatura delle due lave dopo qualche tempo non è stata inferiore alle notate per l'acido muriatico. Un rimarcabil divario ho io trovato tra le alterazioni, cui van soggette ne' Vulcani le lave, e quelle che offrono elleno per gli acidi sulfurico, e muriatico: ed è che le alterazioni vulcaniche vanno di rado scompagnate da una untuosa pastosità, che non ho punto veduta nelle due lave sottoposte ai nominati acidi, le quali per l'opposto diventano aspre e scabrose.</ref><noinclude><references/></noinclude> falhlb8ayicuv1s7d80saa2chosm93w Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/201 108 978801 3534959 3534872 2025-06-13T12:57:04Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534959 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>197 bono sicuramente. L'odore di questi due acidi è troppo differente, per non con- fondere l'uno con l'altro. Io però a Stromboli, e a Vulcano in que' luoghi, dove esistono prodotti decomposti avvi- luppati da bianchi fumi, sentiva il fiato- re acre pungente, e soffogante del solfo, come l'agrissimo suo sapore, se una par- ticella di que' fumi mi entrava casual- mente per bocca. Vedeva in ispezieltà a Vulcano, che dove que' sulfurei fu- mosi aliti eran più fitti, e lasciavano croste di solfo attaccate ai corpi, che lambivano, questi corpi, fossero lave o pomici o vetri, rimanevano più pre- giudicati degli altri. Il decomponimento in talun di loro avea penetrato fino alla profondità di due piedi. Il tentativo che passo a riferire suggerisce una novella irrefragabile pruova di quanto qui asse- risco. Per 32. giorni dentro a uno spi- raglio, donde in Vulcano elevavasi un cocentissimo ed amplo fumajuolo, lasciai un pezzo di lava nerissima, a base di sorlo in massa, delle più compatte, e delle più dure: e ripigliatala dopo un tal tempo, osservai che nella superior parte conserva vasi intatta, fattosi soltan- N 3<noinclude><references/></noinclude> ejcn8qqqg16qgefhreui6quo4q1djin 3534969 3534959 2025-06-13T13:10:46Z Marcella Medici (BEIC) 22982 3534969 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||197}}</noinclude>{{pt|bono|deboono}} sicuramente. L'odore di questi due acidi è troppo differente, per non confondere l'uno con l'altro. Io però a Stromboli, e a Vulcano in que' luoghi, dove esistono prodotti decomposti avviluppati da bianchi fumi, sentiva il fiatore acre pungente, e soffogante del solfo, come l'agrissimo suo sapore, se una particella di que' fumi mi entrava casualmente per bocca. Vedeva in ispezieltà a Vulcano, che dove que' sulfurei fumosi aliti eran più fitti, e lasciavano croste di solfo attaccate ai corpi, che lambivano, questi corpi, fossero lave o pomici o vetri, rimanevano più pregiudicati degli altri. Il decomponimento in talun di loro avea penetrato fino alla profondità di due piedi. Il tentativo che passo a riferire suggerisce una novella irrefragabile pruova di quanto qui asserisco. Per 32. giorni dentro a uno spiraglio, donde in Vulcano elevavasi un cocentissimo ed amplo fumajuolo, lasciai un pezzo di lava nerissima, a base di sorlo in massa, delle più compatte, e delle più dure: e ripigliatala dopo un tal tempo, osservai che nella superior parte conserva vasi intatta, fattosi {{Pt|soltan-|}}<noinclude>{{RigaIntestazione||N 3}}</noinclude> lypvhirtccsnh7wshn562dz6wli3hlg 3534970 3534969 2025-06-13T13:10:57Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534970 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||197}}</noinclude>{{pt|bono|deboono}} sicuramente. L'odore di questi due acidi è troppo differente, per non confondere l'uno con l'altro. Io però a Stromboli, e a Vulcano in que' luoghi, dove esistono prodotti decomposti avviluppati da bianchi fumi, sentiva il fiatore acre pungente, e soffogante del solfo, come l'agrissimo suo sapore, se una particella di que' fumi mi entrava casualmente per bocca. Vedeva in ispezieltà a Vulcano, che dove que' sulfurei fumosi aliti eran più fitti, e lasciavano croste di solfo attaccate ai corpi, che lambivano, questi corpi, fossero lave o pomici o vetri, rimanevano più pregiudicati degli altri. Il decomponimento in talun di loro avea penetrato fino alla profondità di due piedi. Il tentativo che passo a riferire suggerisce una novella irrefragabile pruova di quanto qui asserisco. Per 32. giorni dentro a uno spiraglio, donde in Vulcano elevavasi un cocentissimo ed amplo fumajuolo, lasciai un pezzo di lava nerissima, a base di sorlo in massa, delle più compatte, e delle più dure: e ripigliatala dopo un tal tempo, osservai che nella superior parte conserva vasi intatta, fattosi {{Pt|soltan-|}}<noinclude>{{RigaIntestazione||N 3}}</noinclude> ozyj03pabw5ykcj9at94si4dhk11t0y 3534997 3534970 2025-06-13T13:34:11Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3534997 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||197}}</noinclude>{{pt|bono|debbono}} sicuramente. L'odore di questi due acidi è troppo differente, per non confondere l'uno con l'altro. Io però a Stromboli, e a Vulcano in que' luoghi, dove esistono prodotti decomposti avviluppati da bianchi fumi, sentiva il fiatore acre pungente, e soffogante del solfo, come l'agrissimo suo sapore, se una particella di que' fumi mi entrava casualmente per bocca. Vedeva in ispezieltà a Vulcano, che dove que' sulfurei fumosi aliti eran più fitti, e lasciavano croste di solfo attaccate ai corpi, che lambivano, questi corpi, fossero lave o pomici o vetri, rimanevano più pregiudicati degli altri. Il decomponimento in talun di loro avea penetrato fino alla profondità di due piedi. Il tentativo che passo a riferire suggerisce una novella irrefragabile pruova di quanto quì asserisco. Per 32. giorni dentro a uno spiraglio, donde in Vulcano elevavasi un cocentissimo ed amplo fumajuolo, lasciai un pezzo di lava nerissima, a base di sorlo in massa, delle più compatte, e delle più dure: e ripigliatala dopo un tal tempo, osservai che nella superior parte conservavasi intatta, fattosi {{Pt|soltan-|}}<noinclude>{{RigaIntestazione||N 3}}</noinclude> c6ihjh5bgzpeqy8mus4kzu8nt1qzdv3 Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/202 108 978802 3534960 3534875 2025-06-13T12:57:13Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534960 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>198 to un po' chiaro il color nero; ma ai lati, e molto più al di sotto, dove l' im- pressione operata dagli aliti sulfurei era maggiore e più attiva, si vedeva sbian- cata, con sensibile superficiale inteneri- mento delle solide parti. Se il Sig. Sage a luogo di decidere, dal fondo del chimico suo laboratorio per l'acido muriatico, come come artefice delle alterazioni, che avvengono ai Paesi vulcanici, visitato avesse egli stesso que- sti Paesi, sentito avrebbe diversamente; e se in questi suoi viaggi entrato fosse nella Grotta del Cane presso Pozzuolo, non gli sarebbe mai scappato dalla pen- na, che quella perpetua mofeta viene prodotta dall' acido acido marino marino volati- le (a). (a) L. c. Vedi il mio Tomo Primo, Cap. III.<noinclude><references/></noinclude> m3oq9vup5eowour65f11ivqdrl9bvji 3534972 3534960 2025-06-13T13:13:19Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534972 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|198}}</noinclude>{{pt|to|soltnto}} un po' chiaro il color nero; ma ai lati, e molto più al di sotto, dove l'impressione operata dagli aliti sulfurei era maggiore e più attiva, si vedeva sbiancata, con sensibile superficiale intenerimento delle solide parti. Se il Sig. Sage a luogo di decidere, dal fondo del chimico suo laboratorio per l'acido muriatico, come come artefice delle alterazioni, che avvengono ai Paesi vulcanici, visitato avesse egli stesso questi Paesi, sentito avrebbe diversamente; e se in questi suoi viaggi entrato fosse nella Grotta del Cane presso Pozzuolo, non gli sarebbe mai scappato dalla penna, che ''quella perpetua mofeta viene prodotta dall'acido marino volatile''<ref>L. c. Vedi il mio Tomo Primo, Cap. III.</ref><noinclude><references/></noinclude> 7asaw6504w8ybigtn3kk9g2q0vv1uio 3534986 3534972 2025-06-13T13:24:52Z Candalua 1675 3534986 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|198}}</noinclude>{{pt|to|soltanto}} un po’ chiaro il color nero; ma ai lati, e molto più al di sotto, dove l’impressione operata dagli aliti sulfurei era maggiore e più attiva, si vedeva sbiancata, con sensibile superficiale intenerimento delle solide parti. Se il Sig. Sage a luogo di decidere, dal fondo del chimico suo laboratorio per l’acido muriatico, come come artefice delle alterazioni, che avvengono ai Paesi vulcanici, visitato avesse egli stesso questi Paesi, sentito avrebbe diversamente; e se in questi suoi viaggi entrato fosse nella Grotta del Cane presso Pozzuolo, non gli sarebbe mai scappato dalla penna, che ''quella perpetua mofeta viene prodotta dall’acido marino volatile''<ref>L. c. Vedi il mio Tomo Primo, Cap. III.</ref><noinclude><references/></noinclude> mxmj8b5iam3a8aujh8fv3h4sq4n2gfc 3535001 3534986 2025-06-13T13:38:46Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535001 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|198}}</noinclude>{{pt|to|soltanto}} un po' chiaro il color nero; ma ai lati, e molto più al di sotto, dove l'impressione operata dagli aliti sulfurei era maggiore e più attiva, si vedeva sbiancata, con sensibile superficiale intenerimento delle solide parti. Se il Sig. Sage a luogo di decidere dal fondo del chimico suo laboratorio per l'acido muriatico, come artefice delle alterazioni, che avvengono ai Paesi vulcanici, visitato avesse egli stesso questi Paesi, sentito avrebbe diversamente; e se in questi suoi viaggi entrato fosse nella Grotta del Cane presso Pozzuolo, non gli sarebbe mai scappato dalla penna, che ''quella perpetua mofeta viene prodotta dall'acido marino volatile''<ref>L. c. 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Notabili cangiamenti d'allora in poi avvenuti dentro al cratere. Crisi di Vulcano nel 1786. Niuna eruzione di lave uscita dal cratere a memoria dei viventi Liparesi, e dei loro avoli. Fenomeni di questo Vulcano abitualmente da loro osservati. Visite fatte a questo {{Pt|crate-|}}''<noinclude>{{RigaIntestazione||N 4}}</noinclude> 1gvna0rlic7jzbkv8otsmdeig1ml0bo 3534977 3534975 2025-06-13T13:18:08Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534977 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||199}}</noinclude>{{Ct|f=150%|v=1|t=2|CAPITOLO XIV.}} {{Ct|f=100%|v=0.4|{{Sc|si segue a ragionare}}}} {{Ct|f=100%|{{Sc|di vulcano.}}}} ''Fra i pochissimi Naturalisti Viaggiatori all'Isole Eolie Guglielmo de Luc è il solo, che penetrato abbia dentro al cratere di Vulcano. Compendio delle sue osservazioni ivi fatte nel 1757, ragguagliato a quelle dell'Autore. Somiglianze, e differenze fra le circostanze locali del cratere d'allora, e quelle del cratere presente. Ristretto di quanto dalla sommità del cratere osservò il Commendatore Dolomieu nel 1781. Notabili cangiamenti d'allora in poi avvenuti dentro al cratere. Crisi di Vulcano nel 1786. Niuna eruzione di lave uscita dal cratere a memoria dei viventi Liparesi, e dei loro avoli. Fenomeni di questo Vulcano abitualmente da loro osservati. Visite fatte a questo {{Pt|crate-|}}''<noinclude>{{RigaIntestazione||N 4}}</noinclude> t6f39p2sbs8aafuebwaz2h30kuwk5d2 3535008 3534977 2025-06-13T13:47:20Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535008 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||199}}</noinclude>{{Ct|f=150%|v=1|t=2|CAPITOLO XIV.}} {{Ct|f=100%|v=0.4|{{Sc|si segue a ragionare}}}} {{Ct|f=100%|{{Sc|di vulcano.}}}} ''Fra i pochissimi Naturalisti Viaggiatori all'Isole Eolie {{wl|Q55675191|Guglielmo de Luc}} è il solo, che penetrato abbia dentro al cratere di Vulcano. Compendio delle sue osservazioni ivi fatte nel 1757., ragguagliato a quelle dell'Autore. Somiglianze, e differenze fra le circostanze locali del cratere d'allora, e quelle del cratere presente. Ristretto di quanto dalla sommità del cratere osservò il {{AutoreCitato|Déodat de Dolomieu|Commendatore Dolomieu}} nel 1781. Notabili cangiamenti d'allora in poi avvenuti dentro al cratere. Crisi di Vulcano nel 1786. Niuna eruzione di lave uscita dal cratere a memoria dei viventi Liparesi, e dei loro avoli. Fenomeni di questo Vulcano abitualmente da loro osservati. Visite fatte a questo {{Pt|crate-|}}''<noinclude>{{RigaIntestazione||N 4}}</noinclude> f2gosn2gvy6vgtgt6hwdanbozqsec9k Pagina:E l'uccellino... (G. Puccini - R. Fucini).pdf/2 108 978807 3535137 3534505 2025-06-13T16:32:57Z Pic57 12729 /* Trascritta */ 3535137 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Pic57" />{{RigaIntestazione|2||}}</noinclude>{{Centrato|''Al bimbino MEMMO LIPPI''}} {{Rule|4em}} {{Ct|f=200%|E L' UCCELLINO...}} {{Centrato|'''Ninna-Nanna'''}} {{RigaIntestazione|Versi di<br> R. Fucini||Musica di<br>Giacomo Puccini}} <score sound="1"> << %Apre Aggancio Canto a Pianoforte \new Staff \with { instrumentName = \markup{\tiny "CANTO" }} << %Apre aggancio lyrics al Canto \relative c'{ \clef treble \key d \major \time 2/4 %rigo canto 1.1 R1*2/4*3|^\p r8 b'\( cis a \break %rigo canto 1.2 d4 a\)|\autoBeamOff a8\( b cis a| d4 a\)|R1*2/4|^\markup{\italic "poco rall."} fis4^\( e8 e| \break %rigo canto 1.3 fis4 g8 g|a8-.( [b16 a]) g8 fis|^\markup{\italic "a tempo"}e4 e8 \)r|^\markup{\italic "dolce e carezzevole"}b'4_( ^\( e,8) e|fis fis gis a\)| }%Chiude relative Canto \addlyrics { E l'uc -- cel -- li -- no can -- ta su la fron -- da: dor -- mi tran -- quil -- lo, boc -- cuc -- cia d'a -- mo -- re: pie -- ga_--_la giù quel -- la te- }%Chiude new staff canto >> %Chiude aggancio a lyrics %Inizia basePiano \new PianoStaff \with { instrumentName = \markup{\tiny "Allegretto molto moderato" }} << \new Staff ="up" { \clef treble \key d \major \time 2/4 %\tempo = mosso_non_troppo \tempo 4= 98 \relative c' { %rigo up 1.1 _\pp r8 <<a'8 fis>> r <<a8 fis>>|r8<<g a>>r\acciaccatura gis' a8|r <<a, fis>>r <<a fis>>|r <<a fis>> r \acciaccatura gis' a8| \break %rigo up 1.2 r8 <<a, fis>>r8 <<a fis>>|r8<<g a>>r\acciaccatura gis' a8|r <<a, fis>>r <<a fis>>| r <<a d a,>>r <<g' cis, a>>|^\markup{\italic "poco rall."} r <<fis' d a>> r <<e' cis a>>| \break %rigo up 1.3 r8 <<fis' d a>> r <<g' d a>>|r <<g' d a>> <<g' d a>><<g' d a>>|^\markup{\italic "a tempo"} r8 <<e' cis>> r <<e cis>>|r <<e d>> r <<e d>>|r <<e cis>> r8 <<e cis>>| \break %rigo up 2.4 } %Chiude relative Up }%Chiude New Staff Up \new Staff ="up" { \clef bass \key d \major \time 2/4 \relative c{ %rigo low 1.1 \stemDown d8-. d'16( cis) d8-. b-.|a-. b-. cis-. r|d,8-. d'16( cis) d8-. b-.|a-. b-. cis-. r| \break %rigo low 1.2 d,8-. d'16( cis) d8-. b-.|a-. b-. cis-. r|d,8-. d'16( cis) d8-. b-.|fis4( e)|\stemUp d( a)| \break %rigo low 1.3 \stemDown d4( e)|fis4( e8 d|a) a'16( gis) a8-. r|b4( e,)|fis( gis8 a)| \break %rigo low 2.4 } %Chiude relative low }%Chiude Staff low >>%Fine Base Piano >>%Fine Piano e Canto \layout { %#(set-global-staff-size 34) %ragged-right = ##t indent = 4\cm %short-indent = 2\cm } </score><noinclude>{{PieDiPagina|{{Smaller|Proprietà G. RICORDI &C. Editori-Stampatori, MILANO}}||{{Smaller|(Copyrights, 1899, by G. Ricordi & Co.)}}}} {{Smaller|Tutti i diritti d'esecuzione, riproduzione, traduzione e trascrizione sono riservati. 102625}} <references/></noinclude> 4t234tdzj4zhlic5jp6ys8ueiidou0m 3535138 3535137 2025-06-13T16:33:52Z Pic57 12729 3535138 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Pic57" />{{RigaIntestazione|2||}}</noinclude>{{Centrato|''Al bimbino MEMMO LIPPI''}} {{Rule|4em}} {{Ct|f=200%|E L' UCCELLINO...}} {{Centrato|'''Ninna-Nanna'''}} {{RigaIntestazione|Versi di<br> R. Fucini||Musica di<br>Giacomo Puccini}} <score sound="1"> << %Apre Aggancio Canto a Pianoforte \new Staff \with { instrumentName = \markup{\tiny "CANTO" }} << %Apre aggancio lyrics al Canto \relative c'{ \clef treble \key d \major \time 2/4 %rigo canto 1.1 R1*2/4*3|^\p r8 b'\( cis a \break %rigo canto 1.2 d4 a\)|\autoBeamOff a8\( b cis a| d4 a\)|R1*2/4|^\markup{\italic "poco rall."} fis4^\( e8 e| \break %rigo canto 1.3 fis4 g8 g|a8-.( [b16 a]) g8 fis|^\markup{\italic "a tempo"}e4 e8 \)r|^\markup{\italic "dolce e carezzevole"}b'4_( ^\( e,8) e|fis fis gis a\)| }%Chiude relative Canto \addlyrics { E l'uc -- cel -- li -- no can -- ta su la fron -- da: dor -- mi tran -- quil -- lo, boc -- cuc -- cia d'a -- mo -- re: pie -- ga_--_la giù quel -- la te- }%Chiude new staff canto >> %Chiude aggancio a lyrics %Inizia basePiano \new PianoStaff \with { instrumentName = \markup{\tiny "Allegretto molto moderato" }} << \new Staff ="up" { \clef treble \key d \major \time 2/4 %\tempo = mosso_non_troppo \tempo 4= 70 \relative c' { %rigo up 1.1 _\pp r8 <<a'8 fis>> r <<a8 fis>>|r8<<g a>>r\acciaccatura gis' a8|r <<a, fis>>r <<a fis>>|r <<a fis>> r \acciaccatura gis' a8| \break %rigo up 1.2 r8 <<a, fis>>r8 <<a fis>>|r8<<g a>>r\acciaccatura gis' a8|r <<a, fis>>r <<a fis>>| r <<a d a,>>r <<g' cis, a>>|^\markup{\italic "poco rall."} r <<fis' d a>> r <<e' cis a>>| \break %rigo up 1.3 r8 <<fis' d a>> r <<g' d a>>|r <<g' d a>> <<g' d a>><<g' d a>>|^\markup{\italic "a tempo"} r8 <<e' cis>> r <<e cis>>|r <<e d>> r <<e d>>|r <<e cis>> r8 <<e cis>>| \break %rigo up 2.4 } %Chiude relative Up }%Chiude New Staff Up \new Staff ="up" { \clef bass \key d \major \time 2/4 \relative c{ %rigo low 1.1 \stemDown d8-. d'16( cis) d8-. b-.|a-. b-. cis-. r|d,8-. d'16( cis) d8-. b-.|a-. b-. cis-. r| \break %rigo low 1.2 d,8-. d'16( cis) d8-. b-.|a-. b-. cis-. r|d,8-. d'16( cis) d8-. b-.|fis4( e)|\stemUp d( a)| \break %rigo low 1.3 \stemDown d4( e)|fis4( e8 d|a) a'16( gis) a8-. r|b4( e,)|fis( gis8 a)| \break %rigo low 2.4 } %Chiude relative low }%Chiude Staff low >>%Fine Base Piano >>%Fine Piano e Canto \layout { %#(set-global-staff-size 34) %ragged-right = ##t indent = 4\cm %short-indent = 2\cm } </score><noinclude>{{PieDiPagina|{{Smaller|Proprietà G. RICORDI &C. Editori-Stampatori, MILANO}}||{{Smaller|(Copyrights, 1899, by G. Ricordi & Co.)}}}} {{Smaller|Tutti i diritti d'esecuzione, riproduzione, traduzione e trascrizione sono riservati. 102625}} <references/></noinclude> sqs2juf0emkm1f8u26btw21zl41o40e Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/64 108 978864 3535027 3534788 2025-06-13T13:55:18Z Candalua 1675 3535027 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" /></noinclude>{{Ct|f=120%|LIBRO TERZO.}} {{Centrato|{{Sc|Per la libertà dei valichi alpini.}}}} I. - Partendo Cesare per l’Italia, mandò Servio Galba con la legione dodicesima e parte della cavalleria contro i Nantuati, i Véragri ed i Séduni<ref>Abitatori tutti dell’alta valle del Rodano: i Nantuati presso Saint Maurice, i Véragri presso Martigny, i Séduni presso Sion nel Vallese. Servio Galba aveva il titolo di legato ({{Sc|{{Ac|Camille Jullian|Jullian}}}}, VI, cap. IV, p. 508 sgg.).</ref>, i cui paesi si estendono dai confini degli Allobrogi, dal lago Lemanno e dal fiume Rodano, fino alle più eccelse Alpi. Motivo di questa spedizione fu che Cesare voleva che il passaggio delle Alpi — che i mercanti non potevano compiere senza grave pericolo e senza onerose dogane<ref>Si tratta o del diritto di «''portorium''» o di dogana (''portorium publicum'') o, più probabilmente, di imposizione forzata da parte delle bellicose popolazioni del Vallese.</ref> — fosse libero. Permise adunque a Galba, se lo avesse ritenuto necessario, di far svernare la legione tra quei monti. Galba, dopo qualche scontro favorevole e dopo aver espugnato moltissimi di quei castelli — giungendogli da ogni parte ambasciatori e rimettendogli ostaggi —, fatta la pace, stabilì di alloggiare fra i Nantuati due coorti e di svernare con le rimanenti in un villaggio dei Véragri che si chiama Ottoduro<ref>Martigny-Bourg (''Forum Claudii'') diviso in due dalla Drance. Con questi provvedimenti Cesare voleva assicurarsi militarmente del valico del Gran San Bernardo e delle comunicazioni tra l’Italia, la Gallia settentrionale e la Germania ({{Sc|Jullian}}, III, pp. 283-285; IV, p. 51 nota; V, p. 83). Per le operazioni militari nel Vallese si veda: {{Sc|Jullian}}, III, p. 284. Per la bibliografia della campagna alpina nel Vallese, oltre il {{Sc|Rice Holmes}} (op. cit.), si veda {{Sc|Rothpletz}}, ''Die Schlacht bei Martigny''. Sono suggestive le analogie tra queste operazioni di guerra cesariane ed il passaggio compiuto da Napoleone I nel 1800.</ref>. Questo villaggio è in una valle presso ad una breve radura ed è tutt’attorno circondato da alte montagne. Essendo il villaggio diviso in due parti dal fiume, lasciò una parte ai Galli perchè vi svernassero e, fatta loro sgombrare l’altra, l’assegnò alle coorti e fortificò il luogo con fossi e con palizzate.<noinclude><references/></noinclude> 23fa74gxlnk3a7kq8mpy16f7ekhf73y Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/204 108 978879 3534948 3534876 2025-06-13T12:52:41Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534948 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Francyskus" /></noinclude>200 re dal Padre Bartoli nel 1646., e dal Professore d'Orville nel 1727. Interiore incendio per tutto il cratere nella prima epoca. Non uno, ma due crateri nell' epoca seconda. Monticel- lo, che in quel tempo sorgeva dal fondo di uno dei due crateri. Trova- to allora Vulcano nelle maggiori sue furie. Qualche oscura memoria anche o adesso appo alcuni vecchi Liparesi di un doppio cratere alla cima di Vul- cano. Sterilità di quest' Isola dalla parte di Lipari, senza esservi penuria di piante nella parte opposta. Lave porfiriche in questa parte, ma gran- demente decomposte. Picciol cratere ai fianchi di Vulcano per la prima volta descritto. I fumi di Vulcano si consultano da alcuni Liparesi per il tempo buono o cattivo, come si con- sultano da più Strombolesi quelli del- o la loro ardente Montagna. Osserva- zioni stampate da un Liparese su la diversità de' fumi, e degl' interni movimenti di Vulcano prenunziatori secondo lui, de' venti, che denno sof- Ofiare. Osservazioni dell' Autore discor- danti da quelle del Liparese. Fuochi<noinclude><references/></noinclude> q1ziwe7ryi3taxvnrixykb96antdo5d 3534980 3534948 2025-06-13T13:20:44Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534980 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|200}}</noinclude>''{{pt|cratere}} dal Padre Bartoli nel 1646., e dal Professore d'Orville nel 1727. Interiore incendio per tutto il cratere nella prima epoca. Non uno, ma due crateri nell'epoca seconda. Monticello, che in quel tempo sorgeva dal fondo di uno dei due crateri. Trovato allora Vulcano nelle maggiori sue furie. Qualche oscura memoria anche o adesso appo alcuni vecchi Liparesi di un doppio cratere alla cima di Vulcano. Sterilità di quest'Isola dalla parte di Lipari, senza esservi penuria di piante nella parte opposta. Lave porfiriche in questa parte, ma grandemente decomposte. Picciol cratere ai fianchi di Vulcano per la prima volta descritto. I fumi di Vulcano si consultano da alcuni Liparesi per il tempo buono o cattivo, come si consultano da più Strombolesi quelli della loro ardente Montagna. Osservazioni stampate da un Liparese su la diversità de' fumi, e degl'interni movimenti di Vulcano prenunziatori secondo lui, de' venti, che denno soffiare. Osservazioni dell'Autore discordanti da quelle del Liparese. Fuochi''<noinclude><references/></noinclude> fehcqr8fi7g5xs88mbby8inf1s5l4qy 3534981 3534980 2025-06-13T13:21:22Z Marcella Medici (BEIC) 22982 3534981 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|200}}</noinclude>''{{pt|re|cratere}} dal Padre Bartoli nel 1646., e dal Professore d'Orville nel 1727. Interiore incendio per tutto il cratere nella prima epoca. Non uno, ma due crateri nell'epoca seconda. Monticello, che in quel tempo sorgeva dal fondo di uno dei due crateri. Trovato allora Vulcano nelle maggiori sue furie. Qualche oscura memoria anche o adesso appo alcuni vecchi Liparesi di un doppio cratere alla cima di Vulcano. Sterilità di quest'Isola dalla parte di Lipari, senza esservi penuria di piante nella parte opposta. Lave porfiriche in questa parte, ma grandemente decomposte. Picciol cratere ai fianchi di Vulcano per la prima volta descritto. I fumi di Vulcano si consultano da alcuni Liparesi per il tempo buono o cattivo, come si consultano da più Strombolesi quelli della loro ardente Montagna. Osservazioni stampate da un Liparese su la diversità de' fumi, e degl'interni movimenti di Vulcano prenunziatori secondo lui, de' venti, che denno soffiare. Osservazioni dell'Autore discordanti da quelle del Liparese. Fuochi''<noinclude><references/></noinclude> c0a80b6b5swous27568vgkulr5ndzz3 3535048 3534981 2025-06-13T14:00:35Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535048 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|200}}</noinclude>''{{pt|re|cratere}} dal {{AutoreCitato|Daniello Bartoli|Padre Bartoli}} nel 1646., e dal {{AutoreCitato|Jacques Philippe D'Orville|Professore d'Orville}} nel 1727. Interiore incendio per tutto il cratere nella prima epoca. Non uno, ma due crateri nell'epoca seconda. Monticello, che in quel tempo sorgeva dal fondo di uno dei due crateri. Trovato allora Vulcano nelle maggiori sue furie. Qualche oscura memoria anche adesso appo alcuni vecchi Liparesi di un doppio cratere alla cima di Vulcano. Sterilità di quest'Isola dalla parte di Lipari, senza esservi penuria di piante nella parte opposta. Lave porfiriche in questa parte, ma grandemente decomposte. Picciol cratere ai fianchi di Vulcano per la prima volta descritto. I fumi di Vulcano si consultano da alcuni Liparesi per il tempo buono o cattivo, come si consultano da più Strombolesi quelli della loro ardente Montagna. Osservazioni stampate da un Liparese su la diversità de' fumi, e degl'interni movimenti di Vulcano prenunziatori, secondo lui, de' venti, che denno soffiare. Osservazioni dell'Autore discordanti da quelle del Liparese. Fuochi''<noinclude><references/></noinclude> nn9jvmzxxox016k0zrwhilaoysv5hu3 Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/205 108 978880 3534949 3534877 2025-06-13T12:53:06Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534949 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>iba 201 di Vulcano più poderosi allora che adesso, sussistendo i racconti ch' egli ne fa. Notizie antiche degl' incendj di Vulcano. Numero, e grandezza de' suoi crateri. Sue diverse eruttazio- ni. Conclusione, che questa infocata Montagna è in certa guisa paragona- bile al Vesuvio, e all Etna. Le pro- nosticazioni dei venti, che hanno a soffiare, dedotte dai sintomi di Vul- cano, sono antichissime. Forse meri- tevoli di egual fede, che le moderne. F siss lidiens, abielly ra que' pochissimi Naturalisti, che viaggiato hanno alle Isole di Lipari, il Sig. Guglielmo de Luc è il solo, ch' io sappia, il quale penetrato abbia dentro al cratere di Vulcano. Ciò fu li 30. Marzo del 1757., come apparisce dalla Relazione delle cose ivi da lui osservate, impressa nel secondo Volume de Viaggi di I. A. de Luc; la qual Relazione non sarà discaro il leggerla qui compendiata. Così ragguagliare potremo le locali cir- costanze d'allora con le notate da me in una voragine delle più superbe, delle<noinclude><references/></noinclude> fiqammie5jo6ya58ria2osl70c1zshb 3534984 3534949 2025-06-13T13:23:41Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534984 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||201}}</noinclude>''di Vulcano più poderosi allora che adesso, sussistendo i racconti ch'egli ne fa. Notizie antiche degl'incendj di Vulcano. Numero, e grandezza de' suoi crateri. Sue diverse eruttazioni. Conclusione, che questa infocata Montagna è in certa guisa paragonabile al Vesuvio, e all'Etna. Le pronosticazioni dei venti, che hanno a soffiare, dedotte dai sintomi di Vulcano, sono antichissime. Forse meritevoli di egual fede, che le moderne.'' {{x-larger|F}}ra que' pochissimi Naturalisti, che viaggiato hanno alle Isole di Lipari, il Sig. Guglielmo de Luc è il solo, ch'io sappia, il quale penetrato abbia dentro al cratere di Vulcano. Ciò fu li 30. Marzo del 1757., come apparisce dalla Relazione delle cose ivi da lui osservate, impressa nel secondo Volume de' Viaggi di I. A. de Luc; la qual Relazione non sarà discaro il leggerla quì compendiata. Così ragguagliare potremo le locali circostanze d'allora con le notate da me in una voragine delle più superbe, delle<noinclude><references/></noinclude> 99yuemjpvyrhrnsfljac6ziqwkjgziu 3535064 3534984 2025-06-13T14:29:36Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535064 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||201}}</noinclude>''di Vulcano più poderosi allora che adesso, sussistendo i racconti ch'egli ne fa. Notizie antiche degl'incendj di Vulcano. Numero, e grandezza de' suoi crateri. Sue diverse eruttazioni. Conclusione, che questa infocata Montagna è in certa guisa paragonabile al Vesuvio, e all'Etna. Le pronosticazioni dei venti, che hanno a soffiare, dedotte dai sintomi di Vulcano, sono antichissime. Forse meritevoli di egual fede, che le moderne.'' {{x-larger|F}}ra que' pochissimi Naturalisti, che viaggiato hanno alle Isole di Lipari, il Sig. Guglielmo de Luc è il solo, ch'io sappia, il quale penetrato abbia dentro al cratere di Vulcano. Ciò fu li 30. Marzo del 1757., come apparisce dalla Relazione delle cose ivi da lui osservate, impressa nel secondo Volume de' Viaggi di I. A. de Luc; la qual Relazione non sarà discaro il leggerla quì compendiata. Così ragguagliare potremo le locali circostanze d'allora con le notate da me in una voragine delle più superbe, delle<noinclude><references/></noinclude> 3zo2dthmze66igwkof7hrxvmwe63jz4 3535081 3535064 2025-06-13T14:51:59Z Spinoziano (BEIC) 60217 3535081 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||201}}</noinclude>''di Vulcano più poderosi allora che adesso, sussistendo i racconti ch'egli ne fa. Notizie antiche degl'incendj di Vulcano. Numero, e grandezza de' suoi crateri. Sue diverse eruttazioni. Conclusione, che questa infocata Montagna è in certa guisa paragonabile al Vesuvio, e all'Etna. Le pronosticazioni dei venti, che hanno a soffiare, dedotte dai sintomi di Vulcano, sono antichissime. Forse meritevoli di egual fede, che le moderne.'' {{x-larger|F}}ra que' pochissimi Naturalisti, che viaggiato hanno alle Isole di Lipari, il Sig. Guglielmo de Luc è il solo, ch'io sappia, il quale penetrato abbia dentro al cratere di Vulcano. Ciò fu li 30. Marzo del 1757., come apparisce dalla Relazione delle cose ivi da lui osservate, impressa nel secondo Volume de' Viaggi di {{AutoreCitato|Jean André Deluc|I. A. de Luc}}; la qual Relazione non sarà discaro il leggerla quì compendiata. Così ragguagliare potremo le locali circostanze d'allora con le notate da me in una voragine delle più superbe, delle<noinclude><references/></noinclude> ri62nzst0hlnokwna2itdw3ojbgjxhc Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/206 108 978881 3534950 3534878 2025-06-13T12:53:20Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534950 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>202 più grandiose, che oggidì manifestino gl' ignivomi Monti. Narra egli pertanto, che pervenne al fondo del cratere per una stretta gola che vi metteva dentro, ma con rischio grande di rimaner soffo- cato pe' densi fumi sulfurei, che la at- torniavano. E per tai rischi fu stretto di andar solo là dentro, ricusato avendo di seguirlo la guida, che condotto lo aveva fino alla sommità del cratere, e che era un Liparese. Quel fondo fu trovato sca- brosissimo, di forma ovale, con più a- perture, da cui prorompevano vapori di solfo, e da taluna eziandio vento ga- gliardo. Sensibile era il romore, che ri- svegliavano i piedi nell' andarvi sopra. Il diametro maggiore dell' ovale apparve a' suoi occhi tra gli 800., e i 900. pas- si, e il diametro minore tra i 500., e i 600. Quanto poi all' altezza delle pa- reti del cratere, questa poteva ascendere a 150., oppore 200. piedi al più verso l'est, e il sud; e le pareti venivano giù a piombo, nè d'altro eran formate che di materie vulcaniche. Una colonna di fumo di 15. in 18. piedi di diametro esciva da una caverna, che per di sopra metteva in uno de' fianchi più elevati<noinclude><references/></noinclude> h9ibw01afej7f8rqehjikgygs5np9j6 3534987 3534950 2025-06-13T13:25:20Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534987 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|202}}</noinclude>più grandiose, che oggidì manifestino gl'ignivomi Monti. Narra egli pertanto, che pervenne al fondo del cratere per una stretta gola che vi metteva dentro, ma con rischio grande di rimaner soffocato pe' densi fumi sulfurei, che la attorniavano. E per tai rischi fu stretto di andar solo là dentro, ricusato avendo di seguirlo la guida, che condotto lo aveva fino alla sommità del cratere, e che era un Liparese. Quel fondo fu trovato scabrosissimo, di forma ovale, con più aperture, da cui prorompevano vapori di solfo, e da taluna eziandio vento gagliardo. Sensibile era il romore, che risvegliavano i piedi nell'andarvi sopra. Il diametro maggiore dell'ovale apparve a' suoi occhi tra gli 800., e i 900. passi, e il diametro minore tra i 500., e i 600. Quanto poi all'altezza delle pareti del cratere, questa poteva ascendere a 150., oppore 200. piedi al più verso l'est, e il sud; e le pareti venivano giù a piombo, nè d'altro eran formate che di materie vulcaniche. Una colonna di fumo di 15. in 18. piedi di diametro esciva da una caverna, che per di sopra metteva in uno de' fianchi più elevati<noinclude><references/></noinclude> o5b2vcs8bcsizbyq2z8xjt4o2pf5ska 3535066 3534987 2025-06-13T14:36:59Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535066 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|202}}</noinclude>più grandiose, che oggidì manifestino gl'ignivomi Monti. Narra egli pertanto, che pervenne al fondo del cratere per una stretta gola che vi metteva dentro, ma con rischio grande di rimaner soffocato pe' densi fumi sulfurei, che la attorniavano. E per tai rischi fu stretto di andar solo là dentro, ricusato avendo di seguirlo la guida, che condotto lo aveva fino alla sommità del cratere, e che era un Liparese. Quel fondo fu trovato scabrosissimo, di forma ovale, con più aperture, da cui prorompevano vapori di solfo, e da taluna eziandio vento gagliardo. Sensibile era il romore, che risvegliavano i piedi nell'andarvi sopra. Il diametro maggiore dell'ovale apparve a' suoi occhi tra gli 800., e i 900. passi, e il diametro minore tra i 500., e i 600. Quanto poi all'altezza delle pareti del cratere, questa poteva ascendere a 150., oppore 200. piedi al più verso l'est, e il sud; e le pareti venivano giù a piombo, nè d'altro eran formate che di materie vulcaniche. Una colonna di fumo di 15. in 18. piedi di diametro esciva da una caverna, che per di sopra metteva in uno de' fianchi più elevati<noinclude><references/></noinclude> nng4xv0fgizqibhxwq45a4knzsq0h32 Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/207 108 978882 3534951 3534879 2025-06-13T12:53:32Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534951 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>203 del cratere, e per di sotto si profondava in una specie d' imbuto, o piuttosto abis- so del circuito di 60. passi circa: e il fumo nel venir fuori di quell' abisso ro- moreggiava, non altrimenti che fa il va- pore d'un' acqua che bolle, allorchè scappa da un vaso non interamente sco- perto. Più pezzi di scorie lasciatevi ca- der dentro, non si sentivano più, come avevano oltrepassato l'imbuto. Un altro oggetto fissò l'ansiosa curiosità del de Luc, e questo fu un foro di 5. in 6. pollici di diametro, che terminava in un picciolo imbuto, profondo due piedi e mezzo, dal quale scappava l'aria con tanta violenza, come suol fare dal man- tice d'una fucina. Vi gettò dentro pezzi grossi di lava, che ampliarono il foro, e il vento usciva allora meno violento, ma respingeva però sempre al di fuora i minuti pezzi, che si staccavano dall' apertura. Le lave poi cadutevi dentro, facevano lo stesso giuoco che le scorie cacciate nell' imbuto della caverna. Que- ste scoperte dato avendo a conoscere al viaggiator Ginevrino la tenue grossezza della volta, su cui camminava, lo strin- sero ad uscir della voragine, e a far ri-<noinclude><references/></noinclude> l4gb2rb7m1k8lig3w4do7fz7fo4gyoy 3534990 3534951 2025-06-13T13:27:28Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534990 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||203}}</noinclude>del cratere, e per di sotto si profondava in una specie d'imbuto, o piuttosto abisso del circuito di 60. passi circa: e il fumo nel venir fuori di quell'abisso romoreggiava, non altrimenti che fa il vapore d'un'acqua che bolle, allorchè scappa da un vaso non interamente sco- perto. Più pezzi di scorie lasciatevi cader dentro, non si sentivano più, come avevano oltrepassato l'imbuto. Un altro oggetto fissò l'ansiosa curiosità del de Luc, e questo fu un foro di 5. in 6. pollici di diametro, che terminava in un picciolo imbuto, profondo due piedi e mezzo, dal quale scappava l'aria con tanta violenza, come suol fare dal mantice d'una fucina. Vi gettò dentro pezzi grossi di lava, che ampliarono il foro, e il vento usciva allora meno violento, ma respingeva però sempre al di fuora i minuti pezzi, che si staccavano dall'apertura. Le lave poi cadutevi dentro, facevano lo stesso giuoco che le scorie cacciate nell' imbuto della caverna. Queste scoperte dato avendo a conoscere al viaggiator Ginevrino la tenue grossezza della volta, su cui camminava, lo strinsero ad uscir della voragine, e a far {{Pt|ri-|}}<noinclude><references/></noinclude> ka8kujka9qy8fiaiahpq5ciqvnkho51 3535068 3534990 2025-06-13T14:39:46Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535068 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||203}}</noinclude>del cratere, e per di sotto si profondava in una specie d'imbuto, o piuttosto abisso del circuito di 60. passi circa: e il fumo nel venir fuori di quell'abisso romoreggiava, non altrimenti che fa il vapore d'un'acqua che bolle, allorchè scappa da un vaso non interamente scoperto. Più pezzi di scorie lasciatevi cader dentro, non si sentivano più, come avevano oltrepassato l'imbuto. Un altro oggetto fissò l'ansiosa curiosità del de Luc, e questo fu un foro di 5. in 6. pollici di diametro, che terminava in un picciolo imbuto, profondo due piedi e mezzo, dal quale scappava l'aria con tanta violenza, come suol fare dal mantice d'una fucina. Vi gettò dentro pezzi grossi di lava, che ampliarono il foro, e il vento usciva allora meno violento, ma respingeva però sempre al di fuora i minuti pezzi, che si staccavano dall'apertura. Le lave poi cadutevi dentro, facevano lo stesso giuoco che le scorie cacciate nell'imbuto della caverna. Queste scoperte dato avendo a conoscere al viaggiator Ginevrino la tenue grossezza della volta, su cui camminava, lo strinsero ad uscir della voragine, e a far {{Pt|ri-|}}<noinclude><references/></noinclude> p1a8rjkk447ie7yusxgacdogiegepmo Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/208 108 978883 3534952 3534881 2025-06-13T12:55:28Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534952 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>204 cerche attorno all' Isola d'altri oggetti meno pericolosi.n 5 Notò egli adunque, che ivi il mare partecipava de' vapori sulfurei di quel Vulcano, essendo di color giallo in più luoghi, fumando qua e là, e ne' siti dove s'alzavano i fumi, insoffribile ne era il calore. Tutti i pesci, che disav- vedutamente si abbattevano presso quel lido, lasciavano ben tosto di vivere; e dove per alcuni pollici sopra il livello del mare sgorgavano alcune vene calde, la spiaggia era seminata di morti pesci. ib Tale è la somma delle Osservazioni del Sig. de Luc, fatte all' incirca 31. anni prima delle mie. Volendo noi ora confrontare le une con le altre, apparirà che se l'interno cratere di Vulcano da quel tempo in poi ha sofferto de' can- giamenti, nell' essenziale però esiste og- gi giorno, quale si ritrovava a quell' epoca. Anche adesso (o nel tempo al- meno che mi ci recai) le pareti del crate- re sono la più parte quasi verticali, la circonferenza del fondo è ovale, da più fori di esso escono fumi sulfurei, da altri fischiano soffj di vento, e quel piano ovato seguita tuttora ad essere pericolo-<noinclude><references/></noinclude> fr7r7p5i2fvhia0qoaol4jtfjeds24y 3534991 3534952 2025-06-13T13:29:35Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534991 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|204}}</noinclude>{{pt|cerche|ricerche}} attorno all'Isola d'altri oggetti meno pericolosi. Notò egli adunque, che ivi il mare partecipava de' vapori sulfurei di quel Vulcano, essendo di color giallo in più luoghi, fumando qua e là, e ne' siti dove s'alzavano i fumi, insoffribile ne era il calore. Tutti i pesci, che disavvedutamente si abbattevano presso quel lido, lasciavano ben tosto di vivere; e dove per alcuni pollici sopra il livello del mare sgorgavano alcune vene calde, la spiaggia era seminata di morti pesci. Tale è la somma delle Osservazioni del Sig. de Luc, fatte all'incirca 31. anni prima delle mie. Volendo noi ora confrontare le une con le altre, apparirà che se l'interno cratere di Vulcano da quel tempo in poi ha sofferto de' cangiamenti, nell'essenziale però esiste oggi giorno, quale si ritrovava a quell'epoca. Anche adesso (o nel tempo almeno che mi ci recai) le pareti del cratere sono la più parte quasi verticali, la circonferenza del fondo è ovale, da più fori di esso escono fumi sulfurei, da altri fischiano soffj di vento, e quel piano ovato seguita tuttora ad essere {{Pt|pericolo-|}}<noinclude><references/></noinclude> gez0vesb2mgf54kdg85nitf7udxbwwc 3535075 3534991 2025-06-13T14:45:56Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535075 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|204}}</noinclude>{{pt|cerche|ricerche}} attorno all'Isola d'altri oggetti meno pericolosi. Notò egli adunque, che ivi il mare partecipava de' vapori sulfurei di quel Vulcano, essendo di color giallo in più luoghi, fumando qua e là, e ne' siti dove s'alzavano i fumi, insoffribile ne era il calore. Tutti i pesci, che disavvedutamente si abbattevano presso quel lido, lasciavano ben tosto di vivere; e dove per alcuni pollici sopra il livello del mare sgorgavano alcune vene calde, la spiaggia era seminata di morti pesci. Tale è la somma delle Osservazioni del Sig. de Luc, fatte all'incirca 31. anni prima delle mie. Volendo noi ora confrontare le une con le altre, apparirà che se l'interno cratere di Vulcano da quel tempo in poi ha sofferto de' cangiamenti, nell'essenziale però esiste oggi giorno, quale si ritrovava a quell'epoca. Anche adesso (o nel tempo almeno che mi ci recai) le pareti del cratere sono la più parte quasi verticali, la circonferenza del fondo è ovale, da più fori di esso escono fumi sulfurei, da altri fischiano soffj di vento, e quel piano ovato seguita tuttora ad essere {{Pt|pericolo-|}}<noinclude><references/></noinclude> l34sd6czbty7js8rmaok4byl0ypdzph Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/209 108 978884 3534953 3534882 2025-06-13T12:55:38Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534953 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>205 sissimo, per risuonare, e traballar sotto i piedi, dando chiaramente a conoscere, che si cammina su d'un falso fondo. Al presente esiste pure in quel profondo baratro la caverna incavata ne' fianchi del cratere, e dal summentovato Viaggiatore descritta; nè questa lascia anche adesso di esalare un nuvolo di fumi sulfurei, siccome gli esalava a quel tempo. E se il timore non gli avesse conteso il far gli esami tranquillamente, è più che probabile, che trovata l'avrebbe ricca di solfi, e di più sali, siccome lo è og- gidì. I divarj poi tra quell' epoca, e la presente, si riducono al non essservi più quella gola, per cui il de Luc potè en- trare nel fondo del cratere, ma in con- traccambio all' esser divenute men ripide le pareti al sud-est, e quindi accessibili per discendere in quella profondità; all' avere adesso il cratere un' altezza di gran lunga maggiore che allora, trovato aven- dola io oltrepassare un quarto di miglio, quando a' tempi del de Luc giungeva tutto al più a 200. piedi: finalmente all' essere a' nostri tempi più infocata, più viva la fornace sottostante a quel piano, inferendolo io dall' intenso calorico che<noinclude><references/></noinclude> e1oo6xfjpo16f2fn0wdy5yd8eg5lpo6 3534994 3534953 2025-06-13T13:31:28Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534994 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||205}}</noinclude>{{pt|sissimo|pericolosissimo}}, per risuonare, e traballar sotto i piedi, dando chiaramente a conoscere, che si cammina su d'un falso fondo. Al presente esiste pure in quel profondo baratro la caverna incavata ne' fianchi del cratere, e dal summentovato Viaggiatore descritta; nè questa lascia anche adesso di esalare un nuvolo di fumi sulfurei, siccome gli esalava a quel tempo. E se il timore non gli avesse conteso il far gli esami tranquillamente, è più che probabile, che trovata l'avrebbe ricca di solfi, e di più sali, siccome lo è oggidì. I divarj poi tra quell'epoca, e la presente, si riducono al non esservi più quella gola, per cui il de Luc potè entrare nel fondo del cratere, ma in contraccambio all'esser divenute men ripide le pareti al sud-est, e quindi accessibili per discendere in quella profondità; all'avere adesso il cratere un'altezza di gran lunga maggiore che allora, trovato avendola io oltrepassare un quarto di miglio, quando a' tempi del de Luc giungeva tutto al più a 200. piedi: finalmente all'essere a' nostri tempi più infocata, più viva la fornace sottostante a quel piano, inferendolo io dall'intenso calorico che<noinclude><references/></noinclude> 1rqhyl5767natq8lmeih3guqeg0nij6 3535083 3534994 2025-06-13T14:54:41Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535083 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||205}}</noinclude>{{pt|sissimo|pericolosissimo}}, per risuonare, e traballar sotto i piedi, dando chiaramente a conoscere, che si cammina su d'un falso fondo. Al presente esiste pure in quel profondo baratro la caverna incavata ne' fianchi del cratere, e dal summentovato Viaggiatore descritta; nè questa lascia anche adesso di esalare un nuvolo di fumi sulfurei, siccome gli esalava a quel tempo. E se il timore non gli avesse conteso il far gli esami tranquillamente, è più che probabile, che trovata l'avrebbe ricca di solfi, e di più sali, siccome lo è oggidì. I divarj poi tra quell'epoca, e la presente, si riducono al non esservi più quella gola, per cui il de Luc potè entrare nel fondo del cratere, ma in contraccambio all'esser divenute men ripide le pareti al sud-est, e quindi accessibili per discendere in quella profondità; all'avere adesso il cratere un'altezza di gran lunga maggiore che allora, trovato avendola io oltrepassare un quarto di miglio, quando a' tempi del de Luc giungeva tutto al più a 200. piedi: finalmente all'essere a' nostri tempi più infocata, più viva la fornace sottostante a quel piano, inferendolo io dall'intenso calorico che<noinclude><references/></noinclude> ajn7ntjsdydv8yeljwp4g2b5fum2zhd Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/210 108 978885 3534954 3534883 2025-06-13T12:55:52Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534954 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>206 mandava, e che mi si rendeva quasi in- tollerabile, la qual circostanza se avuto avesse luogo nella visita del de Luc, espressa l'avrebbe. Non dirò io per questo, che il sot- terraneo incendio di quell' Isola sia ora più svegliato, più energico, giacchè quel cocente calorico, che non faceva allora sentire nell'interno del cratere, lo ma- nifestava all' esterno, e dentro il mare stesso, che per osservazione del Ginevri- no viaggiatore in più luoghi rasente il lido fumicava, ed era caldo a segno, che ne morivano i pesci. Le quali cose non si osservavano punto nella mia andata colà. Il Sig. Dolomieu, che vi si recò sette anni prima di me, non potè calare nel cratere, per non esistere più quella gola, e per essere i suoi fianchi d' una insuperabile ripidezza. Anche allora esi- steva quella vulcanica bocca nel medesi- mo sito, era spaziosissima, aveva forma ovale, mandava da una infinità di luoghi dei fumi acido-sulfurei, e soffocanti. In questo breve intervallo sono però acca- duti riflessibili cangiamenti. Conciossiac- chè per quanto potè egli giudicare con<noinclude><references/></noinclude> pyzwbjqw8n0syyh6jvhnees5kml67z4 3534995 3534954 2025-06-13T13:32:58Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534995 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|206}}</noinclude>mandava, e che mi si rendeva quasi intollerabile, la qual circostanza se avuto avesse luogo nella visita del de Luc, espressa l'avrebbe. Non dirò io per questo, che il sotterraneo incendio di quell'Isola sia ora più svegliato, più energico, giacchè quel cocente calorico, che non faceva allora sentire nell'interno del cratere, lo manifestava all'esterno, e dentro il mare stesso, che per osservazione del Ginevrino viaggiatore in più luoghi rasente il lido fumicava, ed era caldo a segno, che ne morivano i pesci. Le quali cose non si osservavano punto nella mia andata colà. Il Sig. Dolomieu, che vi si recò sette anni prima di me, non potè calare nel cratere, per non esistere più quella gola, e per essere i suoi fianchi d'una insuperabile ripidezza. Anche allora esisteva quella vulcanica bocca nel medesimo sito, era spaziosissima, aveva forma ovale, mandava da una infinità di luoghi dei fumi acido-sulfurei, e soffocanti. In questo breve intervallo sono però accaduti riflessibili cangiamenti. Conciossiacchè per quanto potè egli giudicare con<noinclude><references/></noinclude> 1jn546k3jra6vuyhlorwnd5yvnk1tr6 3535086 3534995 2025-06-13T14:57:19Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535086 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|206}}</noinclude>mandava, e che mi si rendeva quasi intollerabile, la qual circostanza se avuto avesse luogo nella visita del de Luc, espressa l'avrebbe. Non dirò io per questo, che il sotterraneo incendio di quell'Isola sia ora più svegliato, più energico, giacchè quel cocente calorico, che non faceva allora sentire nell'interno del cratere, lo manifestava all'esterno, e dentro il mare stesso, che per osservazione del Ginevrino viaggiatore in più luoghi rasente il lido fumicava, ed era caldo a segno, che ne morivano i pesci. Le quali cose non si osservavano punto nella mia andata colà. Il Sig. Dolomieu, che vi si recò sette anni prima di me, non potè calare nel cratere, per non esistere più quella gola, e per essere i suoi fianchi d'una insuperabile ripidezza. Anche allora esisteva quella vulcanica bocca nel medesimo sito, era spaziosissima, aveva forma ovale, mandava da una infinità di luoghi dei fumi acido-sulfurei, e soffocanti. In questo breve intervallo sono però accaduti riflessibili cangiamenti. Conciossiacchè per quanto potè egli giudicare con<noinclude><references/></noinclude> 4b7yyhoeswqt716ltwbbhjkghsucjb3 Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/211 108 978886 3534955 3534884 2025-06-13T12:56:03Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534955 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>207 l'occhio, la profondità del cratere era circa d'un miglio, il diametro maggiore della sua bocca aveva mezzo miglio, e quello del fondo 50. passi all' incirca. Onde convien dire, che d'allora in poi il fondo siasi notabilmente sollevato, ed insieme reso più angusto, ma ampliatasi la superiore sua apertura. Stando su le labbra del cratere, e lasciatevi dentro cader grosse pietre, vedeva egli che giunte al fondo, profondavansi in un fluido, che non poteva essere acqueo, giacchè in pochi stanti per l'eccessivo calorico sarebbesi vaporizzato, ma che giudicò essere solfo fuso, che di fatti mirava colar giù dalle pareti, contro cui erasi sublimato. Con buon cannocchiale gli apparvero laggiù due laghetti, che riputò esser pieni della medesima com- bustibil sostanza. Avverte innoltre che i fumi sulfurei, che di giorno manife- stavansi bianchi, di notte non eran che fiamme brillanti, ma placide, che si al- zavano sopra del Monte, e per una da- ta distanza lo illuminavano (a). (a) L. c.<noinclude><references/></noinclude> edelqyedkc80fzuvvwy8u71jwxzhs0n 3534998 3534955 2025-06-13T13:34:17Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3534998 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||207}}</noinclude>l'occhio, la profondità del cratere era circa d'un miglio, il diametro maggiore della sua bocca aveva mezzo miglio, e quello del fondo 50. passi all'incirca. Onde convien dire, che d'allora in poi il fondo siasi notabilmente sollevato, ed insieme reso più angusto, ma ampliatasi la superiore sua apertura. Stando su le labbra del cratere, e lasciatevi dentro cader grosse pietre, vedeva egli che giunte al fondo, profondavansi in un fluido, che non poteva essere acqueo, giacchè in pochi stanti per l'eccessivo calorico sarebbesi vaporizzato, ma che giudicò essere solfo fuso, che di fatti mirava colar giù dalle pareti, contro cui erasi sublimato. Con buon cannocchiale gli apparvero laggiù due laghetti, che riputò esser pieni della medesima combustibil sostanza. Avverte innoltre che i fumi sulfurei, che di giorno manifestavansi bianchi, di notte non eran che fiamme brillanti, ma placide, che si alzavano sopra del Monte, e per una data distanza lo illuminavano<ref>L. c.</ref>.<noinclude><references/></noinclude> nkkcvji7x6etwp5aqam7g3kfzsy7f5b 3535087 3534998 2025-06-13T14:59:58Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535087 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|||207}}</noinclude>l'occhio, la profondità del cratere era circa d'un miglio, il diametro maggiore della sua bocca aveva mezzo miglio, e quello del fondo 50. passi all'incirca. Onde convien dire, che d'allora in poi il fondo siasi notabilmente sollevato, ed insieme reso più angusto, ma ampliatasi la superiore sua apertura. Stando su le labbra del cratere, e lasciatevi dentro cader grosse pietre, vedeva egli che giunte al fondo, profondavansi in un fluido, che non poteva essere acqueo, giacchè in pochi stanti per l'eccessivo calorico sarebbesi vaporizzato, ma che giudicò essere solfo fuso, che di fatti mirava colar giù dalle pareti, contro cui erasi sublimato. Con buon cannocchiale gli apparvero laggiù due laghetti, che riputò esser pieni della medesima combustibil sostanza. Avverte innoltre che i fumi sulfurei, che di giorno manifestavansi bianchi, di notte non eran che fiamme brillanti, ma placide, che si alzavano sopra del Monte, e per una data distanza lo illuminavano<ref>L. c.</ref>.<noinclude><references/></noinclude> 3wt6t80l9r54zoc6tdppap57ida6d6m Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/212 108 978887 3534956 3534885 2025-06-13T12:56:19Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Da trascrivere */ 3534956 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Marcella Medici (BEIC)" /></noinclude>208 Quando in quel fondo calai, quan- tunque colasse il solfo da più siti della caverna, siccome già dissi, questo però non istagnava in piccioli laghi, o pozze sul piano; nè le fiamme sulfuree di not- te tempo non si sollevavano che per al- cuni piedi da esso. E' facile, che gli avvenuti cangia- menti nell' interiore di questo Vulcano dappoichè fu visitato dal Naturalista fran- cese, sieno stati originati da qualche po- steriore eruzione, giacchè mutazioni di qualche rilevanza accadute in pochi anni ne vulcanici crateri non sogliono ricono- scere altra cagione. Di fatti per unanime consenso de' Liparesi nel 1786. del mese di Marzo egli sofferse una forte crisi. Dopo muggiti, e tuoni sotterranei, che s'udirono per tutte l'Isole, e che in quella di Vulcano furono accompagnati da crolli frequenti, e dibattimenti furiosi, il suo cratere versò fuora un indicibile straboccamento di arene miste a vortici di fumo, e di fuoco, e questa eruzione durò 15. giorni. E tanto ne fu l'esito dell' arena, che i circostanti luoghi ne rimasero altissimamente coperti, e all' est del cratere, e in poca distanza da esso sorge<noinclude><references/></noinclude> ewesvibh8xz9mgzonm08dg6s1faovvv 3535000 3534956 2025-06-13T13:36:12Z Marcella Medici (BEIC) 22982 /* Trascritta */ 3535000 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Marcella Medici (BEIC)" />{{RigaIntestazione|208}}</noinclude> Quando in quel fondo calai, quantunque colasse il solfo da più siti della caverna, siccome già dissi, questo però non istagnava in piccioli laghi, o pozze sul piano; nè le fiamme sulfuree di notte tempo non si sollevavano che per alcuni piedi da esso. E' facile, che gli avvenuti cangiamenti nell'interiore di questo Vulcano dappoichè fu visitato dal Naturalista francese, sieno stati originati da qualche posteriore eruzione, giacchè mutazioni di qualche rilevanza accadute in pochi anni ne vulcanici crateri non sogliono riconoscere altra cagione. Di fatti per unanime consenso de' Liparesi nel 1786. del mese di Marzo egli sofferse una forte crisi. Dopo muggiti, e tuoni sotterranei, che s'udirono per tutte l'Isole, e che in quella di Vulcano furono accompagnati da crolli frequenti, e dibattimenti furiosi, il suo cratere versò fuora un indicibile straboccamento di arene miste a vortici di fumo, e di fuoco, e questa eruzione durò 15. giorni. E tanto ne fu l'esito dell'arena, che i circostanti luoghi ne rimasero altissimamente coperti, e all'est del cratere, e in poca distanza da esso sorge<noinclude><references/></noinclude> 7jlntasjseoteaztxs2y3qzy5n5oa8d 3535088 3535000 2025-06-13T15:02:59Z Spinoziano (BEIC) 60217 /* Riletta */ 3535088 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="4" user="Spinoziano (BEIC)" />{{RigaIntestazione|208}}</noinclude> Quando in quel fondo calai, quantunque colasse il solfo da più siti della caverna, siccome già dissi, questo però non istagnava in piccioli laghi, o pozze sul piano; nè le fiamme sulfuree di notte tempo non si sollevavano che per alcuni piedi da esso. E' facile, che gli avvenuti cangiamenti nell'interiore di questo Vulcano dappoichè fu visitato dal Naturalista francese, sieno stati originati da qualche posteriore eruzione, giacchè mutazioni di qualche rilevanza accadute in pochi anni ne vulcanici crateri non sogliono riconoscere altra cagione. Di fatti per unanime consenso de' Liparesi nel 1786. del mese di Marzo egli sofferse una forte crisi. Dopo muggiti, e tuoni sotterranei, che s'udirono per tutte l'Isole, e che in quella di Vulcano furono accompagnati da crolli frequenti, e dibattimenti furiosi, il suo cratere versò fuora un indicibile straboccamento di arene miste a vortici di fumo, e di fuoco, e questa eruzione durò 15. giorni. E tanto ne fu l'esito dell'arena, che i circostanti luoghi ne rimasero altissimamente coperti, e all'est del cratere, e in poca distanza da esso {{pt|sorge}}<noinclude><references/></noinclude> ath7yhei9trbmcog0p8mf08u0auc5eu Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/355 108 978889 3535016 3534887 2025-06-13T13:52:49Z Francyskus 76680 3535016 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude>{{A destra|351}} {{Rule|16em}} {{Ct|f=400%|INDICE}} {{Ct|f=100%|DE CAPITOLI}} I sole di Lipari Introduzione p2g. Cap. X. Stromboli - - - -- - XI. Si segue a ragionare di StrOmUOld ne - ik ae e XII. Basiluxyzo, Bottero , iis ca - Bianca, Dattolo, Pa- naria, Saline - - - —- AM. Vulegnd << sae 2 a XIV. Si segue a ragionare di BI ae a eee ae XV. Lipari. Parte I. -- - , 5 9 67 128 156 199 231<noinclude><references/></noinclude> h0cr5tdttvj7ed4n6a12qfx2z10b9zl 3535017 3535016 2025-06-13T13:53:19Z Francyskus 76680 3535017 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude>{{A destra|351}} {{Rule|16em}} {{Ct|f=400%|INDICE}} {{Ct|f=200%|DE' CAPITOLI}} I sole di Lipari Introduzione p2g. Cap. X. Stromboli - - - -- - XI. Si segue a ragionare di StrOmUOld ne - ik ae e XII. Basiluxyzo, Bottero , iis ca - Bianca, Dattolo, Pa- naria, Saline - - - —- AM. Vulegnd << sae 2 a XIV. Si segue a ragionare di BI ae a eee ae XV. Lipari. Parte I. -- - , 5 9 67 128 156 199 231<noinclude><references/></noinclude> 9008lggawe2x4d90sjcrf82nz445hgg 3535018 3535017 2025-06-13T13:53:40Z Francyskus 76680 3535018 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude>{{A destra|351}} {{Rule|16em}} {{Ct|f=400%|INDICE}} {{Ct|f=150%|DE' CAPITOLI}} I sole di Lipari Introduzione p2g. Cap. X. Stromboli - - - -- - XI. Si segue a ragionare di StrOmUOld ne - ik ae e XII. Basiluxyzo, Bottero , iis ca - Bianca, Dattolo, Pa- naria, Saline - - - —- AM. Vulegnd << sae 2 a XIV. Si segue a ragionare di BI ae a eee ae XV. Lipari. Parte I. -- - , 5 9 67 128 156 199 231<noinclude><references/></noinclude> ri5xlmr1b7c9m5kc0pi8z7oahjxhch6 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/223 108 978893 3534944 2025-06-13T12:40:05Z Cor74 73742 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: XXXV. - A Frate Niccolò di Ghida, e Frate Giovanni Zerri, e a Frate Niccolò diJaconiodi Vannuzzo, di Mont’Oliveto } Croco è cattoilra d’amore. Chi preilica una dottrina di virtù senza fatica, persovjuita, non selenita Cripto. Amore cora’^ijioso sia il nostro, o si difenda con l’armo dell’orazione, lol coltello della libera volontà. Sia amoro schiotto, non per paura di pena o speranza di premio. Il monaco non coda alla... 3534944 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|159}}</noinclude>XXXV. - A Frate Niccolò di Ghida, e Frate Giovanni Zerri, e a Frate Niccolò diJaconiodi Vannuzzo, di Mont’Oliveto } Croco è cattoilra d’amore. Chi preilica una dottrina di virtù senza fatica, persovjuita, non selenita Cripto. Amore cora’^ijioso sia il nostro, o si difenda con l’armo dell’orazione, lol coltello della libera volontà. Sia amoro schiotto, non per paura di pena o speranza di premio. Il monaco non coda alla debolezza di voler mutare Ordine. La sua navicella abbia per vela la carità, per timone l’obbedienza. Sia l’obbedienza con fede, e però non nel malo. Gemina della pazionzia. Esempio d’un debole, disertore doli’ Ordine. Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi seguitatori dell’umile e immacolato Agnello, il quale ora e’ è rappresentato dalla santa Chiesa in tanta umiltà e mansuetudine, che ogni cuore di creatura ne dovrebbe venire meno, e confondere e spegnere la superbia sua. Questo Farvelo^ è venuto per insegnarci la via e la dottrina della verità; perchè la via era rotta per lo peccato d’Adam per modo che neuno poteva giugnere al termine di vita eterna. E però Dio Padre, costretto ^ dal fuoco della sua carità, ci mandò il Verbo dell’unico suo Figliuolo, il quale venne come un carro di fuoco, manifestandoci il fuoco dell’amore inefi^abile e la misericordia del Padre eterno; insegnandoci la dottrina della verità, e mostrandoci la via dell’amore, la quale noi doviamo tenere. E però disse egli: l’Giacché in una lezione abbiamo Vannuxxo, questa ci pare forma più toscana che la prescelta dal Gigli Vannu%io. 2 Pare scritta veiso Natale. _ 3 Non intende sforzato, ma nel senso che Dante: «La carità def natio hco Mi strinse;» o Virgilio: Animuni patria: strinxit pietatis imago ^. Più volte in questa lettera vi costringo, snona, vi prego strettamente, come dice altrove ella stessa.<noinclude><references/></noinclude> jgyn7kaw8r3nyuuxztuuaa96qvajtd4 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/253 108 978894 3534946 2025-06-13T12:45:59Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3534946 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|111}}</noinclude> {{Ct|f=100%|v=1|S}} {{colonna|em=-1}} <includeonly>{{indentatura}}</includeonly> Sabine, rapite da’ Romani. {{Pg|37|I. 37|c1}}. Sacchetti, dove abitavano. {{Pg|172|I. 172|c1}}. Saccone, Dolfo e Piero, da Pietramala, fatti signori d’Arezzo per un anno. {{Pg|51|V. 51|c5}}. Sacconi, Piero e Tarlato, erano nati per madre della casa de’ Frescobaldi di Firenze. {{Pg|122|VI. 122|c6}}. Salimbeni, prestano a’ Sanesi ventimila fiorini d’oro. {{Pg|104|II. 104|c2}}. Salvami, Provenzano, grande uomo. {{Pg|190|II. 190|c2}}. Samminiato, si dà per cinque anni alla signoria e guardia del comune di Firenze. {{Pg|193|VII. 193|c7}}. Sanesi, loro prima guerra co’ Fiorentini. {{Pg|225|I. 225|c1}}. {{altraColonna|em=-1}} — sconfitti da’ Fiorentini. {{Pg|250|''Ivi'', 250|c1}}. — richiedono pace. {{Pg|250|''Ivi''|c1}}. — ricominciano la guerra co’ Fiorentini. {{Pg|12|II. 12|c2}}, {{Pg|14|14|c2}}. — fanno pace. {{Pg|16|''Ivi'', 16|c2}}. — vanno a oste a Colle, e sono sconfitti. {{Pg|193|''Ivi'', 193|c2}}. — sconfiggono i Pisani, e corrono la Valdera. {{Pg|265|V. 265|c5}}. — fanno pace insieme, co’ Pisani. {{Pg|282|''Ivi'', 282|c5}}. — fanno grand’oste per conquistar Grosseto. {{Pg|75|VI. 75|c6}}. — ne sono cacciati. {{Pg|75|''Ivi''|c6}}. — prendono per inganno la città di Massa sopra i Fiorentini. {{Pg|76|''Ivi'', 76|c6}}. — per danari che danno a fiatino riprendono Grosseto. {{Pg|76|''Ivi''|c6}}. Sangineto, Filippo di,<noinclude></noinclude> rohlxw279c2p17gper28vxt4sqmmjup Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/236 108 978895 3534964 2025-06-13T13:02:40Z Cor74 73742 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: gli uomini dei mondo che si partono dalla volontà del loro Creatore: quando Dio permette a loro alcuna tribulazioue e persecuzioni, dicono: «Io non le vorrei; non tanto per la pena, quanto mi pare che siano cagioni di partirmi da Dio». Ma sono ingannati: che quella è falsa passione ^ sensitiva; che colla illusione del dimenio schifano la pena, e più temono la pena che l’offesa. ^ Sicché con ogni generazione ^ usa questo... 3534964 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|172|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>gli uomini dei mondo che si partono dalla volontà del loro Creatore: quando Dio permette a loro alcuna tribulazioue e persecuzioni, dicono: «Io non le vorrei; non tanto per la pena, quanto mi pare che siano cagioni di partirmi da Dio». Ma sono ingannati: che quella è falsa passione ^ sensitiva; che colla illusione del dimenio schifano la pena, e più temono la pena che l’offesa. ^ Sicché con ogni generazione ^ usa questo inganno. Convienci adunque annegare questa volontà nostra. I secolari obedienti osservano ^ i comandamenti di Dio; e i religiosi osservare i comandamenti e i consigli, come hanno promesso alla santa Religione. Orsii, figliuoli miei! Obedienti infino alla niorte colle vere e reali virtù. Pensate, che tanto quanto sarete umili, tanto sarete obedienti; che dalla obedienzia nasce la vena^ dell’umilità, e dall’urailità l’obedienzia; le quali escono dal condotto dell"’ ardentisssima caiità. Questo condotto della carità trarrete dal costato di Cristo crocifìsso. Ivi voglio che la procacciate ’^ a questo modo per luogo e abitazione. Sapete che il religioso che è fuore della cella, è morto, come il 1 e è una pas?ioii9 vera e verace, nel senso del vocabolo greco, e che gli davano i vecchi Italiani, d’og’al sentimento primo, nel quale l’anima non è direttamente attiva. Dante: «Che riso e pianto son tanto seguaci Alla passimi da che ciascun si spicea, Che nien seguon voler ne piii veraci». - Peccato, come in Dante offensione. 3 Sorte d’uomini, mondani e no. Il popolo toscano tuttavia: ogni generaxione di piante. * Non correggo osservino. E scorcio: se 1 secolari osservano... devono i religiosi osservare. 6 Deriva com’acqua pura. * La stampa: dalla. E potrebbe anche stare. ’ Manca forse qualche parola. Forse dopo procacciate, avevasi a lare punto, e soggiungere: Abbiate il costato di Gesù Cristo per luogo e abitazione. Luogo e, per luogo di, come maoulis insignis et albo.<noinclude><references/></noinclude> cnmlnexqr6qc1aapasa2y587mjikee8 3534976 3534964 2025-06-13T13:17:29Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3534976 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|172|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>gli uomini dei mondo che si partono dalla volontà del loro Creatore: quando Dio permette a loro alcuna tribulazione e persecuzioni, dicono: «Io non le vorrei; non tanto per la pena, quanto mi pare che siano cagioni di partirmi da Dio». Ma sono ingannati: che quella è falsa passione <ref>C'è una passione vera e verace, nel senso del vocabolo greco, e che gli davano i vecchi Italiani, d’ogni sentimento primo, nel quale l’anima non è direttamente attiva. Dante:<poem>''«Che riso e pianto son tanto seguaci'' ''Alla passini da che ciascun si spicca, '' ''Che men seguon voler ne più veraci»</poem>''.</ref> sensitiva; che colla illusione del dimonio schifano la pena, e più temono la pena che l’offesa. <ref>''Peccato'', come in Dante ''offensione''.</ref> Sicché con ogni generazione <ref>Sorte d’uomini, mondani e no. Il popolo toscano tuttavia: ''ogni generazione di piante''.</ref> usa questo inganno. Convienci adunque annegare questa volontà nostra. I secolari obedienti osservano <ref>Non correggo osservino. E scorcio: se i secolari osservano... devono i religiosi osservare.</ref> i comandamenti di Dio; e i religiosi osservare i comandamenti e i consigli, come hanno promesso alla santa Religione. Orsù, figliuoli miei! Obedienti infino alla morte colle vere e reali virtù. Pensate, che tanto quanto sarete umili, tanto sarete obedienti; che dalla obedienzia nasce la vena<ref>Deriva com’acqua pura.</ref> dell’umilità, e dall’urailità l’obedienzia; le quali escono dal condotto <ref>La stampa: ''dalla''. E potrebbe anche stare.</ref>dell’ardentisssima carità. Questo condotto della carità trarrete dal costato di Cristo crocifisso. Ivi voglio che la procacciate<ref>Manca forse qualche parola. Forse dopo procacciate, avevasi a lare punto, e soggiungere: Abbiate il costato di Gesù Cristo per luogo e abitazione. ''Luogo e, per luogo di'', come ''maculis insignis et albo''.</ref> a questo modo per luogo e abitazione. Sapete che il religioso che è fuore della cella, è morto, come il<noinclude><references/></noinclude> tdbpq6h00at4v6zm705ok6fgv4m9o6w Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo XIV 0 978896 3535003 2025-06-13T13:41:45Z Spinoziano (BEIC) 60217 Porto il SAL a SAL 25% 3535003 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Capitolo XIV<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../Capitolo XIII<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Capitolo XV<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>25%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=25%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Capitolo XIV|prec=../Capitolo XIII|succ=../Capitolo XV}} <pages index="Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu" from="203" to="234" fromsection="" tosection="" /> km49ipidccyt9nlf7h1i8n54q47byr5 Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/67 108 978897 3535009 2025-06-13T13:48:26Z Candalua 1675 /* Trascritta */ 3535009 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la guerra gallica — libro iii}}|61}}</noinclude>cioè che basti a raccogliere le freccie ed a ristorarsi un poco — e, ad un cenno, d’irrompere tutti e riporre nel coraggio ogni speranza di salvezza. {{Centrato|{{Sc|L’epilogo della lotta nelle Alpi Pennine.}}}} VI. - I soldati eseguiscono l’ordine: lanciandosi fuori d’improvviso da tutte le porte, non lasciano all’avversario il tempo di capire che cosa accada, nè il tempo di riaversi dalla sorpresa. Mutata così la fortuna, dopo averli circondati, fanno strage dei nemici che erano venuti con la speranza di impadronirsi del campo. Di più di trentamila uomini — quanti cioè risultavano essere i barbari discesi contro i nostri —, più d’un terzo fu ucciso ed il resto, atterrito, s’abbandonò a precipitosa fuga, non permettendosi ai fuggiaschi di restare neppure sulle alture. Così, disperse tutte le forze del nemico e costrettolo a gittare le armi, i nostri ritornarono al loro campo e dentro ai loro fortilizî. Finita la battaglia, Galba non volendo più tentare la sorte e riflettendo che egli era venuto colà con altri scopi a svernare, e vedendo che era urgente provvedere ad altre cose — data soprattutto la mancanza di frumento e di viveri — il giorno dopo, bruciate tutte le case del villaggio, s’affretta a ritornare in Provincia e, senza incontrare nemici che gli sbarrino o ritardino il cammino, conduce la legione incolume fra i Nantuati e di là tra gli Allobrogi, dove sverna. {{Centrato|{{Sc|La rivolta dei Veneti.}}}} VII. - Dopo queste operazioni, Cesare, considerando ormai la Gallia completamente pacificata, una volta sopraffatti i Belgi, espulsi i Germani e vinti sulle Alpi i Séduni, ad inverno già cominciato, parte per l’Illirico<ref>Cesare aveva avuto dal senato e dal popolo romano giurisdizione sulle due Gallie e sull’Illirico, molto probabilmente quest’ultima nei limiti dell’Istria e di una parte della Carniola, con Aquileia per metropoli e piazza forte di base.</ref>, desiderando visitare anche quei popoli e conoscere quelle regioni. Quand’ecco, un’improvvisa guerra insorgere nella Gallia. Questa ne era la causa: il giovane Publio Crasso con la settima legione aveva svernato tra gli Andi<ref>Regione dell’Anjou.</ref> presso l’Oceano, ed essendovi in quei luoghi scarsezza di frumento aveva mandato molti prefetti<ref>''Praefecti equitum, alarum, sociorum, fabrum etc.''</ref> e tribuni militari tra i popoli vicini ad incettarne. Fra gli inviati erano<noinclude><references/></noinclude> 9so9b7stjocwrpficjau6bhwxgyrjt1 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/237 108 978898 3535013 2025-06-13T13:51:07Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535013 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|173}}</noinclude><section begin="s1" />pesce che è fuore dell’acqua. E però vi dico la cella del costato di Cristo, dove troverete il cognoscimento di voi e della sua bontà. Or vi levate con grandissimo e acceso desiderio; andate, intrate e state in questa dolce abitazione; e non sarà dimonio nè creatura che vi possa tórre la Grazia, né impedire che voi non giungiate al termine vostro, a vedere e gustare Dio. Altro non dico. Obedite infino alla morte, seguitando l’Agnello, che n’è via e regola. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Amatevi, amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore.<section end="s1" /> <section begin="s2" /> <div class="titolo"><p> XXXVII. — ''A Frate Niccolò di Ghida dell’ordine di Monte Oliveto''.<ref>Senese. Prima buon medico, poi monaco olivetano, e già discepolo di spirito a Caterina.</ref> </p></div> <div class="sottotitolo"><p> (Fatta in astrazione).<ref>Da’ sensi.</ref> Dal conoscere i propri difetti, l’umiltà; dal conoscere l’amore di Dio, carità: dall’umile carità, l’odio del male con la speranza del meglio. Due celle: del corpo, della mente. Due carità: la diritta che cerca il bene schiettamene; la troppo semplice per astuzia, che della ricerca. del bene altrui!a tentazione dell’anime nostre. Mali della dissipazione. Viviamo con noi e con gli scritti e gli esempi de’ Grandi buoni. Il raccoglimento continuo ci è incessante comunione col sangue di Cristo. </p></div> Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi abitatore della cella del<ref>La stampa: ''dello''.</ref> cognoscimento <section end="s2" /><noinclude><references/></noinclude> l4s30itsn9ebvdpd3b8b7gofr2vb02a Pagina:Cesare - La guerra gallica, traduzione di Eugenio Giovannetti, Firenze, Le Monnier, 1939.pdf/68 108 978899 3535019 2025-06-13T13:54:10Z Candalua 1675 /* Trascritta */ 3535019 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|62|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>Tito Terrasidio, mandato fra gli Esúvii<ref>Probabilmente tra gli abitanti della fertile regione di Séez.</ref>, Marco Trebio Gallo tra i Coriosoliti<ref>Territorio di Saint-Brieuc e prospiciente sulla baja omonima.</ref>, Quinto Velanio e Tito Sillio tra i Veneti. VIII. - Era la supremazia dei Veneti prevalente su tutti quelli che abitano quelle contrade costiere<ref>Il loro dominio — originario dal Morbihan in Bretagna — si estendeva sull’antico estuario delle bocche della Loira, oggigiorno rinsaldato alla terraferma, come Adria, Spina e Ravenna. La popolazione guerriera e marinara era arbitra della navigazione littoranea e dei transiti con la Britannia. Esercitava un’egemonia militare, navale ed economica con larghe forme federative (F. {{Sc|Corazzini}}, ''Storia della marina militare italiana antica'', Livorno, Giusti edit., 1882, cap. II: ''Le guerre di Cesare contro i Veneti ed i Britanni''). Per la bibliografia relativa ai Veneti si veda: {{Sc|Jullian}}, III, p. 290 sgg.</ref>, perchè i Veneti hanno moltissime navi con cui sono soliti recarsi in Britannia, e superano tutte quelle popolazioni rivierasche per conoscenza e pratica di navigazione. Nel grande ed aperto impeto del mare, pure avendo soltanto qualche porto qua e là in loro dominio, i Veneti hanno nondimeno resi tributari quasi tutti coloro che navigano da quelle parti. Essi cominciarono con l’arrestare Sillio e Velanio, nella speranza di poter riscattare così gli ostaggi dati a Crasso. Trascinati dalla autorità dei Veneti, i confinanti — come suole accadere tra i Galli sempre tanto impulsivi nelle loro decisioni — allo stesso scopo arrestano Trebio e Terrasidio, e, mandati rapidamente ambasciatori, per mezzo dei loro capi fanno una lega impegnandosi a vicenda a non far nulla se non di comune accordo e ad affrontare insieme la sorte. Sollecitano pure gli altri popoli a voler difendere quella libertà che avevano ricevuta dai padri loro ed a preferirla alla servitù dei Romani. Persuase così celeremente tutte le genti della costa, mandano un’ambasceria collettiva a Publio Crasso, avvertendolo che, se vuole riavere i suoi, deve rendere gli ostaggi. {{Sc|I preparativi navali di Cesare — La guerra contro le genti costiere dell’Oceano.}} IX. - Informato di ciò Cesare da Crasso — poichè egli era lontano<ref>Trovavasi a Ravenna o a Lucca dove, nell’aprile del 56, erano pure convenuti Pompeo e Crasso per la divisione dei poteri ({{Sc|Cic}}., ''Ad fam''., I, 9, 9. Vedasi pure A. {{Sc|Matscheg}}, ''Cesare e il suo tempo'', op. cit., vol. II, p. 187).</ref> ordina intanto che si costruiscano navi sottili (lunghe) nella Loira<ref>''In flumine Ligere.''</ref>, che sbocca nell’Oceano, e che nella Provincia si<noinclude><references/></noinclude> jmkmsn5w80ecyd9byfby77kzxpvldj5 3535035 3535019 2025-06-13T13:57:13Z Candalua 1675 3535035 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Candalua" />{{RigaIntestazione|62|{{Sc|c. giulio cesare}}|}}</noinclude>Tito Terrasidio, mandato fra gli Esúvii<ref>Probabilmente tra gli abitanti della fertile regione di Séez.</ref>, Marco Trebio Gallo tra i Coriosoliti<ref>Territorio di Saint-Brieuc e prospiciente sulla baja omonima.</ref>, Quinto Velanio e Tito Sillio tra i Veneti. VIII. - Era la supremazia dei Veneti prevalente su tutti quelli che abitano quelle contrade costiere<ref>Il loro dominio — originario dal Morbihan in Bretagna — si estendeva sull’antico estuario delle bocche della Loira, oggigiorno rinsaldato alla terraferma, come Adria, Spina e Ravenna. La popolazione guerriera e marinara era arbitra della navigazione littoranea e dei transiti con la Britannia. Esercitava un’egemonia militare, navale ed economica con larghe forme federative (F. {{Sc|Corazzini}}, ''Storia della marina militare italiana antica'', Livorno, Giusti edit., 1882, cap. II: ''Le guerre di Cesare contro i Veneti ed i Britanni''). Per la bibliografia relativa ai Veneti si veda: {{Sc|{{AutoreCitato|Camille Jullian|Jullian}}}}, III, p. 290 sgg.</ref>, perchè i Veneti hanno moltissime navi con cui sono soliti recarsi in Britannia, e superano tutte quelle popolazioni rivierasche per conoscenza e pratica di navigazione. Nel grande ed aperto impeto del mare, pure avendo soltanto qualche porto qua e là in loro dominio, i Veneti hanno nondimeno resi tributari quasi tutti coloro che navigano da quelle parti. Essi cominciarono con l’arrestare Sillio e Velanio, nella speranza di poter riscattare così gli ostaggi dati a Crasso. Trascinati dalla autorità dei Veneti, i confinanti — come suole accadere tra i Galli sempre tanto impulsivi nelle loro decisioni — allo stesso scopo arrestano Trebio e Terrasidio, e, mandati rapidamente ambasciatori, per mezzo dei loro capi fanno una lega impegnandosi a vicenda a non far nulla se non di comune accordo e ad affrontare insieme la sorte. Sollecitano pure gli altri popoli a voler difendere quella libertà che avevano ricevuta dai padri loro ed a preferirla alla servitù dei Romani. Persuase così celeremente tutte le genti della costa, mandano un’ambasceria collettiva a Publio Crasso, avvertendolo che, se vuole riavere i suoi, deve rendere gli ostaggi. {{Sc|I preparativi navali di Cesare — La guerra contro le genti costiere dell’Oceano.}} IX. - Informato di ciò Cesare da Crasso — poichè egli era lontano<ref>Trovavasi a Ravenna o a Lucca dove, nell’aprile del 56, erano pure convenuti Pompeo e Crasso per la divisione dei poteri ({{Sc|Cic}}., ''Ad fam''., I, 9, 9. Vedasi pure A. {{Sc|Matscheg}}, ''Cesare e il suo tempo'', op. cit., vol. II, p. 187).</ref> ordina intanto che si costruiscano navi sottili (lunghe) nella Loira<ref>''In flumine Ligere.''</ref>, che sbocca nell’Oceano, e che nella Provincia si<noinclude><references/></noinclude> lr5d1otf8ez691dfwcxrg3ffb7nemjt Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/360 108 978900 3535020 2025-06-13T13:54:13Z Francyskus 76680 /* Trascritta */ 3535020 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude><noinclude><references/></noinclude> q67dfjrttey69nmclhrahm59aly5433 Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - BEIC IE6332532.djvu/362 108 978901 3535022 2025-06-13T13:54:27Z Francyskus 76680 /* Trascritta */ 3535022 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude><noinclude><references/></noinclude> q67dfjrttey69nmclhrahm59aly5433 Pagina:Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, vol. 2, 1792 - 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BEIC IE6332532.djvu/372 108 978909 3535033 2025-06-13T13:56:00Z Francyskus 76680 /* Trascritta */ 3535033 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude><noinclude><references/></noinclude> q67dfjrttey69nmclhrahm59aly5433 Categoria:Pagine in cui è citato Camille Jullian 14 978910 3535034 2025-06-13T13:56:14Z Candalua 1675 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: {{Vedi anche autore|Camille Jullian}} [[Categoria:Pagine per autore citato|Jullian, Camille]] 3535034 wikitext text/x-wiki {{Vedi anche autore|Camille Jullian}} [[Categoria:Pagine per autore citato|Jullian, Camille]] h1a4ebz0bqu975iooy9v107wekk6nc3 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/254 108 978911 3535036 2025-06-13T13:57:28Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535036 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|112|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}lasciato dal duca di Galavra per suo luogotenente in Firenze. {{Pg|62|V. 62|c5}}. — prende Pistoia, ed è condotto in trionfo da’ Fiorentini. {{Pg|76|''Ivi'', 76|c5}}. Sangimignano, perchè è condannato dal comune di Firenze a doverne esser arsi centoquarantasette uomini, e che ne segua. {{Pg|259|V. 259|c5}}. Sanginiegio, disfatto da’ Samminiatesi. {{Pg|244|I. 244|c1}}. — rifatto, e poi {{Ec|dsifatto|disfatto}}. {{Pg|45|II. 45|c2}}. San Giovanni, tempio a lui consacrato. {{Pg|60|I. 60|c1}}. — quando fu coperto di marmi. {{Pg|10|III. 10|c3}}. — quando gli furon tolti i monumenti e arche d’attorno. {{Pg|10|''Ivi''|c3}}. — quando è di nuovo ricoperto di marmi, perchè pativano le pitture e il mosaico interno. {{Pg|117|VII. 117|c7}}. Sangiovanni, castello, quando fu fatto. {{Pg|29|III. 29|c3}}. {{altraColonna|em=-1}} San Miniato, suo martirio. {{Pg|76|I. 76|c1}}. — chiesa fuor di Firenze quando fatta. {{Pg|77|I. 77|c1}}. Sannella, della, dove abitavano. {{Pg|173|I. 173|c1}}. Santa Croce, quando fondata. {{Pg|16|III. 16|c3}}. Santa Maria a Monte, presa dopo un sanguinoso assalto da’ Fiorentini. {{Pg|58|V. 58|c5}}. Santa Maria del Fiore. ''V''. S. Reparata. Santa Reparata, quando fondata, e £011 quali denari. {{Pg|21|III. 21|c3}}. Saracini, vengono in Italia. {{Pg|127|I. 127|c1}}. — distruggon Francia, {{Pg|128|''Ivi'', 128|c1}}. — passano in Italia. {{Pg|144|''Ivi'', 144|c1}}. — rubano Genova. {{Pg|145|''Ivi'', 145|c1}}. — prendono Galavra, e sconfiggono e prendono Otto. {{Pg|152|''Ivi'', 152|c1}}. — passano in Ispagna e sono sconfitti. {{Pg|157|II. 157|c2}}. — loro vittorie contro il re di Spagna. {{Pg|115|IV. 115|c4}}.<noinclude></noinclude> di9xc3am2z9xwcwt2i5lxdfbsg8k3xb Categoria:Testi in cui è citato Camille Jullian 14 978912 3535049 2025-06-13T14:00:44Z Candalua 1675 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: {{Vedi anche autore|Camille Jullian}} [[Categoria:Testi per autore citato|Jullian, Camille]] 3535049 wikitext text/x-wiki {{Vedi anche autore|Camille Jullian}} [[Categoria:Testi per autore citato|Jullian, Camille]] lls4pqpkoga7x4w7yizl8gkmxen6cdw Le lettere di S. Caterina da Siena/LVII 0 978913 3535050 2025-06-13T14:01:32Z Cor74 73742 Porto il SAL a SAL 75% 3535050 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>LVII. - A Misser Matteo, Rettore della Casa della Misericordia in Siena<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../LVI<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../LVIII<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=LVII. - A Misser Matteo, Rettore della Casa della Misericordia in Siena|prec=../LVI|succ=../LVIII}} <pages index="Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu" from="329" to="330" fromsection="" tosection="" /> jokx1og5j0jy2af14r2wjiwiubislrf Le lettere di S. Caterina da Siena/LV 0 978914 3535051 2025-06-13T14:03:23Z Cor74 73742 Porto il SAL a SAL 75% 3535051 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>LV. - Al Venerabile Religioso D. Guglielmo Priore Generale dell'Ordine della Certosa<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../LIV<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../LVI<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=LV. - Al Venerabile Religioso D. Guglielmo Priore Generale dell'Ordine della Certosa|prec=../LIV|succ=../LVI}} <pages index="Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu" from="317" to="324" fromsection="" tosection="" /> tc4lm3ri6dy8yzwpaan6zqt9aij87n2 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/255 108 978915 3535052 2025-06-13T14:04:43Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535052 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|113}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — sono sconfitti dal re di Spagna. {{Pg|224|VI. 224|c6}}. Sardigna, l’isola di, privilegiata da papa Bonifazio VIII, al re d’Araonia. {{Pg|177|IV. 177|c4}}. — è presa dagli Araonesi. {{Pg|185|''Ivi'', 185|c4}}. Saturno, re. {{Pg|30|I. 30|c1}}. — civilizza i popoli d’Italia. {{Pg|30|''Ivi''|c1}}. — edifica Sutri. {{Pg|30|''Ivi''|c1}}. — regnò in Italia trenlaquattro anni. {{Pg|30|''Ivi''|c1}}. Scala, loro famiglia, d’onde provenne, e storia de’ primi di quella casa. {{Pg|188|VI. 188|c6}}. Scala, Alberto della, è mandato preso a Vinegia da Piero Rossi. {{Pg|137|VI. 137|c6}}. — fa oste sul Mantovano, e ritorna in isconfitta. {{Pg|101|''Ivi'', 101|c6}}. Scala, messer Cane della, la guerra a’ Padovani. {{Pg|89|IV. 89|c4}}. — -prende i borghi di Padova, {{Pg|98|''Ivi'', 98|c4}}. — è sconfitto da’ Padavani e dal conte di Gorizia. {{Pg|117|''Ivi'', 117|c4}}. {{altraColonna|em=-1}} — fa oste a Reggio, e se ne parte subitamente. {{Pg|155|''Ivi'', 155|c4}}. — dicesi che facesse avvelenare il conte di Gorizia. {{Pg|179|''Ivi'', 179|c4}}, — è guerreggiato da’ Tedeschi. {{Pg|221|''Ivi'', 221|c4}}. — gli fa partire. {{Pg|222|''Ivi'', 222|c4}}. — ricomincia guerra ai Padovani. {{Pg|57|V. 57|c5}}. — acquista a patti la signoria di Padova. {{Pg|135|''Ivi'', 135|c5}}. — i Bresciani sconfiggono parte di sua gente. {{Pg|166|''Ivi'', 166|c5}}. — prende Trevigi, e vi muore, ed è sepolto a Verona. Fu il maggiore e più ricco tiranno di Lombardia. {{Pg|181|''Ivi'', 181|c5}}. — fu valente tiranno e signore dabbene. {{Pg|190|VI. 190|c6}}. Scala, Currado della, perchè decapitato dal Bavaro. {{Pg|49|V. 49|c5}}. Scala, Mastino, acquista la signoria di Brescia e di Bergamo. {{Pg|254|V. 254|c5}}.<noinclude></noinclude> mwox24elchcr6mmail2b7jo0t4sgqxn Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/256 108 978916 3535055 2025-06-13T14:12:56Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535055 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|114|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — dovea esser preso e tradito da’ Tedeschi. {{Pg|46|VI. 46|c6}}. — prende Colornio. {{Pg|50|''Ivi'', 50|c6}}. — viene in possesso di Parma, {{Pg|70|''Ivi'', 70|c6}}. — ha la signoria di Lucca da Orlando de’ Rossi. {{Pg|84|''Ivi'', 84|c6}}. — fellone e traditore e disleale tiranno, {{Pg|85|''Ivi'', 85|c6}}. — ordina tradimento in Pisa per averne la signoria, e va a vuoto. {{Pg|86|''Ivi'', 86|c6}}. — come delude i Fiorentini per la resa di Lucca. {{Pg|89|''Ivi'', 89|c6}}. — dice a’ Fiorentini di non voler danari per la compra di Lucca, ma che l’aiutassero a prendere Bologna. {{Pg|91|''Ivi'', 91|c6}}. — sue masnade cavalcano sul Fiorentino guastando, e ne son cacciati, {{Pg|103|''Ivi'', 103|c6}}. — tradisce e inganna i Rossi di Parma, e cosa ne avviene. ''Ivi6''. 105. {{altraColonna|em=-1}} — per natura era vile di mettersi a fortuna di battaglia. {{Pg|113|''Ivi'', 113|c6}}. — richiede di battaglia i collegati, e li vince. {{Pg|134|''Ivi'', 134|c6}}. — si trova a mal partito, e ritorna in Verona. {{Pg|135|''Ivi'', 135|c6}}. — trovandosi a mal partito tratta in segreto co’ Veneziani. {{Pg|150|''Ivi'', 150|c6}}. — quanta fosse la sua potenza prima della guerra con la lega. {{Pg|155|''Ivi'', 155|c6}}. — per resistere alla guerra gli conviene impegnare la corona e i gioielli. {{Pg|155|''Ivi''|c6}}. — va ad oste al castello di Montecchio racquistarlo, e fallisce l’impresa. {{Pg|161|''Ivi'', 161|c6}}. — come gli sia contraria la fortuna in ogni sua impresa. {{Pg|162|''Ivi'', 162|c6}} — fa pace segretamente co’ Veneziani. {{Pg|173|''Ivi'', 173|c6}}.<noinclude></noinclude> dzm9m2ygjnwak7i8vnd100yy7uvu8wx Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/257 108 978917 3535058 2025-06-13T14:19:47Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535058 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|115}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — va a Parma, e poi a Lucca riformandole a suo stato. {{Pg|195|VI. 195|c6}}. — perde Parma, ribellalagii da messer Azzo da Correggio, {{Pg|228|''Ivi'', 228|c6}}. — non potendo più tener Lucca, cerca di venderla a’ Fiorentini o a’ Pisani. {{Pg|229|''Ivi'', 229|c6}}. — manda a Ferrara suoi stadichi per garanzia a’ Fiorentini de’ patti della vendita di Lucca, {{Pg|235|''Ivi'', 235|c6}}. — tratta ancora co’ Pisani la vendita dì Lucca, ingannando i Fiorentini. {{Pg|243|''Ivi'', 243|c6}}. — è pagato definitivamente da’ Fiorentini della compra di Lucca. {{Pg|126|VII. 126|c7}}. Scali e Amieri, quando falliscono e per quanto. {{Pg|9|V. 9|c5}}. Scali, Ugo degli, capitano de’ Fiorentini in Lombardia. {{Pg|49|VI. 49|c6}}. Scanacci, Guiglielmo, degli Seannabecchi, è ìatto dal Martino suo vicario in Lucca. {{altraColonna|em=-1}} Scarperia, quando fu fatta, {{Pg|163|III. 163|c3}}. Schiatta reale de’ Troiani. {{Pg|26|I. 26|c1}}. Scio, è presa da’ Genovesi. {{Pg|175|VII. 175|c7}}. — ivi nasce la mastica, ch’è di gran frutto e rendita, {{Pg|175|Ivi|c7}}. Scotti, sono sconfitti a Vervicche dal re Adoardo d’Inghilterra. {{Pg|278|V. 278|c5}}. Scozia, il re di, fa gran guerra al re d’Inghilterra. {{Pg|151|IV. 151|c4}}. Sega, Giovanni del, da Carlone, è capo di tradimento in Firenze. {{Pg|153|V. 153|c5}}. — scoperto, è attanagliato e impalato. {{Pg|154|''Ivi'', 154|c5}}. Semiramide, fu dissoluta. {{Pg|4|I. 4|c1}}. Serraglini, setta di cittadini rumorosi in Firenze. {{Pg|245|IV. 245|c4}}. Serravalle, si rende a’Lucchesi. {{Pg|78|III. 78|c3}}.<noinclude></noinclude> 3ptgd2wbrm89ty5vzqp5qbg5dtedtpn Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/258 108 978918 3535061 2025-06-13T14:26:35Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535061 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|116|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — si dà in guardia per tre anni a’ Fiorentini. {{Pg|192|V. 192|c5}}. Servio Tullio. {{Pg|39|I. 39|c1}}. Sibilla Erittea. {{Pg|28|I. 28|c1}}. Siena, sua descrizione. {{Pg|73|I. 73|c1}}. — osteggiata da’ Fiorentini. {{Pg|79|II. 79|c2}}. 80. — congiura e mutazione che v’ebbe. {{Pg|95|IV. 95|c4}}. SiGNA, è arsa da Castruccio. {{Pg|331|IV. 331|c4}}. — quando murata. {{Pg|9|V. 9|c5}}. Silcestri, il vescovo di, decapitato dal popolo di Londra. {{Pg|15|V. 15|c5}}. Silvio Postumo, figliuolo di Lavinia. {{Pg|32|I. 32|c1}}. Simifonti, preso e disfatto da’ Fiorentini. {{Pg|247|I. 247|c1}}. Sinopoli, è preso da’ Genovesi, e rubato e guasto. {{Pg|175|VII. 175|c7}}. Sizii, dove abitavano. {{Pg|169|I. 169|c1}}. Smirne, è presa da’ cristiani, e loro barbarie. {{Pg|101|VII. 101|c7}}. Soldanieri, dove abitavano, {{Pg|171|I. 171|c1}}. {{altraColonna|em=-1}} Sole, quando scurì. {{Pg|240|I. 240|c1}}. — quando scurò. {{Pg|41|II. 41|c2}}. — quando oscurò. {{Pg|125|IV. 125|c4}}. — scurò nel Luglio del 1330. {{Pg|208|V. 208|c5}}. — s’oscura il dì 7 Luglio, 1339. {{Pg|197|VI. 197|c6}}. Spedito di porte san. Piero, uomo presuntuoso. {{Pg|107|II. 107|c2}}. Spini, Geri, patteggia la resa di Montaccianico. {{Pg|163|III. 163|c3}}. Spinoli e Orii, capi in Genova di parte gHibellina. {{Pg|27|III. 27|c3}}. — son cacciati di Genova. {{Pg|54|IV. 54|c4}}. Spinoli, Gherardino, compra Lucca per trentamila fiorini d’oro. {{Pg|185|V. 185|c5}}. — è in pericolo di perdere la signoria di Lucca. {{Pg|193|V. 193|c5}}. — va sopra Montecatini, e non lo può fornire per la forza de’ Fiorentini. {{Pg|199|''Ivi'', 199|c5}}. — corre Lucca, e fa impiccare Pagano de’<noinclude></noinclude> lkvpuv8sl0gn81imqhljb3vewv4bq3d 3535063 3535061 2025-06-13T14:26:58Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535063 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|116|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} — si dà in guardia per tre anni a’ Fiorentini. {{Pg|192|V. 192|c5}}. Servio Tullio. {{Pg|39|I. 39|c1}}. Sibilla Erittea. {{Pg|28|I. 28|c1}}. Siena, sua descrizione. {{Pg|73|I. 73|c1}}. — osteggiata da’ Fiorentini. {{Pg|79|II. 79|c2}}. 80. — congiura e mutazione che v’ebbe. {{Pg|95|IV. 95|c4}}. Signa, è arsa da Castruccio. {{Pg|331|IV. 331|c4}}. — quando murata. {{Pg|9|V. 9|c5}}. Silcestri, il vescovo di, decapitato dal popolo di Londra. {{Pg|15|V. 15|c5}}. Silvio Postumo, figliuolo di Lavinia. {{Pg|32|I. 32|c1}}. Simifonti, preso e disfatto da’ Fiorentini. {{Pg|247|I. 247|c1}}. Sinopoli, è preso da’ Genovesi, e rubato e guasto. {{Pg|175|VII. 175|c7}}. Sizii, dove abitavano. {{Pg|169|I. 169|c1}}. Smirne, è presa da’ cristiani, e loro barbarie. {{Pg|101|VII. 101|c7}}. Soldanieri, dove abitavano, {{Pg|171|I. 171|c1}}. {{altraColonna|em=-1}} Sole, quando scurì. {{Pg|240|I. 240|c1}}. — quando scurò. {{Pg|41|II. 41|c2}}. — quando oscurò. {{Pg|125|IV. 125|c4}}. — scurò nel Luglio del 1330. {{Pg|208|V. 208|c5}}. — s’oscura il dì 7 Luglio, 1339. {{Pg|197|VI. 197|c6}}. Spedito di porte san. Piero, uomo presuntuoso. {{Pg|107|II. 107|c2}}. Spini, Geri, patteggia la resa di Montaccianico. {{Pg|163|III. 163|c3}}. Spinoli e Orii, capi in Genova di parte gHibellina. {{Pg|27|III. 27|c3}}. — son cacciati di Genova. {{Pg|54|IV. 54|c4}}. Spinoli, Gherardino, compra Lucca per trentamila fiorini d’oro. {{Pg|185|V. 185|c5}}. — è in pericolo di perdere la signoria di Lucca. {{Pg|193|V. 193|c5}}. — va sopra Montecatini, e non lo può fornire per la forza de’ Fiorentini. {{Pg|199|''Ivi'', 199|c5}}. — corre Lucca, e fa impiccare Pagano de’<noinclude></noinclude> rzq25vml3qjfjdhjeejuoovyexho5vv Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/259 108 978919 3535065 2025-06-13T14:32:46Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535065 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|117}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}Quartigiani e altri. ''Ivi'', 213. — non potendo resistere alla forza de’ Fiorentini, offre la signoria di Lucca al re Giovanni, che l’accetta. ''Ivi'', 220. — parte di Lucca dolendosi del re Giovanni e de’ Lucchesi. ''Ivi'', 224. Spinoli Ubizzino, è cacciato di Genova. {{Pg|194|III. 194|c3}}. Spuletini, sconfiggono que’ di Rieti. {{Pg|214|VI. 214|c6}}. Spuleto, preso da’ ghibellini. {{Pg|100|IV. 100|c4}}. — sue dissensioni, alla fine i guelfi sono cacciati. {{Pg|271|VII. 271|c7}}. — è cacciato, e condannato nell’avere, ''Ivi''. Statue delle arti situate a’ pilastri d’Orto san Michele, quando furono ordinate. {{Pg|140|VI. 140|c6}}. {{altraColonna|em=-1}} Stella comata, quando apparve. {{Pg|133|II. 133|c2}}. Stinche, castello in Valdigreve, preso da’ Fiorentini. {{Pg|133|III. 133|c3}}. — prigione fatta in Firenze. {{Pg|133|''Ivi''|c3}}. Strozzi, Andrea degli, folle cavaliere popolano, si fa capo di popolo. {{Pg|63|VII. 63|c7}}. Strozzi, Francesco, uno de’ dieci ambasciadori de’ Fiorentini al re d’Ungheria. {{Pg|240|VII. 240|c7}}. Suggello del comune di Firenze perchè fu cambiato, e a chi dato in guardia. {{Pg|178|III. 178|c3}}. Susinana, Maghinardo da, prende Imola. {{Pg|29|III. 29|c3}}. {{fineColonna|em=-1}} {{FI |file = GullBraceDown.svg | tsize = 70px | float = center | caption = }}<noinclude></noinclude> 93qjhsxakc99vbyl94wtvq5c9t062it Le lettere di S. Caterina da Siena/LVI 0 978920 3535067 2025-06-13T14:38:09Z Cor74 73742 Porto il SAL a SAL 75% 3535067 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>LVI. - A Frate Simone da Cortona, dell'Ordine de' Frati Predicatori<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../LV<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../LVII<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>75%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=LVI. - A Frate Simone da Cortona, dell'Ordine de' Frati Predicatori|prec=../LV|succ=../LVII}} <pages index="Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu" from="325" to="328" fromsection="" tosection="" /> q805sc6g14mg2r427j7pyi7ibd1440t Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/260 108 978921 3535071 2025-06-13T14:43:25Z Alex brollo 1615 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: {{Ct|f=100%|v=1|T}} {{colonna|em=-1}}<includeonly>{{indentatura}}</includeonly> {{xx-larger|T}}aranto, Luigi di, prende per moglie la regina Giovanna sua cugina. {{Pg|221|VII. 221|c7}}. — fugge da Napoli con Niccola Acciaiuoli e sbarca in Maremma. {{Pg|251|''Ivi'', 251|c7}}. — giunto a Firenze, gli è negato l’ingresso, e va in Provenza. {{Pg|262|''Ivi'', 262|c7}}, e seg. 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Tartari, conquistano l’India. {{Pg|246|I. 246|c1}}. — passano in Europa, Ungheria, e Pollonia; son morti al Danubio. {{Pg|42|II. 42|c2}}. — sconfiggono i Turchi. {{Pg|45|''Ivi'', 45|c2}}. — loro novità. {{Pg|297|II. 297|c2}}. — loro costumanze. {{Pg|50|III. 50|c3}}.<noinclude><references/></noinclude> jysrgwbcj6hyuc82cdecgn108pc9laq Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/325 108 978922 3535073 2025-06-13T14:44:47Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535073 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|29}}</noinclude>cosa che bisognerà, per voi e per loro. Altro non dico. Perdonate alla mia ignoranzia. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. <div class="titolo"><p> LVI. — ''A Frate Simone da Cortona, dell’Ordine de’ Frati Predicatori''. </p></div> <div class="sottotitolo"><p> L’amor proprio è nuvola di per sé, che s’addensa in tenebre. Ci toglie il retto giudizio e de’ beni minori e de’ maggiori, ci fa timidi. Il lume della fede ci viene dalla carità, e da lei la speranza virile. </p></div> Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue dell’Agnello; acciocché, come ebro,<ref>Il Manzoni, con imagine tolta da’ libri sacri, di Gesù Cristo stesso: ''come un forte inebriato''.</ref> corriate al campo della battaglia a combattere come cavaliere virile contra le dimonia, contra il mondo e contra la propria fragilità, col lume della santissima fede e con amore ineffabile, dilettandovi sempre della battaglia. ^a sappiate che combattere e avere vittoria non potremo fare, se non ci fusse il lume della santissima fede; ne il lume potremo avere, se dall’occhio dell’intelletto nostro non fasse tratta la terra <ref>Forse tenebra.</ref> d’ogni affetto terreno, e gittata la nuvola dell’amore proprio di noi medesimi; perocché ell’ è quella perversa nuvola<ref>L’affetto alle cose basse è tenebra; l’amor proprio è nuvola, perchè attraverso al naturale amore di sé, può l’uomo pur vedere della luce, se non perverte funesto amore ponendo il bene proprio in cose vili.</ref> che in tutto ci tolle ogni lume spi-<noinclude><references/></noinclude> bf7oj0o9kf158iuvow8rfnxelsttnkb 3535074 3535073 2025-06-13T14:45:32Z Cor74 73742 3535074 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|29}}</noinclude>cosa che bisognerà, per voi e per loro. Altro non dico. Perdonate alla mia ignoranzia. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. <div class="titolo"><p> LVI. — ''A Frate Simone da Cortona, dell’Ordine de’ Frati Predicatori''. </p></div> <div class="sottotitolo"><p> L’amor proprio è nuvola di per sé, che s’addensa in tenebre. Ci toglie il retto giudizio e de’ beni minori e de’ maggiori, ci fa timidi. Il lume della fede ci viene dalla carità, e da lei la speranza virile. </p></div> Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue dell’Agnello; acciocché, come ebro,<ref>Il Manzoni, con imagine tolta da’ libri sacri, di Gesù Cristo stesso: ''come un forte inebriato''.</ref> corriate al campo della battaglia a combattere come cavaliere virile contra le dimonia, contra il mondo e contra la propria fragilità, col lume della santissima fede e con amore ineffabile, dilettandovi sempre della battaglia. Ma sappiate che combattere e avere vittoria non potremo fare, se non ci fusse il lume della santissima fede; ne il lume potremo avere, se dall’occhio dell’intelletto nostro non fasse tratta la terra <ref>Forse tenebra.</ref> d’ogni affetto terreno, e gittata la nuvola dell’amore proprio di noi medesimi; perocché ell’ è quella perversa nuvola<ref>L’affetto alle cose basse è tenebra; l’amor proprio è nuvola, perchè attraverso al naturale amore di sé, può l’uomo pur vedere della luce, se non perverte funesto amore ponendo il bene proprio in cose vili.</ref> che in tutto ci tolle ogni lume spi-<noinclude><references/></noinclude> dcr7ok3bd914jj8k359t6wwhaokprzl Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/326 108 978923 3535076 2025-06-13T14:49:27Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535076 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|260|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude> {{Pt|ritualmente|spiritualmente}} e temporalmente. Temporalmente, perchè non ci lassa cognoscere la fragilità nostra, e la poca fermezza e stabilità del mondo; nè quanto questa vita è vana e caduca; né gl’inganni del dimonio, quanto occultamente in queste cose transitorie egli ci inganna, e spesse volte sotto colore di virtù. Spiritualmente, questa cecità non ci lassa cognoscere nè discernere la bontà di Dio, anzi spesse volte quello che Dio ci dà per nostro- bene, noi cel rechiamo per contrario: e tutto questo ci addiviene perchè nei misteri<ref>Altrove accenna al mistero del dolore.</ref> suoi noi non consideriamo l’affetto suo, né con quanto amore egli ce li dà; ma, come ciechi, non pigliamo altro che l’atto.<ref>Il punto presente del sentimento spiacevole; senza riguardare al bene potenziale che in esso è raccolto, e che la nostra libertà può cavarne. Pigliare, dicesi, e con occhio e con la mente. Dante: ''Tórre''.</ref> Alcuna volta permette Dio che noi siamo perseguitati dal mondo, e che ci sia fatta ingiuria dalle creature, o postaci una obedienza dal prelato nostro; e noi non consideriamo la volontà di Dio, che ’l fa per nostra santificazione; né giudichiamo la volontà sua che per amore ci permette quello; ma giudichiamo la volontà degli uomini, e così veniamo spesse volte a dispiacere col prossimo nostro, e commettiamo molti difetti e ignoranzia, <ref>Forse ''ignoranzie'', che anco altrove è da lei usato plurale. Ma può stare anco singolare; e qui vale non l’abito del non sapere, ma l’atto del non voler sapere quel che l’uomo conosce siccome bene. Salmo: ''«Delieta juventutis meoe et ignorantias vieas ne memineris»'',</ref> verso di Dio e di loro. Chi n’è cagione? il poco lume. Perrocchè l’amore proprio ha ricoperta la pupilla dell’occhio della santissima fede. Onde se egli è nelle molestie che il dimonio ci dà, e questa cecità è allora nell’occhio nostro, se ne riceve questo in-<noinclude><references/></noinclude> c1j76md6jwiupnhs8p97e8c6msq9w2d 3535077 3535076 2025-06-13T14:50:14Z Cor74 73742 3535077 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|260|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude> {{Pt|ritualmente|spiritualmente}} e temporalmente. Temporalmente, perchè non ci lassa cognoscere la fragilità nostra, e la poca fermezza e stabilità del mondo; nè quanto questa vita è vana e caduca; né gl’inganni del dimonio, quanto occultamente in queste cose transitorie egli ci inganna, e spesse volte sotto colore di virtù. Spiritualmente, questa cecità non ci lassa cognoscere nè discernere la bontà di Dio, anzi spesse volte quello che Dio ci dà per nostro- bene, noi cel rechiamo per contrario: e tutto questo ci addiviene perchè nei misteri<ref>Altrove accenna al mistero del dolore.</ref> suoi noi non consideriamo l’affetto suo, né con quanto amore egli ce li dà; ma, come ciechi, non pigliamo altro che l’atto.<ref>Il punto presente del sentimento spiacevole; senza riguardare al bene potenziale che in esso è raccolto, e che la nostra libertà può cavarne. Pigliare, dicesi, e con occhio e con la mente. Dante: ''Tórre''.</ref> Alcuna volta permette Dio che noi siamo perseguitati dal mondo, e che ci sia fatta ingiuria dalle creature, o postaci una obedienza dal prelato nostro; e noi non consideriamo la volontà di Dio, che ’l fa per nostra santificazione; né giudichiamo la volontà sua che per amore ci permette quello; ma giudichiamo la volontà degli uomini, e così veniamo spesse volte a dispiacere col prossimo nostro, e commettiamo molti difetti e ignoranzia,<ref>Forse ''ignoranzie'', che anco altrove è da lei usato plurale. Ma può stare anco singolare; e qui vale non l’abito del non sapere, ma l’atto del non voler sapere quel che l’uomo conosce siccome bene. Salmo: ''«Delieta juventutis meoe et ignorantias meas ne memineris»''.</ref>verso di Dio e di loro. Chi n’è cagione? il poco lume. Perrocchè l’amore proprio ha ricoperta la pupilla dell’occhio della santissima fede. Onde se egli è nelle molestie che il dimonio ci dà, e questa cecità è allora nell’occhio nostro, se ne riceve questo in-<noinclude><references/></noinclude> q6zscxq5t1m8xdplihj5i7dpttz3h8u Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/327 108 978924 3535079 2025-06-13T14:50:49Z Cor74 73742 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: puiiK"», elle vciHMido lo molestie e compitazioni nel cuore per illusione del (limonio; ìioi crediamo allora essei’e liprovati da Dio. 1^] per questo Verremo a unaconfusioiie di mente; onde noi lassei’emo lo esercizio dell’orazione, quasi non parendoci essere accetti a Dio; e verremo a tedio e sai’omo incomportabili a noi medesimi. Onde per questo l’obedienzia ci sarà grave; e abbandoneremo la cella, e diletterenci della... 3535079 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|261}}</noinclude>puiiK"», elle vciHMido lo molestie e compitazioni nel cuore per illusione del (limonio; ìioi crediamo allora essei’e liprovati da Dio. 1^] per questo Verremo a unaconfusioiie di mente; onde noi lassei’emo lo esercizio dell’orazione, quasi non parendoci essere accetti a Dio; e verremo a tedio e sai’omo incomportabili a noi medesimi. Onde per questo l’obedienzia ci sarà grave; e abbandoneremo la cella, e diletterenci della conversazione. E tutto questo ci addiviene, e molti altri inconvenienti, perchè noi non abbiamo gittata a terra ^ la nuvola dell’amore proprio nò spiritualmente né temporalmente; ^ e però non cognosciamo la verità, né ci dilettiamo ancora in croce con Cristo crocifisso. Onde a questo modo non saremmo cavalieri virili a combattere conti’a a’ nemici nostri per Cristo crocifisso; ma saremmo ^ timidi, e l’ombra nostra ci farebbe paura. Che dunque e’ é bisogno? écci bisogno il sangue: uel quale sangue di Cristo troveremo una speranza ferma che ci tollejà ogni timore servile; e troveremo la fede viva, gustando* che Dio non vuole altro che ’l nostro bene. E però ci die il Verbo dell’unigenito suo Figliuolo; e il Figliuolo ci die la vita per renderci la vita, e del sangue ci fece bagno per lavare ^ la lebbra delle niìstre iniquitadi. Per questo dunque l’anima cognosce e tiene con fede, viva che Dio non permetterà alle dimonia che ci molestino più cne noi potiamo portare; né al 1,Come cosa grave, che mal si roiige nell" altezza a cui dobbiamo salire. 2 Anco il danno temporale è qui danno dello spirito; ma riguarda l’affetto dell’anima verso le coso temporali. ^ Nella sta;mpa e qui e sopra: saremo. * Sottinteso il pensiero o simile. Se forse non i.iauca qualche parola; giacché lo idee non bene si colleijano. ó Un inno: <f: Lavacrum mentiuin».<noinclude><references/></noinclude> 8u55p6ird70fzoj8202u1kykit6lxol Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/328 108 978925 3535080 2025-06-13T14:51:46Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535080 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione|262|{{Sc|lettere di santa caterina}}|}}</noinclude>mondo, che ci triboli più che siamo atti a ricevere; né al prelato, che ci ponga maggiore obedienzia che noi potiamo portare. Con questo dolce e glorioso lume non verrete a tedio né a confusione per alcuna battaglia; e non vi dilungherete dalla cella, né correrete alla conversazione delle creature; ma abbraccerete la croce, e non getterete a terra l’arme dell'orazione né degli altri esercizii spirituali. Anco, umiliandovi al vostro Creatore, offerirete umili e continue orazioni; e nel tempo della battaglia e nel tempo della quiete, e in ogni tempo che si sia, non allenterete i passi: ma con sollicitudine e senza negligenzia o confusione servirete a Dio, e osserverete l’ordine vostro in verità. Chi ne sarà cagione? il lume della santissima fede, la quale trovaste nel sangue. Chi è cagione del lume? l’amore dell’affocata carità che trovaste nel sangue. Perocché per amore questo dolce amoroso Verbo corse all’obbrobriosa morte della croce; e perché il caldo del divino amore che trovaste nel sangue, destrusse e consumò la tenebra dell’amore proprio, che adombrava l’occhio che non vedeva. Però ora vede, e vedendo ama, ed amando teme Dio e serve il prossimo suo. Onde allora è fatto cavaliere virile, e combatte con lo scudo della fede e con l’arme della carità, che é uno coltello di due tagli, cioè odio e amore, amore delle virtù e odio del vizio e della propria passione sensitiva. E siccome innamorato, si diletta in croce, e d’acquistare con pena le virtù, cercando con affetto d’amore r onore di Dio e la salute delle anime. Dove ha trovato questo santo desiderio? nel sangue. In altro modo noi potreste trovare.<noinclude><references/></noinclude> 9sxwjoylglzaasetlxhw6pqfb4enk9r Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/329 108 978926 3535082 2025-06-13T14:53:47Z Cor74 73742 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso: e (iicovi ciie allora voi averete nome ’ e io ritroverò il figliuolo. Or vi bagniate dunque e annegate nel sangue; senza tedio e confusione.’ Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. LVIL — ''A Misser Metteo, Rettore della Casa della Misericordia in Siena''. Renda a Dio lode... 3535082 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|263}}</noinclude>E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso: e (iicovi ciie allora voi averete nome ’ e io ritroverò il figliuolo. Or vi bagniate dunque e annegate nel sangue; senza tedio e confusione.’ Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. LVIL — ''A Misser Metteo, Rettore della Casa della Misericordia in Siena''. Renda a Dio lode giovando al prossimo con esempi, insegnamenti, preghiere. Gusti la gioia del giovargli soffrendo per essi. Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi spècchio di virtù, acciocché in verità rendiate gloria e loda al noine di Dio, e acciocché facciate utilità prima a voi medesimo, ^ poi al prossimo vostro, e sì con esempio di santa e onesta vita e con la dottrina della parola, e sì con umili e continue e fedeli orazioni. ^ Pensate che questo é il 1 Avrete nome di iigliuolo; e io vi ritroverò essere tale figliolo eguale vi brati’.o. Nelle Iutiero a Ira Biutilomeo di Domenico, sempre eMa dà a fra Simone il titolo di figliuolo. ’ - il tedio è fiacchezza dolorosa. Confusione, turbamento importuno per forza disordinata. ^ Xoii intende che il primo de’ fini deva essere l’utile proprio, dacché tante volte insa^’ua il contrario; ma dice che dal rendere «àc> a Dio (con che viene a escludersi l’intento dell’utile e del piacere proprio) segue di necessità il migliorare noi stessi, il quale miglioramento è condizione al farci degni di giovare a’ iratelli. ■* Prima l’opera, poi la parola, poi viene in merito l’orazione. Non già che parlando e operando, e prima, non s’iibbia a chiedere d’esserne degni.<noinclude><references/></noinclude> nd1byuule1u34pe12f9w3cfp9cklukt Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/261 108 978927 3535084 2025-06-13T14:55:15Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535084 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|119}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} Tederigo, duodecimo re di Francia. {{Pg|23|I. 23|c1}}. — fu deposto e fatto frate. {{Pg|23|Ivi|c1}}. — fu rifatto re dopo dodici anni. {{Pg|23|Ivi|c1}}. Tederigo, decimonono re di Francia. {{Pg|24|I. 24|c1}}. Tedeschi, morti da’ Fiorentini. {{Pg|103|II. 103|c2}}. — loro poca fede. {{Pg|206|IV. 206|c4}}. — vengono in Italia per far guerra a Messer Cane, {{Pg|221|''Ivi'', 221|c4}}. — se ne partono. {{Pg|222|''Ivi'', 222|c4}}. Tedeschi dal Cerruglio, hanno per forza la signoria di Lucca. {{Pg|168|V. 168|c5}}. — n’offrono la vendita a’ Fiorentini. {{Pg|169|''Ivi'', 169|c5}}. — offrono dinuovo ai Fiorentini l’acquisto di Lucca. {{Pg|183|''Ivi'', 183|c5}}. Tedeschi, della bassa Alamagna, si partono dal Bavaro, e si afforzano sul Cerruglio. {{Pg|141|''Ivi'', 141|c5}}. Tedici, Filippo, toglie {{altraColonna|em=-1}} la signoria di Pistoia all’abate da Facciano suo zio. {{Pg|231|IV. 231|c4}}. — traditore de’ Fiorentini, dà Pistoia a Castruccio. {{Pg|251|''Ivi'', 251|c4}}. — è morto da villani. {{Pg|242|V. 242|c5}}. Telofre, re longobardo, arde Roma. {{Pg|115|I. 115|c1}}. — vinto da Pipino, {{Pg|116|''Ivi'', 116|c1}}. Tempeste di mare grandissime, indie tempo, e dove accadute. {{Pg|80|VII. 80|c7}}. Tempieri, fatti prendere dal re di Francia. {{Pg|173|III. 173|c3}}. — ne fa bruciare cinquantasei. {{Pg|174|''Ivi'', 174|c3}}. Teodorigo, re de’ Goti. {{Pg|93|I. 93|c1}}. — prende tutta Italia. {{Pg|93|''Ivi''|c1}}. — (suo figlio) viene in Italia. {{Pg|95|''Ivi'', 95|c1}}. — fa morire Boezio. {{Pg|96|''Ivi'', 96|c1}}. — muore. {{Pg|96|''Ivi''|c1}}. Terre di Puglia e di Cicilia si rub3llano dal re Carlo. {{Pg|177|II. 177|c2}}.<noinclude></noinclude> mla9wsbbbglhl291vdwvjd87e25el5g Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/262 108 978928 3535089 2025-06-13T15:03:21Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535089 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|120|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} Terremoti grandissimi accaduti in più luoghi d’Europa nel 1348. {{Pg|272|VII. 272|c7}}. e seg. Tesoro della Chiesa, perchè depositato in Lucca. {{Pg|23|IV. 23|c4}}. — quando rubato, e da chi. {{Pg|57|''Ivi'', 57|c4}}. Terzuoli, Filippo, è abbocconato dal popolo di Firenze. {{Pg|51|VII. 51|c7}}. Tiberino Silvio. {{Pg|35|I. 35|c1}}. Tiranni di Lombardia, esser loro utili le dissensioni dei Toscani. {{Pg|100|VII. 100|c7}}. — non si devono troppo gloriare della felicità mondana. {{Pg|184|''Ivi'', 184|c7}}. Todini, sono sconfitti da’ Perugini. {{Pg|8|IV. 8|c4}}. Tolentino, Accorrimbono da, è il secondo conservadore di pace stato in Firenze. {{Pg|81|VI. 81|c6}}. Tolomei, fanno guerra al contado di Siena. {{Pg|166|IV. 166|c4}}. Tizzano, preso da’ Fiorentini. {{Pg|74|II. 74|c2}}. {{altraColonna|em=-1}} Tornai, città forte e possente, è la chiave del reame di Francia. {{Pg|209|VI. 209|c6}}. Tornaquinci, Biagio, capitano de’ Fiorentini. {{Pg|11|V. 11|c5}}. Tornaquinci, Testa, capitano de’Fiorentini, mandato in aiuto a’ Sanesi. {{Pg|131|V. 131|c5}}. Tornaquinci, Ugolino, oratore del comune di Firenze. {{Pg|199|III. 199|c3}}. Torre di Babel, quando si cominciò. {{Pg|4|I. 4|c1}}. Torre del guarda morto, è tagliata da’ ghibellini. {{Pg|50|II. 50|c2}}. Torre, i signori della, sono sconfitti e cacciati di Milano. {{Pg|224|II. 224|c2}}. — la casa più possente in Italia. {{Pg|225|''Ivi'', 225|c2}}. — si fanno signori di Milano. {{Pg|103|III. 103|c3}}. Torre, Guidetto della, signor di Milano, uomo di gran senno. {{Pg|11|IV. 11|c4}}. — abbandona Milano dopo aver perduta la signoria. {{Pg|14|''Ivi'', 14|c4}}.<noinclude></noinclude> 3rufg4j0ncqpvvddsyf5bxdruzv8x9m Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/263 108 978929 3535092 2025-06-13T15:10:27Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535092 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|121}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} Torri di Firenze quando furoii tagliate e ridotte a cinquanta braccia. {{Pg|60|II. 60|c2}}. Toscana, perchè cosi chiamata. {{Pg|31|I. 31|c1}}. — suo sito, {{Pg|61|''Ivi'', 61|c1}}. — sua potenza avanti il dominio de’ Romani. {{Pg|63|''Ivi'', 63|c1}}. — suoi vescovadi. {{Pg|67|''Ivi'', 67|c1}}. Tosa, Simone della, è fatto capitano de’ Fiorentini in Pistoia. {{Pg|76|V. 76|c5}}. Tosa, Simone e Pino, son tolti dal comune i beni ai loro figliuoli, stati donati dal medesimo anticamente. {{Pg|113|VII. 113|c7}}. Totile, re de’ Goti. {{Pg|86|I. 86|c1}}. — guasta Italia. {{Pg|87|''Ivi'', 87|c1}}. — prende Firenze per inganno, {{Pg|88|''Ivi'', 88|c1}}. — redifica Fiesole. {{Pg|90|''Ivi'', 90|c1}}. — muore. {{Pg|91|''Ivi'', 91|c1}}. Tremuoti stati in Italia. {{Pg|39|III. 39|c3}}. — quando furono nella Marca, e subissarono Norcia. {{Pg|149|V. 149|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} Tremuoto grandissimo quando si senti in Firenze. {{Pg|254|IV. 254|c4}}. Trentasei buoni uomini, quando ordinati. {{Pg|161|II. 161|c2}}. Trinciavelli, dove abitavano. {{Pg|171|I. 171|c1}}. Trinità, ponte a santa, quando fatto la prima volta. {{Pg|75|II. 75|c2}}. — quando rovinò. {{Pg|197|''Ivi'', 197|c2}}. — quando si cominciò a rifondare con nuove pile, e quando fu finito. {{Pg|117|VII. 117|c7}}. Tripoli, preso da’ saracini. {{Pg|330|II. 330|c2}}. Troia, perchè distrutta la prima volta. {{Pg|15|I. 15|c1}}. — fu rifondata di maggior sito e grandezza. {{Pg|16|''Ivi'', 16|c1}}. — distrutta da’ Greci. {{Pg|17|''Ivi'', 17|c1}}. Tullio Ostilio. {{Pg|39|I. 39|c1}}. — mori di folgore. ''Ivi''. Tunisi, il re di, come cacciato di signoria<noinclude></noinclude> 3b1k4dlyhdakems73usunwih2iyy20p Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/264 108 978930 3535093 2025-06-13T15:14:31Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535093 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|122|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}la racquista. {{Pg|141|IV. 141|c4}}. — è di nuovo cacciato dal re suo nemico. ''Ivi'', 146. Tunisi, discordie fra i reali di quel regno, che s’uccidono insieme. {{Pg|324|VII. 324|c7}}. Turchi, sconfitti dai frieri dello spedale. {{Pg|116|IV. 116|c4}}. — loro barbarie contro i Greci, che rimangono sconfitti. {{Pg|194|V. 194|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} — guastano di nuovo la Grecia, e danneggiano Costantinopoli. {{Pg|253|''Ivi'', 253|c5}}. — sono sconfitti in mare da galee della Chiesa e del re di Francia. {{Pg|53|VI. 53|c6}}. Turno, d’Ardea. {{Pg|31|I. 31|c1}}. — uccide Pallas. ''Ivi''. — muore per mano d’Enea. ''Ivi''. {{fineColonna|em=-1}} {{FI |file = GullBraceDown.svg | tsize = 70px | float = center | caption = }}<noinclude></noinclude> 9fk874in9jd19vn6t5qibyq5hwccqh1 Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/62 108 978931 3535096 2025-06-13T15:19:47Z Giaccai 13220 /* Pagine SAL 75% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: {{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XI.'''}} Una pace reciproca regna fra questa e la compagnia del Bigallo mentre solennizzandosi la festa dei respettivi santi loro protettori, scambievolmente si riconoscono per la purificazione con sei candele benedette, che manda alla compagnia il commissariato del Bigallo, in vece del magistrato per distribuirsi al provveditore, al cancelliere, al computista, scrivano e servi, come pure la Mise... 3535096 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 57 –|}}</noinclude>{{ct|t=2|v=3|'''CAPITOLO XI.'''}} Una pace reciproca regna fra questa e la compagnia del Bigallo mentre solennizzandosi la festa dei respettivi santi loro protettori, scambievolmente si riconoscono per la purificazione con sei candele benedette, che manda alla compagnia il commissariato del Bigallo, in vece del magistrato per distribuirsi al provveditore, al cancelliere, al computista, scrivano e servi, come pure la Misericordia rimette per tal solennità altre sei candele al commissario, per distribuirsi medesimamente ai suoi ministri <ref>Fino a tanto che la compagnia della Misericordia e quella del Bigallo o:cuparono lo stesso locale non dovéè esser molta la pace che regno fra i componenti le due società. Ma poichè queste due compagnie si separarono affatto e la Misericordia passò in S. Cristofano allora cominciarono ad usarsi scambievoli atti di riguardo, ed a dimostrarsi un reciproco affetto, onde nelle loro feste solenni si riconoscevano scambievolmente di candele, pannellini ec. in memoria della loro antica unione, ovvero per non avere più che fare l’una coll’altra. Ma anche questo ebbe il suo fine, poichè soppressi da {{Wl|Q48547|Cosimo I}}. i capitani del Bigallo, fu creato un magistrato composto di dodici cittadini e d’un dignitario ecclesiastico. Nel 1776 soppresso questo gli fu sostituito un commissario dipendente da una congregazione di tre secolari e d’un dignitario eccelesiastico, ed infine nel 1790 abolita anche questa deputazione e tutti i privilegi che aveva il Bigallo rimase sotto la vigilanza di un solo commissario. Cosi a poco a poco fini la società del Bigallo e le respettive dimostrazioni d’affetto fra questa e la compagnia della Misericordia.</ref>Nel venti del mese di gen- {{PieDiPagina|||}}<noinclude><references/>{{PieDiPagina|||{{smaller|10}}}}</noinclude> l1eobipttet2v6581afzps0yrp14rn1 3535115 3535096 2025-06-13T15:35:07Z Giaccai 13220 3535115 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 58 –|}}</noinclude>najo dalla nominata compagnia ogni anno con gran pompa, vien solennizzata la festa di S. Bastiano a spese di quel capo di guardia gentiluomo a cui spetta per ordine d’anzianità unito ad un ecclesiastico, e ad altro capo di guardia del numero dei grembiuli, ed in mancanza dello statuale ossia nobile viene sostituito un altro capo di guardia levato dal numero dei grembiuli, a cui la compagnia passa il consumo di trenta candele con più la somma di lire otto, quando loro faccia bisogno; secondo l’antico costume, ed una quantità di panellini per la somma di venticinque scudi. Ebbero l’onore i fratelli e tutta la città di vedere l’anno 1776 la festa fatta dal serenissimo {{Wl|Q151321|granduca Pietro Leopoldo}} uno de’ capi di guardia e special protettore della compagnia, ed in questa occasione furono riconosciuti tutti i fratelli colla doppia benedizione dei panellini, avendo Egli fatto rimettere al provveditore per fare tal festa la somma di cinquecento scudi<ref>Tutti i sovrani regnanti di Toscana si sono deguati di farsi ascrivere nel numero dei capi di guardia, ed hanno seguito il pio costume dei lore antecessori di fare a proprie spese per una volta come gli altri capi di goardia la festa del santo titolare.</ref>. I capitani del Bigallo in contemplazione della festa di S. Sebastiano donarono ai fratelli della Misericordia la statua surriferita, ed essi riconoscono ancora in tal festa il commissario del Bigallo con la benedizione di undici picce di panellini. Ma tornando all’altare, nel mezzo alle quattro colonne di esso fatte d’ordine toscano si vedono due pitture dell’altezza di <ref follow=p61>Il costume di riconoscersi scambievolmente, e le feste solenni solite farsi Dell’oratorio del Bigallo ebbero il loro fine nel 1786 quando l’oratorio fu profanato e ridotto ad uso di archivio.</ref> (1) Digitized by Google<noinclude></noinclude> 5tqg3wdzbky0sg0qhgw3yh1ju0z8asb 3535116 3535115 2025-06-13T15:35:30Z Giaccai 13220 3535116 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 58 –|}}</noinclude>najo dalla nominata compagnia ogni anno con gran pompa, vien solennizzata la festa di S. Bastiano a spese di quel capo di guardia gentiluomo a cui spetta per ordine d’anzianità unito ad un ecclesiastico, e ad altro capo di guardia del numero dei grembiuli, ed in mancanza dello statuale ossia nobile viene sostituito un altro capo di guardia levato dal numero dei grembiuli, a cui la compagnia passa il consumo di trenta candele con più la somma di lire otto, quando loro faccia bisogno; secondo l’antico costume, ed una quantità di panellini per la somma di venticinque scudi. Ebbero l’onore i fratelli e tutta la città di vedere l’anno 1776 la festa fatta dal serenissimo {{Wl|Q151321|granduca Pietro Leopoldo}} uno de’ capi di guardia e special protettore della compagnia, ed in questa occasione furono riconosciuti tutti i fratelli colla doppia benedizione dei panellini, avendo Egli fatto rimettere al provveditore per fare tal festa la somma di cinquecento scudi<ref>Tutti i sovrani regnanti di Toscana si sono deguati di farsi ascrivere nel numero dei capi di guardia, ed hanno seguito il pio costume dei lore antecessori di fare a proprie spese per una volta come gli altri capi di goardia la festa del santo titolare.</ref>. I capitani del Bigallo in contemplazione della festa di S. Sebastiano donarono ai fratelli della Misericordia la statua surriferita, ed essi riconoscono ancora in tal festa il commissario del Bigallo con la benedizione di undici picce di panellini. Ma tornando all’altare, nel mezzo alle quattro colonne di esso fatte d’ordine toscano si vedono due pitture dell’altezza di <ref follow=p61>Il costume di riconoscersi scambievolmente, e le feste solenni solite farsi Dell’oratorio del Bigallo ebbero il loro fine nel 1786 quando l’oratorio fu profanato e ridotto ad uso di archivio.</ref><noinclude></noinclude> mvqnq0b7i32bldhti2qroey1a7wfchz Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/265 108 978932 3535097 2025-06-13T15:22:46Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535097 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|123}}</noinclude> {{Ct|f=100%|v=1|U}} {{colonna|em=-1}}<includeonly>{{indentatura}}</includeonly> {{xx-larger|U}}baldini, sconfitti da’ Fiorentini. {{Pg|72|II. 72|c2}}. — quando tornarono air ubbidienza de’ Fiorentini. {{Pg|184|III. 184|c3}}. — si danno alla signoria del comune di Firenze. {{Pg|161|IV. 161|c4}}. Ubaldini, Ugolino, ordina tradimento in Firenze, ma invano. {{Pg|153|V. 153|c5}}. Ubaldini, son condannati nell’avere e nelle persone dal comune di Firenze. {{Pg|96|VII. 96|c7}}. Uberti, d’onde la loro origine. {{Pg|151|I. 151|c1}}. — d’onde venuti, e dove abitavano. {{Pg|171|I. 171|c1}}. {{Pg|172|172|c1}}. — cominciarono guerra co’ consoli. {{Pg|228|I. 228|c1}}. Uberti, Azzolino e Neracozzo, sono loro tagliate le teste. {{Pg|198|II. 198|c2}}. {{altraColonna|em=-1}} Uberti, Farinata degli, sua sagacità. {{Pg|101|II. 101|c2}}. — uno de due eletti per ingannare i Fiorentini. {{Pg|106|''Ivi'', 106|c2}}. — difende Firenze che non sia disfatta. ''Ivi'', 117. Ubertini, Francesco di Guido Molle degli, rubella Castiglione a’ Fiorentini, e preso, gli è tagliata la testa dal duca d’Atene. {{Pg|17|VII. 17|c7}}. Uficio de’ dodici buoni uomini popolani, quando e perchè fatto in Firenze. {{Pg|123|IV. 123|c4}}. Ughi, dove abitavanno. {{Pg|171|I. 171|c1}}. Ugo, marchese, si stabilisce in Firenze. {{Pg|153|I. 153|c1}}. — sua curiosa visione. {{Pg|154|''Ivi'', 154|c1}}.<noinclude></noinclude> g4sx9mur4osf3nerl62yo3jeo7y9mpj Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/266 108 978933 3535109 2025-06-13T15:28:29Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535109 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|124|indice|}}</noinclude> — fa fare sette badie. ''Ivi''. — muore in Firenze. ''Ivi''. Ugolino, conte, cacciato di Pisa. {{Pg|218|II. 218|c2}}. — tradisceil Giudice Nino, ed è fatto signore di Pisa. {{Pg|322|II. 322|c2}}. — fece avvelenare il conte Anselmo da Capraia, {{Pg|322|''Ivi''|c2}}. — messo in carcere con i figliuoli e nipoti. {{Pg|323|''Ivi'', 323|c2}}. — è fatto morir di fame. {{Pg|329|II. 329|c2}}. Ungari, chiamati da Alberigo guastano Toscana e Roma. {{Pg|144|I. 144|c1}}. Ungheria, il re d’, fa guerra a quello di Boemia. {{Pg|97|II. 97|c2}}. {{altraColonna|em=-1}} Umberto, Carlo re, quando muore, e come succede al regno d’Ungheria il suo figliuolo Lodovico. {{Pg|18|VII. 18|c7}}. Urbano quarto, come eletto. {{Pg|126|II. 126|c2}}. — elegge Carlo d’Angiò re di Cicilia e di Puglia vivente Manfredi, {{Pg|128|''Ivi'', 128|c2}}. — muore. {{Pg|134|''Ivi'', 134|c2}}. Urlinbacca, tedesco, è preso da Castruccio. {{Pg|265|IV. 265|c4}}. Uzzano, quando s’arrende a’ Fiorentini. {{Pg|50|VI. 50|c6}}. {{fineColonna|em=-1}} {{FI |file = GullBraceDown.svg | tsize = 70px | float = center | caption = }}<noinclude></noinclude> 7rvb07rca6ii1lhesuij05t53pxin48 3535111 3535109 2025-06-13T15:29:44Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535111 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|124|indice|}}</noinclude> — fa fare sette badie. {{Pg|154|''Ivi''|c1}}. — muore in Firenze. {{Pg|154|''Ivi''|c1}}. Ugolino, conte, cacciato di Pisa. {{Pg|218|II. 218|c2}}. — tradisceil Giudice Nino, ed è fatto signore di Pisa. {{Pg|322|II. 322|c2}}. — fece avvelenare il conte Anselmo da Capraia, {{Pg|322|''Ivi''|c2}}. — messo in carcere con i figliuoli e nipoti. {{Pg|323|''Ivi'', 323|c2}}. — è fatto morir di fame. {{Pg|329|II. 329|c2}}. Ungari, chiamati da Alberigo guastano Toscana e Roma. {{Pg|144|I. 144|c1}}. Ungheria, il re d’, fa guerra a quello di Boemia. {{Pg|97|II. 97|c2}}. {{altraColonna|em=-1}} Umberto, Carlo re, quando muore, e come succede al regno d’Ungheria il suo figliuolo Lodovico. {{Pg|18|VII. 18|c7}}. Urbano quarto, come eletto. {{Pg|126|II. 126|c2}}. — elegge Carlo d’Angiò re di Cicilia e di Puglia vivente Manfredi, {{Pg|128|''Ivi'', 128|c2}}. — muore. {{Pg|134|''Ivi'', 134|c2}}. Urlinbacca, tedesco, è preso da Castruccio. {{Pg|265|IV. 265|c4}}. Uzzano, quando s’arrende a’ Fiorentini. {{Pg|50|VI. 50|c6}}. {{fineColonna|em=-1}} {{FI |file = GullBraceDown.svg | tsize = 70px | float = center | caption = }}<noinclude></noinclude> lyu3lii2olionje4w9ewa5ud78sngu4 Pagina:Ville e castelli d'Italia.pdf/129 108 978934 3535114 2025-06-13T15:31:56Z TrameOscure 74099 /* Problematica */ testo 3535114 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="2" user="TrameOscure" /></noinclude>{{Ct|f=160%|t=2|v=1.5|Castello Crespi sull'Adda}} {{Rule|t=2|v=2|6em}} SE vi è paese dove memorie di lotte medioevali fierissime s’incontrino con manifestazioni le più vivaci di una vita affatto moderna, questo è il territorio dell’Alta Lombardia; nè in esso forse altra plaga offre un contrasto tanto flagrante tra ruderi storici pressochè disfatti ed opificii frequenti e fiorenti, quanto la valle dell’Adda. Chi ha vibranti ancora nella rètina i resti del castello di Trezzo, che fu un tempo, a udirne il cronista Morena, il più bello e gagliardo di tutta la regione lombarda, e, negli avanzi di pile che emergono ancora dalle acque del fiume, crede riconoscere le traccie dell'ardito ponte di un solo arco gittatovi dalla signoria viscontea, sull'area di quello più antico che forse era girevole, ''quod fere circumquaque deambulabat'', secondo darebbero a supporre le oscure parole della cronaca testè ricordata; chi si è lasciato dire dal custode della vecchia torre, che, anni sono, si poteva scorgere ancora sull'intonaco di una parete qualche traccia del ''mi a ti e ti a mi'', graffiatovi da Barnabò alla vigilia di espiarvi, d'un tratto solo ed ultimo, i suoi molti peccati: quegli si crede tra-<noinclude>— 107 —</noinclude> omvkj6w77306d3j0tu4cn7bvo0z9gq1 3535122 3535114 2025-06-13T15:49:57Z TrameOscure 74099 /* Problematica */ Aggiunto template FI tramite il gadget CropTool - img da mettere a punto... 3535122 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="2" user="TrameOscure" /></noinclude>{{Ct|f=160%|t=2|v=1.5|Castello Crespi sull'Adda}} {{Rule|t=2|v=2|6em}} {{Indent|-1|{{capolettera|[[File:Ville e castelli d'Italia (page 129 crop2).jpg|100x120px]]||-40px||||S}}}}E vi è paese dove memorie di lotte medioevali fierissime s’incontrino con manifestazioni le più vivaci di una vita affatto moderna, questo è il territorio dell’Alta Lombardia; nè in esso forse altra plaga offre un contrasto tanto flagrante tra ruderi storici pressochè disfatti ed opificii frequenti e fiorenti, quanto la valle dell’Adda. {{FI |file = Ville e castelli d'Italia (page 129 crop).jpg |float=right |width = 80% |caption = PROSPETTIVA LATERALE }} Chi ha vibranti ancora nella rètina i resti del castello di Trezzo, che fu un tempo, a udirne il cronista Morena, il più bello e gagliardo di tutta la regione lombarda, e, negli avanzi di pile che emergono ancora dalle acque del fiume, crede riconoscere le traccie dell'ardito ponte di un solo arco gittatovi dalla signoria viscontea, sull'area di quello più antico che forse era girevole, ''quod fere circumquaque deambulabat'', secondo darebbero a supporre le oscure parole della cronaca testè ricordata; chi si è lasciato dire dal custode della vecchia torre, che, anni sono, si poteva scorgere ancora sull'intonaco di una parete qualche traccia del ''mi a ti e ti a mi'', graffiatovi da Barnabò alla vigilia di espiarvi, d'un tratto solo ed ultimo, i suoi molti peccati: quegli si crede tra-<noinclude> — 107 —</noinclude> 410amu78coboypz6fyyh5pu4gxs2nlb Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia/Capitolo XI 0 978935 3535118 2025-06-13T15:37:11Z Giaccai 13220 Porto il SAL a SAL 25% 3535118 wikitext text/x-wiki {{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Capitolo XI<section end="sottotitolo"/> <section begin="prec"/>../Capitolo X<section end="prec"/> <section begin="succ"/>../Capitolo XII<section end="succ"/> <section begin="nome template"/>IncludiIntestazione<section end="nome template"/> <section begin="data"/>13 giugno 2025<section end="data"/> <section begin="avz"/>25%<section end="avz"/> <section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=25%|data=13 giugno 2025|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Capitolo XI|prec=../Capitolo X|succ=../Capitolo XII}} <pages index="Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu" from="61" to="64" fromsection="" tosection="" /> 5vdjjoky1pcj2fxjkujjthxcftrpfs4 Indice:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf 110 978936 3535119 2025-06-13T15:38:48Z Candalua 1675 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: 3535119 proofread-index text/x-wiki {{:MediaWiki:Proofreadpage_index_template |Autore=Autori vari |NomePagina=La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, 13 novembre 1892 |Titolo= |TitoloOriginale= |Sottotitolo= |LinguaOriginale= |Lingua= |Traduttore= |Illustratore= |Curatore= |Editore= |Città=Napoli |Anno=1892 |Fonte=[http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/giornale/TO00204627/1892/unico/00000373 digitale.bnc.roma.sbn.it] |Immagine=1 |Progetto= |Argomento= |Qualità=25% |Pagine=<pagelist /> |Sommario= |Volumi= |Note= |Css= }} m8c88ru4xg5xvruvukvj9isy00lnqfv Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/267 108 978937 3535120 2025-06-13T15:44:46Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535120 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|125}}</noinclude> {{Ct|f=100%|v=1|V}} {{colonna|em=-1}}<includeonly>{{indentatura}}</includeonly> {{xx-larger|V}}aiolo, sua corruzione quando fu grande in Firenze, che morirono più di duemila fanciulli. {{Pg|74|VI. 74|c6}}. Valdambra, disfatta da’ Fiorentini. {{Pg|13|II. 13|c2}}. Valleri, Alardo di, ordina il piano di battaglia contro Curradino. {{Pg|182|II. 182|c2}}. Valos, Carlo, conte di, privilegiato da Martino quarto del reame d’Aragona. {{Pg|279|II. 279|c2}}. Valos, Carlo di, fratello del re di Francia, conquista Fiandra. {{Pg|44|III. 44|c3}}. — viene in Firenze chiamato da Papa Bonifazio VIII. {{Pg|68|III. 68|c3}}. — caccia con inganno la parte bianca. {{Pg|73|''Ivi'', 73|c3}}. — va in Cicilia. {{Pg|74|''Ivi'', 74|c3}}. {{altraColonna|em=-1}} — fa vergognosa pace con don Federigo. {{Pg|75|III. 75|c3}}. — ritorna in Francia. {{Pg|75|''Ivi''|c3}}. Valos, Filippo di, viene in Italia per ordine della Chiesa. {{Pg|104|IV. 104|c4}}. — ritorna vituperosamente in Francia. {{Pg|107|''Ivi'', 107|c4}}. — è coronato re di Francia. {{Pg|116|V. 116|c5}}. — ''V''. Filippo di Valos re di Francia. Vecchietti, dove abitavano. {{Pg|171|I. 171|c1}}. Veneziani, e Genovesi, dove e perchè cominciò la loro prima guerra. {{Pg|85|II. 85|c2}}. — sconfitti da’ Genovesi. {{Pg|38|III. 38|c3}}. — fanno pace. {{Pg|40|''Ivi'', 40|c3}}. — sono sconfitti a Ferrara, {{Pg|195|III. 195|c3}}. — danno all’imp. {{Pt|Ar-|}}<noinclude></noinclude> ncedcsgcbg76iktt9j1elwbmungg7ne Pagina:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf/3 108 978938 3535121 2025-06-13T15:48:05Z Candalua 1675 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: {{Colonna}}<section begin="s1" />soltanto può frenare le manifestazioni emozionali, e la donna senza dubbio, meno dell’uomo, le frena raramente; quindi, come ho già detto, in lei apparisce esservi una maggiore sensibilità emozionale, che in realtà è maggiore irritabilità, che si appalesa subito per le espressioni esterne (''Arch. di psich.'', vol. XIII, fasc. I). La donna, dunque, sente meno, come pensa meno, e così anc... 3535121 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Candalua" /></noinclude>{{Colonna}}<section begin="s1" />soltanto può frenare le manifestazioni emozionali, e la donna senza dubbio, meno dell’uomo, le frena raramente; quindi, come ho già detto, in lei apparisce esservi una maggiore sensibilità emozionale, che in realtà è maggiore irritabilità, che si appalesa subito per le espressioni esterne (''Arch. di psich.'', vol. XIII, fasc. I). La donna, dunque, sente meno, come pensa meno, e così anche pel sesso si conferma la gran massima di Aristotele: ''Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu''. E la sua ottusità dolorifica è darwiniana per non dire teleologica; essa ci spiega perchè così facilmente ricada nella gravidanza malgrado i dolori del parto e malgrado prenda così poca parte ai piaceri dell’amore. — L’uomo non farebbe altrettanto. {{A destra|{{Sc|C. Lombroso}}}}<section end="s1" /> <section begin="s2" />{{Ct|f=130%|Luigi XI.}} {{Centrato|''(Lettera aperta al Comm: Ermete Novelli)''}} ::''Caro Ermete,'' Permetti ch’io ti applaudisca ancora una volta dalle colonne di questo giornale, e che pubblicamente ti ripeta le mie sincere congratulazioni per la tua interpetrazione davvero sublime del Luigi XI. Debbo a te, caro Ermete, a te solo, se il vecchio dramma del Delavigne mi è parso ringiovanito, alleggerito di almeno vent’anni. E non ti nascondo che ci vuole dell’audacia per rappresentare e far reggere sulle scene, a questi lumi di luna, un lavoro, che ha sessant’anni sul groppone, e che non ha avuto mai, a senso mio, gli elementi necessari per essere un capolavoro. Casimiro Delavigne lo scrisse nove anni dopo che Accademia dei Quaranta immortali gli aveva aperto le sue porte per l’École des vicittards, cioè nel 1832, appena tornato da un suo viaggio in Italia, dave era venuto a cercar ristoro alla sua sulute indebolita; e se egli, che in quel dramma volle rinnegare, senza riuscirvi interamente, tutto il suo passato classico, emostrarsi convertito ai canoni del romanticismo, sapesse ora dall’altro mondo che il suo Luigi XI si rappre senta ancora, egli pel primo, credo, ne sarebbe stupito, e ti telegraferebbe con risposta pagata per sapere la verità. E se si stupirebbe lui, l’autore, figurati poi se debbono stupirsi critici e spettatori! Ma prima di discutere il dramma, bisogna chiedere al sindaco dell’Havre la fede di nascita dell’autore. egiudicare poi il lavoro di questi alla stregua del tempo in cui fu scritto. Non ti par giusto? Ora, senza gridar la croce addosso al buon Dela vigne cosi, ad occhi chiusi, bisogna considerare che all’epoca di Enant, di Chatterton, di Carlotta Carday, di Ruy Blas, d’Antony e di Maria Tudor quel dram ma era una cosa ben naturale; e così si spiegano, senza sullarsi troppo il cervello, il successo d’allora e le raghe profonde, che ora gli solcano il viso. Allora i Messeuiennes dello stesso autore furoreggiava no, ed il famoso verso: ::''Tremble, je vais patir ton étoile eclipsee'' faceva davvero fremere e tremare, mentre adesso non fa ne caldo nè freddo. Ora noialtri, nati mezzo secolo dopo, quando le frenesie e gli entusiasmi romantici sono sbolliti, ci meravigliamo del clamore di quei successi, de quali si è persa l’abitudine, e scorgiamo la rughe dove una volta era la pelle fresca e rosea. Questione del tempo, caro mia! E la ragione di questo mutamento bisogna ricercarla in noi medesimi: nel nostro cuore inaridito dallo scetticismo, nel nostro sangue, che a vent’anni ci scorre nelle vene assai meno caldo e tumultuoso d’allora! Allora c’era altra febbre, altro entusiasmo La battaglia tra i classici ed i romantici era più accanita che mai, e tutti i gio. vani combattevano gloriosamente per l’arte nuova. Altro che gl’idealisti, naturalisti e i simbolisti d’oggidì! Se ora Teofilo Gauthier si permettesse di venire a teatro col suo panciotto scarlatto ed i calzoni {{AltraColonna}}verdi non ti pare che farebbe ridere? Eppure così vestito andò alla prima dell’Ernani, che segni que trionfo per Victor Hugo e pel romanticismo, e che fece scrivere allo Châteaubriand Je m en vars, mon Sieur, of vous venes. Je me reccomande on soaven de votre Mase. Une pieuse glaire dail prier pour les morts. Ciò però non impedi ai parureoni di continuare a seagliar fulmini sul expo di Vitor Hugo. Il professor Turanne ebbe l’audacia di gillare ai suoi discepoli Ne prononsez pas le nom de votre M. Hugo, c’est un malfaiteur, E Ippolito Rolle, alloca eritico drammatico al Nasional (Oh! critici!, sempre gli stessi!) scrisse, che dio glielo perdoni: "Xon, monsieur Hugo, vous n’êtes qu’ un poete de la dé caden.e, comme Silius Italicus! Ma ora Eruani & sepolta, la gloria di Victor Hugo ha bon sit syste gno per sfidare i secoli: e tutte queste chiacchiere non sono servite ad alimi che a dane cosi, alla lontana. una idea dei tempi, in cui il Delavigne visse a sense. Luigi XI è un dramma vez.hio, us drama polition che ha fatto il tempo suo, e va giudicato con le debite riserve e considerato sotto certi punti di vista. Questo tu lo sai molto meglio di me: ma poiche hai un huon naso ti sei arvuto che gli anni, par logorando ia molte parti il vecchio scheletro, avevano qua e là rispettato qualche brandello di carne; ed allora in quella carne nai fatto rifluire il sangue, il sangue itung e subito lo scheletro si è mosso, ed ha acquistato apparenza e vigore di persona viva. Si, caro Ermete, tu hai risuscitato il vecchio re di Francia, tu hai con pluto questo miracolo, e puoi esserne orgaglioso, come ne sono orgoglioso in, cui l’amicizin tun e l’ammirazione che ho per te, non mi fanno, credimi, in questi momento velo agli occhi nel giudicare. Tu rileggend quel vecchio lavoro, ch’è stato il cavallo di battaglia dei nostri più grandi attori, hai expito subito che, tra ic chincaglie arrugginite e i ferri vecchi dell anties dramma, ramanevano due o tre seene veramente grandi, veramente umane. Ecco perché ti sei appassionato al Luigi XI, ed hai voluto darne una interpretazione falta fua, affatto modena. L’artista dev’esser libero nella scelta; ed io non ti faccio un torto di aver ridonator alla scena quel vecchio dramma del Delavigne, nel quale tu hai saputo imprimere un orma nuova e mirabile. Dicendoti che nella confessione nella morte sei riuscito a mozzarmi il respiro, a farmi temere di restart paralizzato sulla seggiola, dov’ero, non ti adulo. No. Ti dico la verità nuda e cruda così come me la detta il cuore, ancora commosso. E mentre senvo ti rivede ancora nella terribile scena, nella quale im plorante perdono, confessi al vecchio frate le tue infamie con vote fioca e strozzutu; ti rivedo livido, ghiacciato dal terrore sotto il pugnale di Nemours, che non ti ferisce nel cue, ma nell’anima; ti vedo dibattere in quella poltrona dova I ombra dei tuoi fantasmi ti ha inchiodato, e cadere, stramazzare infine per terra annientato, vinto, schiacciato sotto il peso di tutti rimorsi, di tutte le nefandezze. No! Non era un fanteccio quello che davanti a me si muoveva c fremeva, ma un uomo, un uomo vero e colpevole, col cuore lacerato dal rimorso, oppressu dalle maledizioni, soffocato dal sangue delle sue vittime. In quella scena tu sei stato grande senza essere accademico, sei stato profondamente umano senza cadere nel manierato et nell’esagerato. E non meno sommo artista ti sei velato nella morte!... Quando il tuo corpo, che pareva davvero logorato da abominevoli mali, da una vecchiezza peccaminoso, si è contratto nell’agonia, un fremito di orrore e di sollievo corso per le membra degli spettatori, ed io ne ho sentito il guizzo diaccio per le assa. Che cosa è dunque questa se non arte vera e grande? I gs. condo, ameno Novelli delle pockades com era lontano, Dio mio! Ta eri un altro uomo, un altro attore. Tu soffrivi, spasimavi, fremevi: eri livido sotto il belletto, convulso sotto le rieche spoglie regali. L’anima tua s’era tutta transfusa in quella del vecchio re timido e malvagio, che ora viveva del tuo sangue, dei tuoi nervi, dei tuoi muscoli. Lascia pare che nel generale entusiasmo che ti circonda, qualcuno della vecchia critica ti accusi di essere state troppo vero, quasi che oggidi fosse questo un difetto e non un pregio; lascia pure che questo {{Pt|qual-}}{{AltraColonna}}{{Pt|cuno|qualcuno}} ricordi la interpretazione di Gustavo Modena, dimenticando però e che lo stesso sommo artista ha lasciato scritto, esprimendosi più o meno in questi termini: "Molto io debbo concedere al gusto dei pubblico dei tempi miei, e diversamente reciterei se l’e poca in cui vivo mi consentisse di farlo. Questa vecchia crition deve persuadersi una buona volta che i beati tempi del Domeniconi e del Beauvallet sono liniti da un pezze! Adesso si deve recitare e non declamare. E se Gustavo Modena tomasse ora dall’altro mondo, da quel sommo artista che fu, in modo assai diverso interpetrerebbe molti drammi, che furono delizia dei nostri nomi. Le parole ch’egli ha scritto in fasciano almeno supporre Tu, caro Ermete, hai voluto darci un Luigi XI diverso da tutti gli altri; e questo è stato il tuo sorto. Dovevi invece darci una centesima edizione stereotipa: spalancare la bocca a quella tale secan, grattarti il naso alla tal’altra, e sopra tutta gestiecinre enme: lo specchio ti aveva insegnato, e ruggire senza ceonomia di polmoni. Tu non hai fatto nulla di tutto que sto. Hai voluto mostrarei in Luigi XI non un fantoccio, ma un uomo vero, di carne e d’ossa: hai v. luto risuszitare un cadavere e ci sei mirabilmente rius seito, perché tu reciti col cuore e non colle mani e coi piedi, e questa specie di necitazione è di queileputrappa! che non s’insegnano! Per essa non ci sono maestri! Così rispose anche Lemaire, il grande artista francese, al Lafontaine, che andò a chiedergli dei conigli. la Malibran, che oltre all’essere quella somma cantante, fu anche attrice impareggiabile, avvertive il tenore, quando rappresentava Desdemona nell’Otello Afferratemi dove potete all’ultima scena, perchè in quel momento non pussa rispondere dei miei movimenti. Procedi dunque baldo e securo per la tua via, e sopratutto non leggere giornali. Perdonami questa cicalata, e arrivederci nel Mercante di Veresa e nel Dramma mat {{A destra|''Tuo''}} {{A destra|{{Sc|G. Miranda}}}}<section end="s2" /> <section begin="s3" />{{Ct|f=140%|La ricca}} Solevan le tre sorelle di Giulia Montana maritate così senza aspettar tempo e amore, secondo la lor condizione sociale e i beni di fortuna, sparlare a preferenza della sorella rimasta nubile ostinatamente, e sfoggiando sotto voce massime prudenziali comentavan con amarezza le più serie proposte di matrimonio da lei respinte; e da buone figliuole, commiseravano il vecchio padre inasprito sempre e rigido, come di marmo, verso quell’ultima figlia, e anche lei, la povera Giulia, per ''quella sua disgrazia'', come esse dicevano. La disgrazia della povera Giulia era un amore indirizzato male, senza prudenza; un amore insomma che guardava in giù, dalla ricca vettura padronale, tra le persone che vanno a piedi a passeggio. Maria, la più piccola delle tre, sospirava: — Rifiutar Nicola Pàncamo! Peccato! Era Nicola Pàncamo cognato della seconda sorella, della placida Anna; alto appena cinque palmi, già quasi calvo a trent’anni, e con certe gambette piccole come due dita, sempre aperte per regger meglio il peso della pancetta precoce — tal quale, del resto, il fratello Giorgio, il marito di Anna. — Follie! Dio voglia, non se ne debba mai pentire! — aggiungeva Elena, la maggiore. — Non è più una ragazza, ormai: ventisei anni e ancora così! Sarebbe stata una fortuna per lei e pel babbo. Anna era sempre per pigliar parte alla conversazione; ma i suoi occhi azzurri ombreggiati da lunghe ciglia bionde si volgevano involontariamente a quella delle due sorelle, che aveva taciuto, e pareva con quel placido sguardo le permettesse di dir ciò che doveva dir lei, assentendo col capo e con un sorrisetto costante a ogni frase, come se fosse sua, e ripetendone di tratto in tratto, quasi macchinalmente, le ultime parole: Ventisei anni... Una fortuna per lei e pel babbo.<section end="s3" />{{FineColonne}}<noinclude><references/></noinclude> 92246nc0goj2t9atjwozzz58w18zblq Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/268 108 978939 3535123 2025-06-13T15:50:28Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535123 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|126|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}{{Pt|rigo|Arrigo}} mille libbre di veneziani grossi. {{Pg|16|IV. 16|c4}}. — fanno guerra con gli usciti di Genova, ma Castruccio riduce loro a patti. {{Pg|82|V. 82|c5}}. — per loro viltà e tema de’ Genovesi fanno pace con essi. {{Pg|227|V. 227|c5}}. — fanno lega col comune di Firenze per far guerra al Mastino. {{Pg|98|VI. 98|c6}}. — prendono le saline al Mastino. {{Pg|117|''Ivi'', 117|c6}}. — ingannano e tradiscono i Fiorentini, facendo segreta pace col Mastino. {{Pg|173|''Ivi'', 173|c6}}. — prendono Giara dopo lungo assedio per carestia. {{Pg|193|VII. 193|c7}}. Venti cittadini, loro uficio, creato da’ Fiorentini per trattare la compra di Lucca. {{Pg|233|VI. 233|c6}}. — come fanno disordinate spese e gravezze sopra i cittadini. {{Pg|235|''Ivi'', 235|c6}}. {{altraColonna|em=-1}} — loro uficio, quanti falli commessero per la compra di Lucca. {{Pg|243|''Ivi'', 243|c6}}. — quando cessa, e che ne succede. {{Pg|9|VII. 9|c7}}. Vento pestilenziale quando fosse in Europa. {{Pg|199|IV. 199|c4}}. Venturino, frate da Bergamo, commuove molti Lombardi e Toscani a penitenza. {{Pg|60|VI. 60|c6}}. — viene in Firenze, quindi va a Roma, e di là ad Avignone, e viene in disgrazia del papa. {{Pg|61|''Ivi'', 61|c6}}. Vernia, preso e disfatto da’ Fiorentini. {{Pg|94|II. 94|c2}}. — e Mangone, per qual cagione doverono mandare in Firenze un palio di drappo ad oro per la festa di san Giovanni. {{Pg|104|V. 104|c5}}. — quando son comprati da’ Bardi da Benuccio Salimbeni. {{Pg|152|VI. 152|c6}}. — s’arrende al {{Pt|comu-|}}<noinclude></noinclude> 6gp2h52wi5bs7ev3mzdyzsph2eetx3f Pagina:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf/4 108 978940 3535126 2025-06-13T16:00:08Z Candalua 1675 Gadget Pt 3535126 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Candalua" /></noinclude> — Per chi, poi? Per Enrico Santagnese! — inveiva Maria, la più accanita, aprendo il fuoco contro quel povero Enrico amato dalla sorella. Ma, alla fin fine, come se tutte e tre avessero pietà della magrissima persona del giovine, non lo mordevano a sangue abbastanza! Ahimè, di sangue, ne mostrava tanto poco quel poveretto, sempre pallido, sempre malaticcio. Poi, con lui, con le sorelle di lui, prima che il padre, Carlo Santagnese, uno dei più ricchi armatori siciliani, perdesse tutta la fortuna, erano state tanto tempo vicine di casa, amiche d’infanzia, compagne di cari giuochi. — S’è ridotto a far l’agente di navigazione, ora! — L’agente di navigazione... — ripeteva Anna, rigirandosi continuamente gli anelli intorno alle dita. — Vive alla giornata, poveretto, e gli tocca per giunta mantener la madre e le sorelle, si sa! Non s’affacciavano però all’idea che Enrico Santagnese si facesse amar da Giulia per la dote: no! dicevano solamente, che per quanto egli non ci pensasse, pure quella ''piccola'' appendice all’amore, via, non gli avrebbe mica fatto dispiacere. Naturale! Ma anche con la dote, come avrebbero potuto vivere in città, frequentar la società? Senza dubbio, coi gusti di Giulia, si sarebbero creati presto degl’imbarazzi. Era dunque ammissibile? — Non era ammissibile. — Alla fin fine, poi — ripigliava Elena — sarei curiosa di sapere, che trova Giulia di straordinario in Enrico. Brutto non è, è vero; ma Dio mio! pare un cristo spirante... — Antipatico — si contentava di aggiungere Anna. E Maria: — Un cuoricino così! Senza spirito, senza fiato... Buono, poveretto; ma un fil di paglia — insipido. Datemi pure addosso, io, sentite, per me quei capelli d’oro matto non li ho potuti mai soffrire... Ma già, ha pure gli occhi neri, dunque: tipo di bellezza! Dal canto suo Felice Montana, il padre, duro e inflessibile, rompeva il cupo silenzio abituale per dire: — Finché io vivo, non lo sposerà! E pareva che queste parole gli restassero incise tra le ciglia sempre aggrottate. Della velata commiserazione delle sorelle, dell’assoluta opposizione del padre si nutriva, per dir così, l’amore di Giulia Montana per Enrico Santagnese: era forza di quell’amore l’irritazione prodotta dall’invincibile ostacolo. Alla rigida e chiusa inflessibilità del padre, Giulia opponeva la sua non men rigida e chiusa. Tra loro due rimasti soli in casa da sei anni, non si scambiava mai una parola più del necessario. Egli attendeva come sempre alla direzione degli affari di banca e dei negozi di zolfo; ella a le abituali occupazioni: la pittura, la musica, la lettura, il ricamo. Dopo il rifiuto opposto alla domanda del Pàncamo, il padre non le aveva più comunicato nessun’altra domanda. Eran venuti allora a un’aperta spiegazione. — È inutile parlarne. Né il Pàncamo, né altri! Non voglio sposare, non sposerò mai nessuno — aveva dichiarato Giulia. — O Enrico Santagnese... — O Enrico Santagnese, o nessuno. Liberissima di farlo, le aveva risposto il padre; la legge ormai le permetteva di ribellarsi all’autorità paterna: liberissima! egli però non le avrebbe dato un soldo di dote: la legittima, alla sua morte; il consenso, mai! Da quel giorno Giulia s’era chiusa tutta in se stessa, in uno stato d’animo sempre uguale, inalterabile, senz’aspettativa per nessuna evenienza. Non vedeva che rare volte Enrico Santagnese, o a passeggio, dall’alto della sua carrozza, lungo il viale del Giardino Inglese; d’onde Enrico, tra gli alberi, salutava costantemente il vecchio banchiere, senza aver mai risposta al saluto, o in certi pomeriggi, lungo il Corso Scinà, mentr’ella stava alla finestra. Erano incontri, sguardi fuggevoli, miti come una domanda ansiosa e sommessa da parte d’Enrico; fermi, quasi solenni, da parte di Giulia. «''Ancora?''», chiedevan gli occhi d’Enrico. «''Ancora!''», rispondevan quelli di Giulia, pieni di cuore e d’impero. Ella amava così, da undici anni, il suo mite adoratore. Era un amor misto d’orgoglio e di pietà, quasi: orgoglio di sé, pietà di lui. Certamente, neppur l’ombra della sentimentalità, in lei, delle solite scipite storie d’amore. Giulia Montana amava il lusso e la ricchezza, compresa della signoria che l’uno e l’altra danno usati con arte e con gusto; amava la società delle persone del suo ceto, pur giudicandole, la maggior parte, sciocche e banali, e subendo come una legge le affabilità affettate, i vani orgogli mondani. Era, per esempio, un conforto per lei il pensare che Enrico Santagnese tornando ad esser ricco come una volta, avrebbe saputo vivere e spendere da gran signore. Molti, e fra questi i suoi parenti, avevan di lei il concetto che fosse una creatura fredda, impassibile; ma a torto. Certe volte, pareva veramente ch’ella si fosse imposta una parte, e che la rappresentasse sempre, in casa e fuori; finanche a se stessa; pareva che mai nessuna meraviglia esistesse per lei, né per gli occhi, né per l’anima. Signora sempre di sé e dotata d’una percezione straordinaria, penetrava tutto, tutti eran come fanciulli in faccia a lei. Impossibile dire una cosa ch’ella quasi non prevedesse. Entrando in una sala, sapeva e mostrava di sapere che molti pensavano a lei, che tutti l’aspettavano, che procacciava a tutti un piacere con la sua presenza; quantunque nessuno forse trovasse amabile il suo contegno più tosto serio, non sciolto certo, né leggiadro. Ma il fascino traspirava dalla sua anima chiusa, come un liquido odore dai pori d’un’ampolla suggellata. Quel profumo d’eleganza ch’ella spargeva nelle sale della società per riceverne in ricambio un trionfo mondano, i suoi trionfi la rallegravano però soltanto pel fermo pensiero, ch’ella aveva di lui, d’Enrico Santagnese, e perché anche di ciò poteva fargli sacrifizio. {{Asterismo}} Or da qualche tempo Felice Montana si mostrava molto più cupo del solito, e più profonda era divenuta l’impronta, cui l’indole taciturna e meditativa gli aveva inciso tra le ciglia. Se ne stava spesso seduto con gli occhi chiusi a escogitare evidentemente qualche nascosto rimedio; e pareva in quei momenti che le lunghe ciocche lievi dei bianchi capelli gli si sollevassero sul capo per la tensione della fronte fieramente contratta. Non era certo il pensiero della figlia, né l’ostinazione di lei, che lo tenevano così preoccupato. E la figlia se n’era accorta, e lo spiava con gli occhi penetranti, in preda a una vaga inquietudine. Di casa ormai non si usciva più come prima, quasi tutti i giorni. Giulia aspettava fino a tarda notte, leggendo nella sua stanza, di cui lasciava aperto l’uscio a bellaposta, con le tendine tirate sui bracciuoli, che il padre uscisse dal suo studio. Lo vedeva passar curvo, nella ricca veste da camera, con le mani dietro la schiena, e la testa china sul petto; ma non osava andargli incontro e parlargli. Udiva richiuder l’uscio della stanza di faccia, e sospirava e stava incerta a pensare, dimenticando il libro e l’ora tarda. Una notte Felice Montana, invece di recarsi nella sua stanza entrò in quella della figlia. Giulia si alzò stupita. Il padre si arrestò in mezzo alla stanza, levò la testa e le disse: — Siedi — come se quel movimento l’avesse disturbato. Un farfallone vellutato, nero, destato dall’improvviso alzarsi di Giulia, si mise a svolar pazzamente urtando contro il globo opaco della lampa sul tavolo. Anche di ciò s’infastidì evidentemente il vecchio; aspettò che il farfallone si quietasse di nuovo, poi parlò: — Andiamo male — disse, scuotendo il capo. — Possibile? A conti fatti, l’esportazione dello zolfo è stata molto meno di tutti gli altri anni. Ho verificato sui libri di cassa. Appena la terza parte. Lo zolfo ormai si dà come pietra vile; non ha più prezzo. Nell’interno, c’è della gente che muore di fame. Colpa un po’ di tutti, nostra specialmente; l’ho predicato sempre. Nella zolfara grande di San Cataldo ho dovuto far sospendere i lavori d’estrazione. Che ce ne facciamo di tutto questo materiale inutile, che ci pesa sullo stomaco? Non si ricavan più neppure le spese! Ma questo è ancor nulla; non è di ciò che mi preoccupo. C’è di peggio. Parlava come a se stesso, come continuando un pensiero nato nel suo studio, e l’esponeva così senza schiarimenti, per nulla dubitando che la figlia non l’intendesse. — Circolano gravi notizie intorno alla compagnia di navigazione ''La Trinacria''. Le credo ancora infondate. Mene, io dico, della nuova compagnia che vorrebbe impiantarsi. Però cominciano a inquietarmi, lo confesso. Tacque, pensando; si passò forte una mano sulla fronte, poi scrollò le spalle e disse piano, andandosene: — ''Sarebbe la mia rovina''. Giulia restò perplessa, in piedi, presso il tavolo, guardando. Soprappresa così, non aveva capito nulla, aveva colto soltanto le ultime parole mormorate dal padre nell’andarsene: ''la mia rovina''. Quando si riebbe da quell’insolito stordimento, andò fino all’uscio, guardò fuori nell’andito: buio e silenzio; l’uscio della stanza del padre, chiuso. Un’apparizione? pensò. ''La mia rovina!'' aveva detto così. Com’era venuto da lei, perché? che aveva voluto significarle, con quelle parole? — Soffre molto! — esclamò forte, e subito si stupì della sua voce, come fosse uscita d’un’altra persona nella stanza. — Deve soffrir molto — ripetè piano, con gli occhi fermi in un punto. Quelle ultime parole le tornavano insistenti dalla memoria alle labbra, come per esser riflesse col suono sulla coscienza ancora ottusa: ''la mia rovina!... la mia rovina!...'' Sedette, appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa tra le mani; lesse così, macchinalmente, alquanti righi sul libro che le stava aperto sotto gli occhi, quasi costretta e legata dal candor della pagina rischiarata dal lume; poi si scosse e con una mano scostò stizzita il libro. Quell’atto la distrasse momentaneamente, ed ella vagò col pensiero, come in sogno. Era un giorno grigio, autunnale. Andava con la vecchia governante per via del Borgo Nuovo. Presso Santa Lucia, la chiesetta sul mare, si sentì chiamare dall’alto, da una finestra. Una voce esile nel vento. Si volse. Non avrebbe voluto salire, a nessun patto; ma come dir di no? Avrebbero potuto credere che lei, ricca, disprezzasse ora l’amicizia e la casa dei poveri. Del resto, a quell’ora lui non era in casa certamente. «Ah, se il babbo venisse a saperlo!», si diceva turbata salendo la scala dei Santagnese. E sentiva ancora, nella visione, il turbamento e il disagio nel salir quegli scalini dal bigio intonaco, dall’alzata troppo alta, polverosi. E le ritornava anche in mente, come una puntura, il rimprovero, che allora faceva a se stessa: «Se il babbo venisse a saperlo!». Rivedeva oppressa lo squallore di quelle pareti nude, la povera suppellettile smarrita quasi sul pavimento rifatto di fresco con mattoni di terracotta ancora imbrattati di calce qua e là; la malinconia delle pretenziose tendine di juta agli usci e a quei balconi, pei quali pareva entrasse nella stanza tutto il mare dinanzi, e tutto il cielo grigio e palpitante; e l’imbarazzo, l’imbarazzo di quelle povere fanciulle, le sorelle d’Enrico, e della vecchia madre, che sbucavano ad una ad una, sorridenti e impacciate, da una stanza contigua, dove certamente eran corse a mettersi in fretta chi un grembiale pulito, chi uno scialletto di lana trapunto, chi un fazzoletto a fiorami, per accogliere decentemente l’ospite ricca, l’antica compagna. Poi, tutt’a un tratto, sopraggiungeva Enrico. Ed ella rivedeva lo stupore in quel volto pallido, in quegli occhi dolenti, e il sorriso timoroso, impercettibile, quasi una contrazione di meraviglia. Adesso, adesso capiva le parole ch’egli le aveva dette allora, e ch’ella nel turbamento, nell’ansia d’andar via, di {{Pt|scap-|}}<noinclude><references/></noinclude> 3dyk4w6jk36usk6d5m2z86v2hlerqy6 3535127 3535126 2025-06-13T16:00:18Z Candalua 1675 3535127 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Candalua" /></noinclude>{{Nop}} — Per chi, poi? Per Enrico Santagnese! — inveiva Maria, la più accanita, aprendo il fuoco contro quel povero Enrico amato dalla sorella. Ma, alla fin fine, come se tutte e tre avessero pietà della magrissima persona del giovine, non lo mordevano a sangue abbastanza! Ahimè, di sangue, ne mostrava tanto poco quel poveretto, sempre pallido, sempre malaticcio. Poi, con lui, con le sorelle di lui, prima che il padre, Carlo Santagnese, uno dei più ricchi armatori siciliani, perdesse tutta la fortuna, erano state tanto tempo vicine di casa, amiche d’infanzia, compagne di cari giuochi. — S’è ridotto a far l’agente di navigazione, ora! — L’agente di navigazione... — ripeteva Anna, rigirandosi continuamente gli anelli intorno alle dita. — Vive alla giornata, poveretto, e gli tocca per giunta mantener la madre e le sorelle, si sa! Non s’affacciavano però all’idea che Enrico Santagnese si facesse amar da Giulia per la dote: no! dicevano solamente, che per quanto egli non ci pensasse, pure quella ''piccola'' appendice all’amore, via, non gli avrebbe mica fatto dispiacere. Naturale! Ma anche con la dote, come avrebbero potuto vivere in città, frequentar la società? Senza dubbio, coi gusti di Giulia, si sarebbero creati presto degl’imbarazzi. Era dunque ammissibile? — Non era ammissibile. — Alla fin fine, poi — ripigliava Elena — sarei curiosa di sapere, che trova Giulia di straordinario in Enrico. Brutto non è, è vero; ma Dio mio! pare un cristo spirante... — Antipatico — si contentava di aggiungere Anna. E Maria: — Un cuoricino così! Senza spirito, senza fiato... Buono, poveretto; ma un fil di paglia — insipido. Datemi pure addosso, io, sentite, per me quei capelli d’oro matto non li ho potuti mai soffrire... Ma già, ha pure gli occhi neri, dunque: tipo di bellezza! Dal canto suo Felice Montana, il padre, duro e inflessibile, rompeva il cupo silenzio abituale per dire: — Finché io vivo, non lo sposerà! E pareva che queste parole gli restassero incise tra le ciglia sempre aggrottate. Della velata commiserazione delle sorelle, dell’assoluta opposizione del padre si nutriva, per dir così, l’amore di Giulia Montana per Enrico Santagnese: era forza di quell’amore l’irritazione prodotta dall’invincibile ostacolo. Alla rigida e chiusa inflessibilità del padre, Giulia opponeva la sua non men rigida e chiusa. Tra loro due rimasti soli in casa da sei anni, non si scambiava mai una parola più del necessario. Egli attendeva come sempre alla direzione degli affari di banca e dei negozi di zolfo; ella a le abituali occupazioni: la pittura, la musica, la lettura, il ricamo. Dopo il rifiuto opposto alla domanda del Pàncamo, il padre non le aveva più comunicato nessun’altra domanda. Eran venuti allora a un’aperta spiegazione. — È inutile parlarne. Né il Pàncamo, né altri! Non voglio sposare, non sposerò mai nessuno — aveva dichiarato Giulia. — O Enrico Santagnese... — O Enrico Santagnese, o nessuno. Liberissima di farlo, le aveva risposto il padre; la legge ormai le permetteva di ribellarsi all’autorità paterna: liberissima! egli però non le avrebbe dato un soldo di dote: la legittima, alla sua morte; il consenso, mai! Da quel giorno Giulia s’era chiusa tutta in se stessa, in uno stato d’animo sempre uguale, inalterabile, senz’aspettativa per nessuna evenienza. Non vedeva che rare volte Enrico Santagnese, o a passeggio, dall’alto della sua carrozza, lungo il viale del Giardino Inglese; d’onde Enrico, tra gli alberi, salutava costantemente il vecchio banchiere, senza aver mai risposta al saluto, o in certi pomeriggi, lungo il Corso Scinà, mentr’ella stava alla finestra. Erano incontri, sguardi fuggevoli, miti come una domanda ansiosa e sommessa da parte d’Enrico; fermi, quasi solenni, da parte di Giulia. «''Ancora?''», chiedevan gli occhi d’Enrico. «''Ancora!''», rispondevan quelli di Giulia, pieni di cuore e d’impero. Ella amava così, da undici anni, il suo mite adoratore. Era un amor misto d’orgoglio e di pietà, quasi: orgoglio di sé, pietà di lui. Certamente, neppur l’ombra della sentimentalità, in lei, delle solite scipite storie d’amore. Giulia Montana amava il lusso e la ricchezza, compresa della signoria che l’uno e l’altra danno usati con arte e con gusto; amava la società delle persone del suo ceto, pur giudicandole, la maggior parte, sciocche e banali, e subendo come una legge le affabilità affettate, i vani orgogli mondani. Era, per esempio, un conforto per lei il pensare che Enrico Santagnese tornando ad esser ricco come una volta, avrebbe saputo vivere e spendere da gran signore. Molti, e fra questi i suoi parenti, avevan di lei il concetto che fosse una creatura fredda, impassibile; ma a torto. Certe volte, pareva veramente ch’ella si fosse imposta una parte, e che la rappresentasse sempre, in casa e fuori; finanche a se stessa; pareva che mai nessuna meraviglia esistesse per lei, né per gli occhi, né per l’anima. Signora sempre di sé e dotata d’una percezione straordinaria, penetrava tutto, tutti eran come fanciulli in faccia a lei. Impossibile dire una cosa ch’ella quasi non prevedesse. Entrando in una sala, sapeva e mostrava di sapere che molti pensavano a lei, che tutti l’aspettavano, che procacciava a tutti un piacere con la sua presenza; quantunque nessuno forse trovasse amabile il suo contegno più tosto serio, non sciolto certo, né leggiadro. Ma il fascino traspirava dalla sua anima chiusa, come un liquido odore dai pori d’un’ampolla suggellata. Quel profumo d’eleganza ch’ella spargeva nelle sale della società per riceverne in ricambio un trionfo mondano, i suoi trionfi la rallegravano però soltanto pel fermo pensiero, ch’ella aveva di lui, d’Enrico Santagnese, e perché anche di ciò poteva fargli sacrifizio. {{Asterismo}} Or da qualche tempo Felice Montana si mostrava molto più cupo del solito, e più profonda era divenuta l’impronta, cui l’indole taciturna e meditativa gli aveva inciso tra le ciglia. Se ne stava spesso seduto con gli occhi chiusi a escogitare evidentemente qualche nascosto rimedio; e pareva in quei momenti che le lunghe ciocche lievi dei bianchi capelli gli si sollevassero sul capo per la tensione della fronte fieramente contratta. Non era certo il pensiero della figlia, né l’ostinazione di lei, che lo tenevano così preoccupato. E la figlia se n’era accorta, e lo spiava con gli occhi penetranti, in preda a una vaga inquietudine. Di casa ormai non si usciva più come prima, quasi tutti i giorni. Giulia aspettava fino a tarda notte, leggendo nella sua stanza, di cui lasciava aperto l’uscio a bellaposta, con le tendine tirate sui bracciuoli, che il padre uscisse dal suo studio. Lo vedeva passar curvo, nella ricca veste da camera, con le mani dietro la schiena, e la testa china sul petto; ma non osava andargli incontro e parlargli. Udiva richiuder l’uscio della stanza di faccia, e sospirava e stava incerta a pensare, dimenticando il libro e l’ora tarda. Una notte Felice Montana, invece di recarsi nella sua stanza entrò in quella della figlia. Giulia si alzò stupita. Il padre si arrestò in mezzo alla stanza, levò la testa e le disse: — Siedi — come se quel movimento l’avesse disturbato. Un farfallone vellutato, nero, destato dall’improvviso alzarsi di Giulia, si mise a svolar pazzamente urtando contro il globo opaco della lampa sul tavolo. Anche di ciò s’infastidì evidentemente il vecchio; aspettò che il farfallone si quietasse di nuovo, poi parlò: — Andiamo male — disse, scuotendo il capo. — Possibile? A conti fatti, l’esportazione dello zolfo è stata molto meno di tutti gli altri anni. Ho verificato sui libri di cassa. Appena la terza parte. Lo zolfo ormai si dà come pietra vile; non ha più prezzo. Nell’interno, c’è della gente che muore di fame. Colpa un po’ di tutti, nostra specialmente; l’ho predicato sempre. Nella zolfara grande di San Cataldo ho dovuto far sospendere i lavori d’estrazione. Che ce ne facciamo di tutto questo materiale inutile, che ci pesa sullo stomaco? Non si ricavan più neppure le spese! Ma questo è ancor nulla; non è di ciò che mi preoccupo. C’è di peggio. Parlava come a se stesso, come continuando un pensiero nato nel suo studio, e l’esponeva così senza schiarimenti, per nulla dubitando che la figlia non l’intendesse. — Circolano gravi notizie intorno alla compagnia di navigazione ''La Trinacria''. Le credo ancora infondate. Mene, io dico, della nuova compagnia che vorrebbe impiantarsi. Però cominciano a inquietarmi, lo confesso. Tacque, pensando; si passò forte una mano sulla fronte, poi scrollò le spalle e disse piano, andandosene: — ''Sarebbe la mia rovina''. Giulia restò perplessa, in piedi, presso il tavolo, guardando. Soprappresa così, non aveva capito nulla, aveva colto soltanto le ultime parole mormorate dal padre nell’andarsene: ''la mia rovina''. Quando si riebbe da quell’insolito stordimento, andò fino all’uscio, guardò fuori nell’andito: buio e silenzio; l’uscio della stanza del padre, chiuso. Un’apparizione? pensò. ''La mia rovina!'' aveva detto così. Com’era venuto da lei, perché? che aveva voluto significarle, con quelle parole? — Soffre molto! — esclamò forte, e subito si stupì della sua voce, come fosse uscita d’un’altra persona nella stanza. — Deve soffrir molto — ripetè piano, con gli occhi fermi in un punto. Quelle ultime parole le tornavano insistenti dalla memoria alle labbra, come per esser riflesse col suono sulla coscienza ancora ottusa: ''la mia rovina!... la mia rovina!...'' Sedette, appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa tra le mani; lesse così, macchinalmente, alquanti righi sul libro che le stava aperto sotto gli occhi, quasi costretta e legata dal candor della pagina rischiarata dal lume; poi si scosse e con una mano scostò stizzita il libro. Quell’atto la distrasse momentaneamente, ed ella vagò col pensiero, come in sogno. Era un giorno grigio, autunnale. Andava con la vecchia governante per via del Borgo Nuovo. Presso Santa Lucia, la chiesetta sul mare, si sentì chiamare dall’alto, da una finestra. Una voce esile nel vento. Si volse. Non avrebbe voluto salire, a nessun patto; ma come dir di no? Avrebbero potuto credere che lei, ricca, disprezzasse ora l’amicizia e la casa dei poveri. Del resto, a quell’ora lui non era in casa certamente. «Ah, se il babbo venisse a saperlo!», si diceva turbata salendo la scala dei Santagnese. E sentiva ancora, nella visione, il turbamento e il disagio nel salir quegli scalini dal bigio intonaco, dall’alzata troppo alta, polverosi. E le ritornava anche in mente, come una puntura, il rimprovero, che allora faceva a se stessa: «Se il babbo venisse a saperlo!». Rivedeva oppressa lo squallore di quelle pareti nude, la povera suppellettile smarrita quasi sul pavimento rifatto di fresco con mattoni di terracotta ancora imbrattati di calce qua e là; la malinconia delle pretenziose tendine di juta agli usci e a quei balconi, pei quali pareva entrasse nella stanza tutto il mare dinanzi, e tutto il cielo grigio e palpitante; e l’imbarazzo, l’imbarazzo di quelle povere fanciulle, le sorelle d’Enrico, e della vecchia madre, che sbucavano ad una ad una, sorridenti e impacciate, da una stanza contigua, dove certamente eran corse a mettersi in fretta chi un grembiale pulito, chi uno scialletto di lana trapunto, chi un fazzoletto a fiorami, per accogliere decentemente l’ospite ricca, l’antica compagna. Poi, tutt’a un tratto, sopraggiungeva Enrico. Ed ella rivedeva lo stupore in quel volto pallido, in quegli occhi dolenti, e il sorriso timoroso, impercettibile, quasi una contrazione di meraviglia. Adesso, adesso capiva le parole ch’egli le aveva dette allora, e ch’ella nel turbamento, nell’ansia d’andar via, di {{Pt|scap-|}}<noinclude><references/></noinclude> 49ci8orjkttfved24rvdzrt4ep76sea Pagina:La Tavola Rotonda, anno II, n. 46, Napoli, 13 novembre 1892.pdf/5 108 978941 3535128 2025-06-13T16:01:42Z Candalua 1675 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: <section begin="s1" />par da quella casa, aveva appena udite. Sì, Enrico le parlò della compagnia di navigazione ''La Trinacria''; ella rammentava bene. Capiva adesso anche il turbamento del padre, l’apparizione di lui nella sua stanza, tutto, tutto. Per quella notte non potè chiuder occhio. Dopo qualche settimana Felice Montana ricevette una lettera di Enrico Santagnese, in cui questi, chiedendo ripetutamente venia de... 3535128 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Candalua" /></noinclude><section begin="s1" />par da quella casa, aveva appena udite. Sì, Enrico le parlò della compagnia di navigazione ''La Trinacria''; ella rammentava bene. Capiva adesso anche il turbamento del padre, l’apparizione di lui nella sua stanza, tutto, tutto. Per quella notte non potè chiuder occhio. Dopo qualche settimana Felice Montana ricevette una lettera di Enrico Santagnese, in cui questi, chiedendo ripetutamente venia dell’ardire che si prendeva ecc. ecc., lo scongiurava di disfarsi al più presto possibile, anche con perdita del settanta per cento, di tutte le azioni sulla Compagnia ''La Trinacria''. Ma lo stesso giorno in cui gli pervenne questa lettera, il Montana fermo nel convincimento, che una Compagnia di quell’importanza non potesse rovinar così, da un giorno all’altro, senza gravi cause apparenti; incoraggiato e tradito da persone di sua fiducia addette alla Compagnia, aveva dato all’amministrazione quattrocento mila lire, sperando di rialzarne il prestigio. Dopo tre giorni la Compagnia dichiarava il fallimento, e il Montana rovinava con essa. Al povero vecchio restava appena da viver ritirato con la famiglia. Fu quasi per ammattirne; si volle sbarazzar di tutto al più presto, della casa sontuosa, della rimessa: licenziò servi, come se in preda a una febbre smaniosa vedesse negl’improvvisi risparmi la sua salvezza. — Sai? disse alla figlia. Il tuo Santagnese mi aveva messo in guardia con una lettera. Ora puoi sposarlo, se vuoi. Così lo ringrazieremo... E rise orribilmente. {{Asterismo}} Le carrozze se l’eran portate via, una dietro l’altra, chiuse e coperte come carri funebri, sotto il piovoso mattino invernale. Oh quell’ultimo romor cupo di ruote sul lastrico, nel trarle dalle rimesse nel cortile! Giulia assisteva a tutto, guardando dietro i vetri della finestra. Anche gli otto cavalli «i più belli della città» s’eran portati via, mossi per due, lungo il viale ancor bagnato dalla notte. I superbi animali se n’erano andati battendo la coda, quasi ballando sulle lucide anche, erte le orecchie e impettiti nella coperta di biondo albagio. Carrozze e cavalli passavan coi cocchieri e coi mozzi nelle stalle e nelle rimesse di altri signori. Quanti viandanti si fermavano ad ammirar quei cavalli, a guardar poi la casa dei Montana! Alcuni scuotevan la testa; altri poi passavan dritti, per gli affari loro, ignari o non curanti. E Giulia vi si guardava intorno con occhi, che parevan gonfii ancora d’un sogno lacrimoso. — Piano! Piano! — udiva dalla stanza vicina. — Bada allo specchio! Così... Scosta quella poltrona! Ora giù... Piano! Ah, come si sta comodi qui! Qualcuno si sedeva sulla poltrona, sbuffando, ed esercitandone le molle, villanamente. Smantellavan di là la gran sala, portavano via tutto! Giulia vi si recava ogni tanto, come in sogno, per salvar qualche oggetto caro dalla rovina; ma ogni volta rientrava nella sua camera più smarrita, senza l’oggetto. Si affacciava all’uscio della sala, e s’arrestava. Tutta la mobilia smossa, in mezzo alla stanza; gli usci, le finestre, senza tende; le seggiole appajate, una sull’altra, e della paglia stesa sul tappeto, e trucioli di paglia dappertutto, sulle poltrone, sui sofà... Le sue carte da musica? Ah quelle no! quelle no! Il pianoforte non c’era più. E i grandi piatti dipinti da lei? e i due tamburelli? Anche quelli? — Le venivan le vampe al viso; chiamava la vecchia governante: era andata via anche lei? Si chiudeva a chiave in camera sua. Ma neanche qui si sentiva più ''padrona''. Andava in su e in giù, con la testa bassa; s’arrestava a un tratto colpita dalla sua persona, dalla sua veste bianca riflessa crudamente da uno specchio in ombra, che scendeva giù fino a terra; si guardava attorno, e altri due lunghi specchi la riflettevano nello stesso atteggiamento smarrito. Allora andava a sedere sulla poltrona accanto al letto dal gran parato a padiglione; chiudeva gli occhi ed aveva la sensazione del vuoto, come se la casa le crollasse sotto i piedi. S’afferrava ai bracciuoli della poltrona, restringendosi indietro, contro la spalliera, e guardava innanzi a sé, con gli occhi ingranditi, stranamente appuntati. — Nulla! più nulla! — mormorò, e due lacrime calde le sgorgarono dagli occhi sempre fissi in un punto, e le scesero lentamente, lentamente per le guance. Il suono della sua voce l’aveva intenerita. Non la casa soltanto crollava, crollava anche il suo sogno, l’amore. Ella aveva sognato di dare, di regalare il suo corpo magnifico e la sua ricchezza al mite adoratore. Or rovinavano tutti i progetti, cui la sua ricchezza aveva generosamente fabbricati, cui gli ostacoli avevano afforzati. Con la dote andava via anche l’amore. Rivide per un istante la povera casa dei Santagnese, al Borgo Nuovo, come in quel giorno grigio, autunnale. — Entrare in quella casa? No, no, giammai. Entrarvi così, senza portarvi nulla, grata al marito della fede mantenuta, della costanza provata, e viver là, come le sorelle Santagnese, tra quelle pareti nude, col mare grigio in casa e la polvere della strada — ah, impossibile! impossibile! Avrebbero avuto gli occhi d’Enrico Santagnese come nei giorni contrastati, lungo il viale del Giardino Inglese, mentr’ella passava superba nella ricca vettura, accanto al padre, la domanda ansiosa e sommessa: «''Ancora?''». Oh, sì! certo! ma a che scopo, ormai? Giovine, no, ricca, neppure; e allora perché? {{Asterismo}} Due mesi dopo la completa liquidazione della casa Montana, Enrico Santagnese domandò formalmente la mano di Giulia. Il vecchio s’affrettò a comunicare alla figlia la domanda, che credeva attesa con impazienza. Giulia Montana rispose: — no. {{A destra|{{Sc|Luigi Pirandello}}}}<section end="s1" /> <section begin="s2" />{{Ct|f=130%|Cronache musicali}} {{Centrato|PIETRO MASCAGNI}} ''Redit memoria tenue per vestigium'' ha scritto il buon padre Ovidio, ed a me l'aspettazione ansiosa che circonda la nuova opera di Pietro Mascagni risveglia nella memoria alcuni ricordi dolcissimi, e a voi li scrivo a voi che siete lontana, di là del mare, sott' altro cielo e che pure mi avevate dato appuntamento al teatro fiorentino per questa prima aspettata rappresentazione dei Rantsau Cosi vanno le cose della vita: noi che siamo buoni, ottimi amici, che non abbiamo l'abitudine di mentire, ci stringemmo forte la mano, lasciandoci, e ripetemmo l'uno all'altro: -A Firenze ! Voi avete varcato il mare, e sott'altro cielo provate il fascino scave delle dolci cantilene d'Oriente..... ed io son rimasto qui a Napoli a pascermi di ricordi. Dei quali alcuni gratissimi debbo a Pietro Mascagni. Si era, quella sera, nell' ampia sala del Castauzi e Roberto Stagno e Gemma Bellinciuni, con animo liberalmente eletto, avevano consentito a interpretare i tre lavori presentati al concorso dell' editore Edoardo Sonzogno. La prima di quelle opere non aveva scosso l'apatia del publico, il quale era invitato a sentire e a giudicare la seconda, la Cavalleria Rusticana. Scarsa la fiducia, scarsissimo l'interesse, quantunque il povero Cic. cio d' Arcais avesse preconizzato un successo trionfante ed Eugenio Checchi avesse publicato nel Paufalla una pietosa storia che aveva i fantastici caratteri della leggenda. Ma chi crede ai critici, chi ai critici ha mai creduto? Sentite, mia bella amica, che avete negli occhi un sorriso cosi naturalmente, così ingenuamente sardonico: tutto al mondo progredisce ed avanza, e la critica, e i critici come il resto. Or se noi siamo cos asini oggi.. 3 che cosa dovevano essere i nostri illustri e rimpianti predecessori ? .. Ma io sono in vena di divagare, oggi, e la colpa è vostra. Quella prima rappresentazione di Cavalleria ebbe tutto il clamore e l'entusiasmo di una rivelazione alta e gentile. Dopo il racconto di Santuzza, dopo il duetto, dupa l'intermezzo, dopo la catastrofe, fu nell'amia e luminosa sala un tumulto di applausi, di festeggiamenti, di omaggi al maestro, agli interpreti, a tutt. E l'autore? Oh, ancora lo riveggo, modesto, presentarsi alla fila infuocata della ribalta: negli occhi gli tremolava una lacrima ed egli li vulgeva Su ad un palchetto di proscenio di terza fila, dove una signora e dei bambini ridevano, piangevano, applaudivano com pazzi, come ebri di gioia. E quando, per la decima, per la ventesima volta, Roberto Stagno trascinà davanti alla fulla quel giovane pallido, tremante, difatto, l'emozione, la lice, la gioia lo fecero cadere come e anime tra le braccia del pia illustre interprete dell' opera sua. Che serata, amica mia, e cun che gioia nella notte discutemmo è ragionammo dell' opera e delle speranze che in noi risvegliava, impotenti nei tutti, cui già il tarlo del cinismo rede e consuma, impotenti a sottrarci all'epidema dell'entusiasmo invadente e pervadente! On, in quella fresca notte, sentendo uno dei magnifici articuli parlati di Gennaro Minervini, in quella notte noi decretando ed incoraggiando el accrescendo il trionfo del giovine maestro, di quanto male fummo padril Di là, dal Costauss, dalle emozioni di quella serata prese il volo glorioso la popolarissima opera e da quel momento insieme s'involò la spontanea naturalezza, la ingenus natura del maestro. Da quel momento Pietro Mascagni fu oppresso dalla sua gloria, e la sua personalità apparve come diminuita, schiacciata dal peso di essa! Non più egli visse come aveva vissuto: con la ricchezza gli s'instillo nel sangue la voglia di esser qualcuno, per conto proprio, e medio freddure, e poso a grande artista.... e medito l'Amico Fritz. .. Lo meditò o, non piuttosto, lo perpetrò in un quarto d'ora d'ambizione irragionevole? I padri hanno sempre un debole pei figliuoli cattivi e non mai l'ietro Mascagni rivelerà, neppure a si stesso, questa verità psicologica. Ma quanta differenza tra il maestro di quella prima rappresentazione memorabile e il Mascagni dell'Amico Fritz! La sala era la stessa, Forchestra la stessa, il maestro direttore lo stesso: il pubblico, invece, era più solenne... tanto è vero che c'eravate anche voi, mia bella amica. Ricordate? Eugenio Checchi agitava la sua testa capelluta in preda ai segni più evidenti di quel premeditato entusiasmo, che poi è diventato in lui malattia cronica, incurabile: mancava, invece, la calvizie arguta del povero e compianto D'Arcais. Pochi minuti prima che la rappresentazione cominciasse, nel corridoio dei paichi di prima fila io stavo, imbarazzato, arrossendo davanti ad una colta e gentile signora che mi raccontava d'aver potuto comperare una preziosa edizione di Orazio fatta ad Amsterdam e mi chiedeva se quella o l'altra chissà quale? di Lipsia fosse più pregevole. lo borbottavo: -Ma, signora, in fatto di satire uraziane... io le ho studiate nella economica edizione Sonzogno. In quella sopraggiunse Pietro Mascagni a cui la signora fece i più fervidi augurii. L'aria di sutńcienza con cui li accolse e il sorriso stentato, stereotipato, col quale rispose alla gentile dama mi lecero male. Ebbene, per tutta la sera, io ho cercato invano in un palchetto di proscenio lo spettacolo commovente dell'altra volta..... Ricordate Quanto fu poco spontaneo il successo dell'Amico Fritz, di quel lavoretto<section end="s2" /><noinclude><references/></noinclude> fxvimzieomb0b40c752knu54g4qoxfv Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/63 108 978942 3535130 2025-06-13T16:02:43Z Giaccai 13220 </references> 3535130 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 59 –|}}</noinclude>un braccio e soldi sei dipinte sul legno, in cui il famoso Santi di Tito espresso S. Tobia, e S. Sebastiano protettore contro la peste<ref>S’ignora se le suddette pitture siono lavoro di Santi di Tito o d’uno dei tre Bronzini: le medesime furono collocate in due ovati ai lati dell’altaro di compagnia.</ref>, e v’è pure nel mezzo, l’arme della compagnia colle due lettere, F. M. di colore giallo. Al di sopra vi è un’altra pittura di lunghezza braccia due ed un terzo, e alta due terzi esprimente due bellissimi putti<ref>Nel corpo della mensa d’un altare che è nello stanzone, vi si vede una formella dipinta a olio con i due putti surriferiti che reggono una cartella in cui sta scritto: {{Sc|Misericordes misericordiam consequentur}}. Questa formava prima la cimasa del prospetto dell’antico altare che era in chiesa, e che oggi è in sagrestia. In un inventario antico della compagnia si trova che questa pittura è creduta di Santi di Tito</ref>. e sotto alla Madonna vi si vede un altro quadretto di braccia uno di larghezza, e di lunghezza un sesto, dimostrantela cena del nostro signore Gesù Cristo con i dodici apostoli, opera del soprannominato autore, come pure ve ne sono altri quattro sotto i piedistalli delle colonne di grandezza circa mezzo braccio, che rappresentano le sette opere di misericordia, nelle quali è da notarsi avere il pittore effigiato i fratelli della compagnia senza veste, come al tempo di Luca Borsi, ed altri vestiti in abito nero, e i capi di guardia con veste nera talare, con un piccolo segno nella fronte in cui v’è l’arme della Misericordia, come portano presentamente i fratelli della compagnia di S. Gio. Battista del Tempio, e quelli di S. Brigida<ref name=p63>>Prima della metà del secolo XIV ai rei condannati a morte era negato qualunque soccorso anco spirituale e perfino l’ecclesiastica sepoltura. Ma dopo quell’epoca alcuni giovani del popolo di S. Simone ottennero dalla reppubblica un pezzo di terreno fuori della porta alla giustizia, oggi chiusa, su cui edificarono</ref>.<noinclude></noinclude> 6rnh8ea3yythowwnjhzib2bacs28wov 3535131 3535130 2025-06-13T16:03:27Z Giaccai 13220 3535131 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 59 –|}}</noinclude>un braccio e soldi sei dipinte sul legno, in cui il famoso Santi di Tito espresso S. Tobia, e S. Sebastiano protettore contro la peste<ref>S’ignora se le suddette pitture siono lavoro di Santi di Tito o d’uno dei tre Bronzini: le medesime furono collocate in due ovati ai lati dell’altaro di compagnia.</ref>, e v’è pure nel mezzo, l’arme della compagnia colle due lettere, F. M. di colore giallo. Al di sopra vi è un’altra pittura di lunghezza braccia due ed un terzo, e alta due terzi esprimente due bellissimi putti<ref>Nel corpo della mensa d’un altare che è nello stanzone, vi si vede una formella dipinta a olio con i due putti surriferiti che reggono una cartella in cui sta scritto: {{Sc|Misericordes misericordiam consequentur}}. Questa formava prima la cimasa del prospetto dell’antico altare che era in chiesa, e che oggi è in sagrestia. In un inventario antico della compagnia si trova che questa pittura è creduta di Santi di Tito</ref>. e sotto alla Madonna vi si vede un altro quadretto di braccia uno di larghezza, e di lunghezza un sesto, dimostrantela cena del nostro signore Gesù Cristo con i dodici apostoli, opera del soprannominato autore, come pure ve ne sono altri quattro sotto i piedistalli delle colonne di grandezza circa mezzo braccio, che rappresentano le sette opere di misericordia, nelle quali è da notarsi avere il pittore effigiato i fratelli della compagnia senza veste, come al tempo di Luca Borsi, ed altri vestiti in abito nero, e i capi di guardia con veste nera talare, con un piccolo segno nella fronte in cui v’è l’arme della Misericordia, come portano presentamente i fratelli della compagnia di S. Gio. Battista del Tempio, e quelli di S. Brigida<ref name=p63>Prima della metà del secolo XIV ai rei condannati a morte era negato qualunque soccorso anco spirituale e perfino l’ecclesiastica sepoltura. Ma dopo quell’epoca alcuni giovani del popolo di S. Simone ottennero dalla reppubblica un pezzo di terreno fuori della porta alla giustizia, oggi chiusa, su cui edificarono</ref>.<noinclude></noinclude> i9tp9psf7nrt3l0qy4x5zwd3xlyvu5o 3535132 3535131 2025-06-13T16:03:37Z Giaccai 13220 /* Trascritta */ 3535132 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 59 –|}}</noinclude>un braccio e soldi sei dipinte sul legno, in cui il famoso Santi di Tito espresso S. Tobia, e S. Sebastiano protettore contro la peste<ref>S’ignora se le suddette pitture siono lavoro di Santi di Tito o d’uno dei tre Bronzini: le medesime furono collocate in due ovati ai lati dell’altaro di compagnia.</ref>, e v’è pure nel mezzo, l’arme della compagnia colle due lettere, F. M. di colore giallo. Al di sopra vi è un’altra pittura di lunghezza braccia due ed un terzo, e alta due terzi esprimente due bellissimi putti<ref>Nel corpo della mensa d’un altare che è nello stanzone, vi si vede una formella dipinta a olio con i due putti surriferiti che reggono una cartella in cui sta scritto: {{Sc|Misericordes misericordiam consequentur}}. Questa formava prima la cimasa del prospetto dell’antico altare che era in chiesa, e che oggi è in sagrestia. In un inventario antico della compagnia si trova che questa pittura è creduta di Santi di Tito</ref>. e sotto alla Madonna vi si vede un altro quadretto di braccia uno di larghezza, e di lunghezza un sesto, dimostrantela cena del nostro signore Gesù Cristo con i dodici apostoli, opera del soprannominato autore, come pure ve ne sono altri quattro sotto i piedistalli delle colonne di grandezza circa mezzo braccio, che rappresentano le sette opere di misericordia, nelle quali è da notarsi avere il pittore effigiato i fratelli della compagnia senza veste, come al tempo di Luca Borsi, ed altri vestiti in abito nero, e i capi di guardia con veste nera talare, con un piccolo segno nella fronte in cui v’è l’arme della Misericordia, come portano presentamente i fratelli della compagnia di S. Gio. Battista del Tempio, e quelli di S. Brigida<ref name=p63>Prima della metà del secolo XIV ai rei condannati a morte era negato qualunque soccorso anco spirituale e perfino l’ecclesiastica sepoltura. Ma dopo quell’epoca alcuni giovani del popolo di S. Simone ottennero dalla reppubblica un pezzo di terreno fuori della porta alla giustizia, oggi chiusa, su cui edificarono</ref>.<noinclude></noinclude> 2skkyufwhzxgc9hsw938mfjpmvite4w Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/64 108 978943 3535133 2025-06-13T16:25:11Z Giaccai 13220 /* Trascritta */ 3535133 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 60 –|}}</noinclude>Parimente in queste pitture vi ha dimostrato i sostituti, con un vestino nero fino alle ginocchia, come veniva praticato in tempo di contagio, avendo ancora essi un piccolo segno sopra le spalle con l’arme della compagnia<ref name=p64>È cosa singolare che Santi di Tito per significare l’opera di misericordia, di dar mangiare agli affamati, ha dipinta la cena di nostro Signore cogli apostoli.<br>{{gap|1em}} Nel quadretto in cui il pittore espresse l’opera di sotterrare i morti si vedono i fratelli tutti vestiti in egual modo; quei che hanno la veste sino alle ginocchia como praticavasi in tempo di contagio son dipinti in altro quadretto. Nel surriferito però alcuni fratelli hanno l’arme della compagnia nel cappuccio ed altri nel braccio destro. E siccome solo quei che portano la torcia hanno l’arme nel cappuccio, e gli altri che sotterrano il morto ec. lo hanno tutti nel braccio destro, così dubito cho questo servisse di distinzione fra i ''capi di guardia'' e gli altri ascritti essendo pure anticamente uso di dar la torcia ai maggiori.</ref>. <ref follow=p63>una cappella a conforto de’ condannati a morte al servigio dei quali si dedicarono. Cosi ebbe principio la celebre compagnia del Tempo che risiedeva vicino alla {{Wl|Q25054007|Porta alla Croce}}. I fratelli vestivano come quelli della Misericordia, e perciò si chiamavano anco Neri dal color della veste. {{Wl|Q5592|Michelangiolo Buonarroti}} fu di questa compagnia: gli ascritti dovevano appartenere a famiglie distinte.</ref><noinclude><references/></noinclude> 5yfh2om13k3mtvly0649z868uc98gkr Pagina:Storia della venerabile arciconfraternita della Misericordia 1871.djvu/66 108 978944 3535139 2025-06-13T16:35:14Z Giaccai 13220 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: quella dalla parte dell’epistola, il pittore espresse il pellegrinaggio del Santo al tempio di Gerusalemme in compagnia della sua moglie e figlio ed in lontananza vi si vede il popolo ebreo che adora l’idolo: la seconda rappresenta i medesimi personaggi nel tempio col sacerdote, che riceve l’offerta: nella terza vi è dipinta la disgrazia del vecchio accecato dallo sterco della rondine: nella quarta vi è espressa la guari... 3535139 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Giaccai" />{{RigaIntestazione||– 62 –|}}</noinclude>quella dalla parte dell’epistola, il pittore espresse il pellegrinaggio del Santo al tempio di Gerusalemme in compagnia della sua moglie e figlio ed in lontananza vi si vede il popolo ebreo che adora l’idolo: la seconda rappresenta i medesimi personaggi nel tempio col sacerdote, che riceve l’offerta: nella terza vi è dipinta la disgrazia del vecchio accecato dallo sterco della rondine: nella quarta vi è espressa la guarigione del medesimo dalla sua cecità per mezzo del figliuolo, che gli applica sugli occhi con la direzione dell’Arcangiolo Raffaello il fegato del pesce: nella quinta vi sono rappresentate due sante, delle quali una è S. Maria Maddalena, e l’altra S. Brigida (1): nella sesta il pittore espresse l’arrivo della sposa in casa di Tobia. Sopra la porta vi fu collocata l’arine del serenissimo granduca {{Sc|Pietro Leopoldo}} protettore e benefattore della compagnia: e nella settima, ottava e nona si vede occupato Tobia ora a vestire ignudi, ora a visitare i carccrati, e dove a dispensare elemosine; sotto l’ottava si legge la seguente inscrizione: TOBIAS QUOTIDIE PERGEBAT PER OMNEM COGNATIONEM SVAM ATQVE SOLABATUR EOS, DIVIDEBATQUE VNICVIQUE PROVT POTERAT DE FACVLTATIBVS SVIS: ESVRIENTES ALEBAT, NVDISQUE VESTIMENTA PRAEBEBAT, MORTVIS ATQVE OCCISIS SEPVLTVRAM SOLLICITYS EXHIBEBAT. In altra si vede Tobia che seppellisce un morto, in altra il vecchio che spedisce il figlio a riscuotere il credito, porgen(1) É questa la lunetta che restava sulla porta di sagrestia, sulla quale v’era dipinta una giustizia perchè da essa si entrava nella stanza d’udienza del magistrato dei pupilli. In questa lunetta di S. Brigida e S. Maria Maddalena vi erano dipinti i due compagni martiri di S. Sebastiano. Digitized by Google<noinclude><references/></noinclude> 9bc7av526mj81v2kw2pja4z4tyxib3j Pagina:E l'uccellino... (G. Puccini - R. Fucini).pdf/3 108 978945 3535140 2025-06-13T16:39:52Z Pic57 12729 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: <score sound="1"> << %Apre Aggancio Canto a Pianoforte \new Staff << %Apre aggancio lyrics al Canto \relative c'{ \clef treble \key d \major \time 2/4 %rigo canto 2.4 b4 cis| }%Chiude relative Canto \addlyrics { -sti -- na }%Chiude new staff canto >> %Chiude aggancio a lyrics %Inizia basePiano \new PianoStaff << \new Staff ="up" { \clef treble \key d \major \time 2/4 %\tempo = moss... 3535140 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Pic57" />{{RigaIntestazione|||3}}</noinclude><score sound="1"> << %Apre Aggancio Canto a Pianoforte \new Staff << %Apre aggancio lyrics al Canto \relative c'{ \clef treble \key d \major \time 2/4 %rigo canto 2.4 b4 cis| }%Chiude relative Canto \addlyrics { -sti -- na }%Chiude new staff canto >> %Chiude aggancio a lyrics %Inizia basePiano \new PianoStaff << \new Staff ="up" { \clef treble \key d \major \time 2/4 %\tempo = mosso_non_troppo \tempo 4= 70 \relative c' { %rigo up 2.4 r8 <<e d>> r8 <<e d>>| } %Chiude relative Up }%Chiude New Staff Up \new Staff ="up" { \clef bass \key d \major \time 2/4 \relative c{ %rigo low 2.4 b'4( cis) } %Chiude relative low }%Chiude Staff low >>%Fine Base Piano >>%Fine Piano e Canto \layout { %#(set-global-staff-size 34) %ragged-right = ##t %indent = 4\cm %short-indent = 2\cm } </score><noinclude><references/></noinclude> 3hy4e19ru3vghz6321gnsgevq6sutvm 3535141 3535140 2025-06-13T16:41:03Z Pic57 12729 3535141 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Pic57" />{{RigaIntestazione|||3}}</noinclude><score sound="1"> << %Apre Aggancio Canto a Pianoforte \new Staff << %Apre aggancio lyrics al Canto \relative c'{ \clef treble \key d \major \time 2/4 %rigo canto 2.4 b4 cis| }%Chiude relative Canto \addlyrics { -sti -- na }%Chiude new staff canto >> %Chiude aggancio a lyrics %Inizia basePiano \new PianoStaff << \new Staff ="up" { \clef treble \key d \major \time 2/4 %\tempo = mosso_non_troppo \tempo 4= 70 \relative c' { %rigo up 2.4 r8 <<e d>> r8 <<e d>>| } %Chiude relative Up }%Chiude New Staff Up \new Staff ="up" { \clef bass \key d \major \time 2/4 \relative c{ %rigo low 2.4 b'4( cis) } %Chiude relative low }%Chiude Staff low >>%Fine Base Piano >>%Fine Piano e Canto \layout { %#(set-global-staff-size 34) %ragged-right = ##t %indent = 4\cm %short-indent = 2\cm } </score><noinclude>{{PieDiPagina||102625|}} <references/></noinclude> b7wsy36fm9jnmffbtkm38axrqr6pgl3 Pagina:Lettere - Santa Caterina, volume I, 1922.djvu/281 108 978946 3535143 2025-06-13T16:57:15Z Cor74 73742 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: LETTERE DI SANTA CATERINA 215 dola alzata sopra tutti i cori degli angeli. Per forza, quando così dolcemente la mente e il disiderio vostro si leverà, si spegneià la puzza del vizio. Anco ci conviene castigare il corpo nostro, e mortificarlo colla vigilia e umile e continua orazione; attaccarsi all’arbore della santissima croce, fuggire le conversazioni più che si può di coloro che vivono lascivamente. E non dubitate c... 3535143 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|215}}</noinclude>LETTERE DI SANTA CATERINA 215 dola alzata sopra tutti i cori degli angeli. Per forza, quando così dolcemente la mente e il disiderio vostro si leverà, si spegneià la puzza del vizio. Anco ci conviene castigare il corpo nostro, e mortificarlo colla vigilia e umile e continua orazione; attaccarsi all’arbore della santissima croce, fuggire le conversazioni più che si può di coloro che vivono lascivamente. E non dubitate che Dio vi farà grandissima grazia, purché brighiate ’ di tagliare e non di stare a sciogliere. ^ Spacciatamente disponete tutti e’ fatti vostri. Correte cou dolce e amoroso desiderio al giogo della santa obedienzia: ine ucciderete la- volontà, e mortificherete il corpo; ine gusterete 1" arra di vita eterna. E non vi paia fadigoso; che la fadiga tornerà a grandissimo diletto. Son certa che se farete mansione ^ per affetto d’amore col dolce e buono Gesù, che voi il farete; e altrimenti no. E però vi dissi, che io desideravo di vedervi unito per affetto d’amore nel Salvator nostro, accfò che veniste a vera purità, e perdeste la passione che vi dà tanta pena. Non dubito che se voi ’l farete, ne sarete privato; almeno, ^ che la volontà eleggerebbe prima la morte, che volere ojffendere. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso: e cominciate una vita nuova, con speranza che le colpe 1 Daiite: «Brigavam di soverchiar la strada». - Rammenta il motto latino, che lo amicizie s’hanno a scucire, non a strappare, ila qui più sapiente: che volendo a beli" agio sciogliere a uno a uno i noiii del male risicasi di raggTupparli. Tagliar corto, è modo vivo frequente. ^ Modo do’ Vangeli. ■* Se non è sbaglio, intendasi: quand’anco aveste battaglie, sapreste almeno combatterle, e prescegliere alla dissoluzione morale, il dissolversi del corpo vostro, onde sia l’anima liberata.<noinclude><references/></noinclude> r3vrwqg99kpm9xlpht0u4jbgqyy5ux1 3535146 3535143 2025-06-13T17:01:54Z Cor74 73742 /* Trascritta */ 3535146 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Cor74" />{{RigaIntestazione||{{Sc|lettere di santa caterina}}|215}}</noinclude>dola alzata sopra tutti i cori degli angeli. Per forza, quando così dolcemente la mente e il disiderio vostro si leverà, si spegneià la puzza del vizio. Anco ci conviene castigare il corpo nostro, e mortificarlo colla vigilia e umile e continua orazione; attaccarsi all’arbore della santissima croce, fuggire le conversazioni più che si può di coloro che vivono lascivamente. E non dubitate che Dio vi farà grandissima grazia, purché brighiate<ref>Dante: ''«Brigavam di soverchiar la strada»''.</ref> di tagliare e non di stare a sciogliere.<ref>Rammenta il motto latino, che lo amicizie s’hanno a scucire, non a strappare, ila qui più sapiente: che volendo a bell'agio sciogliere a uno a uno i nodi del male risicasi di raggrupparli. ''Tagliar corto, è modo vivo frequente''.</ref> Spacciatamente disponete tutti e’ fatti vostri. Correte con dolce e amoroso desiderio al giogo della santa obedienzia: ine ucciderete la volontà, e mortificherete il corpo; ine gusterete l'arra di vita eterna. E non vi paia fadigoso; che la fadiga tornerà a grandissimo diletto. Son certa che se farete mansione<ref>Modo de’ Vangeli.</ref>per affetto d’amore col dolce e buono Gesù, che voi il farete; e altrimenti no. E però vi dissi, che io desideravo di vedervi unito per affetto d’amore nel Salvator nostro, accfò che veniste a vera purità, e perdeste la passione che vi dà tanta pena. Non dubito che se voi ’l farete, ne sarete privato; almeno,<ref>Se non è sbaglio, intendasi: quand’anco aveste battaglie, sapreste almeno combatterle, e prescegliere alla dissoluzione morale, il dissolversi del corpo vostro, onde sia l’anima liberata.</ref> che la volontà eleggerebbe prima la morte, che volere offendere. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso: e cominciate una vita nuova, con speranza che le colpe<noinclude><references/></noinclude> korxf657ijwpq2934y8wv2yu3bsm2tg Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/269 108 978947 3535148 2025-06-13T17:08:28Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535148 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|127}}</noinclude> {{Pt|ne|comune}} di Firenze, pagandone a Piero de’ Bardi quattromila novecentosessanta fiorini d’oro. {{Pg|323|VI. 323|c6}}. Verre, Caruccio, del, valente popolano. {{Pg|9|III. 9|c3}}. Vespro siciliano. {{Pg|242|II. 242|c2}}. Vico, di Mugello, quando fu fatto da’ Fiorentini. {{Pg|239|IV. 239|c4}}. Vicchio. ''V''. Vico. Vigne, Piero dalle, muore in prigione. {{Pg|34|II. 34|c2}}. — difende Federigo in un’epistola. {{Pg|40|''Ivi'', 40|c2}}. Villani, loro case, erano situate da san, Brocolo, dove tenevano ragione i giudici del duca d’Atene. {{Pg|25|VII. 25|c7}}. Villani, Giovanni, essendo in Roma al giubbileo del 1300 disegna scrivere la sua cronica. {{Pg|52|III. 52|c3}}. — narra aver veduto il campo de’ Fiamminghi dopo la loro sconfitta. {{Pg|145|III. 145|c3}}. {{altraColonna|em=-1}} — uno de’ tre savi per adoperare contro la guerra de’ Pisani. {{Pg|82|IV. 82|c4}}. — è uficiale a far fare le mura e torri dalla porta a san Gallo a quella di sant’Ambrogio. {{Pg|131|''Ivi'', 131|c4}}. — è uficiale a fare edificare le mura del terzo cerchio. {{Pg|222|''Ivi'', 222|c4}}. — fu de’ priori nel i328. {{Pg|136|V. 136|c5}}. — è uficiale per il comune di Firenze sopra la carestia del 1328. {{Pg|191|''Ivi'', 191|c5}}. — fu de’ cittadini che offersero la loro rata per la compra di Lucca. {{Pg|184|''Ivi'', 184|c5}}. — è ambaseiadore per il comune di Firenze al legato per la Chiesa nel 1329. {{Pg|191|''Ivi'', 191|c5}}. — è deputato per il comune a trattare la resa di Lucca. {{Pg|222|''Ivi'', 222|c5}}. — è uficiale a far fare le porte di bronzo di<noinclude></noinclude> 60y8vt07fzpuuvjio8lqyx5wp5cfsw1 Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/270 108 978948 3535149 2025-06-13T17:16:34Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535149 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|128|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}}san Giovanni fatte da Andrea Pisano. {{Pg|229|V. 229|c5}}. — fa inalzare il campanile di Badia ad istanza di Giovanni degli Orsini di Roma cardinale e legato in Toscana, {{Pg|229|''Ivi'', 229|c5}}. — dà egli il nome alla nuova terra di Firenzuola. {{Pg|252|''Ivi'', 252|c5}}. — è uno de’ mercanti che prendono l’incarico di fornire di danari il comune per la lega di Venezia. {{Pg|100|VI. 100|c6}}. — è uno de’ cinquanta stadichi mandati a Ferrara per garanzia al Mastino della compra di Lucca fermata da ’Fiorentini. {{Pg|235|''Ivi'', 235|c6}}. — sue riflessioni sulla cagione della sconfitta de’ Fiorentini avuta da’Pisani. {{Pg|252|''Ivi'', 252|c6}}. — accenna essere stato anch’egli compreso nel fallimento de’ Bardi. {{Pg|138|VII. 138|c7}}. {{altraColonna|em=-1}} Villanuova, Arnaldo da, sue profezie. {{Pg|7|IV. 7|c4}}. Vinci, si rubella a’ Fiorentini. {{Pg|70|IV. 70|c4}}. Vinegia, fu prima chiamata Antinora. {{Pg|20|I. 20|c1}}. Virgilio. {{Pg|18|I. 18|c1}}, {{Pg|19|19|c1}}. Visconti, loro arme, e di qual dettato fosse cagione. {{Pg|107|IV. 107|c4}}. — sono scomunicati da papa Giovanni. {{Pg|136|''Ivi'', 136|c4}}. Visconti, Azzo, viene in aiuto a Castruccio contro i Fiorentini. {{Pg|263|IV. 263|c4}}. — gli è confermata dal Bavaro la signoria di Milano. {{Pg|154|''Ivi'', 154|c4}}. — unito ai suoi zii, strangola in Milano suo fratello Marco. {{Pg|176|''Ivi'', 176|c4}}. — è ricomunicato dalla Chiesa, {{Pg|186|''Ivi'', 186|c4}}. — prende Pavia, togliendola al re Giovanni. {{Pg|262|''Ivi'', 262|c4}}. — muore, e succede alla signoria di Milano messer Luchino. {{Pg|199|VI. 199|c6}}.<noinclude></noinclude> ff7ch0om9dxs0kim26k1eb4d2b6dksw Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/271 108 978949 3535150 2025-06-13T17:20:36Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535150 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" /></noinclude> Visconti, Galeasso,pren- de Piacenza. IV. 35. — prende per assalto Cremona . Ivi, 125. — dopo la morte di suo padre Maffeo si fa si- gnore di Milano. Ivi, 146. — cacciato di Milano va a Lodi, Ivi, 165. — rientra in Milano, e n'è fatto signore col favore di quelli che l'aveano cacciato. Ivi, 168. — prende Moncia sopra la Chiesa, Ivi, 136. — è deposto dal Bavaro della signoria di Mi- lano. V. 42. — muore poveramente all'assedio di Pistoia in servizio di Castruc- cio. Ivi, 112. Visconti , Giovannino , è fatto cardinale dal- l' antipapa Piero da Corvara. V. 154. — fatto cardinale dal Bavaro, rinunzia il cardinalato , ed è ri- benedetto e fatto ve- scovo di Noara da papa Giovanni . Ivi, 187. ac Visconti , Luchino , quando è fatto signo- re di Milano. VI. 199. — si collega co' Pisani, e manda loro mille cavalieri per l'assedio di Lucca. Ivi, 287. — perchè si fa nemico de' Pisani. VII. 79. — sua guerra co'Pisani, esito poco felice. Ivi, 82, e seg. — fa pace co'Pisani , e con quali condizioni. Ivi, ICQ. — come ebbe Parma, e descrizione del suo potere. Ivi, i84- Visco!*Ti , Maffeo , cac- ciato di Milano. III. 102. — sue argute risposte. Ivi, 104. — ritorna in Milano . IV. 12. — tradisce Gmdetto della Torre. Ivi, iS. — muore a Chiaravalle. Ivi, 140. Visconti, Marco, si poiie all'assedio a Genova 9<noinclude></noinclude> tdnif1xxx4nu9nu4iht9tlulshp4cni 3535151 3535150 2025-06-13T17:41:49Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535151 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|129}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} Visconti, Galeasso, prende Piacenza. {{Pg|35|IV. 35|c4}}. — prende per assalto Cremona. {{Pg|125|''Ivi'', 125|c4}}. — dopo la morte di suo padre Maffeo si fa signore di Milano. {{Pg|146|''Ivi'', 146|c4}}. — cacciato di Milano va a Lodi, {{Pg|165|''Ivi'', 165|c4}}. — rientra in Milano, e n’è fatto signore col favore di quelli che l’aveano cacciato. {{Pg|168|''Ivi'', 168|c4}}. — prende Moncia sopra la Chiesa, {{Pg|136|''Ivi'', 136|c4}}. — è deposto dal Bavaro della signoria di Milano. {{Pg|42|V. 42|c5}}. — muore poveramente all’assedio di Pistoia in servizio di Castruccio. {{Pg|112|''Ivi'', 112|c5}}. Visconti, Giovannino, è fatto cardinale dall’antipapa Piero da Corvara. {{Pg|154|V. 154|c5}}. — fatto cardinale dal Bavaro, rinunzia il cardinalato, ed è ribenedetto e fatto vescovo di Noara da papa Giovanni. {{Pg|187|''Ivi'', 187|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} Visconti, Luchino, quando è fatto signore di Milano. {{Pg|199|VI. 199|c6}}. — si collega co’ Pisani, e manda loro mille cavalieri per l’assedio di Lucca. {{Pg|287|''Ivi'', 287|c6}}. — perchè si fa nemico de’ Pisani. {{Pg|79|VII. 79|c7}}. — sua guerra co’Pisani, esito poco felice. {{Pg|82|''Ivi'', 82|c7}}, e seg. — fa pace co’ Pisani, e con quali condizioni. {{Pg|100|''Ivi'', 100|c7}}. — come ebbe Parma, e descrizione del suo potere. {{Pg|184|''Ivi'', 184|c7}}. Visconti, Maffeo, cacciato di Milano. {{Pg|102|III. 102|c3}}. — sue argute risposte. {{Pg|104|''Ivi'', 104|c3}}. — ritorna in Milano. {{Pg|12|IV. 12|c4}}. — tradisce Guidetto della Torre. {{Pg|14|''Ivi'', 14|c4}}. — muore a Chiaravalle. {{Pg|140|''Ivi'', 140|c4}}. Visconti, Marco, si pone all’assedio a Genova<noinclude></noinclude> 9hxl4g83llrl1jyyxhvm9c40bcbdix0 3535152 3535151 2025-06-13T17:47:58Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535152 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione||indice|129}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} Visconti, Galeasso, prende Piacenza. {{Pg|35|IV. 35|c4}}. — prende per assalto Cremona. {{Pg|125|''Ivi'', 125|c4}}. — dopo la morte di suo padre Maffeo si fa signore di Milano. {{Pg|146|''Ivi'', 146|c4}}. — cacciato di Milano va a Lodi, {{Pg|165|''Ivi'', 165|c4}}. — rientra in Milano, e n’è fatto signore col favore di quelli che l’aveano cacciato. {{Pg|168|''Ivi'', 168|c4}}. — prende Moncia sopra la Chiesa, {{Pg|136|''Ivi'', 136|c4}}. — è deposto dal Bavaro della signoria di Milano. {{Pg|42|V. 42|c5}}. — muore poveramente all’assedio di Pistoia in servizio di Castruccio. {{Pg|112|''Ivi'', 112|c5}}. Visconti, Giovannino, è fatto cardinale dall’antipapa Piero da Corvara. {{Pg|154|V. 154|c5}}. — fatto cardinale dal Bavaro, rinunzia il cardinalato, ed è ribenedetto e fatto vescovo di Noara da papa Giovanni. {{Pg|187|''Ivi'', 187|c5}}. {{altraColonna|em=-1}} Visconti, Luchino, quando è fatto signore di Milano. {{Pg|199|VI. 199|c6}}. — si collega co’ Pisani, e manda loro mille cavalieri per l’assedio di Lucca. {{Pg|287|''Ivi'', 287|c6}}. — perchè si fa nemico de’ Pisani. {{Pg|79|VII. 79|c7}}. — sua guerra co’ Pisani, esito poco felice. {{Pg|82|''Ivi'', 82|c7}}, e seg. — fa pace co’ Pisani, e con quali condizioni. {{Pg|100|''Ivi'', 100|c7}}. — come ebbe Parma, e descrizione del suo potere. {{Pg|184|''Ivi'', 184|c7}}. Visconti, Maffeo, cacciato di Milano. {{Pg|102|III. 102|c3}}. — sue argute risposte. {{Pg|104|''Ivi'', 104|c3}}. — ritorna in Milano. {{Pg|12|IV. 12|c4}}. — tradisce Guidetto della Torre. {{Pg|14|''Ivi'', 14|c4}}. — muore a Chiaravalle. {{Pg|140|''Ivi'', 140|c4}}. Visconti, Marco, si pone all’assedio a Genova<noinclude></noinclude> honigjenk3nu8ty3qm0rdi2hgvaiujv Pagina:Villani - Cronica, Tomo VIII, 1823.djvu/272 108 978950 3535153 2025-06-13T17:49:36Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535153 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" /></noinclude> c co' ghibellini usciti di quella. IV. 89. — richiede il re Ruber- to di combattere corpo a corpo . Ivi, 94. — sconfigge e uccide Ugo dal Balzo . Ivi, 99- — è sconfitto dalla gen- te della Chiesa . Ivi, 178. — perchè viene in Fi- renze. V. 174. — parte , e va a Milano. Ivi, 175. -— è strangolato da' suoi fratelli . Ivi, 176. Visdomini , Cerrettieri de', è fatto cavaliere dal duca d'Atene . Yil. 12. — ccinsigliere della ti- rannide del duca d'itetene. Ivi, 2G. VispioNANO , Giovanni dii<,>santo uomo, quan- do i.norto in Firenze. Y. 2 29. YrrERB.o , sua descrizio- ne. 1.72. F I ICE. — SI rende alla Chiesa. V. 180. YiTTOiu, Pagolo di Boc- cuccio , uno de' dieci ambasciadori de' Fio- rentini al re d' Un- gheria. VII. 241. ViTTUAGLiAjSua Carestia in Italia. II. 3io. Voltf:rra , sua descri- zione. I. 73. — si leva ad arme e a romore, e se ne fa si- gnore Ottaviano de' Belforti. VI. 214. Volterrani , sconfitti da'Fiorentini. II. 81. — loro guerra con San- gimignano. III. <^(j. Zenobio, santo, vescovo di Firenze. I. So. —suo corpo quando fos- se ritrovato, e dove . V. 219. N E. A SPESE DELL^ EDITORE IGNAZIO MOUTIER, SOLO rROPRIETARIO DI qcest' opera.<noinclude></noinclude> 3xaluro4ppnp6j2a4j3z4a5kux2p4m1 3535154 3535153 2025-06-13T17:57:36Z Alex brollo 1615 /* new eis level1 */ 3535154 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Alex brollo" />{{RigaIntestazione|130|indice|}}</noinclude> {{colonna|em=-1}} co’ ghibellini usciti di quella. {{Pg|89|IV. 89|c4}}. — richiede il re Ruberto di combattere corpo a corpo. {{Pg|94|''Ivi'', 94|c4}}. — sconfigge e uccide Ugo dal Balzo. {{Pg|99|''Ivi'', 99|c4}} — è sconfitto dalla gente della Chiesa. {{Pg|178|''Ivi'', 178|c4}}. — perchè viene in Firenze. {{Pg|174|V. 174|c5}}. — parte, e va a Milano. {{Pg|175|''Ivi'', 175|c5}}. — — è strangolato da’ suoi fratelli. {{Pg|176|''Ivi'', 176|c5}}. Visdomini, Cerrettieri de’, è fatto cavaliere dal duca d’Atene. {{Pg|12|VII. 12|c7}}. — consigliere della tirannide del duca d’Aetene. {{Pg|26|''Ivi'', 26|c7}}. Vispignano, Giovanni da, santo uomo, quando morto in Firenze. {{Pg|229|V. 229|c5}}. VitERBo, sua descrizione. {{Pg|72|I. 72|c1}}. {{altraColonna|em=-1}} — si rende alla Chiesa. {{Pg|180|V. 180|c5}}. Vittori, Pagolo di Boccuccio, uno de’ dieci ambasciadori de’ Fiorentini al re d’Ungheria. {{Pg|241|VII. 241|c7}}. Vittuaglia, Sua Carestia in Italia. {{Pg|310|II. 310|c2}}. Volterra, sua descrizione. {{Pg|73|I. 73|c1}}. — si leva ad arme e a romore, e se ne fa signore Ottaviano de’ Belforti. {{Pg|214|VI. 214|c6}}. Volterrani, sconfitti da’ Fiorentini. {{Pg|81|II. 81|c2}}. — loro guerra con Sangimignano. {{Pg|196|III. 196|c3}}. {{Rule|8em|t=2|v=2}} Zenobio, santo, vescovo di Firenze. {{Pg|85|I. 85|c1}}. —suo corpo quando fosse ritrovato, e dove. {{Pg|219|V. 219|c5}}. {{FineColonna|em=-1}} {{Ct|f=100%|v=1|t=1|L=8px|FINE}} {{Ct|f=75%|v=1|A SPESE DELL'EDITORE IGNAZIO MOUTIER, SOLO PROPRIETARIO}} {{Ct|f=75%|v=1|DI QUEST’OPERA.}}<noinclude></noinclude> iuoyt7zuu6ul6i8ymxmsqqfsofgmfgx Pagina:Eisenstein o della coerenza stilistica.pdf/5 108 978951 3535169 2025-06-13T20:08:53Z Pic57 12729 /* Trascritta */ Gadget Pt 3535169 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Pic57" /></noinclude>{{Pt|vigliose|meravigliose}} possibilità del montaggio». Infatti {{AutoreCitato|David Wark Griffith|Griffith}} col suo montaggio per azioni parallele basato sulla cadenza ritmica di esse doveva ppunto sollecitare il nuovo regista {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}} portato al cinema per realizzare i suoi progetti «senza essere limitato dalle scene, dal pubblico, dagli attori e da tutto il lato terribilmente artificiale del teatro». Delle sue esperienze teatrali si ricorderà più tardi nei film ultimi della sua vita allorché avrà da guidare prevalentemente attori di professione. Di certi effetti scenici ottenuti soprattutto mediante la illuminazione ovvero mediante il contrasto fra ombre e luci si varrà nelle ultime opere dopo un periodo in cui è portato alla creazione di drammi all'aria aperta o in ambienti naturali ed autentici. Il suo primo interessante e vivo contatto col cinema è il film [[w:Sciopero!|''Sciopero'']] (1924). Subito dopo è la rivelazione: [[w:La corazzata Potëmkin|''L'incrociatore Potemkin'']] (1925). Partito con la intenzione di realizzare un vasto film, {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}, coadiuvato dall'operatore {{AutoreCitato|Ėduard Tissė|Eduard Tissé}} (suo collaboratore fino all'ultimo) si avvede che l'episodio dell'ammutinamento dei marinai del «Potemkin» accaduto a Odessa il 14 giugno 1905 può costituire, di per sé soltanto, un film. E' senza attori, e il luogo di azione è il porto di Odessa. Sul mare la nave, di fronte la gradinata della città verso il porto. La folla accorre partecipando alla insurrezione dei marinai. L'intervento delle milizie zariste fa sì che la folla composta di gente del popolo di ogni età, sia sospinta giù per la gradinata. I militari incalzano con ritmo grave e inesorabile, sparando su quanti si parano innanzi. A poco a poco i morti si accumulano sulla gradinata. Vengono colpiti vecchi, vengono colpite donne, viene colpita la madre: la carrozzella con il bambino scende, rotola giù fino in fondo. La vicenda è raccontata con un susseguirsi di quadri dai piani diversi, con parallelismi e contrasti sì da determinare gli effetti più suggestivi e pregnanti. [[w:La corazzata Potëmkin|''L'incrociatore Potemkin'']], nato come episodio di un ciclo evocativo dell'anno 1905, preludio alle gesta rivoluzionarie di Russia (un altro episodio è trattato da Vivkovskij nel film ''La domenica nera''), diventa un film dei più famosi. Si diffonde in più paesi, talvolta le proiezioni vengono limitate al pubblico di Cine-Clubs; talvolta il film censurato resta nei magazzini di ditte distributrici (così in Italia, giuntovi col titolo [[w:La baia della morte|''La baia della morte'']]). Ne parlano negli anni seguenti, tutti i critici, compresi coloro che non lo hanno visto, deducendone le qualità da relazioni di loro colleghi, da serie fotografiche. Un progetto di un film sulla Cina — contrasto fra due climi di una civiltà immensa — è abbandonato a favore della ''Linea generale'' ovvero ''Il vecchio e il nuovo''; vecchio metodo, nuovo metodo nel {{Pt|la-|}}<noinclude>{{PieDiPagina||— 43 —|}} <references/></noinclude> 4j2tkyg80a7pam71arynbdkx36x0h2m 3535184 3535169 2025-06-14T05:52:16Z Pic57 12729 3535184 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Pic57" /></noinclude>{{Pt|vigliose|meravigliose}} possibilità del montaggio». Infatti {{AutoreCitato|David Wark Griffith|Griffith}} col suo montaggio per azioni parallele basato sulla cadenza ritmica di esse doveva ppunto sollecitare il nuovo regista {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}} portato al cinema per realizzare i suoi progetti «senza essere limitato dalle scene, dal pubblico, dagli attori e da tutto il lato terribilmente artificiale del teatro». Delle sue esperienze teatrali si ricorderà più tardi nei film ultimi della sua vita allorché avrà da guidare prevalentemente attori di professione. Di certi effetti scenici ottenuti soprattutto mediante la illuminazione ovvero mediante il contrasto fra ombre e luci si varrà nelle ultime opere dopo un periodo in cui è portato alla creazione di drammi all'aria aperta o in ambienti naturali ed autentici. Il suo primo interessante e vivo contatto col cinema è il film [[w:Sciopero!|''Sciopero'']] (1924). Subito dopo è la rivelazione: [[w:La corazzata Potëmkin|''L'incrociatore Potemkin'']] (1925). Partito con la intenzione di realizzare un vasto film, {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}, coadiuvato dall'operatore {{AutoreCitato|Ėduard Tissė|Eduard Tissé}} (suo collaboratore fino all'ultimo) si avvede che l'episodio dell'ammutinamento dei marinai del «Potemkin» accaduto a Odessa il 14 giugno 1905 può costituire, di per sé soltanto, un film. E' senza attori, e il luogo di azione è il porto di Odessa. Sul mare la nave, di fronte la gradinata della città verso il porto. La folla accorre partecipando alla insurrezione dei marinai. L'intervento delle milizie zariste fa sì che la folla composta di gente del popolo di ogni età, sia sospinta giù per la gradinata. I militari incalzano con ritmo grave e inesorabile, sparando su quanti si parano innanzi. A poco a poco i morti si accumulano sulla gradinata. Vengono colpiti vecchi, vengono colpite donne, viene colpita la madre: la carrozzella con il bambino scende, rotola giù fino in fondo. La vicenda è raccontata con un susseguirsi di quadri dai piani diversi, con parallelismi e contrasti sì da determinare gli effetti più suggestivi e pregnanti. [[w:La corazzata Potëmkin|''L'incrociatore Potemkin'']], nato come episodio di un ciclo evocativo dell'anno 1905, preludio alle gesta rivoluzionarie di Russia (un altro episodio è trattato da Vivkovskij nel film ''La domenica nera''), diventa un film dei più famosi. Si diffonde in più paesi, talvolta le proiezioni vengono limitate al pubblico di Cine-Clubs; talvolta il film censurato resta nei magazzini di ditte distributrici (così in Italia, giuntovi col titolo [[w:La baia della morte|''La baia della morte'']]). Ne parlano negli anni seguenti, tutti i critici, compresi coloro che non lo hanno visto, deducendone le qualità da relazioni di loro colleghi, da serie fotografiche. Un progetto di un film sulla Cina — contrasto fra due climi di una civiltà immensa — è abbandonato a favore della [[w:La linea generale|''Linea generale''ovvero ''Il vecchio e il nuovo'']] ; vecchio metodo, nuovo metodo nel {{Pt|la-|}}<noinclude>{{PieDiPagina||— 43 —|}} <references/></noinclude> 8jppwme9e052oc6cwvgxaz8xm7tb4th Autore:Ėduard Tissė 102 978952 3535170 2025-06-13T20:48:11Z Pic57 12729 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Ėduard<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Tissė<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>direttore della fotografia/regista<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>russo<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Ėduard | Cognome = Tissė | Attività = dir... 3535170 wikitext text/x-wiki <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Ėduard<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Tissė<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>direttore della fotografia/regista<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>russo<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Ėduard | Cognome = Tissė | Attività = direttore della fotografia/regista | Nazionalità = russo | Professione e nazionalità = }} <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"></div></onlyinclude><!-- a qui --> 0x85aaqch5mvcrs0tfeswwu6tib33oy Pagina:Eisenstein o della coerenza stilistica.pdf/6 108 978953 3535171 2025-06-13T20:51:59Z Pic57 12729 /* Trascritta */ Gadget AutoreCitato 3535171 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Pic57" /></noinclude>{{Pt|voro|lavoro}} agricolo. Se l'[[w:La corazzata Potëmkin|''Incrociatore Potemkin'']] è la ricostruzione documentaria di un avvenimento, [[w:La linea generale|''La linea generale'']] è un documentario. Senonché il film intrapreso è interrotto per la realizzazione di [[w:Ottobre|''Ottobre ovvero I dieci giorni che sconvolsero il mondo'']]: ricostruzione documentaria di fatti, contrapposizione del clima rivoluzionario al mondo zarista; realizzazione nei luoghi stessi ove dieci anni prima si svolsero i fatti. Infine: possibilità, dal punto di vista artistico, di applicare ritmi e misure ad una vicenda ricca di elementi dinamici, suscettibile di determinare contrasti. Lo stesso Eisenstein definisce [[w:Ottobre (film)|''Ottobre'']] un film incompleto. Ma sarebbe sufficiente una sequenza l'assalto notturno al Palazzo d'Inverno a porre il film nella giusta considerazione. [[w:La linea generale|''La linea generale'']] è condotta a termine allorché il sonoro è già in atto. Peraltro il film, iniziato, come s'è detto, qualche tempo addietro, è ancora un'opera condotta secondo i canoni del cinema silenzioso. {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}} trova ottimi spunti per affermare la validità della regia «immediata», del montaggio a posteriori, dell'uso di attori non professionisti i quali in virtù del montaggio che ne alternerà i piani secondo determinate cadenze, risponderanno assai meglio allo scopo con l'autenticità dei loro volti. Il film è realizzato tra i contadini. La sequenza in cui un gruppo di essi è portato a prendere contatto per la prima volta con una scrematrice meccanica, quasi un giocattolo, il loro ilare interessamento condotto progressivamente ad una esplosione di entusiasmo, è di una magistrale vivezza. Le nuove possibilità di applicazioni offerte dal sonoro interessano {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}. Accompagnato da {{AutoreCitato|Aleksandr Vasil'evič Aleksandrov|Aleksandrov}} e da {{AutoreCitato|Ėduard Tissė|Tissé}} si reca in Germania, in Francia, in Svizzera. Frutto di questo viaggio europeo sono conferenze alla Sorbona di Parigi e il film [[w:Romanzo sentimentale (film)|''Romanza sentimentale'']] (1930). Hollywood ovvero l'industria nordamericana del film, intenta ad applicare metodi e persone al nuovo ritrovato, scrittura, mediante {{AutoreCitato|Jesse L. Lasky|Jesse L. Lasky}}, {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}, il cui contratto con la industria californiana non produce risultati positivi per il divario troppo sensibile tra i metodi di questa e la personalità di lui. Il film alla sua regia affidato, dopo la eliminazione di altri progetti; ''An American Tragedy'', basato sul romanzo omonimo di {{AutoreCitato|Theodor Dreiser|Theodor Dreiser}}, viene passato a {{AutoreCitato|Josef von Sternberg|Josef von Sternberg}} il quale ne farà un'opera di media levatura, con qualche passaggio notevole ma in ogni caso impostata su una struttura e realizzata con un metodo diverso da quelli che avrebbe adottato {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}. Sulla sua avventura nel Messico molto venne scritto. Le vicissitudini occorse ad {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}} e con lui ai suoi collaboratori interessano in quanto egli ha nonostante tutto realizzato con copioso materiale.<noinclude>{{PieDiPagina||— 44 —|}}<references/></noinclude> j3aq3ngx7sjnrrclmcvjxcxw2cvnq0y 3535188 3535171 2025-06-14T06:12:24Z Pic57 12729 3535188 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Pic57" /></noinclude>{{Pt|voro|lavoro}} agricolo. Se l'[[w:La corazzata Potëmkin|''Incrociatore Potemkin'']] è la ricostruzione documentaria di un avvenimento, [[w:La linea generale|''La linea generale'']] è un documentario. Senonché il film intrapreso è interrotto per la realizzazione di [[w:Ottobre|''Ottobre ovvero I dieci giorni che sconvolsero il mondo'']]: ricostruzione documentaria di fatti, contrapposizione del clima rivoluzionario al mondo zarista; realizzazione nei luoghi stessi ove dieci anni prima si svolsero i fatti. Infine: possibilità, dal punto di vista artistico, di applicare ritmi e misure ad una vicenda ricca di elementi dinamici, suscettibile di determinare contrasti. Lo stesso Eisenstein definisce [[w:Ottobre (film)|''Ottobre'']] un film incompleto. Ma sarebbe sufficiente una sequenza l'assalto notturno al Palazzo d'Inverno a porre il film nella giusta considerazione. [[w:La linea generale|''La linea generale'']] è condotta a termine allorché il sonoro è già in atto. Peraltro il film, iniziato, come s'è detto, qualche tempo addietro, è ancora un'opera condotta secondo i canoni del cinema silenzioso. {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}} trova ottimi spunti per affermare la validità della regia «immediata», del montaggio a posteriori, dell'uso di attori non professionisti i quali in virtù del montaggio che ne alternerà i piani secondo determinate cadenze, risponderanno assai meglio allo scopo con l'autenticità dei loro volti. Il film è realizzato tra i contadini. La sequenza in cui un gruppo di essi è portato a prendere contatto per la prima volta con una scrematrice meccanica, quasi un giocattolo, il loro ilare interessamento condotto progressivamente ad una esplosione di entusiasmo, è di una magistrale vivezza. Le nuove possibilità di applicazioni offerte dal sonoro interessano {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}. Accompagnato da {{AutoreCitato|Aleksandr Vasil'evič Aleksandrov|Aleksandrov}} e da {{AutoreCitato|Ėduard Tissė|Tissé}} si reca in Germania, in Francia, in Svizzera. Frutto di questo viaggio europeo sono conferenze alla Sorbona di Parigi e il film [[w:Romanzo sentimentale (film)|''Romanza sentimentale'']] (1930). Hollywood ovvero l'industria nordamericana del film, intenta ad applicare metodi e persone al nuovo ritrovato, scrittura, mediante {{AutoreCitato|Jesse L. Lasky|Jesse L. Lasky}}, {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}, il cui contratto con la industria californiana non produce risultati positivi per il divario troppo sensibile tra i metodi di questa e la personalità di lui. Il film alla sua regia affidato, dopo la eliminazione di altri progetti; [[w:Una tragedia americana|''An American Tragedy'']], basato sul romanzo omonimo di {{AutoreCitato|Theodor Dreiser|Theodor Dreiser}}, viene passato a {{AutoreCitato|Josef von Sternberg|Josef von Sternberg}} il quale ne farà un'opera di media levatura, con qualche passaggio notevole ma in ogni caso impostata su una struttura e realizzata con un metodo diverso da quelli che avrebbe adottato {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}}. Sulla sua avventura nel Messico molto venne scritto. Le vicissitudini occorse ad {{AutoreCitato|Sergej Michajlovič Ėjzenštejn|Eisenstein}} e con lui ai suoi collaboratori interessano in quanto egli ha nonostante tutto realizzato con copioso materiale.<noinclude>{{PieDiPagina||— 44 —|}}<references/></noinclude> tjvhegwyttw4v2nksa3pivnhxfe2hmp Autore:Jesse L. Lasky 102 978954 3535172 2025-06-13T20:54:42Z Pic57 12729 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Jesse L.<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Lasky<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>produttore cinematografico<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>statunitense<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Jesse L. | Cognome = Lasky | Attività = prod... 3535172 wikitext text/x-wiki <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Jesse L.<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Lasky<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>produttore cinematografico<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>statunitense<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Jesse L. | Cognome = Lasky | Attività = produttore cinematografico | Nazionalità = statunitense | Professione e nazionalità = }} <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"></div></onlyinclude><!-- a qui --> rgu1c4lltfq6r8a1y1frf3gdxvkx328 Autore:Theodor Dreiser 102 978955 3535173 2025-06-13T20:59:07Z Pic57 12729 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Theodor<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Dreiser<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>scrittore/drammaturgo<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>statunitense<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Theodor | Cognome = Dreiser | Attività = scritto... 3535173 wikitext text/x-wiki <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Theodor<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Dreiser<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>scrittore/drammaturgo<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>statunitense<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Theodor | Cognome = Dreiser | Attività = scrittore/drammaturgo | Nazionalità = statunitense | Professione e nazionalità = }} <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"></div></onlyinclude><!-- a qui --> 5jgwna8fhscmt4mbup14ss980iczlos Autore:Josef von Sternberg 102 978956 3535174 2025-06-13T21:08:11Z Pic57 12729 [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Josef von<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Sternberg<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>regista/scenografo/produttore cinematografico/direttore della fotografia/scenografo<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>austriaco<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Au... 3535174 wikitext text/x-wiki <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="Nome"/>Josef von<section end="Nome"/> <section begin="Cognome"/>Sternberg<section end="Cognome"/> <section begin="Attività"/>regista/scenografo/produttore cinematografico/direttore della fotografia/scenografo<section end="Attività"/> <section begin="Nazionalità"/>austriaco<section end="Nazionalità"/> </div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Autore | Nome = Josef von | Cognome = Sternberg | Attività = regista/scenografo/produttore cinematografico/direttore della fotografia/scenografo | Nazionalità = austriaco | Professione e nazionalità = }} <!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"></div></onlyinclude><!-- a qui --> r2hjbjfvfi512fp9zx9wt53jxcrgx5k Pagina:Jacini - Frammenti dell'inchiesta agraria, 1884.djvu/156 108 978957 3535239 2025-06-14T07:17:30Z Carlomorino 42 /* new eis level3 */ 3535239 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Carlomorino" />{{RigaIntestazione||{{Sc|la regione delle colline e dell'altipiano.}}|153}}</noinclude>confrontateli poi cogli altipiani e le colline lombarde, dove si spreca irrazionalmente tanto lavoro per tormentare il suolo ed esaurirlo con una continua alternazione di frumento e di granturco. Il valore della produzione sarà il medesimo a parità di superfìcie, lo ammettiamo, ma le condizioni dei coltivatori di quei cantoni svizzeri, sono molto migliori, in confronto di quelle degli agricoltori di Lombardia. Eppure, a favore dei lombardi interviene il grande ministro della natura con una intensità di calorico considerevolmente maggiore! È questo un ragionamento ripetuto assai di frequente; ed a cui non aderirà per certo chiunque abbia qualche conoscenza un po’ esatta delle condizioni locali italiane. Il malanno della regione dei colli e dell’altipiano lombardo consiste appunto, non già nell’intensità dal calorico che, ragguagliato a media annuale, sarebbe certamente più favorevole all’agricoltura sul versante meridionale che non sul versante settentrionale delle Alpi, ma bensì nella sua distribuzione, che dà luogo alle lunghe, e non interrotte siccità estive; le quali compromettono i prodotti pendenti, escludono la possibilità di molte colture che altrimenti sarebbero volentieri adottate per dar luogo a migliori avvicendamenti, e rendono, dal più al meuo, indispensabile, per utilizzare il suolo, quella continua alternazione di prodotti, esaurienti che la scienza agronomica a ragione condanna. Per ogni volta che l’agricoltore al di là delle Alpi può aver buon motivo di desiderare il sole d’Italia, il coltivatore al di qua di quei monti, ha dieci volte motivo ben più fondato di invidiare un po’ di quelle frequenti benefiche piogge estive, alle quali, i territori corrispondenti ai nostri sul versante settentrionale della catena alpina, vanno debitori delle loro belle praterie e della possibilità di una scelta fra molti prodotti il cui ordinato succedersi è richiesto da un avvicendamento razionale. Se, a parità di superficie, il valore della produzione presso a poco si agguaglia nei due paesi, tale risultato è dovuto alla saviezza con cui nelle colline e nell’altipiano di Lombardia si sa appunto usufruire il clima, col promuovere ed estendere cioè quanto più sia possibile la coltivazione di un albero utile come il gelso, al quale, anzichè dannosa, riesce giovevole la siccità estiva; e si supplisce, come meglio si può, mediante quella intensità di lavoro che non è consentita se non dalla<noinclude></noinclude> g3jxpsb868vcuhs91s6n45x57dl3swe Pagina:I poeti dell'Antologia Palatina (Romagnoli) 3.djvu/2 108 978958 3535271 2025-06-14T08:15:22Z Francyskus 76680 /* Trascritta */ 3535271 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude> {{Centrato|L’EDITORE ADEMPIUTI I DOVERI ESERCITERÀ 1 DIRITTI SANCITI DALLE LEGGI Copyright 1942 by N. Zanichelli (S. 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Meno possiamo seguirlo, alla prima, nel suo odio contro gli astronomi (XI, 347), ma neanche bisogna dimenticare che ai suoi tempi sì confondeva facilmente fra astronomi e... 3535274 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Francyskus" /></noinclude> Filippo di Tessalonica, vissuto sotto Caligola. Aggiunse una parte alla Corona di Meleagro. Ha la sua nota personale. Ce l’ha a morte coi grammatici (XI, 321), e parla con grande irriverenza di Callimaco (XI, 347). Né possiamo dargli tutti ì torti. Meno possiamo seguirlo, alla prima, nel suo odio contro gli astronomi (XI, 347), ma neanche bisogna dimenticare che ai suoi tempi sì confondeva facilmente fra astronomi e astrologi. È pittore di natura morta. Tanto più sembra strana, in mezzo alla sua pittura pacifica per definizione, l’invettiva contro i grammatici. Ma i grammatici gliene avranno fatta qualcuna grossa: ché sono capaci di tutto. Tanti e tanti mestieri sfilano, e con essi le immagini deì loro strumenti. Tutti gli arnesi del pescatore (VI, 90), dello scrivano (VI, 62),. del falegname (VI, 103), del bifolco (VI, 104). Una specie di poetico repertorio d’arti e mestieri. Ed è divertente l’enumerazione in termini precisi, spesso illuminata da pittoreschi aggettivi. È chiaro che in una traduzione tale interesse di necessità languisce molto. Quindi fra i tanti ne ho scelti pochi. |<noinclude><references/></noinclude> d9t1vp78c1pb4x6c0kg7wgpvktcplkc Pagina:I poeti dell'Antologia Palatina (Romagnoli) 3.djvu/6 108 978960 3535275 2025-06-14T08:16:40Z Francyskus 76680 /* Da trascrivere */ 3535275 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Francyskus" /></noinclude>cimila e centomila anni. PURUS GRAMATICUS XI, 321. Grammatici, figliuoli di Momo odiosi, tignole di spine, di Zenòdoto cucci, mostri dei libri, di Callimaco bravi — del suo rome scudo vi fate, e poi la vostra lingua neppure lui risparmia — che copule cacciate funeste, che i «.meco» ed i «seco» amate, e investigate se cani ebbe il Ciclope, pei secoli berciate dei secoli, o perfidi, contro gli altri, ma contro noi vano è il veleno vostro. È sempre d’attualità. E altrettanto si dovrà dire fra mille, die<noinclude><references/></noinclude> 53mtpv7bsv94jlkwpzup5mi78pfrqu2 Pagina:I poeti dell'Antologia Palatina (Romagnoli) 3.djvu/7 108 978961 3535276 2025-06-14T08:16:58Z Francyskus 76680 /* Pagine SAL 25% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina: FILIPPO: 5 Ro eee n II 2. ASTRONOMI E GRAMMATICI XI, 347. Alla malora voi, scrutatori del globo celeste e voi, raccoglitori di spine aristarchèi. Cosa mi fa cercare che strade percorse abbia il sole, di chi fu figlio Pròteo, di chi Pigmalione? Un verso chiaro so capirlo da me: le leggende oscure, ci si màcerino quanti ammiran Callimaco. Le leggende oscure (peXatvn lotopla) saranno glì atrio di Cal limaco, E adesso... 3535276 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="1" user="Francyskus" /></noinclude>FILIPPO: 5 Ro eee n II 2. ASTRONOMI E GRAMMATICI XI, 347. Alla malora voi, scrutatori del globo celeste e voi, raccoglitori di spine aristarchèi. Cosa mi fa cercare che strade percorse abbia il sole, di chi fu figlio Pròteo, di chi Pigmalione? Un verso chiaro so capirlo da me: le leggende oscure, ci si màcerino quanti ammiran Callimaco. Le leggende oscure (peXatvn lotopla) saranno glì atrio di Cal limaco, E adesso che ne conosciamo un brano abbastanza lungo non possiamo dare torto a Filippo.» 3. IL CACCIATORE VI, 107. Gelone il cacciatore, o Pan che vigili sui boschi, offre lo spiedo onde la cuspide il tempo e il lungo lavorio consunsero, e delle reti le vetuste briciole, e i lacci che le fiere al collo stringono,; ed i nodi scorsoi che ai pie’ le arrestano di subito, e i collari che dominio + Vo<noinclude><references/></noinclude> m5j7184p1e1a2im343oie71vzsw8hhc 3535277 3535276 2025-06-14T08:18:13Z Francyskus 76680 /* Trascritta */ 3535277 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude> {{Rule|16em}} FILIPPO: {{A destra|5}} {{Rule|16em}} Ro eee n II {{Centrato|2. ASTRONOMI E GRAMMATICI XI, 347.}} Alla malora voi, scrutatori del globo celeste e voi, raccoglitori di spine aristarchèi. Cosa mi fa cercare che strade percorse abbia il sole, di chi fu figlio Pròteo, di chi Pigmalione? Un verso chiaro so capirlo da me: le leggende oscure, ci si màcerino quanti ammiran Callimaco. Le leggende oscure (peXatvn lotopla) saranno glì atrio di Cal limaco, E adesso che ne conosciamo un brano abbastanza lungo non possiamo dare torto a Filippo.» {{Centrato|3. IL CACCIATORE VI, 107. }} Gelone il cacciatore, o Pan che vigili sui boschi, offre lo spiedo onde la cuspide il tempo e il lungo lavorio consunsero, e delle reti le vetuste briciole, e i lacci che le fiere al collo stringono,; ed i nodi scorsoi che ai pie’ le arrestano di subito, e i collari che dominio<noinclude><references/></noinclude> 5tf2jmbyo7emwr0s7z6h1rlga7x8eqk 3535278 3535277 2025-06-14T08:18:46Z Francyskus 76680 3535278 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude> {{Rule|16em}} {{Centrato|FILIPPO:}} {{A destra|5}} {{Rule|16em}} {{Centrato|2. ASTRONOMI E GRAMMATICI XI, 347.}} Alla malora voi, scrutatori del globo celeste e voi, raccoglitori di spine aristarchèi. Cosa mi fa cercare che strade percorse abbia il sole, di chi fu figlio Pròteo, di chi Pigmalione? Un verso chiaro so capirlo da me: le leggende oscure, ci si màcerino quanti ammiran Callimaco. Le leggende oscure (peXatvn lotopla) saranno glì atrio di Cal limaco, E adesso che ne conosciamo un brano abbastanza lungo non possiamo dare torto a Filippo.» {{Centrato|3. IL CACCIATORE VI, 107. }} Gelone il cacciatore, o Pan che vigili sui boschi, offre lo spiedo onde la cuspide il tempo e il lungo lavorio consunsero, e delle reti le vetuste briciole, e i lacci che le fiere al collo stringono,; ed i nodi scorsoi che ai pie’ le arrestano di subito, e i collari che dominio<noinclude><references/></noinclude> kfqcfrh9oq6afmrq22ja39xcq9i9dzh 3535279 3535278 2025-06-14T08:19:09Z Francyskus 76680 3535279 proofread-page text/x-wiki <noinclude><pagequality level="3" user="Francyskus" /></noinclude> {{Rule|16em}} {{Centrato|FILIPPO:}} {{A destra|5}}{{Rule|16em}} {{Centrato|2. 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